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Autore: PassengerXX    24/04/2016    3 recensioni
Premetto che non sono molto brava con le introduzioni, quello che vi posso dire che questa
storia è il frutto di sei settimane senza la nostra amata Lexa. Nasce dalla non accettazione più totale del finale della 3x07.
E' la prima Clexa che scrivo ed è una one-shot ( almeno per il momento ) .
DALLA STORIA:
"L amore non è una debolezza, Clarke " Furono quelle le parole di Lexa, una semplice frase, una frase che racchiudeva tutto il senso di quello che entrambe provavamo l’una per l’altra.
Una frase che andava oltre ad un semplice ti amo.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LOVE IS NOT A WEAKNESS

 
NOTA AUTRICE:
In questa occasione ho deciso di mettere la nota autrice all’inizio del capitolo, cosa che non faccio mai, per farvi una piccola premessa.  Questa è una one-shot ( almeno per il momento ) che nasce da taaaaanto e infiiiiinito dolore, causato dalla morte ( vado a piangere in un angolino* ) della nostra amata Lexa.
Diciamo quindi che questo è un po’ il frutto di queste sei settimane di dolore. Il mio cervello nella completa non accettazione di ciò che è accaduto ha voluto alterare ciò che è successo nella 3x07 ed eccovi il risultato.
Fatemi sapere cosa ne pensate, gente!
May we meet again <3

 
 
 
I suoi occhi erano ancora chiusi.
Sembrava trascorsa una vita dal nostro primo incontro. Quel giorno ero entrata in quella tenda nella folle speranza di negoziare una pace, una tregua. Era seduta sul suo trono e giocherellava nervosa con il suo fidato pugnale. Ricordo perfettamente che notai i suoi occhi solo quando si avvicinò con sfrontatezza a me.
I suoi occhi, che in quell’occasione seppur incuriositi, volevano intimidirmi erano di un verde sorprendete.
Un verde come quello dei prati irlandesi che avevo potuto vedere soltanto sui libri, quando mi trovavo sull’arca.
Erano trascorse 18 ore e 54 minuti e i suoi bellissimi occhi verdi erano ancora chiusi.
Ero arrivata a contare ogni secondo, lo facevo in modo spasmodico, in preda in una sorta di disturbo ossessivo compulsivo, ma era tutto ciò che mi era rimasto di simile al conforto.  
Conforto che era dettato dal fatto che i suoi occhi erano chiusi ma il suo cuore, seppur con fatica, continuava a battere. Le sue mani strette che si erano strette nelle mie da che erano gelide sembravano acquistare a poco a poco calore. La vena sul collo, che si intravedeva appena, continuava a pulsare.
Era proprio quel pulsare che mi tranquillizzava appena.
Si sarebbe svegliata. 
Lexa era forte.
Lexa ce l’avrebbe fatta.
<< Clarke … >> Era Titus a parlare. Entrava ogni ora nella stanza per controllare gli eventuali sviluppi della sua Heda. L’Heda che aveva sparato davanti ai miei occhi, la stessa Heda che l’aveva perdonato subito dopo.
Il mio “ancora nulla” non arrivò questa volta. Non riuscivo nemmeno a guardarlo, i miei occhi non riuscivano a spostarsi da quelli chiusi della giovane donna distesa in quel letto.
Lui sembrò capire che non avrebbe ricevuto risposta alcuna e lo sentì indietreggiare e aprire la porta.
<< Tua madre mi ha detto di dirti di provare a riposare un po’ >> .
La porta fu chiusa e per un attimo anche i miei occhi si chiusero.
Guardai le mie mani.
Non mi ero allontanata da quel letto nemmeno per lavarle. Il nero del suo sangue le ricopriva quasi del tutto ma non me ne importava minimamente.
L’unica cosa che contava in quel momento era il calore che proveniva dalla sua mano e la consapevolezza che il suo cuore batteva ancora.
Deglutì, cercando di mandar giù l’ombra di ciò che quelle ore prima era stato evitato.
Nel tentativo disperato di scacciare via quei pensieri, mi avvicinai lentamente alla mia Heda e le diedi un leggero bacio sulle labbra.
Nonostante tutto avevano lo stesso sapore di sempre.
Lo stesso sapore di quella mattina, in quella tenda, prima della battaglia.
Lo stesso sapore di quel pomeriggio, nella sua stanza, quando stavo per dirle addio.
Lo stesso sapore sempre di quel pomeriggio, nella sua stanza, dopo aver fatto l’amore.
Nel momento in cui mi allontanai appena riuscì  a notare un cambiamento. Ne ero quasi sicura, vi era stato un movimento impercettibile, proveniente dalla sua mano.
<< Lexa? >> Non parlavo da ore e la mia voce uscì incerta e più rauca che mai.
<< Lexa! >> La mia voce questa volta uscì decisa e lacrime, che credevo di non possedere più, iniziarono a rigare il mio viso.
<< Clarke >> La sua voce. Quella voce che per un attimo ho creduto di non poter ascoltare più. Quella voce adesso pronunciava il mio nome.
Le lacrime, scendevano come non era mai successo prima, dai miei occhi. Erano talmente tante che la mia vista ne era del tutto offuscata.
<< Perché piangi Clarke? >> La sua domanda mi fece sorridere ed un suono, che solo in un secondo momento capì che fosse una risata, fuoriuscì dalla mia bocca.
<< Credevo … Credevo … >> Non riuscì a terminare quella frase ma Lexa sembrò capire. Mi strinse di risposta la mano, accennando un piccolissimo sorriso.
<< Cos’è successo Clarke? >> Chiese guardandosi attorno. << Perché non sento dolore? >>
Presi un profondo respiro prima di parlare. << E’ successo tutto così velocemente Lexa … Un secondo prima i tuoi occhi si erano chiusi, un secondo dopo è entrata mia madre dalla porta. Il caso ha voluto che si trovasse proprio qui a Polis. Era venuta per portare alcuni dei terrestri che ha curato ad Arkadia e credo che volesse parlare con te. E’ successo tutto troppo velocemente, ti ha operata proprio qui, davanti ai miei occhi e l’operazione è andata bene. Sei viva. Sei salva >> A quelle parole altre lacrime inondarono nuovamente i miei occhi e lei sembrò accorgersene perchè alzò la mano destra, quella che un attimo prima stringeva la mia mano, e con le sue dita sfiorò leggermente la mia guancia.
<< Ho combattuto contro i migliori e più forti guerrieri. Ho sempre vinto. Non potevo perdere contro un piccolo proiettile >> In quelle parole vi era più che la fierezza, vi era il tentativo di rassicurarmi. Quella era la mia Heda, la mia guerriera.
Mi avvicinai lentamente e questa volta fu proprio lei ad avvicinare le sue labbra alle mie. Il mio cuore perse un battito a quell’ormai familiare contatto. Non mi sarei mai abituata alla delicatezza e alla passione di quelle spesse e morbide labbra.
<< Lexa … >> Dissi tremando appena.
<< Dimmi Clarke >>
<< Ho avuto tanta paura. Credevo di averti persa … Ed io non voglio perderti >> Le parole uscivano con estrema difficoltà dalla mie labbra e Lexa lo sapeva.
Non ero mai stata brava con i miei sentimenti e la ragazza di fronte a me non ne era da meno.
Proprio per questo motivo, le parole non erano mai state le protagoniste, quando si parlava di noi.
 Ma gli sguardi …
Quando quegli occhi verdi si incastravano nel blu dei miei, niente più aveva importanza. Come quando il cielo si fonde nel mare, accedeva qualcosa di così potente, quasi di mistico. Qualcosa che andava, ci portava semplicemente oltre. Le parole andavano a morire in quella linea inesistente tra il cielo e il mare.
<< L’amore non è una debolezza, Clarke >> Furono quelle le parole di Lexa, una semplice frase, una frase che racchiudeva tutto il senso di quello che entrambe provavamo l’una per l’altra.
Una frase che andava oltre ad un semplice ti amo.
Le sorrisi e il mio cuore perse diversi battiti quando anche sulle sue labbra si dipinse un sorriso identico al mio.
Quanto era bella la mia Lexa.
Silenziosamente mi alzai da quella piccola seduta di legno e mi sdraiai accanto a lei, stando ben attenta a non farle del male.
Senza protestare si fece avvolgere dal mio abbraccio. Sembrava così piccola tra le mie braccia, che si chiusero protettive attorno a lei.
L’avrei difesa dal mondo intero.
<< Credo proprio, che ti farò costruire da Raven un giubbino antiproiettile >> Affermai dandole un lieve bacio sulla tempia.
<< Che cos’è? >> Chiese lei con tutta l’innocenza e la curiosità di una bambina.
<< Te lo spiegherò, te lo spigherò >> Dissi io ridendo felice, consapevole che avremo avuto tutto il tempo  che avevamo da sempre voluto per noi.
 
  
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