Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
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Autore: Kore Flavia    26/04/2016    1 recensioni
[prompt usati: Sentirsi inutili; Vita; Tempus Fugit; Accettazione; Egoismo]
[Raccolta]
Madoka-Sentirsi sola: Madoka non era sola, no, aveva Sayaka e Hitomi. Non era certo sola.
Mami- Vita: Aveva i piedi in due staffe diverse: se da un lato baciava la vita, dall’altra si lasciava possedere dalla morte.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Homura Akemi, Kyoko Sakura, Madoka Kaname, Mami Tomoe, Sayaka Miki
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autore: E battezziamo anche questo fandom, tanto non ho nulla da fare se non lasciare aborti in giro per i fandom, no?
No Beta perché sono scema.
Spero che i personaggi non siano OOC, non si sa mai, in caso fatemi sapere.
Piccole spiegazioni random:
Il titolo deriva da una delle taaaante soundtrack di PMMM (Sì sono andata in fissa con le soundtrack, non è colpa mia, sono scema, ciao)
Per ogni capitolo ci sarà un "This is my despair" caratterizzante il personaggio protagonista del capitolo.(O che, almeno per me, caratterizzi il personaggio)
Vi dò un anticipo di ogni "despair":
Madoka=Sentirsi inutile
Mami=Horror Vacui (studio del medioevo, sei tu?)
Homura=Tempus Fugit
Kyoko=Autofobia (Paura di rimanere soli)
Sayaka=Fragilità
Il punto di vista di questa one shot non è mio (Secondo me Madoka non è inutile, ma vb, se lo dice lei crediamoci), ma è della protagonista del capitolo. Non odio Madoka e men che meno le altre magical girls. 
Metto in chiaro perché sia mai che qualcuno mi venga a dire "Eh, ma se odi un personaggio non scriverci". Non lo odio, semmai lo adoro, per questo lo tratto di cacca. As usual.
Vi lascio alla lettura che poi rischio di annoiarvi troppo con lei mie pippe mentali.
Buona lettura!
(Recensite, leggete, fate un po' quel che vi pare)
Kore



 

This is my despair: 
-Sentirsi inutile-


Madoka non era sola, no, aveva Sayaka e Hitomi. Non era certo sola.
Madoka non era inadeguata. Era una ragazzina normale con una vita normale e degli amici normali.
Madoka non era ignorata: le persone attorno a lei l’ascoltavano volentieri, ridevano delle sue battute –quelle poche che faceva- e piangevano davanti ai film assieme a lei.
Madoka non era neanche infelice. Per essere infelice doveva venir meno anche la serenità e la beatitudine della vita e a lei non mancava nessuna delle due. Lei, perciò, non si poteva dire infelice.
Madoka era inutile. Ogni giorno si alzava da quel letto troppo ampio per la sua corporatura minuta, si lavava i denti davanti al suo riflesso mediocre e scambiava qualche chiacchiera con sua madre. Sua madre era utile: forte e determinata le dava continuamente consigli per aiutarla nella sua squallida vita.
La sua esistenza non comportava alcun cambiamento trascendentale per ciò che la circondava. Sayaka sarebbe sempre stata la stessa schietta e felice ragazza, la stessa ragazza innamorata di sempre. Hitomi sarebbe rimasta silenziosa ed introversa, ma anche determinata e fiduciosa. Senza di lei non sarebbe cambiato nulla: le vite sarebbero trascorse con la stessa lentezza e ripetitività di sempre. Era giunta alla conclusione più ovvia: lei non era infelice, lei era inutile.
Non era il tassello mancante di alcun gioco, non era un’esistenza valida. Era un’ameba di un mondo di giganti, era l’ombra dei passanti, era il nulla.
Madoka non ci aveva messo molto a capirlo, per quanto superflua potesse essere non era stupida, ma la consapevolezza del suo stato d’ameba l’aveva colpita come un pugno. L’aveva gettata nell’apatia e impaccio più totale. Si sentiva in impaccio ed era un impaccio per gli altri: la sua esistenza era divenuta quasi paradossale.
Ci aveva anche pensato: tanto valeva morire, non sarebbe interessato a nessuno e forse era proprio per questo che era ancora in vita. Ancora tra i piedi della gente e i combattimenti tra maghe. Non voleva privare il mondo della propria esistenza empia, voleva gridare “guardatemi, sono qui e non riesco a fare nulla, abbracciatemi perché non voglio privarvi della mia presenza”. Poi era morta Mami. Era morta proprio quando, finalmente, si era sentita pronta a dare un senso alla propria vita. Era morta e Madoka era rimasta paralizzata dalla paura. Il tempo sembrava essersi fermato e sembrava sfuggirle tra le dita trasportato dal vento.
Un secondo paradosso nella sua vita: il tempo le sfuggiva dalle mani e lei sfuggiva da esso.
Mami era morta senza che lei potesse far nulla e, nuovamente, era stata inutile. Che cosa aveva cambiato la sua presenza nella vita di Mami? Nulla. La maga sarebbe morta anche in sua assenza. A Madoka avrebbe quasi tranquillizzato l’idea che l’amica fosse morta a causa sua, ma ciò era impossibile: essere fautrice di una morte doveva essre terribile e, infine, ciò l’avrebbe resa utile. Quest’ultima verità era ovviamente l’unica che l’impediva di sentirsi in colpa: se era superflua non poteva aver –seppur indirettamente- ucciso qualcuno.
Era anche per questo che sentire Kyubey ricoprirla di lodi l’aveva intimorita ed esaltata. Fosse stata una maga sarebbe stata potentissima, avrebbe potuto spazzare via eserciti interi di streghe e essere utile. Utile. Una parola così succulenta e spaventosa agli occhi di Madoka. Essere utile significava avere responsabilità, essere utile significava cambiare il corso della storia, essere utile significava non ricoprir più un ruolo da comparsa nella vita di qualcun altro, ma essere la protagonista della propria, di vita.
Madoka non voleva tutto ciò. Era stata viziata nella sua empietà, nulla di ciò che aveva sempre fatto aveva avuto ripercussioni nel futuro e, invece, tutto ciò che avrebbe fatto d’ora in poi avrebbe potuto ribaltare la storia dell’intera umanità. Davanti a quella scelta decise di rannicchiarsi nel proprio giaciglio di noia e vanità, osservando le altre ragazze uccidersi a vicenda a pochi metri da sé. Osservava Sayaka combattere contro la depressione e non faceva nulla. Guardava Kyoko crogiolarsi nella propria solitudine e distoglieva lo sguardo. Vedeva Homura parlarle, supplicarla di non accettare di divenire una maga.
L’unica cosa in cui aveva cambiato il corso degli eventi era quando aveva quasi ucciso la sua migliore amica e, nella prospettiva della validità tanto agognata, non era un gran traguardo. Per la prima volta, però, era stata in parte lei la causa del collasso emotivo di una persona. Rabbrividì al pensiero. Se questo era avere un ruolo nel mondo allora lei lo rifiutava più che volentieri.
Preferiva essere una buona a nulla, se l’altra possibilità era essere un’assassina.
Alla fine, però, la tentazione dovuta alla responsabilità e alla validità si era fatta troppo opprimente e aveva ceduto. Aveva deciso di abbandonare quel giaciglio sicuro per divenire la pedina mancante del gioco, per divenire un’entità di valore nel mondo.
Aveva deciso di essere viva.
Ed era divenuta utile, ed era divenuta una dea. Aveva salvato il mondo e la sua superflua esistenza aveva preso consistenza. Ora era qualcuno.
Ora aveva meriti e colpe.
Ora aveva il diritto d’essere infelice poiché era sola.

Madoka non era inutile, aveva estinto la minaccia delle streghe e salvato migliaia di ragazze.
Madoka non era neanche infelice. Per essere infelice doveva venir meno anche la serenità e la beatitudine della vita e a lei non mancava nessuna delle due.
Madoka era soddisfatta di ciò che era e di ciò che aveva fatto.
   
 
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