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Autore: CalimeNilie    25/04/2016    2 recensioni
[Destiel, AU]
Dove Dean lavora durante l'estate in un albergo di Los Angeles e potrebbe avere una piccolissima cotta per il receptionist dagli occhi blu.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Note: Questa doveva essere una OS di poche pagine, ma ad un certo punto la situazione mi è uscita di mano e ho perso il controllo sulla storia, che ha iniziato a riprodursi e a crescere come se non ci fosse un domani. Abbiate pazienza, ho già udito le lamentele della mia beta, santa ragazza.
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono – sigh – e non ci guadagno nulla.


 

Bring it On Home

Non gli dà fastidio l’idea in sé. È anche una trovata accettabile, se non carina. Non gli darebbe fastidio se suo padre non fosse uno stronzo colossale, il suo fratellino più piccolo bloccato in quel buco di culo di Sioux Falls, da Bobby, se non ci fossero quaranta gradi e la divisa non gli procurasse tutto questo prurito.
Tuttavia il fatto che quello che si spaccia per loro padre sia una sottospecie di bastardo patentato non aiuta la situazione. E nemmeno che non abbiano altri parenti o semi-parenti al di fuori di Bobby Singer. E che sia estate, a Los Angeles, in un fottuto hotel che vuole sembrare di lusso, dove anche i tecnici devono essere impeccabili. E che loro abbiano un disperato bisogno di campare fino al prossimo assegno di John.
“Tutti i nostri dipendenti hanno diritto a vitto e alloggio. In qualsiasi altro caso ti avremmo chiesto di trovarti un’altra sistemazione, ma per questa volta mi sono preso il diritto di riservarti una camera all’ultimo piano” dice l’uomo che lo sta accompagnando nella sua stanza, che ha tutta l’aria di essere il direttore di quel posto, tale signor Novak.
“Grazie” dice Dean, trascinandosi dietro il suo borsone militare, appartenuto un tempo a Bobby.
“Ci sarà un po’ di casino, magari, ma, ehi, sempre meglio che dormire sul pavimento della cucina, che dici?” ribatte l’altro con una strizzatina d’occhi, voltandosi verso di lui ma continuando a camminare all’indietro.
Dean sospira. “Certo” mormora, “È perfetto.”
La soluzione è venuta da Sam, che ha proposto di lavorare da Ellen alla Roadhouse, per l’estate. Che il suo fratellino lavorasse a due stati di distanza per tre mesi, quando avrebbe dovuto solo passare il suo tempo estivo a fare nulla – e sì, se quella secchia proprio insiste, anche a studiare – a Dean non andava per nulla. Così ha deciso di trovarsi un lavoro. Uno serio, per una volta, non come l’ultimo che ha avuto, che consisteva nel servire i tavoli di una discoteca di New York, alias venire palpato da quella che gli sembrava essere metà della popolazione mondiale. Quella maschile, per essere chiari.
Tutto perché papà non ha le palle per fare un lavoro come ogni santo padre del mondo, avere una casa fissa, un mutuo e una cazzo di responsabilità verso i suoi figli. John Winchester deve girare il mondo. E di conseguenza i suoi figli lo devono seguire. Che poi i ragazzi passino le loro giornate tra l’ennesima scuola di provincia o un lavoro in nero e un monolocale preso in affitto vuoto per la maggior parte del tempo, a mangiare cibo d’asporto quando va bene, mentre Dean si fa il culo per portare a casa un po’ di soldi in più rispetto alla misera paghetta che il padre invia loro ogni due settimane beh, questo a John sembra non importare.
Quello che fa sentire John un buon padre è che i figli avranno sempre una storia da raccontare. Tipo essere stati in giro per tutti gli Stati Uniti, o meglio, per tutte le periferie di tutte le fottute cittadine da nulla degli States al seguito di tuo padre fotografo. O essersi fatti palpare da un branco di uomini sudati e alticci, perché a giugno c’è il compleanno del tuo fratellino e tu non hai un soldo da parte per comprargli niente.
Comunque, ora è qui, e, visto che ci rimarrà ancora per un po’, tanto vale fare buon viso a cattivo gioco. Il posto non è malaccio, alla fin fine.
“Questa è la tua camera, buona fortuna” dice il signor Novak, aprendo una porta in fondo al corridoio.
E Dean prova l’improvviso bisogno di svenire. Dire che è polveroso, qui dentro, è un eufemismo. Scatole di cartone dal dubbio contenuto sono impilate contro due pareti della stanza, mentre un paio di materassi sono appoggiati contro il muro. Una vecchia cassapanca senza più le maniglie sotto la finestra dalle veneziane tirate completa il quadretto.
“Beh. Wow” esala Dean.
“Sì, lo so, è un po’ sporco. Domani ti manderò qualcuno per aiutarti a pulire” mormora il direttore, sollevando dal pavimento una federa di cuscino ormai più nera che bianca per lasciarla su uno degli scatoloni.
“D’accordo. Nessun problema. Ci sono abituato.”
Il signor Novak ha un mezzo sorriso, come se si fosse aspettato una dichiarazione simile. “Puoi chiamarmi Balthazar, comunque. Se hai bisogno di qualcosa, chiedi a me, o ai tuoi colleghi. Al momento dovrebbero essere ancora impegnati a pulire il salone da basso, ma torneranno prima delle tre, stanne certo. Colazione alle sette, pranzo alle dodici, cena alle sette. I turni per i tavoli iniziano alle sette e mezza, una e otto. Ci si vede a cena.”
E con questa bella sfilza di parole sparisce, lasciando Dean allibito, con il borsone ai suoi piedi, a prendere polvere. Poi però il suo istinto di sopravvivenza, attivo da quando è nato, prende il sopravvento e il ragazzo si ritrova ad incespicare dentro la stanza, rischiando quasi subito di rompersi la testa contro le travi basse del soffitto. Perché sì, quella è anche una fottutissima mansarda e lui è alto un metro e ottanta e passa e grazie tante finirà decapitato entro la fine di agosto.
“Figlio di puttana” brontola tra sé, senza sapere a chi si sta rivolgendo. Forse a Balthazar Novak.
“Ehi, amico, questo non era affatto carino da dire” esclama una voce risentita alle sue spalle, e Dean si volta di scatto, sorpreso.
Un ragazzo che potrà avere al massimo l’età di Sam, dai lineamenti orientali, è in piedi davanti alla porta della sua camera.
“Ah, ehm, ehi” balbetta, in imbarazzo, passandosi una mano sulla nuca.
Il ragazzo si acciglia, le sopracciglia talmente sollevate da sparire sotto i capelli. Forse si aspetta davvero che vada avanti. Così si sente in dovere di proseguire: “Io non parlavo di te. In verità non ti avevo nemmeno sentito arrivare.”
“E di chi parlavi, allora?” si interessa il ragazzino. Bella domanda.
“Di… di… ma che diavolo… È… un modo di dire, okay?”
Nessuna risposta da parte dell’altro, solo uno sgranare spaventato di occhi.
“Comunque, io sono Dean. Lavoro qui ora” aggiunge, tanto perché non sa più cosa dire e questo ragazzetto continua a guardarlo come se fosse appena uscito fuori da un cappello o lo avesse sorpreso a uccidere qualcuno – tipo quel ragno sul muro – o a masturbarsi con la porta aperta. E no, grazie.
Altro silenzio.
“Dovrei iniziare domani. Come… tecnico, così mi ha detto Balthazar, che suppongo sia una sorta di grande capo qui, giusto?”
L’altro annuisce, senza staccargli gli occhi di dosso. “E così tu chiami le cose figlio di puttana anche quando non ti hanno fatto niente? Tipo, che so, caderti in testa, o simili.”
A Dean la situazione inizia a risultare parecchio ridicola: “No, è solo che… sono stanco, okay?” dice.
“Quindi non sei una sorta di maniaco che si introduce negli hotel per violentare nel sonno i ragazzi prodigio?”
Dean deve fare una faccia abbastanza agghiacciata nel dire: “Dio, no!” perché l’altro sembra credergli. Infatti un attimo dopo dice: “Io sono Kevin Tran, faccio il cameriere.”
“Piacere.” Gli allunga la mano. L’altro la stringe cautamente.
“Benvenuto a bordo, Dean-che-chiama-le-cose-figlio-di-puttana.”
Esce dalla sua stanza e pochi secondi dopo Dean sente sbattere una porta pochi metri più in là lungo il corridoio.
“Ragazzo prodigio” ripete il ragazzo tra sé, scuotendo il capo.

***
Dire che quella camera è sporca è un insulto alle camere sporche. E Dean non è uno schizzinoso, ma non disdegnerebbe un paio di guanti per mettere mano negli angoli della stanza. A giudicare dallo stato dei pavimenti, qualcuno non apriva questa camera da almeno trent’anni. Per non parlare dei materassi, macchiati d’umidità e di muffe varie, che danno l’idea di poter trasmettere chissà quali malattie solo guardandoli.
Però, dopo qualche ora di lavoro con scopa e strofinacci che ha trovato in uno sgabuzzino in fondo al corridoio, il pavimento è quasi pulito, le pareti e le travi sono state liberate dai loro piccoli abitanti – almeno quelli visibili – e Dean ha steso sul materasso meno macchiato due strati di lenzuola trovate nelle scatole e ha apparecchiato un comodino su uno scatolone pieno di cuscini.
Forse troverebbe ancora qualcosa da fare per occupare il suo tempo, se qualcuno non bussasse alla sua porta. È una ragazza dai capelli rossi e dal viso pallido. Quando parla la sua voce trema appena, e i suoi occhi sono perennemente lucidi. È carina, pensa Dean. Ma di provarci con lei non se ne parla neanche. Dà l’impressione di quelle persone che si potrebbero spezzare tra le tue mani, persone estremamente fragili, e sicuramente questa è lei, e tra le mani di Dean andrebbe in frantumi in un attimo. Perché è così che finisce tutto quello che Dean Winchester tocca nella sua vita.
È severo, nel giudicarsi, non c’è dubbio. Ma ha le prove scientifiche. E sinceramente non ha voglia di iniziare la sua permanenza di tre mesi in questo posto con un paio di occhi feriti e un cuore spezzato che lo tormentano a ogni angolo che svolta. Perché sì, se non giocasse costantemente a “Prendiamoci la colpa in culo” non sarebbe lui.
“Ciao” esordisce la ragazza. E fin qui tutto bene.
“Ciao” risponde Dean, affabile.
“Kevin ha detto a tutti che c’era un nuovo dipendente, quindi ho pensato di venire a controllare di persona che tipo eri” spiega la ragazza. “Quindi probabilmente ora verranno tutti su, perché abbiamo appena finito il turno, e fuori fa un caldo pazzesco e vorremmo fare una doccia.” Rotea gli occhi e sorride, di un sorriso che a Dean sembra incredibilmente sincero, nonostante tutto.
“Purché non la vogliano fare con me” scherza Dean, tendendole la mano. “Dean” dice.
“Anna” si presenta lei. “E no, non credo che vorranno fare la doccia con te. Non per i primi due giorni almeno. Però ti consiglierei di stare attento a Gabriel.” Sorride, e Dean capisce che sta scherzando, anche se non ne è più tanto sicuro quando sente un urlo dal fondo del corridoio e Anna dice: “Questo è lui.”
Poco dopo un ragazzo basso, con un lecca-lecca incastrato tra le labbra, fa irruzione nella stanza e si precipita a battergli una pacca sulla spalla.
“Ehi, amico, come va?” dice, urlando come se Dean fosse un vecchietto di ottant’anni con un problema alle trombe di Eustachio.
“Ehm” balbetta Dean. “Gabriel, suppongo.”
“Sì, bello, vedo che la mia fama mi precede!” esclama il ragazzo, che sembra si sia fatto un’iniezione in endovena di caffè.
“Che fama?” chiede Dean, non tentando nemmeno di celare l’ironia nella sua voce.
“Non saprei, di rubacuori, magari?” risponde Gabriel, mollandogli una pacca sul sedere e col cazzo che si fa una doccia mentre Gabriel è nella stessa città.
Dean sta per rispondere a tono, quando nella sua stanza entrano anche Kevin e un uomo che Dean non ha ancora visto. È sulla trentina e ha un forte accento scozzese che caratterizza la sua parlata. Sta cantando una sorta di canzone marinaresca, mentre culla tra le braccia una bottiglia di whiskey. Si chiama Fergus, ma qui tutti lo chiamano Crowley, per via di un errore sui documenti che sono arrivati alla direzione, quando è stato assunto.
“Piacere” dice Dean, imbarazzato, stringendogli la mano. Poi indica il liquore tra le sue mani. “Alle tre del pomeriggio?” chiede.
“Io non sono ubriaco” biascica quello, guardandolo con occhi vacui e scatenando un coro di risatine isteriche nei presenti. “Non sono ubriaco. E da qualche parte nel mondo sono le undici di sera.”
“Va bene, per te basta alcool” dice Anna, prendendogli la bottiglia dalle mani e posandola sulla vecchia cassapanca sgangherata. Crowley protesta, ma nemmeno troppo.
“Lavorava al Leviathan’ Hotel qui di fronte, prima” spiega velocemente Anna a Dean. “Poi si sono accorti che è una spugna ed è stato licenziato. È il barman, ma aiuta anche come cameriere. È anche bravo, se non fosse per il vizio di far entrare il suo cane nelle cucine. Gabriel diventa pazzo quando se ne accorge.”
“E voglio ben vedere!” esclama Gabriel, che ha sentito. “Le mie cucine, ma scherziamo?”
“Aspetta, aspetta!” dice Dean, confuso. “Le tue cucine? Vuoi dire che tu sei lo chef?”
“Certo, e chi sennò?”
Dean fa finta di non aver voglia di svenire.

***
Che l’Heaven Hotel – HH per gli amici – fosse strano, Dean l’aveva intuito già da subito. Pensava di aver toccato il fondo quando ha visto il facchino, lo stereotipo del buttafuori di una discoteca, un tizio di colore enorme, dal nome impronunciabile. Poi però incontra Zaccaria. È un inserviente dell’albergo, che in teoria dovrebbe aiutare a pulire le aree comuni, come saloni e sale da pranzo, ma che in pratica è costretto a lavare i pavimenti dell’intero edificio. Dean lo incontra verso sera, quando, alla fine del suo turno, Zaccaria si sta trascinando verso la porta a vetri della hall.
Gli altri si stanno facendo la tanto discussa doccia, e Dean ha deciso di portarsi alla maggiore distanza possibile da Gabriel, scendendo nella hall, nella quale iniziano ad affluire i primi clienti di ritorno dalla spiaggia. Dubita che il ragazzo possa avere l’insana idea di scendere completamente nudo in mezzo ai clienti. Anche se non si sa mai.
Sta sfogliando una rivista, quando un uomo sulla sessantina, quasi senza più capelli, si avvicina al divanetto su cui è seduto.
“Tu sei Winchester?” chiede. “Quello che deve lavorare qui come tecnico?” Sputa la parola come fosse un insulto.
Dean alza sorpreso lo sguardo. “Sì” risponde.
“Bene” dice Zaccaria – e Dean è quasi sicuro di vederlo sogghignare. “Da domani oltre ai tuoi compiti d’ufficio dovrai aiutare questo povero vecchio con le pulizie.”
Dean corruga le sopracciglia e mette su un broncio, un po’ seccato. “Ma io dovrei anche servire ai tavoli” obbietta.
“Solo a pranzo e a cena. Che vengono due volte al giorno” ribatte acido l’altro. “Ci si vede domani, Winchester.”
Dean si lascia andare contro lo schienale del divano e sospira profondamente, chiudendo gli occhi. Mentre si chiede come mai farà a resistere a tre mesi del genere, a lavorare come tecnico, come cameriere, come tuttofare e a vivere, una mano si posa sulla sua spalla. “Problemi con Zaccaria?” chiede Balthazar.
Cavolo, questo tizio che compare dal nulla gli farà prendere un infarto, prima o poi.
“Già” mugugna, depresso.
“Non ti preoccupare. Proverò a parlare con lui. Gli dirò che non può schiavizzarti” dice Balthazar.
Dean solleva lo sguardo su di lui e sorride. “Lo faresti davvero?” chiede.
“Cavolo, certo che lo farei!” esclama l’altro, allargando le braccia e andando verso il bancone del bar per servirsi un calice di rosso. “Dimostrami che sei qui per lavorare seriamente e farò tutto quello che vuoi.”
Dean non può crederci. Quanto a dimostrare che è un buon lavoratore, non ha problemi. Annuisce con forza, mentre un sorriso gli illumina il viso e gli fa scordare per un attimo la livrea da cameriere in cui è strizzato. Solo per un attimo, però.
E Balthazar si allontana urlando al facchino: “Uriel, puoi portare alla 212 questi pacchetti che sono arrivati oggi?”, mentre Dean riprende a sfogliare distrattamente il giornale, pensieroso.
“È una brava persona.”
Dean alza la testa. C’è solo un ragazzo, dietro al bancone della reception, tiene il capo chino in avanti e scartabella dei fogli davanti a sé. Dean si guarda intorno. Non c’è nessun altro apparte lui. Quindi, a meno che non sia l’ennesimo pazzo dell’hotel, sta parlando con lui.
“Balthazar?” chiede.
“Zaccaria” dice il ragazzo. Ma che voce bassa non ha?
“Ah, sì. Immagino” mormora Dean, posando da parte il giornale. Ma l’altro sembra non aver più nulla da dire, perché ha ripreso a fissare intensamente i suoi fogli – anzi, in verità non ha mai smesso – e non sta più considerando Dean. Per non fare la figura dell’idiota, il ragazzo si mette a cercare un altro giornale tra quelli sul basso tavolino davanti al divano. Ma poi:
“È che lavora tanto” dice ancora il ragazzo, con voce monocorde, eppure bellissima. Cazzo, non è normale essere così incantati dalla voce di un ragazzo.
Dean rinuncia a cercare qualcosa di suo gradimento tra i vecchi numeri di Parade ed Hello! e alza nuovamente lo sguardo su di lui. “Questo lo vedo” dice.
“Si sveglia ogni mattina alle cinque per pulire la piscina” commenta il ragazzo, mettendosi a digitare ad un computer.
Dean sorride e si alza, avvicinandosi lentamente, quasi svagatamente, al bancone. “Ah, c’è anche la piscina?” chiede Dean, anche se sa benissimo che c’è una piscina, tanto per fare conversazione.
“Sì, è sul retro.”
Dean si appoggia al bancone, scaricandovi sopra tutto il peso. “Dovrei proprio farci un giro, uno di questi giorni” dice. E poi aggiunge: “Io sono Dean, comunque.”
“Castiel” dice l’altro, alzando finalmente lo sguardo su di lui.
E: “Mare” mormora trasognato Dean, senza riuscire a frenare la lingua. Sta guardando gli occhi del blu più bello e profondo che abbia mai visto.
“Come?” chiede Castiel, perplesso, inclinando il capo di lato.
Dean arrossisce di botto – molto maturo, davvero – e biascica la prima scusa che gli passa per la mente: “È che… preferisco il mare, alla piscina.”
Il ragazzo di fronte a lui annuisce appena e torna a consultare dei documenti sotto il banco: “Sì, anch’io” dice, sempre con quella voce bassa e leggermente roca.
E Dean capisce di essere assolutamente fottuto.

***
Non lavorerà mai più in un albergo in vita sua. O quantomeno non servirà mai più ai tavoli. Già parte male perché deve ancora prendere confidenza con le cucine e con i venti piatti incastrati sotto il braccio. Se poi ci si aggiunge la tenuta da pinguino grasso che è costretto a indossare, le suole di cuoio che quasi gli fanno rompere l’osso del collo ogni volta che cammina troppo velocemente sul pavimento di marmo e il vecchio del tavolo 304 che continua a chiamarlo, si può capire come mai dopo due ore passate a servire in sala, Dean stia per mettersi ad urlare.
“Su, su, abbiamo appena cominciato” gli ricorda Anna, che sta passando lì accanto. Ha i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca e una livrea simile a quella di Dean, ma più elegante e, a giudicare dalla scioltezza con cui la ragazza si aggira per la sala, più comoda.
“Sto per tirare un vassoio in testa a zio Tibia1 là in fondo” dice, indicando il terribile vecchio che lo sta facendo dannare. Che poi su quelle ossa abbia più di qualche chilo di troppo, è un altro conto.
“Ah, il signor Devereaux” annuisce la ragazza, sorridendogli comprensiva, prima di lasciargli una pacca sulla spalla e sparire.
Dean si appoggia al tavolo del buffet con le mani, prendendo un respiro profondo. Quando solleva lo sguardo, Devereaux lo sta fissando con insistenza, agitando una mano. Si avvicina.
“Come posso aiutarla, signore?” chiede, quanto più cortese gli riesce, sfoggiando il suo miglior sorriso storto.
Il vecchio sventola una mano davanti al viso: “Sì, sì. Come se non sapessi che stavi parlando di me con quella bella rossa là. Quel vecchio rompicoglioni di Frank… lo ucciderei nel sonno, bla, bla.”
Lo fissa dritto negli occhi. “Dimmi, non stavi dicendo questo?”
Dean si umetta le labbra e prende il respiro per rispondere, ma Frank aggiunge: “E non provare a mentirmi, che lo sento, l’odore della paura e delle bugie.”
Il ragazzo scuote il capo: “No, signore, non ho detto nulla su di lei.”
“Ah, no?”
“No.”
“Allora, dov’è la mia zuppa?” Stronzo.
“Gliela porto subito.”
“Con tanto formaggio. E olio, prego.”
Dean sorride forzatamente e annuisce, per poi voltarsi e tornare in cucina.
“Giuro che una notte di queste lo pugnalo nel sonno con uno spazzolino” dice a Gabriel, mentre questi scodella della zuppa di carote in un piatto e vi aggiunge olio e formaggio.
Incredibilmente, il cuoco ride: “Bravo, ragazzo.”
Mentre esce dalle cucine, incrocia Balthazar, che lo segue con lo sguardo e si volta verso di lui in uno sbuffo delle code della sua giacca, entrambi i pollici sollevati. Dean annuisce nella sua direzione e, pregando il suo angelo custode, si dirige verso il tavolo 304.
“Allora, avete deciso come mi ucciderete, tu e i tuoi amichetti?” chiede Devereaux, non appena si avvicina.
Dean posa la ciotola sul tavolo, appena più violentemente del dovuto, e la zuppa ondeggia all’interno del piatto, minacciando di trasbordare.
“Mi avvelenerete il cibo? Brucerete il mio letto con una sigaretta? O mi seccherete con un vassoio in testa, dopo avermi calato i pantaloni, eh?” chiede il vecchio, afferrandogli il polso per tirarlo verso di sé.
Dean si libera con uno strappo. “Non lo so, cazzo!” esclama, in un sussurro, chinandosi sopra Frank. “Ma le posso promettere, signore, che sarà molto lento e molto doloroso. Per ora propendo per affogarla in una torta alla crema pasticcera.”
Si risolleva di scatto, il viso in fiamme. Frank lo sta fissando attentamente. Oh, merda. Merda, merda, merda. Si è appena fottuto il posto di lavoro per l’estate. Ora dovrà chiedere asilo politico al Leviathan’ Hotel, proprio dall’altra parte della strada, o tornare con la coda tra le gambe in South Dakota, dove si beccherà una ramanzina sul comportamento civile da parte di Bobby e un abbraccio confortatore da Sammy.
“Ecco” dice Frank, un sorriso ad increspargli le labbra sottili in una smorfia beffarda. “Questo sei più tu.”
Dean si sistema la giacca e si passa una mano sul collo, in silenzio. Frank però ha iniziato a studiare il suo piatto.
“È avvelenato?” chiede il vecchio, indicando la sua zuppa con il cucchiaio. Dean scuote il capo, anche se Frank sembra essere poco interessato alla risposta, visto che ha appena intinto la posata nel piatto e se l’è portata alla bocca. Dean trattiene il fiato.
“Buono” commenta Devereaux. “Ci vorrebbe un po’ di pepe.”

***
“Dean.” La voce lo sorprende mentre prova a concedersi qualche minuto di sonno in più, a colazione. Dean si sfrega un paio di volte gli occhi assonnati e la fronte, prima di sollevare il capo. Quando lo fa, si ritrova davanti gli occhi più belli che abbia mai visto che lo scrutano attenti.
“Castiel” esclama, sorpreso, allontanandosi automaticamente di qualche centimetro con la sedia e sentendosi nel contempo arrossire a più non posso. E – cavolo, gli spazi personali! L’altro ragazzo sembra non notare il suo imbarazzo, perché continua ad osservarlo seriamente.
“Buongiorno” dice. È già vestito di tutto punto per il lavoro.
“Buongiorno” risponde seccato Dean, spezzando tra le mani un pezzo di crostata.
Castiel corruga le sopracciglia: “Ti ho disturbato?” chiede.
Il ragazzo si allunga verso il centro del tavolo, prende una caraffa di caffè e versa una dose abbondante in una tazza. Quindi la porge a Dean.
Dean lo osserva per un po’, passando lo sguardo dalla tazza al suo viso, per capire se lo stia pigliando per il culo o cosa. E no, non sta scherzando, è serio.
“Grazie” dice quindi, un po’ rabbonito, accettando il caffè. “Cosa dovevi dirmi?”
Castiel sembra riscuotersi da un pensiero profondo: “Ha chiamato un certo Robert Singer. Chiedeva di te” dice. “Ho detto che avresti richiamato.”
Dean sorride e si caccia in bocca un pezzo di torta alle mele. “Certo. Grazie, Cas.”
“Cas?”
Merda.
“Soprannome” si scusa, mentre già si sente arrossire, perché quel soprannome gli è uscito senza nemmeno pensarci. “Non ti piacciono i soprannomi?”
Castiel – Cas – alza le spalle. “Mi è del tutto indifferente. Solo, è strano.”
“Cassie!” La voce di Gabriel risuona per tutta la sala.
“Cassie?” ripete ridendo Dean, mentre lo chef si avvicina. Cas scrolla le spalle.
“Quante volte ti ho detto che non si flirta con i nuovi arrivati?” chiede Gabriel, quando è più vicino.
Castiel si volta a guardarlo, stringendo le palpebre. “Io non flirto” dice, con voce monocorde.
“Lo hai appena fatto” fa notare Gabriel.
Il ragazzo prende un respiro profondo: “Gabriel, non ho alcun interesse di tipo sessuale nei confronti di Dean” dice con calma.
Gabriel tira fuori dalla tasca dei pantaloni una caramella e prende a scartarla, prima di ficcarsela in bocca. “No, certo” dice. “Perché non è professionale e tutte quelle boiate.”
Dean prova ad intervenire: “Ragazzi, non state esagerando? È ovvio che Cas – Castiel – non stesse flirtando con me e…”
Gabriel si rivolge improvvisamente a lui: “Ti darebbe così fastidio, se l’avesse fatto?” chiede. E all’improvviso Dean sente gli occhi di tutto lo staff puntati su di sé, compresi quelli di Castiel, che si sono fatti ancora più profondi di quanto non siano di solito.
“No” esclama in fretta. “No, no. Non ho nulla contro… non mi dispiacerebbe se Castiel ci stesse provando con me o… Cioè, non che tu possa provarci con me, Cas, solo… dico che non mi darebbe fastidio perché non ho nulla contro il fatto che tu lo faccia… cioè, puoi avere gli orientamenti sessuali che vuoi, solo…” E qui si incarta, perché non sa più cosa dire, non con Castiel che lo guarda in quel modo.
Nel silenzio attonito della sala, Gabriel si lascia sfuggire una breve risatina amara dalle labbra e si appoggia con il bacino al tavolo, incrociando le braccia sul petto.
Il rumore della sedia di Cas che viene spostata coglie di sorpresa Dean. “Se non vi dispiace, io non avrei più null’altro da fare, qui” dice il ragazzo. La sua voce trasuda irritazione. Si alza e si allontana verso la porta d’ingresso, da cui sta entrando in questo momento Anna. Castiel si ferma a scambiare un paio di parole con lei, che passa una mano sottile sul suo avambraccio, in una presa delicata. Quando si salutano, Anna deposita un bacio sulla guancia del ragazzo.
Dean rimane a fissare la scena come ipnotizzato e solo quando Anna si dirige verso il loro tavolo stacca lo sguardo di dosso dal ragazzo della reception per abbassarlo sul suo piatto e incrocia l’occhiata divertita e al tempo stesso attenta che Gabriel gli sta indirizzando, un lecca-lecca giallo tra le labbra.
“Cas, eh?” chiede, abbozzando un sorrisetto fastidiosamente ridicolo.
Dean sente un nodo alla bocca dello stomaco che lotta per uscire. Sa che esploderà in pochi minuti. E: “Torta deliziosa” mormora, prima di alzarsi e abbandonare la sala, proprio mentre Anna si siede al tavolo con la colazione nel piatto.

Ci ha messo anni per imparare a controllare la rabbia. Esplodeva, così, all’improvviso, senza che lui riuscisse a fare niente per bloccarla. Rompeva oggetti, prendeva a pugni cose e persone. Una volta è arrivato a mollare un ceffone a Sam. Quando si era reso conto di quello che aveva fatto si era sentito così male, e si era scusato così a lungo che alla fine era Sam quello che lo abbracciava e lui quello che piangeva, mentre la rabbia si trasformava nel suo stomaco in un cataplasma di dolore e senso di colpa.
C’erano momenti in cui tutto si faceva così distante e lui voleva solo urlare, e urlare, e urlare. Non c’era una soluzione. Allora beveva fino a crollare, per poi risvegliarsi ore dopo con un bisogno impellente di vomitare e di sentirsi bene. Ma c’era sempre qualcosa che gli diceva che lui non meritava di stare bene.
Perché era colpa sua, alla fine, se la mamma era morta, e se Sammy era cresciuto senza una madre, e se papà si ubriacava ogni sera ed era un maledetto bastardo, e non avevano una casa fissa per più di due mesi consecutivi. Tutta colpa sua. Quando ci pensava, si arrabbiava. Solo che non c’era nessuno con cui prendersela. E gli specchi gli rimandavano solo l’ennesimo sguardo pieno di rammarico e disapprovazione – uno sguardo così simile a quello di papà –, prima di finire in mille pezzi.

***
Non rivede Castiel fino alla sera. Non che avrebbe tempo di parlargli, se anche lo vedesse. È troppo impegnato ad aiutare Zaccaria con la moquette del secondo piano, a pulire la piscina, portare carta igienica in un centinaio di bagni, riparare un televisore, parcheggiare un paio di auto, apparecchiare una ventina di tavoli, servire fino alle tre il pranzo e litigare con il signor Devereaux sul suo pollo arrosto.
Rivede il ragazzo mentre aspetta l’ora di cena. Castiel sta entrando dalle porte girevoli in compagnia di Anna e una ragazza dai capelli scuri. È un mezzo shock, per Dean, vederlo in quel modo: indossa una t-shirt blu, sopra un paio di bermuda e delle infradito e sembra in un qualche modo più giovane e meno il signor perfettino di sempre.
“Castiel” lo chiama, andandogli incontro. Lui si volta a guardarlo e si ferma, facendo cenno ad Anna di non aspettarlo. L’altra ragazza attende che Dean sia vicino per scoccargli uno sguardo supponente e seguire Anna. Dean ha un sussulto sorpreso e interpella Cas con lo sguardo.
“Meg” dice lui. “Una vecchia amica.”
Dean solleva in modo eloquente le sopracciglia. “Cavolo, sembrava sul punto di volermi strappare la faccia con le mani.”
Castiel non sembra cogliere la battuta, perché rimane a fissarlo serio. Dean percepisce l’aria farsi tesa e sospira.
“Senti, Dean” dice però Cas, dopo qualche istante. “Mi dispiace per questa mattina. Non ho tentato alcuna… avance sessuale con te e non era mia intenzione offenderti.”
Lo dice velocemente, ma in tono calmo, sicuro. E Dean sta per ridergli in faccia, perché, seriamente: avance sessuale? Una scopata, in pratica.
“Non ti devi scusare. È tutto a posto. Cioè, per me lo è. Anzi, credevo di essere io a dovermi scusare.”
Castiel scuote il capo, perplesso, e Dean si ritrova a fissare i suoi occhi di quel colore così particolare. Con quale demone ha stretto un patto per quegli occhi?
“Bene, allora. Immagino sia tutto a posto, quindi?” Cas annuisce e Dean si umetta velocemente le labbra prima di dire: “Ascolta, stavo pensando… hai detto che ha chiamato Bobby Singer, giusto?”
“Sì.”
“Devo richiamarlo. Non è che c’è un telefono dell’albergo o simili?”
Cas sorride appena. È la prima volta che Dean lo vede sorridere e rimane incantato dalla grazia con cui le sue labbra pallide e leggermente screpolate si arricciano sull’orlo dei denti bianchissimi. Oh, merda, pensa. Perché questo non è un pensiero normale.
“Certo” dice Castiel. “Puoi usare il numero interno dell’hotel. Vado a cambiarmi e torno subito giù. Ti dispiace aspettare?”
Dean scuote il capo: “Ma certo che no” dice. Cas gli rivolge un altro sorriso gentile, prima di dirigersi verso gli ascensori, dove Meg lo sta aspettando.
Dean ciondola un po’ in giro per la hall, osservando una ragazza che gli passa accanto per salire in camera. Si ritrova quindi, quasi inconsciamente, seduto sul divanetto del giorno prima. Un bambino che disegna, inginocchiato davanti al tavolino delle riviste, si volta per indirizzargli un saluto.
“Ciao” dice il ragazzo, osservando le piccole manine del bambino che si muovono sulla carta. “Sei proprio bravo, lo sai?”
Il bambino rimane in silenzio. Con quei capelli che gli ricadono sugli occhi e lo sguardo attento, gli ricorda proprio Sammy.
“Mio fratello ha paura di quei cosi” dice Dean, notando solo ora il clown che il bambino sta disegnando. “Ma sai, lui ha paura anche dei dolci e degli hamburger e cose simili.”
Il piccolo solleva lo sguardo su di lui e ride.
“Io sono Dean, comunque” si presenta il cameriere.
“Lucas.”
“Ehi Dean!” interviene una voce. E subito dopo Balthazar scavalca lo schienale del divano con un salto e atterra accanto a lui.
Dean si ritrae, mentre l’uomo gli schiaffa in mano un bicchiere colmo fino all’orlo di una bibita giallastra dall’odore penetrante.
“Che roba è? Piña Colada?” chiede sospettoso Dean.
“Succo di frutta all’ananas. Bevi” dice Balthazar, un calice identico nella mano destra. Prende un lungo sorso e sorride. “Rinfrescante, dissetante, energizzante” declama, come se quello fosse un fottuto spot televisivo e Dean uno spettatore da convincere.
“D’accordo” dice Dean. Non che ci sia voluto molto, ha una sete terribile.
“Ho parlato con Zaccaria. È disposto a farti lavorare solo durante i giorni pari, e non durante il weekend.”
E in quel momento Dean manda giù un lungo sorso del suo succo.
“Che cazzo, Balth!”
Schizza a sedere, mentre parte del contenuto del bicchiere si rovescia per terra. “Che diavolo è?”
“Shhh!” lo ammonisce Balthazar tentando di controllare le risate, indicando Lucas, che dopo essersi preso un piccolo infarto sta ridendo della grossa.
“Che cazzo è?” ripete Dean.
“Un Casinò!” risponde Balthazar, piegato in due dalle risate, mezzo sdraiato sul divano.
“Cioè, aspetta, tu mi ha dato un cocktail alle sei del pomeriggio spacciandolo per succo di frutta?”
Balthazar scrolla le spalle: “Dovevi vedere la tua faccia.” Si asciuga una lacrima dalla guancia. “La ricetta originale prevedeva il 20% di Martini Bianco, ma ho un po’ esagerato con le dosi. Per non parlare del Gin. Ma, cazzo se è buona ‘sta roba!”
E questa volta è Dean che gli deve indicare il bambino, che li fissa sorridente e ha iniziato a ripetere: “Che caccio!” con un accento a metà tra il texano e l’inflessione del Kansas – aka, l’accento di Dean.
Come si ritrovino poco dopo a sollevare di peso Lucas per trasportarlo in un locale dietro la reception, Dean preferisce dimenticarlo. Così come preferisce dimenticare i venti minuti successivi che lui e Balthazar trascorrono a cercare di fargli dimenticare la ‘parola brutta brutta’ che gli hanno involontariamente inculcato.

“Ma non ce l’hai un cellulare, idiota?”
“Scarico” mente Dean, perché non può dire a suo zio adottivo che ha aspettato quasi ventiquattro ore per richiamarlo solo perché voleva scusarsi con Castiel.
“Come sta Sammy?” aggiunge subito dopo, perché non ha un granché voglia di parlare, in questo momento.
Bobby emette un grugnito indistinto: “Potrai chiederglielo tu, che dici?”
“Che intendi?”
Un rombo di auto, dall’altra parte della linea. La voce di Bobby che parla con qualcuno: “Ehi, giovanotto, posa quell’affare… No, non credo che a Jody interessi, no…”
“Bobby?”
“Senti, Dean, devo andare o tuo fratello rischia di rompersi la testa. Ci vediamo.”
“Bobby, aspetta, aspetta… Bobby?”
Il silenzio gli risponde.
“Che palle” brontola, in una mera imitazione di Bobby, attaccando il telefono.
“Cas?” chiede al ragazzo, in piedi dietro al bancone della reception, in attesa. “Per caso Bobby ha detto qualcosa, quando ha chiamato ieri?”
Cas sorride brevemente. “Te l’ha detto?”
“Cosa?”
“Che saranno qui nel fine settimana.”

***
“Ti sei tagliato i capelli.”
Dean odia i benvenuti almeno quanto la maggior parte delle persone odia gli addii. È che non sa mai cosa dire. Oltretutto, ha lasciato fratellino e zio adottivo solo una settimana fa. Però, dio se gli sono mancati. Così non si scansa affatto quando Sam lo stringe in un abbraccio, anche se pianta su la migliore delle sue espressioni imbarazzate e dice: “Dai, Sammy, non fare così… che femminuccia” mentre sente un groppo all’altezza della gola.
“Si vede che vuoi bene a tuo fratello, anche se fai il duro e fingi che non ti sia mancato” dice Cas, che si è offerto volontario per il comitato di accoglienza ai parenti di Dean. Il ragazzo gli scocca uno sguardo assassino perché grazie tante, Cas, per non aver detto una cosa imbarazzantissima davanti a tutti. Sam ghigna e solleva il suo borsone, mentre Castiel passa confuso lo sguardo da Dean a Bobby, che ha iniziato a passarsi una mano sulla fronte, in un gesto di esasperazione mista a tenerezza.
Sam ha insistito anche con l’abbracciarlo, anche se erano in una hall affollata, e Zaccaria li stava fissando con astio da dietro un aspirapolvere, con l’aria di volerli risucchiare con il suddetto aggeggio. Così, quando si è avvicinato a loro per chiedere a Dean di riprendere a lavorare, Cas si è offerto di portare al piano di sopra le valige di Sam e Bobby e ha lasciato Dean e il fratello liberi di parlare qualche minuto, mentre Dean parcheggiava l’Impala del ’67 con cui Bobby e Sam sono arrivati a Los Angeles – aka, la sua auto.
“Allora, stronzetto, che cosa ci fai qui?” dice Dean, posando una mano sulla spalla del fratello, in un gesto amichevole e affettuoso al tempo stesso.
“Sono in vacanza, Dean” mormora Sam, perplesso.
“Mai che si possa fare conversazione normale, con te, eh?” sbuffa Dean, ridendo e rifilandogli un cazzotto scherzoso sul braccio.
In quel momento un: “Ciao, Dean!” li fa voltare verso l’ingresso alla piscina dell’hotel, da cui sta uscendo Anna, in costume, un bambino per mano. Dean risponde allegramente al saluto.
“Quella chi è, la tua ragazza?” chiede subito Sam, impiccione fino alla morte, come suo solito.
“Ma smettila” mormora Dean. “Anna è un’amica.”
“Sì, amica.”
“Sì, Sammy, un’amica. Siamo amici. E poi è fidanzata.”
“Ah, sì?”
“Sì, con Cas.” E non sa perché dirlo gli procuri quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco.
Sam ha una smorfia divertita e pianta su una bitch face colossale. “Sicuro che sia con Anna, che è fidanzato Cas?” Calca il nomignolo.
Dean coglie l’antifona e gli indirizza uno sguardo omicida. E siamo a due in meno di cinque minuti.
“Ehi, Dean” esclama in quel momento una voce. Dean sta per saltare di gioia per il tempismo di Gabriel, anche se la faccia da pervertito che ha messo su mentre va loro incontro non gli piace per niente. “Mi avevi detto che avevi un fratellino. Questo non è tanto piccolo.” Solleva le sopracciglia in modo eloquente.
E Dean adora Gabriel, perché Sam è diventato tutto rosso e sta tossicchiando imbarazzato.
“Piacere, Sam” balbetta, quando riesce a riprendere fiato.
“Sì, bene” interviene Dean, gongolando. “Gabriel non è sempre così.”
“Così come?” chiede il diretto interessato, fingendo un’aria offesa.
“Così imbarazzante” precisa Dean e sorride.
Gabriel coglie al volo. “Oh, sì” esclama. “Di solito sono anche peggio.”
Dean si schiarisce rumorosamente la voce, una risata incastrata in gola, a vedere suo fratello che quasi si stozza, mentre Gabriel si allontana, lanciandogli un malizioso: “Piacere di averti conosciuto, Sammy.”
“Ma sono tutti pazzi, qui?” esclama Sam, quando recupera la capacità di parlare. In quel momento dall’altra parte della sala Frank Devereaux – il vecchio del tavolo 304 – atterra con un gancio sinistro mica male per un uomo della sua età Balthazar, che invece della vodka richiesta gli ha offerto un Casinò.

Il fine settimana passa incredibilmente veloce, per i gusti di Dean, anche se questo lui non lo ammetterebbe mai. Lui e Sam passano tutta la domenica in spiaggia, mentre Bobby si ferma al bar con il signor Devereaux. Nel pomeriggio l’intero staff dell’albergo – eccetto Castiel, che lavora in reception – li raggiunge. Gabriel convince tutti a partecipare a una serie di stupide gare da spiaggia che portano Dean ad avere mal di pancia per un’altra settimana ancora, per le risate e per tutte le schifezze che ha ingurgitato. Verso sera, Sam viene rapito da una ragazzina di nome Ruby, Dean fa la conoscenza di Lisa, una giovane turista in vacanza con il figlio e Bobby si schioda dalla sua sdraio solo perché si è scottato.
Quella sera, Balthazar, in veste di direttore di sala, autorizza Dean a non servire ai tavoli e a cenare con la sua famiglia. Così, mentre Bobby fa finta di non notare gli sguardi che il minore dei Winchester e la ragazzina mora conosciuta in spiaggia si scambiano da un capo all’altra della sala, Dean si ritrova a ricacciare in gola tutto quello che vorrebbe dire.
Salutare Sammy, il mattino dopo, è straziante.

***
“Tu Dean hai viaggiato tanto. Che ne pensi?”
Dean scuote il capo, mentre si dà da fare con il quadro elettrico della cucina. “Boston, non c’è gara.”
“Ma a Nashville…” prova Gabriel, che è originario di là.
“A Boston c’è il Museum of Fine Arts” lo interrompe Anna, per difendere la sua città. “E a Boston è nato Benjamin Franklin, uno dei padri della nostra nazione, Gabriel.”
“E i Red Sox” interviene Kevin, che sta passando alle loro spalle con una pila di piatti puliti.
“I Red Sox” approva Anna con un cenno del capo, raccogliendo i lunghi capelli rossi in una coda sulla nuca.
“E poi ho certi ricordi dei pomeriggi sul Charles… cavolo, che tempi. Io e Sam avevamo quindici e undici anni” commenta Dean, riportando alla memoria quei pochi mesi che hanno passato a Boston. Sam aveva adorato Boston e aveva pianto a lungo quando John era tornato a casa e aveva annunciato di aver terminato la sua mostra e di essere pronto a ripartire.
Dean si era arrabbiato come non aveva mai fatto e aveva protestato affinché il padre concedesse loro di restare, solo per qualche mese in più. Si era beccato un ceffone dritto sui denti e un’occhiata così piena di disapprovazione. E pensare che lui faceva tutto per Sammy…
“Ehi, Anna” interviene una voce pacata, alle loro spalle.
“Oh, Cas” dice, quasi sollevato, Gabriel, voltandosi. “Boston o Nashville?”
Cas corruga le sopracciglia e inclina la testa di lato e – no, Dean non sta veramente pensando a quando siano blu i suoi occhi.
“Boston” risponde dopo pochi secondi Cas. Anna ghigna.
“Ma non vale! Anche Nashville ha un fiume, comunque. Il Cumberland. Ed è la patria della musica country.”
“Sì, ma a Boston si sono formati gli Aerosmith” replica Castiel. Oh, cazzo. Questa… questa è la sua fottuta anima gemella. “Per non parlare di Benjamin Franklin.”
“Sì, sì… me l’avete già ricordato, patrioti delle balle” risponde Gabriel, sbattendo la testa contro il banco di acciaio inox della cucina – la sua cucina.
“Ehi!” lo rimbrotta Balthazar, che è apparso dal nulla. “Non puoi parlare così della nostra patria, miscredente! Settimana prossima è il quattro luglio, credi di poterti trattenere?”
Gabriel sbuffa e afferra una padella, iniziando a trafficare sul bancone per cercare gli ingredienti per una qualche ricetta. “Sì, Balth.”
Rimangono tutti in silenzio per un attimo, prima che Dean dica: “Direi che Boston ha vinto.”
“Stravinto” concorda Anna.
“Mi ricordo che Sam adorava Boston” mormora Dean. E il fatto che Cas ora lo stia guardando con espressione dispiaciuta, non rientrava nei suoi piani, assolutamente.
Quel Sam?” chiede Gabriel, come rianimandosi. Dean spera di non dover mai più vedere quell’espressione sul suo viso mentre parla di suo fratello minore.
“Chi è Sam?” si interessa Balthazar, con un leggerissimo accento di risentimento nella voce, quasi impercettibile.
“Il fratellino di Dean” sorride Gabriel.
“Minorenne!” specifica Dean e lo chef scuote il capo, tornando alla sua ricetta.
“Hai detto che siete stati a Boston per un po’?” si informa Cas – in sottofondo, Gabriel accenna una pernacchia sulla parola ‘Boston’.
“Sì, quattro anni fa, per due mesi, una settimana e tre giorni.”
“Non ci siete più tornati da allora?” mormora Cas, mentre Anna e Balthazar vengono distratti da Gabriel, che prova ad abbattere con una padella da cinque chili una mosca che si è posata accanto alla ragazza.
“No.”
“Potreste farlo. Verreste a stare a casa nostra. Io ed Anna ne saremmo felicissimi.” Perché sì, Cas è una di quelle persone che praticano il bene sempre e comunque. Anche con gli sconosciuti.
“Ma dai, Cas, non possiamo mica irrompere in casa vostra e stare lì per chissà quanto a scrocco. E poi papà non lo permetterebbe mai.”
“Sam va a scuola, no? Stareste lì un trimestre, per vedere come vi trovate, poi fareste quello che volete. Ai nostri genitori non darebbe fastidio.”
“Ma…” Un secondo. Genitori?
“I vostri genitori?”
“Sì, Dean.”
Dean sgrana gli occhi: “Aspetta, vuoi dire che Anna è tua sorella?”
Cas inclina il capo verso la spalla: “Sì, Anna è la mia sorella maggiore.”
Ha senso. Il portamento marziale, e quella rigidità che li caratterizza, le espressioni serie e perplesse, per non parlare di quella compostezza elegante propria di entrambi… sì, è ovvio che Castiel ed Anna siano fratelli. Avrebbe dovuto capirlo da subito.
 “Veramente io pensavo fosse la tua ragazza” biascica Dean e dovrebbe decisamente togliersi quel sorriso beota dalla faccia, perché è veramente ridicolo. E anche inappropriato il sollievo nella sua voce.
Cas scuote il capo e non indaga oltre. Dean si riconcentra sul quadro elettrico, mentre una luce inizia a sfarfallare, prima di esplodere sopra le loro teste.
“Cazzo, Dean…”

***
Il quattro luglio arriva in fretta, con la sua mostruosa dose di incombenze: pulire i pavimenti, installare un sistema di lucine rosse, bianche e blu in sala da pranzo, allestire un impianto musicale, preparare una pista da ballo a bordo piscina, invitare una coppia di ballerini amici di Balthazar per la festa di quella sera.
Per tutto il giorno si vedono persone affaccendate che entrano ed escono dalle porte dell’HH, recando scatoloni pieni di attrezzi misteriosi. Balthazar rischia di rompersi l’osso del collo mentre corre per la sala da ballo, Anna urla contro uno dei bambini dell’hotel, Kevin viene trovato a sbattere la testa contro la porta del bagno, Crowley si ubriaca come se non ci fosse domani e Gabriel ha una piccola crisi di esaurimento perché l’ultima delle cinquanta stelle di marzapane che ha messo sulla torta che ha preparato per l’occasione è venuta leggermente storta.
“Vedi, sembra più un pentacolo che una patriottica stella. Dovrei dare le dimissioni prima di essere additato come satanista” spiega affranto a Dean.
“Veramente il pentacolo è un simbolo di protezione” precisa il ragazzo. E, visto che l’altro lo sta guardando accigliato, si sente in dovere di aggiungere: “Ho un fratello nerd.”
La tragedia più grande arriva dopo pranzo, quando una squadra del CBI fa irruzione nella camera di uno dei clienti e confisca due chili di eroina e tre casse di fuochi d’artificio. Il poveraccio viene arrestato, sotto gli occhi allibiti dello staff, e di un povero Balthazar, su cui è ricaduta ogni responsabilità, dato che il direttore dell’albergo, suo cugino di terzo o quarto grado, tale Michael Novak, è attualmente in un altro albergo di sua proprietà a San Francisco.
“Ma come l’hanno saputo?” chiede Dean, che non ne può più.
“Ha provato a vendermi della roba. Ho sporto denuncia ieri mattina” gli risponde una voce. Si volta. È uno dei camerieri dell’albergo, si chiama Raffaele. Dean ha scambiato con lui non più di un paio di battute in tutta estate, che si limitavano per lo più all’area: “Prendi il piatto/Posa il piatto!”
E quella voce arrogante lo convince a non voler approfondire la conoscenza. Se lui fosse ancora il Dean di una volta, e se non ci fosse la presa leggera della mano di Castiel sulla sua spalla, che lo tira via, a questo punto il sorrisetto compiaciuto sarebbe sparito dal viso di Raffaele.
Cas è, in effetti, l’unico che sta sopportando la faccenda in maniera civile, con la sua stoica facciata intatta. Niente isterie, niente urlate, niente alcool, niente di niente. Eppure anche lui ha avuto il suo bel daffare con tutti i clienti che sono affluiti oggi all’HH. Dean è sempre più convinto che quel ragazzo non sia umano.
Per le otto e mezza, ogni cosa è pronta. I tavoli sono stati preparati, le pietanze disposte in sfiziosi piattini su un lungo tavolo della cucina, pronti per essere serviti. Gabriel si aggira davanti ad essi come un mastino, brandendo un mestolo di rame che prima non ha esitato a schiaffeggiare sulla mano avida di Dean.
“Sono per i clienti!”
“Ma io ho mangiato solo un panino, per cena!”
“Anche io!”
Il tutto si è risolto con Dean e Gabriel che mangiavano dallo stesso piatto i piccoli Brown Betty2 ricoperti di stelline blu e rosse.
“All’Hollywood Bowl fanno uno spettacolo, più tardi, verso mezzanotte, ci andiamo?” chiede Dean, rivolto a tutti e a nessuno – no, non stava guardando Castiel, è il suo sguardo che è caduto involontariamente su di lui.
“Dean” la voce piena di compassione di Balthazar. “A mezzanotte avremo solo iniziato a sparecchiare.”
Il suo sorriso si ammoscia. “Ma io non sono un cameriere vero e proprio… sono un tecnico.” E non è serio, però Balthazar mette comunque su un cipiglio deluso, e Dean non ha cuore di deludere proprio lui, che si è dato tanto da fare per lui.
Si pente del suo buon cuore qualche ora più tardi, mentre sta servendo ai tavoli e si sta facendo insultare, insultandolo, da Frank Devereaux.
“Sai cosa mi fa incazzare?” gli chiede Kevin, mentre attendono che Gabriel abbia finito di scodellare un’abbondante dose di spezzatino nei piatti da servire. “Che io potrei essere da quella parte.”
“A farti servire?” chiede con un sorriso Dean.
“No, a suonare!” risponde il ragazzo, animandosi. “Suono nell’orchestra della mia parrocchia” spiega.
“Bravo ragazzo” commenta lo chef, ironico, mollandogli in mano un vassoio con sopra qualcosa come una trentina di piatti. Kevin barcolla verso l’uscita, seguito da Dean.
“Vedi, io potrei essere lì” dice, indicando l’orchestra, che sta suonando in questo momento New York, New York di Frank Sinatra, sotto lo sguardo commosso di tutti i commensali e di qualche esasperato cameriere.
“Cosa suoni?” chiede Dean.
“Violoncello.”
“Chiedi a Balthazar di farlo. Ti lascerà” dice, e non sa perché vuole risultare così dannatamente convincente, ma in quel momento è veramente dispiaciuto per Kevin, nonostante in genere la sua diffidenza lo porti a fregarsene di tutti, soprattutto di un tizio che conosce da un mese a malapena.
“Grazie” sorride Kevin, prima di dirigersi verso i suoi tavoli, sulle note di What I’d Say.
Dean rimane un po’ a ciondolare davanti alle porte della cucina, quindi inizia a servire, combattendo nel frattempo una piccola battaglia verbale con Frank.
“Chi è quello che continua a guardarti sulla porta, il tuo ragazzo?” gli chiede Devereaux, mentre Dean gli porta le spezie. Il cameriere pensa da principio che il vecchio stia scherzando e sta per rispondergli per le rime, quando segue lo sguardo di Frank, fisso sulla porta della sala, incorniciata da pesanti tende di velluto blu, a cui qualcuno ha appeso dei festoni a stelle e strisce.
Semicelato alla vista dai drappeggi dei tendaggi, c’è Castiel, che si dondola piano alla musica di Ray Charles e sta guardando evidentemente nella sua direzione.
“Ah, Cas… no, è un amico” dice.
“Beh, forse dovresti farglielo presente” gli dice Frank e per la prima volta in assoluto nella sua voce Dean legge una nota di gentilezza.
“Sì, farò così” dice il ragazzo, avviandosi verso le cucine. “Ti porto porzione doppia di dessert se mi lasci in pace per dieci minuti, vecchio” intima quindi, voltandosi verso Frank, il cui viso si piega in un ghigno furbo e compiaciuto.
Dean si fa dare il cambio da Anna per qualche minuto e attraversa di corsa la sala, per raggiungere Castiel dietro le tende.
“Cas, che succede?” chiede, vedendo che Cas si è ritratto verso il muro non appena l’ha visto venire nella sua direzione.
“Non pensavo ti fossi accorto di me” mormora, a mo’ di scusa, il ragazzo.
“Non l’ho fatto, infatti. Qual è il problema?”
Cas scuote il capo. “Nessun problema. Quando ci sono le serate di gala i receptionist sono gli unici membri dello staff che non fanno nulla.”
“Ti annoi?” chiede Dean, seguendo Cas che si dirige nuovamente verso il bancone. Il ragazzo annuisce.
“Più tardi si sposteranno tutti in piscina, così potrò venire ad aiutarvi di là in sala, a sparecchiare. Ma per ora devo stare qui.”
“Non hai del lavoro da fare?”
“Ecco… in verità…” E qui Cas si ferma, arrossendo. “Il computer si sarebbe, diciamo, bloccato.”
Dean si porta tragicamente le mani alla testa: “Non stavi guardando film porno sul computer del lavoro, spero” dice, in tono severo.
Cas inclina la testa di lato e Dean realizza che probabilmente Cas non sa neanche cos’è, un porno. Non è quel tipo di ragazzo, semplicemente. E, cazzo, no, questo non è affatto attraente. Ma vai a spiegarlo all’amichetto laggiù, che pare apprezzare particolarmente il connubio bravo ragazzo-occhioni blu.
“Ascolta, io non me ne intendo di questa roba. Ma posso chiedere in cucina, se hanno idea di come sbloccare un computer, d’accordo?”
E ritorna, un po’ a malincuore, in sala. Riesce tuttavia a parlare con qualcuno verso le dieci, quando Gabriel non è più sommerso dai complimenti della gente per la sua torta di cinque metri per due che riproduce una piantina degli States, quando Anna non sta più inveendo contro i piatti bollenti, Balthazar non è più in versione iperattiva e i clienti stanno sfociando verso la piscina, dove si terrà la seconda parte della serata, o verso il centro di Los Angeles, o verso le spiagge di Santa Monica per uno spettacolo pirotecnico sull’acqua.
Così, quando torna con Anna da Castiel, non si sorprende di trovarlo in compagnia di una rossa piuttosto carina, entrambi chini sul computer del ragazzo.
“Ah, Cas, hai risolto? Dean mi ha detto che avevi un problema” chiede Anna, sollevata, sedendosi momentaneamente su una poltroncina.
“Sì, Charlie è bravissima con questa roba.”
Dean si appoggia al banco e sbricia lo schermo del computer. A quanto pare, la ragazza ha anche aggiornato il sistema. Quindi solleva lo sguardo sulla ragazza. Charlie. Cas non sembra intenzionato a provarci, giusto? Quindi lui…
“Ciao, Charlie” dice, sorridendo, già entrato nella sua modalità di rimorchio pesante.
Charlie non distoglie lo sguardo dal display.
“Mi spiace, Dean, sprechi tempo.”
Il sorriso di Dean si disfa. “Che cosa?”
“Non sei il mio tipo.”
E questo, in vent’anni di onorevole lavoro, non se l’era mai sentito dire.
“Scusa?” balbetta, arricciando le labbra e stringendo le palpebre. Cas ridacchia. “E quale sarebbe il tuo tipo?”
“Più… pettoruto” risponde Charlie con un sorriso, che ha un che di ironico.
Dean si sgonfia. Perché nessuno gli ha mai detto che non è in forma, eccetto suo fratello, che ha sedici anni e si allena ogni giorno e ha più muscoli di lui e non manca mai di ricordarglielo.
“Ma…” riprova il ragazzo.
“Dean, intendo dire che non sei una donna.”
E con questo lo secca, definitivamente.
“Okay, compreso. L’indipendenza americana non è per i single.”
Charlie solleva improvvisamente lo sguardo su lui. “Aspetta, siamo ancora in tempo per andare in un bar. Potremmo concludere bene la serata.”
E Dean sta già per accettare di buon grado, quando si intromette Anna. “Dean, dobbiamo sparecchiare. Non pensare di andare in giro per locali adesso.”
La ragazza lancia uno sguardo di scuse a Charlie. “Farete un’altra sera, no?”
Dean fa finta di non vedere quel mezzo sorriso che ha attraversato il viso di Cas.

Come sia riuscito a procurarseli, non lo dice, Gabriel. Però li condivide con loro nel vialetto dietro l’hotel con grande gioia. I fuochi d’artificio rossi, gialli, verdi, viola scoppiettano davanti a loro e sollevano un fumo che li investe in pieno, mentre si abbracciano tra loro e cantano commossi The Star-Spangled Banner.
Dean solleva Cas per le braccia e gli fa fare un mezzo giro, mentre il ragazzo ride.
“Magari non è il caso che tu vada in giro per locali, eh?” gli sussurra Charlie, in un attimo di relativa tranquillità.
“Perché?” chiede Dean, perplesso. La ragazza scuote il capo, sconfortata.
Alla fine un’altra serata non la trovano. Perché salta fuori che Charlie si è prefissata come obbiettivo Anna, dopo che questa le ha rivolto parola ieri sera, e perché c’è quel piccolo problemino di Dean, che a quanto pare, secondo Charlie, non è poi tanto piccolo. Un problemino dagli occhi blu e la pelle color alabastro e nome d’altri lidi. Che detta così la rende più poetica di quanto non sia in realtà.
“Andiamo, te lo mangi con gli occhi, praticamente” gli dice la ragazza, mentre se ne stanno sdraiati al sole, in spiaggia.
“Charlie, io non vado dietro a Castiel.”
Charlie sbuffa. “Potrei chiederlo ad Anna e anche lei direbbe che lo fai. Anzi, lo chiederò ad Anna, quando mi sarò infilata nelle sue mutandine.” Devono finirla entrambi, e al più presto.
Che è esattamente quello che fanno, e andrebbe benissimo, se il loro metodo non comprendesse Dean a cavalcioni sulle spalle di Cas, nella piscina dell’albergo, che spruzza le due ragazze come se non ci fosse un domani.

***
Come gran parte delle volte nella vita di Dean Winchester, anche questa volta tutto decide di andare a puttane in una volta sola. Non gli lascia nemmeno il tempo di rendersi conto della cosa; come un improvviso schiaffo gelato in pieno viso.
Già dalla mattina capisce che sarà una giornata di merda, perché quando entra in sala per fare colazione, si ritrova gli sguardi di tutti addosso. Qualcuno mormora, al suo passaggio. Si siede al solito tavolo, tra Anna e Kevin, che sembrano sulle spine.
“Ciao ragazzi” saluta.
“Ciao” rispondono entrambi, voltandosi immediatamente in direzioni opposte. Dean li guarda allibito.
“Tutto bene?”
“Benissimo” risponde Anna, mentre Kevin fa un cenno col capo. “Tu come stai?”
Dean scuote il capo, confuso. C’è qualcosa che non va. Lancia uno sguardo verso la porta della sala, dalla quale riesce a vedere il bancone della reception e Cas. Quando ha finito di fare colazione, gli deve assolutamente chiedere cosa è successo durante la notte.
Poi però: “Winchester, come si sta a sapere di avere due ore di vita?” gli chiede Raffaele, quando lo incrocia al tavolo del buffet.
“Che cazzo dici?” sputa Dean, forse anche con meno forza di quanto avrebbe voluto.
“Mi informo sulle condizioni di salute del nostro condannato.”
E Dean non ce la fa più. Lascia il piatto pieno di bacon e torna al suo posto, velocemente.
“Anna, che sta succedendo?” la fronteggia.
La ragazza solleva lo sguardo su di lui. “Oh, mi dispiace, mi dispiace tanto, me l’ha detto stamattina Castiel…” inizia a mormorare lei, gli occhi lucidi.
“Cosa?” urla ancora Dean, dando un pugno al tavolo, incurante degli sguardi che ha attirato.
“Ti prego, calmati” lo supplica Anna, la voce ridotta a un sussurro.
E poi succede una cosa strana. Sente due voci che lo chiamano contemporaneamente. Una è quella di Balthazar, apparso sulla soglia della cucina, accanto a Gabriel, l’altra è di Castiel, alle sue spalle. Si volta verso il fratello di Anna, le mani ancora strette a pugno, appoggiate al tavolo.
Cas lo guarda, gli occhi blu pieni di tristezza, la fronte arricciata in tante piccole rughette, come se lui fosse la cosa più bella e dolorosa del mondo e quello sguardo fa male.
“Che cosa è successo?” implora Dean, in poco più di un sussurro. Una stretta alla spalla è l’unica risposta che ottiene dal ragazzo, prima che Balthazar gli dica: “Solo un secondo, per favore”, indicando con un cenno la porta della sala. Dean lo segue, sentendo la mano di Cas scivolare giù lungo il suo braccio. Una veloce stretta di dita è quanto è loro concesso.

“Dean, mi è stato riferito che hai insultato un cliente. E per di più durante l’orario di lavoro.”
Dean rimane in silenzio, la mente che lavora veloce.
“Non ho tempo ora, ma ne riparleremo” conclude l’uomo, avviandosi verso la sala, dove si stanno raccogliendo i primi clienti, tra lo sconcerto dei camerieri.
“Mi dispiace, volevo dirtelo prima” interviene la voce di Castiel.
“Non ti devi scusare, Cas” mormora Dean, voltandosi verso di lui. “Non è colpa tua.”
Cas annuisce. “Quindi ora che farai?”
“Immagino di dovermene andare, giusto?”
Cas rimane zitto e, oddio, questo sì che fa male.
“Non ti preoccupare, troveremo una soluzione” dice Cas, risoluto, dopo un attimo. “Chiedo a Meg di sostituirmi in reception, oggi. Così prepariamo la tua difesa, va bene?”
E Dean non riesce a far altro che scoppiare in una mezza risata e annuire, piano, mentre si vede abbracciare forte Cas, lui che gli abbracci li ha sempre evitati come la peste.
Passano il resto della giornata chiusi nella camera di Dean, che con il tempo ha iniziato a diventare quasi accogliente. E Dean prova a non pensare a cosa potrebbero in realtà farci, in quella camera, perché lui è quello che è appena stato licenziato e Cas è, beh, Cas. E lo sta aiutando davvero.
“Ricordi qualche episodio che possa avvalorare la tesi di Balthazar?”
Dean ripensa ai due mesi che ha trascorso all’HH. È sempre stato rispettoso del regolamento e dei clienti, per evitare di fottersi il posto di lavoro, eccetto con…
“Devereaux” dice. E, subito dopo: “Cazzo.”
Cas annuisce comprensivo. “Credi che sia stato lui a lamentarsi?”
Dean scuote il capo. Di questo è sicuro: prima di partire, Frank lo ha salutato con un insulto smozzicato e gli ha regalato una bottiglia di whiskey, dicendo: “Ecco, brindate per esservi liberati di me, finalmente, tu e i tuoi orribili amici”. Che non sarà stato il massimo della finezza, ma è stato bello, a modo suo, e Frank, con quei suoi modi ruvidi, si è rivelato un uomo di buon cuore. E di buon gusto in fatto di liquori.
“No, non credo” dice quindi Dean, affondando il viso tra le mani.
“Hai dei nemici, qui?” chiede ancora Cas. Dean solleva lo sguardo su di lui.
“Sei un agente dell’FBI fuori da qui?” chiede. Cas ride e Dean si incanta a guardarlo e okay, ci deve dare un taglio. “No” risponde.
“Nessuno? Sicuro?”
“Sì, Cas, sono sicuro. Perché dovrei avere dei nemici?”
Cas si stringe nelle spalle. “Per le ragazze, sai.”
Dean deve fare una faccia veramente perplessa, perché Castiel aggiunge: “Sei un bel ragazzo. Attiri le ragazze e qualcuno potrebbe esserne invidioso.”
Dean scoppia a ridere fragorosamente – il fatto che Cas pensi che lui sia un bel ragazzo, anche se detta così fa molto nonna premurosa, non lo inorgoglisce per nulla, no – e scuote il capo: “Amico, l’unica con cui ci ho provato quest’estate è lesbica.”
Cas tira le labbra in un sorriso. E poi lo fa. “E Anna?” chiede.
Dean si immobilizza. “Anna cosa?”
“Non ci stai provando con lei da tutta l’estate?”
Dean rimane allibito: “Dio, no! È… è Anna! Ed è tua sorella.”
Castiel piega il capo di lato, come quando è perplesso. “E quindi?”
“Quindi non lo faccio. Per rispetto nei tuoi confronti.”
Cas rimane un attimo in silenzio. Giusto un attimo. Quindi si slancia verso di lui, stringe le braccia attorno alle sue spalle e posa la testa nell’incavo del suo collo. “Oh Dean” mormora.
E se non fosse così gay, Dean porterebbe una mano sulla sua nuca e lo cullerebbe con tutto l’amore possibile, invece di accontentarsi di portare una mano sulla sua nuca e cullarlo.
Ma che diavolo.
E poi, proprio mentre la stanza si è fatta improvvisamente silenziosa: “Raffaele” esclama Cas.
“Che cosa c’entra quel figlio di puttana?”
“Lui… l’ho visto uscire dall’ufficio di Michael, ieri sera. E poi vi siete scontrati una volta, e lui è un tipo piuttosto permaloso. Può essere stato lui?”
“Sì! Questa mattina mi ha detto una cosa strana, come se si aspettasse una reazione particolare da parte mia. Non sapeva che Balthazar non mi aveva ancora parlato, perché si stava ripassando il nostro chef in cucina.”
Cas sorride vittorioso. “Non devi far altro che dirlo allo zio, sarà comprensivo con te. Gli piaci. A tutti noi piaci.”
Dean riduce gli occhi a una fessura: “Aspetta. Lo zio?”
“Balthazar. È il fratello di mia madre.”
“Ma siete tutti parenti, qui?” sbotta Dean, preoccupandosi subito dopo: “Oddio, per tutto questo tempo io ho parlato con te dei tuoi…”
“Parenti. Sì, Dean.” Cas sorride. Mare sereno nei suoi occhi, con qualche onda giocosa all’orizzonte. Nulla di cui preoccuparsi.
Solo che c’è questa cosa, cui non può fare veramente qualcosa: lui è Dean Winchester e fare casini è il suo lavoro da una vita. “Ehi, quando dici Piaci a tutti noi non intenderai mica…?”
E sotto i suoi occhi il viso di Castiel diventa una maschera di pura delusione, il sorriso sparisce dalle sue labbra perfette e il ragazzo smette di parlare. Diavolo.
“È tardi, ora, Dean” dice Cas, alzandosi e rassettandosi la camicia. Afferra in fretta la giacca del completo da lavoro che ha abbandonato sul letto e lascia la camera con un frettoloso: “Ci vediamo.”
Dean rimane da solo nella sua stanza, a fissare la polvere che si accumula sui mobili, a cullare in un viluppo tra le mani e nello stomaco la sua rabbia, a prendere a pugni qualsiasi specchio rifletta ancora quei suoi occhi pieni di rammarico, che gli ricordano quanto sia una delusione per chiunque abbia mai incontrato, anche per se stesso.

“Ascolta, Dean, voglio essere sincero con te” dice Balthazar, passandosi le mani sulla fronte. Per una volta è serio, terribilmente serio. “Tu mi stai simpatico. E mi hai dimostrato di essere un buon lavoratore, non ti sei mai lamentato. Quando quel bastardo di mio cugino mi ha detto che sei stato scortese con un cliente, ero sorpreso. Non è da te. È vero?”
Dean è costretto ad annuire.
“Sai che cosa dovrei fare, Dean?” chiede l’uomo.
Dean annuisce nuovamente. Ora lo dovrebbe licenziare e dargli mezzora per salutare tutti e prendere la sua roba. Ma visto che è Balthazar, forse gli darà tempo fino alla fine della cena.
“Mi dispiace, Balth. Ho deluso le tue aspettative, è giusto quello che stai facendo” mormora, provando a giocarsi la carta del pentimento.
Incredibilmente, Balthazar sbotta in un: “Che cazzo vai dicendo, ragazzo?”
Dean stringe gli occhi. “Non mi stai licenziando?”
Balthazar si alza in piedi battendosi una mano in fronte: “Per dio, no! Ti sto solo assolvendo dai tuoi incarichi di cameriere.”
Dean si metterebbe a ballare, ma non sta bene, perché sono in una hall affollata di clienti.
“Sei il migliore, Balth” dice.
“Lo so” mormora l’uomo, sfregandosi le unghie sulla giacca.
Dean fa per allontanarsi, poi si ferma. “Ah, comunque io e Devereaux eravamo amici. Se mai qualcuno può essere amico di quell’uomo. Ed è stato Raffaele a dire a Michael quello che è successo.”
Balthazar annuisce. “So anche questo: me l’ha detto Cas.”
“Cas?” chiede Dean, e sente una voragine aprirsi sotto i piedi. Ecco, chi ha deluso, con il suo comportamento infantile, la persona più dolce e gentile ed altruista di questa terra.
“Sì, è venuto da me qualche ora fa. Poi è andato a urlare contro Raffaele.”
Dean china il capo, sentendosi la persona peggiore del mondo già così.
Ma poi Balthazar aggiunge: “Allora. Siete spariti per tutto il pomeriggio, che avete fatto? Terza base?”
Dean alza il capo di scatto: “Balth!”
“Oh, andiamo, a me puoi dirlo” tira le labbra in un sorriso sbieco. “Non mi scandalizzo mica.”
“Non abbiamo fatto niente, io e Cas.”
“Ah, no?”
“Non stiamo insieme!” riprova Dean.
“Ma se vi mangiate a vicenda con gli occhi” ribatte Balthazar, tirandogli una pacca sulla spalla.
“È di tuo nipote che stai parlando” piagnucola Dean.
“Ho ogni diritto di farlo!” esclama l’uomo, ridendo. Quindi si fa improvvisamente serio: “Hai detto che non avete fatto niente?”
Dean scuote il capo.
“Beh, allora va’ immediatamente a scusarti con quel povero ragazzo, qualsiasi cosa tu abbia fatto, razza di screanzato! E se proprio le scuse non funzionano, portatelo a letto. Tutta questa tensione sessuale irrisolta farà crollare l’hotel, prima o poi.”
Dean rimane allibito di fronte alla sua sfilza di parole e non si accorge nemmeno che Balthazar, sfruttando l’abilità che pare innata in tutti i Novak di scomparire, se n’è andato.
Sorride tra sé. Ha ancora un lavoro, non deve più servire ai tavoli, può fare a botte con il cameriere più stronzo sulla faccia della terra con l’appoggio del suo datore di lavoro, ha dell’ottimo whiskey ancora in valigia e, soprattutto, un’altra occasione con quello che con ogni probabilità è il ragazzo più stupendo dell’universo.
C’è una cosa che non ti hanno raccontato di Dean Winchester, ragazzo. Ed è che dopo aver incasinato tutto, riesce a sistemare ogni cosa. E lo fa con uno stile incredibile.
Forse deve smetterla di guardare film pirata con Charlie.

***
Dean ci prova a scusarsi con Cas. Sul serio. Solo che ogni volta che prova ad avvicinarlo – si è anche studiato la battuta di apertura: “Ehi, indovina chi non è stato cacciato dal lavoro?” – davanti a lui si para, come un mastino infernale, Meg. È lei che tiene la reception in questi giorni e Cas non si fa vedere se non per attraversare alla chetichella la hall dell’hotel per uscire o rientrare. Di bussare alla porta della sua stanza, non se ne parla neanche.
Una sera lo trova ad ubriacarsi con Crowley, che biascica qualcosa su una certa Lilith, mentre Cas sembra sul punto di crollare da un momento all’altro dalla sedia. Dean lo solleva di peso, inveendo contro il barman e lo trascina in camera. Rimarrebbe anche a vegliare su di lui per tutta la notte, ma non sa bene come il ragazzo potrebbe reagire, svegliandosi al suo fianco, per cui decide di svignarsela.
Cas non si vede per i tre giorni a venire.
L’occasione della sua vita gli si presenta il 31 di agosto, quando l’albergo dà una serata di gala per la fine dell’estate. Tutti sono in fibrillazione, se possibile anche di più che per il 4 luglio.
Col fatto che non è più un cameriere, ma solo un tecnico, Dean è diventato una sorta di consigliere del re, o di amico gay a cui chiedere i consigli. Non è strano per Dean passare per le sale e sentirsi bombardato di richieste e domande.
“Dean, che ne dici dei Chipwich3 con un ombrellino da cocktail in cima?” “Buonissimi, Gabriel.”
“Dean, collegheresti le luci dell’impianto?” “Subito, Anna.”
“Dean, mi asciughi questi bicchieri?” “Da quando sono il tuo schiavo, Crowley?”
“Dean, giacca blu o nera?” “Sei tu quello che se ne intende, Balthazar.”
“Dean, togli le mani dalla mia cioccolata, per favore?” “No.”
“Dean, festoni rossi o verdi?” “Rosso americano, Anna, tutta la vita.”
“Dean, valzer o tango?” “Io starei sul rock classico, Kevin.”
“Dean, secondo te è meglio la vodka o il gin&tonic per iniziare la serata?” “Che ne dici di una birra, Fergus?”
“Dean, sei arrivato in terza base?” “Balth…!”
“Dean, te ne vai dalla mia cucina?” “Ragazzi, siete disgustosi! Noi quella roba ce la mangiamo. E Balthazar, esci dalla lavastoviglie, ormai vi ho visti.”
Tra tutti, l’unica persona che Dean vorrebbe disperatamente gli parlasse, tace. E lui non sa più cosa fare perché, dio, avere quegli occhi che tormentano i tuoi sonni non è esattamente quello che si dice un paradiso, quando in realtà non puoi nemmeno sperare di vederli mai più o di risentire la voce del proprietario di quegli occhi. Per non parlare di tutta la restante parte dei sogni con il resto del corpo di tale proprietario.
Dean è talmente distratto, in questi giorni, che Kevin è costretto ad attirare la sua attenzione due o tre volte, durante la conversazione – a senso unico – che sta provando a tenere con lui da qualche minuto.
“Ti ricordi che mi hai detto di provare a chiedere a Balthazar per la serata di gala… Dean, ascolta me, quello non è Cas… ti ricordi? Beh, ho chiesto e… Dean? Dean, ha detto di sì, a patto che non io non suoni la colonna sonora di Titanic. Capisci? Ma mi stai ascoltando?”
“Fantastico!” dice Dean, riscuotendosi e impedendosi di farsi cadere gli occhi fuori dalle orbite a furia di fissare il banco della reception.
“Così Balth mi ha detto che dovrà prendere un cameriere in più, perché io sarò nell’orchestra e… Dean? Ci sei? E il cameriere è Meg. Quindi Castiel starà in reception e io suonerò… cavolo, ora capisco perché si chiama Heaven Hotel!”
Dean si rende conto delle implicazioni suggerite da Kevin solo dopo qualche minuto. Durante le serate di gala, solo il receptionist e i camerieri disastrosi non lavorano.
Potrebbe mettersi a inneggiare dio.

***
La musica straziata e dolce di un violoncello accompagna il suo passo timoroso ed esitante fino ad una reception da nulla, nella penombra della hall di un hotel che è ricaduta nel malinconico abbandono di ogni hall di ogni hotel nel grande caos di Los Angeles, la città degli angeli.
La stanza è in penombra, rischiarata solo dalla sottile lama di luce che passa attraverso le tende tirate del salone e dalle luci di fuori, quasi lontane, come i rumori ovattati di questo albergo, i cui unici suoni sembrano essere la musica di un’orchestra che non suona per lui, i tacchi delle sue scarpe buone che risuonano sul marmo lucido del pavimento e, grottesco, il battito accelerato del suo cuore. Raggiunge il bancone, posa le mani sul vetro.
“Scusa.” La sua voce ha un accento così forte e dolce di preghiera, e di così sincero pentimento, che muoverebbe a pietà anche il più riottoso dei reticenti.
Alza gli occhi e lascia che il suo sguardo si incastri con quello dolce di Castiel. “Non sono bravo con le parole e la maggior parte delle volte faccio solo casini. Ma mi piace pensare di essere in grado di sistemare quello che ho fatto, anche se non posso cancellarlo.” Sorride impacciato. “Mi spiace, Cas, mi sono preparato per tutto il giorno e non mi ricordo più qual è il secondo pezzo del discorso.”
Cas sorride, inclinando il capo e tirando il viso nella più dolce delle pietà.
“Non ti preoccupare, questo era abbastanza buono.”
Dean annuisce, quindi fa il giro del bancone e raggiunge Cas. Lo vede ritrarsi leggermente, ma deve insistere. Ora o mai più. Raccoglie tutto il suo coraggio e gli prende delicatamente la mano. Almeno non si è scostato.
“Devo farti vedere una cosa. Qui non hai nulla da fare, giusto?”
Cas scuote il capo. “Che cos’è?”
“È una sorpresa.”
Conduce lentamente Castiel sul retro dell’hotel, davanti alla vetrata che dà sulla piscina. Apre la porta ed escono nell’aria calda dell’estate californiana.
“In qualità di tecnico, mi sono permesso di fare un piccolo ritocco a questa piscina. Balthazar ha approvato. Tutto gratis, ovviamente.”
Castiel indugia davanti all’acqua e non dice niente.
“Dai, entra in acqua, ti raggiungo tra un attimo.”
Cas esita ancora, per cui Dean si libera di giacca, camicia e papillon in pochi secondi e si appresta a togliersi i pantaloni mentre entra velocemente in uno stanzino dietro il bar, preme una serie di interruttori e si ferma per ascoltare l’: “Oh” stupito di Cas.
“So che è inimitabile, ma quello era il blu più vicino al colore dei tuoi occhi che ho trovato, per il colore delle lampadine” dice e si sente un idiota, perché è rimasto in mutande, davanti a Cas che, ancora completamente vestito, fissa rapito l’acqua della piscina, scintillante di mille lucine blu.
Ci ha messo due giorni, per terminare di impiantare tutti e trentatré i faretti luminosi sotto il pelo dell’acqua, ma il risultato gli piace.
Cas si volta a guardarlo, il volto rischiarato dal blu delle luci, pieno di commozione.
“Dean” dice infine. “Forse avresti dovuto portare dei costumi.”

La pelle di Cas è calda anche attraverso l’acqua e i suoi capelli bagnati lo fanno sembrare un piccolo pulcino spennacchiato e indifeso. Sono fermi da una decina di minuti, Dean seduto su un gradino della piscina e Cas sulle sue ginocchia, le loro gambe che si intrecciano tra i flutti azzurrati.
“Conosci il mito di Eros, Dean?” Questo è tipico di Cas, sorprenderti con argomenti che non c’entrano nulla.
Poiché Dean rimane in silenzio, Castiel continua: “Secondo Platone, in principio gli uomini non erano come sono ora. Erano rotondi, avevano due volti, quattro braccia e quattro gambe ed erano felici: completi. Non avevano bisogno dell’amore, perché erano perfetti. Erano diventati arroganti e presuntuosi, non adoravano più gli dei e Zeus era preoccupato, così decise di punirli e per farlo li divise in due metà. Le loro anime ora sono spezzate in due corpi ed essi non potranno più riunirsi in un solo essere. Ma per tutta la loro esistenza, le due metà vagheranno per la terra, cercandosi, finché non si saranno trovate. Potendo unirsi fisicamente le due parti riescono nuovamente a sentirsi un solo individuo, per qualche momento. Non potranno mai più essere perfetti, ma sono insieme. E tanto basta.”
Dean rimane in silenzio, anche quando la voce di Cas si è spenta. Il peso da nulla del suo corpo magro e pallido sulle gambe gli sembra all’improvviso maggiore, come se quello che sta reggendo non sia un semplice uomo, ma una creatura eterea e delicata, meravigliosa nella sua fragilità.
“Perché dici questo, Cas?” chiede, posando la guancia sulla sua spalla, osservando il profilo dolce del ragazzo, ammorbidito dalle luci blu, che si riflettono nei suoi occhi.
“Pensavo a queste parole… dopo millenni, sono ancora vere. Non è strano, pensare che i poeti antichi provassero i nostri stessi sentimenti, le nostre stesse emozioni, che avessero i nostri stessi desideri?”
Dean non è un poeta. Ma sa come chiamare quello che lo porta a sporgersi verso Cas e posare sulle sue labbra leggermente screpolate il più delicato e casto dei baci. Per una volta, mentre è insieme a Cas, lo sa.

“Dimmi, Winchester, oltre ad Anna hai iniziato a portarti a letto anche suo zio, per tenerti il posto?”
Dean si chiede come sia possibile essere colpiti nello stesso esatto momento da un direttore di sala, uno chef probabilmente innamorato alla follia del suddetto direttore di sala, un receptionist e due camerieri, di cui uno è la sorella maggiore e l’altro è certamente innamorato alla follia del suddetto receptionist, e uscirne vivi. Ma evidentemente Raffaele ha una testa particolarmente dura.

***
“Sammy!”
Dean odia i benvenuti. Questo è un fatto accertato, ma questa volta decide di fottersene di ciò che pensa la gente – e di Charlie, che gli sta raccontando di come Anna le abbia concesso un appuntamento, finalmente – e stringe il suo fratellino con tutta la forza che ha.
“Sei cresciuto ancora” esclama quindi.
Capisce che c’è qualcosa che non va dal suo sorrisetto pallido e dall’espressione di Bobby. Il vecchio è teso come una corda di violino, quando lo saluta.
“Che è successo?”
E in quel momento John entra dalle porte a vetri dell’hotel.
“Papà” esala Dean, sorpreso.
“Dean” lo saluta John, facendo per abbracciarlo. Dean non si muove.
“Come stai?” chiede suo padre. E Sam scoppia in lacrime.

Stanno litigando da mezzora, Dean e John, chiusi in uno stanzino sul retro della reception. Cas ha offerto un gelato a Sam e l’ha ascoltato inveire contro suo padre. Bobby ha cercato rifugio in una bottiglia di Craig, che divide con Crowley.
“Non me ne fotte della tua scusa di questa volta. Noi non verremo in Arkansas. Non questa volta. Mi sono fatto due conti, sai? Con i soldi di questo lavoro io e Sam possiamo trasferirci in un appartamento decente per più di due mesi, in una città adatta a Sam, senza nemmeno bisogno della tua stupida paghetta.”
John rimane a fissare il suo primogenito, uno sguardo carico di rabbia negli occhi: “E dove andreste, sentiamo?”
Dean ci ha pensato a lungo, in questi giorni di fine estate, e alla fine ha deciso. Non seguiranno loro padre nella sua ennesima avventura, non più. Troveranno una casa, una scuola, lui cercherà un lavoro.
“Boston” dice quindi, con fermezza. E quel nome suona di felicità.
John sbuffa una risata dal naso. “Che sciocchezza.”
“A Boston c’è il Museum of Fine Arts” dice Dean, con una nota di orgoglio nella voce, che però John non coglie. “E a Boston è nato Benjamin Franklin, uno dei padri della nostra nazione, papà. I Red Sox sono di Boston, e gli Aerosmith si sono formati là. A Boston c’è il Charles River. A Sammy piace Boston. E tanto mi basta.”
John scuote il capo e afferra la maniglia della porta per uscire, ma Dean lo fa voltare verso di sé con una mano. “Noi andremo a Boston.”
“È per quel ragazzo, vero?” dice all’improvviso il padre.
Dean rimane in silenzio qualche attimo. “Vai al diavolo.”
Apre la porta ed esce. Sente John che prova a chiamarlo, ma lo ignora. Sente la rabbia che ribolle in corpo, ma la ignora. Ignora tutto, eccetto Sam e Castiel, che lo raggiungono mentre esce nel sole cocente di Los Angeles.
Ha diciannove anni, un salario di tre mesi più che rispettabile, due delle tre persone che più ama al mondo al suo fianco. Può fare tutto quello che vuole. Tutto quello che vuole.

E un’altra cosa, imparerai di Dean Winchester, ragazzo…
“Dean, che avete deciso tu e papà?”
“Taci, puttana.”
“Stronzo.”
“Dean, hai appena chiamato tuo fratello puttana?”
“Normale amministrazione.”
…non gli piacciono i finali ad effetto.

 

***

[1] Zio Tibia è il nome dato nell’adattamento italiano dei fumetti horror Creepy al protagonista, chiamato appunto Uncle Creepy.
[2] I Brown Betty sono un dolce tipico americano, delle specie di tartine alla frutta. https://en.wikipedia.org/wiki/Brown_Betty_(dessert)
[3] I chipwich sono dei biscotti con gocce di cioccolato con in mezzo del gelato, altro dolce tipico americano.

 

Dunque, se siete arrivati fin qui e non mi siete morti nel tragitto, complimenti!
Sono di nuovo qui – a rompere – con un’altra AU, rigorosamente destiel, che è nata quando un po’ di tempo fa mi è stato fatto notare che durante l’estate c’è gente che lavora perché altri si possano godere le vacanze – chi non ci legge un background destiel, andiamo?
E ovviamente io scrivo la roba e poi non la pubblico, non si sa ancora bene perché. Quindi, ora che l’estate è quasi – quasi – alle porte, eccoci qui. Spero che questa roba vi sia piaciuta e che vi abbia tenuto compagnia.
E quindi, se volete farmi sapere se vi è piaciuta o se vi ha fatto schifo o che, mandatemi pure un angelo messaggero che a me fa solo piacere – soprattutto se tale angelo ha un trench.

   
 
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