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Autore: I_am_V    24/04/2016    5 recensioni
Dal testo:
-Trovare il coraggio di parlarti è stato difficile. I sensi di colpa, la paura che non mi avresti ascoltato. Anche ora ho paura. Non del tuo aspetto, anche se può spaventare, ma del tuo odio nei miei confronti. Penso che l’odio di un figlio sia la peggiore condanna per una madre-
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Foxy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un lungo corridoio, buio e freddo. Una donna si avvicina a passo lento alla tenda viola alla fine di questo. Cerca di trattenere le lacrime, il dolore, i ricordi. Non vorrebbe essere lì, ma deve affrontarlo, non può più ignorare il senso di colpa e gli incubi che la tormentano ogni notte. Semplicemente non ce la fa più. Deve risolvere la situazione. Deve affrontarlo. Accelera il passo. Le scarpe nere con un leggero tacco producono un rumore secco ogni volta che uno dei piedi tocca il pavimento a piastrelle bianche e nere. Il suono rimbomba nella desolazione di quel corridoio, di quel luogo tanto amato un tempo e tanto odiato ora. Dal mazzo tra le sue mani cade un fiore rosso, un papavero, che spezza i colori del pavimento a scacchiera. La distanza dalla tenda si fa sempre più breve, inizia a sudare freddo. Si ferma.
È arrivata.
Resiste all’impulso di tornare indietro, di scappare. È da ormai troppo tempo che fugge da quella situazione. Posa dolcemente il mazzo di fiori davanti alla tenda sul piccolo spazio di palco non coperto da essa. Una luce improvvisamente illumina il palco, mettendo in risalto le stelle bianche del panno tanto temuto. Quel fascio luminoso sembra quasi nascondere i graffi e i buchi che intervallano le stelline, riportando all’aspetto di un tempo quell’angolo di divertimento: il Pirate Cove. La donna non sembra curarsi della provenienza di quel raggio. Sembra quasi abituata, come se avesse già visto quella scena. Sospira e porta dietro l’orecchio sinistro una ciocca dei lunghi capelli castani, per poi sedersi sul bordo del palco. La giovane donna dalla pelle olivastra raccoglie un fiore e lo osserva con i suoi grandi occhi scuri.
-Sono i tuoi preferiti- mormora con un sorriso malinconico -ti ricordi quando andavamo nei prati per raccoglierli? Il colore rosso ti piaceva tanto … lo so, ripresentarmi qui dopo così tanto tempo è da maleducati, ma sai quanto è stato difficile. Quando abbiamo scoperto quello che ti era successo … è stato terribile. Tuo padre non ce l’ha fatta, era completamente disperato. Un giorno il dolore se l’è portato via con un infarto-. Una lacrima la interrompe. Si volta verso la tenda, dove posa il fiore che ha in mano.
-Sono qui per dirti che mi dispiace. È tutta colpa mia. Non avrei dovuto perderti di vista quel giorno, ma chi poteva immaginarsi che quel pazzo si sarebbe vendicato su di voi. Nonostante questo non riesco a provare risentimento per quell’uomo. Ha perso un figlio dopotutto, ma perché fare del male a voi? Non avevate fatto nulla-. Un’altra lacrima interrompe la donna, mentre, con la coda dell’occhio, nota un uncino che sta scostando la tenda lentamente.
-Trovare il coraggio di parlarti è stato difficile. I sensi di colpa, la paura che non mi avresti ascoltato. Anche ora ho paura. Non del tuo aspetto, anche se può spaventare, ma del tuo odio nei miei confronti. Penso che l’odio di un figlio sia la peggiore condanna per una madre-. L’uncino continua a spostare il tessuto viola con un cigolio metallico disturbante.
-Sai meglio di me che il mio tempo sta per finire- riprende la donna sentendo la presenza dell’oggetto metallico sempre più vicina -e non ho intenzione di sprecarlo. Ti pongo quindi una domanda, bambino mio: mi perdonerai un giorno?-.
L’uncino si ferma, il tempo si cristallizza, il cuore di lei si arresta per un secondo.
-Mamma- sussurra una voce metallica, porgendole il papavero che aveva lasciato prima con una mano grigia e fredda -Io ti ho già perdonato-.
La donna coglie delicatamente il fiore per poi sorridere in mezzo alle lacrime.
-Il mio tempo è finito- sentenzia la giovane con voce serena, alzandosi -Addio, piccolo mio-.
-Non è un addio,- la interrompe la voce metallica mentre ritira l’uncino tra le ombre dietro alle tende -ma un arrivederci-. La donna sorride per poi incamminarsi verso la luce che illumina il piccolo palco.

Un rumore fastidioso e continuo sveglia una donna anziana dalla pelle olivastra e i capelli bianchi. Si alza a malavoglia dal letto dell’ospedale in cui è ricoverata e si guada intorno. Le pareti rosate della stanza creano un ambiente confortevole e la tenue luce del mattino che filtra dalle lunghe tende bianche riscalda la pelle della donna. Quel giorno si sente leggera, si è liberata del peso che la opprimeva. Volge lo sguardo verso la porta. Sulla soglia della stanza c'è un bambino: ha i capelli castani raccolti da una bandana rossa e dei grandi occhi scuri. Sorride e mentre porge una mano alla donna, nell’altra stringe un peluche di una volpe e un papavero. L’anziana si avvicina al piccolo sorridendo, ma prima di prendergli la mano si volta a guardare il suo corpo steso sul letto dell’ospedale e l’elettrocardiogramma piatto vicino a esso. Decide di non pensarci, dopotutto ora è con il suo piccolo. Gli stringe la mano e insieme si avviano verso la luce.

*Note dell’autrice*
Salve a tutti! Questa storia è nata da un momento di follia improvviso dopo aver visto l’ennesima storia che tratta male Foxy: dategli un po’ di respiro a questa povera volpe XD
Spero quindi che questa storia vi sia piaciuta e vi invito a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. Alla prossima!
V

   
 
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