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Autore: The Rocker    27/04/2016    0 recensioni
Mirko era agitato quella sera, alla pizzata di classe.
Ancora non sapeva di essere innamorato. Quella ragazza gli faceva sempre uno strano effetto.
Laura si sentiva in gran forma. Era a casa da sola da un paio di giorni, e l’euforia di avere una casa tutta per sé non aveva ancora lasciato posto alla noia.
Era proprio carino come lo ricordava, quei jeans al ginocchio e la felpa aperta sopra una maglietta di un gruppo rock locale le fecero venire voglia di baciarlo. Baciarlo e mordicchiare quel pizzetto tanto carino che non si tagliava mai.
“Ripenso ai mille volti dell'estate della maturità, a quegli occhi di chi aveva un sogno, sì, la libertà”
The Sun – I giorni che vogliamo
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mirko era agitato quella sera, alla pizzata di classe.

Gli esami di maturità erano finiti da due giorni, e si respirava aria di libertà tra gli ormai ex studenti della 5^C del liceo scientifico “Leonardo da Vinci”.

Quella sera, a dir la verità, erano tutti particolarmente agitati: Luca era impaziente di arrivare al dopo cena, quando avrebbe festeggiato privatamente con la propria ragazza la fine degli esami; Alessia era finalmente riuscita a baciare quel ragazzo tanto carino di quarta; Marta e Giacomo, che si lanciavano occhiatine maliziose e sorrisini complici dalla terza, erano arrivati in pizzeria tenendosi timidamente per mano; Jacopo era riuscito a strappare un sessanta alla commissione d’esame, e quel sessanta era sufficiente per andare dieci giorni in campeggio con i suoi amici, a rimorchiare e ubriacarsi; Antonio aveva appena scoperto di essere stato ammesso alla facoltà di economia della Bocconi, e non vedeva l’ora di andarsene da quel paesino e iniziare una nuova vita nella festaiola e multietnica Milano; Elena Sardella, docente di storia e filosofia single da un paio d’anni, aveva strappato un appuntamento al collega di educazione fisica; Luigi Arziello, trentenne originario di Napoli, aveva deciso di concedere una possibilità alla collega di storia e filosofia, perché aveva notato che il proprio corpo reagiva in maniera alquanto curiosa quando si trovava davanti la suddetta collega e le sue scollature.

Mirko, quella sera, era forse l’unico ragazzo che non aveva un motivo per essere tanto agitato. Era su di giri e basta. Non riusciva a stare seduto più di dieci minuti: aveva sempre qualcosa di importantissimo da fare dall’altro capo della tavolata, qualcuno da salutare, qualcosa da recuperare in macchina.

Riuscì ad andarsene poco prima del dolce, salutando compagni, abbracciando professori, e rischiando di far cadere un paio di bicchieri.

Arrivò in oratorio che la riunione organizzativa per il campeggio era già iniziata, ma la vide subito: era in piedi in un angolo, ad armeggiare con una pila di fogli e una pinzatrice.

Sorrise, sempre più agitato.

Lei era di spalle e non lo vide arrivare. Si allungò sul tavolo, regalandogli inconsciamente una perfetta visuale del suo sedere e delle sue lunghe gambe. Solo quando sentì i ciao degli altri educatori si girò e gli sorrise.

Mirko si sedette velocemente, prima di togliersi la felpa e appoggiarla in grembo, per conservare un po’ di pudore e nascondere al mondo quanto il suo corpo fosse realmente felice di vederla.

Ancora non sapeva di essere innamorato. Quella ragazza gli faceva sempre uno strano effetto.

Era gentile con tutti, disponibile, sorrideva tantissimo, aveva un corpo da favola e due tette piccole ma sode, che riuscivano sempre a incantarlo. La conosceva da anni, e se all’inizio le era sembrata solo una ragazzina simpatica, che non aveva paura a farsi amica un bambino di due anni più piccolo, ora il suo corpo esprimeva imbarazzanti apprezzamenti ogni volta che la vedeva.

Il che succedeva davvero raramente, a dir la verità. Lei era sempre in oratorio, era nella commissione Giochi, responsabile dell’animazione, educatrice degli adolescenti, e Dio solo sa cos’altro. Lui si faceva vedere ogni tre mesi, in tempo per le vacanze di Natale, di Pasqua e il campeggio estivo. E nonostante questo, lei ogni volta si interessava a lui, gli chiedeva come stava, come andava la scuola, che Facoltà avesse scelto.

Lui avrebbe solo voluto chiederle se le fossero cresciute le tette, e come potesse una ragazza bella ed eccitante come lei essere ancora single. Perché lo era, giusto?
 

Laura si sentiva in gran forma quella sera. Era a casa da sola da un paio di giorni, e l’euforia di avere una casa tutta per sé non aveva ancora lasciato posto alla noia.

Quel pomeriggio era andata a correre al parco dietro casa,  e aveva persino incontrato un ragazzo carino: si erano scambiati un paio di sguardi, e un timido ciao quando lui era uscito dal parco. Sperava davvero di rivederlo il giorno seguente. Certo, non era bellissimo, ma  assomigliava vagamente a quel ragazzo che si vedeva ogni tanto in oratorio, quello alto e con quel pizzetto davvero sexy.

Quel ragazzo che avrebbe dovuto essere lì anche stasera, constatò con un velo di tristezza, mentre lasciava scorrere lo sguardo sui presenti. C’era sempre la solita gente: il suo ex ragazzo, che cercava di farsi grande ai suoi occhi, risultando invece sempre più ridicolo; il gruppetto scazzato, che sapeva avrebbe fatto più casino dei ragazzi; un paio di cuochi in pensione, il cui dilemma più grande erano i chili di pasta da portare; Chiara, la sua migliore amica, che stava cercando di scaldare l’atmosfera canticchiando vecchie canzoni anni Novanta; Paolo e Francesca, che si erano appena messi insieme e non riuscivano a stare lontani per più di dieci minuti. Laura sperava davvero che facessero una fine migliore dei loro omonimi letterari.

Nonostante l’ora, Laura aveva ancora tanta di quell’energia in corpo che discutere di noiosi dettagli amministrativi con gente che non sapeva fare i calcoli a mente e si ostinava a disprezzare le calcolatrici le sembrava solo una gran perdita di tempo.

Si alzò, decisa a far qualsiasi cosa pur di tenere le mani occupate. Così avrebbe smesso di pensare al ragazzo conosciuto al parco, e a quello che avrebbe dovuto essere alla riunione organizzativa per il campeggio, ma che si stava facendo desiderare più di una donna al primo appuntamento.

Non lo vide entrare, ma quando si girò al ciao distratto dei presenti, le nacque spontaneo un sorriso. Era arrivato, finalmente!

Era proprio carino come lo ricordava, quei jeans al ginocchio e la felpa aperta sopra una maglietta di un gruppo rock locale le fecero venire voglia di baciarlo. Baciarlo e mordicchiare quel pizzetto tanto carino che non si tagliava mai.

Si girò velocemente, prima che qualcuno potesse notare il rossore che era sicura le avesse colorato le guance.

Sperò davvero di finire nel gruppo di lavoro insieme a lui: era uno dei ragazzi più divertenti che conoscesse, e poi era sempre così gentile con lei, nonostante si vedessero pochissime volte all’anno.

Il mese scorso, durante un assolato pomeriggio di animazione, mentre stavano cercando di appendere un enorme cartellone, le aveva accarezzato la spalla. Era stato il loro ultimo vero contatto.

Laura si era girata sorpresa, l’aveva guardato dal basso, lui l’aveva fissata di rimando e aveva mormorato un “sei morbida”. Se non si fosse controllata per tempo, gli sarebbe saltata in braccio.
 

Passò le seguenti due ora a organizzare i giochi insieme a Chiara, ormai erano una formidabile coppia vincente, si capivano al volo, e avevano sulle spalle anni di campeggi e oratorio estivo da saper prevenire ogni inconveniente.

Lui era stato reclutato per caricare il furgoncino: era uno di quei ragazzi che sembrano avere forza a non finire. Era senza dubbio il più spericolato tra tutti gli accompagnatori: in montagna era lui che si arrampicava sulle pareti più scoscese, al mare era lui che proponeva i tuffi più pericolosi.

Due anni prima erano stati entrambi accompagnatori nella gita al mare. Si erano ritrovati a metà pomeriggio sulla piattaforma poco distante dalla riva, soli. Seduti vicini, avevano iniziato a parlare: qualche commento sui bambini più pestiferi dell’oratorio, un paio di barzellette più o meno spinte, nulla di compromettente. Era stato lui a proporle un tuffo, Laura aveva accettato con un sorriso. Adorava tuffarsi: la paura dell’altezza, l’ebrezza del salto, la freschezza dell’acqua, la spaventavano e le piacevano allo stesso tempo.

Lui le aveva chiesto se si fidava, Laura con il cuore di qualche grammo più leggero e le guance leggermente arrossate aveva annuito, si era lasciata abbracciare e si era tuffata con lui.

Era stato un tuffo suicida, a peso morto, cadendo in acqua su un fianco. Laura si era fatta male, le fischiava l’orecchio e le sembrava di essere andata a sbattere contro un camion.

Ma le rimaneva la dolce sensazione di quell’abbraccio forte e sicuro, non immaginava l’avrebbe stretta così forte senza neanche farle male. Laura aveva ricambiato la stretta, sorpresa da quanto fosse cresciuto quel ragazzo, che ricordava ancora come un bambino.
 

Quella sera riuscì a parlargli solo una volta finita la riunione, avevano parcheggiato la macchina vicini e si ritrovarono soli nel parcheggio.

“Allora, come stai?”

Era sempre Laura la prima a cominciare la conversazione.

Mirko sorrise, aveva avuto due ora per decidere cosa fare. Due ore passate a caricare tutto il materiale sul furgoncino, potendole solo lanciare qualche occhiata di tanto in tanto. Si era anche preso uno scappellotto dal responsabile cucina, perché aveva la testa tra le nuvole e aveva fatto cadere un paio di scatoloni di pasta.

“Bene, grazie. Sono finalmente libero! I tuoi esami come procedono?”

Laura parlò per cinque minuti buoni, entusiasta dei corsi e dei professori. Mirko ascoltava solo qualche parola, perso a contemplare le sue labbra e il seno, evidenziato da una borsa a tracolla di stoffa colorata. Portava sempre borse a tracolla, sembrava lo facesse apposta. Aveva osato chiedergli una volta come mai non usasse borse più eleganti, lei lo aveva guardato male per un paio di secondi, e aveva concluso, con aria ovvia, che le borse a tracolla sono cento volte più comode. Benedetta la comodità delle borse a tracolla, aveva pensato Mirko.

Parlarono, scherzando su ogni argomento. Ricordarono la prima volta in cui si erano conosciuti, avevano partecipato entrambi al campeggio della parrocchia in veste di ragazzi, Laura era in terza media, Mirko in quinta elementare.

“Ah, bei tempi quelli!”, rise Mirko. “Ora, nessuna ragazza di terza media si farebbe vedere a parlare con un bambino di quinta”

“Eravate simpatici, tu e il tuo amico..”

“Stai forse dicendo che non lo siamo più?”

Laura rise, e gli tirò una pacca cameratesca sulla spalla. Era così che esprimeva il suo affetto, a Mirko erano bastatati pochi giorni per capirlo: niente fiori, né baci o parole dolci, erano i gesti a parlare per Laura. Come fosse un ragazzo. Mirko si concesse qualche secondo per osservare le sue labbra tirate in un sorriso timido, forse a causa di un contatto fisico eccessivo per i loro standard; gli occhi sorridenti, così scuri e profondi, nei quali si rifletteva la luce del lampione; i capelli mossi, raccolti in una mezza coda che aveva lasciato scappare qualche ciuffo ribelle. Le erano cresciuti i capelli dall’ultima volta che si erano visti, gli piacevano i capelli lunghi nelle ragazze. A lei, poi, stavano d’incanto.

Sembrava tanto una dura, con i suoi ventidue anni, la laurea imminente in ingegneria, la reputazione di stronza spezza cuori messa in giro dal suo ex, il tono autoritario che usava per farsi rispettare durante l’oratorio estivo, i vestiti sportivi, i gruppi rock e metal sempre al massimo volume nelle cuffie dell’iPod; ma Mirko l’aveva capito, era una bambina cresciuta in fretta e ancora bisognosa d’affetto. La vedeva tenera, con le guance ancora paffutelle, a volte un po’ goffa, si divertiva con poco, e rideva alle sue freddure tremendamente English.

Si ritrovò appoggiato alla sua macchina, proprio di fianco a lei. Non sapeva com’ era finito lì, ma non aveva  intenzione di andarsene troppo presto.
Dovette aspettare sette minuti e otto secondi, prima di riuscire a trovare una scusa per abbracciarla. Pur di non perdere l’occasione quasi le si buttò addosso, i capelli di lei che gli solleticavano il volto.

Laura ricambiò come poté la stretta, ancora una volta sorpresa da come fosse bello essere circondati da braccia così sicure e forti. La facevano sentire protetta e libera allo stesso tempo. Iniziò ad accarezzargli il braccio in punta di dita, temendo di spingersi troppo in là. Non era pratica di corteggiamenti e primi appuntamenti, erano anni che non aveva un ragazzo e i suoi flirt si erano conclusi dopo qualche bacio e un paio di serate.

Non sapeva se stesse facendo o meno la cosa più giusta, Mirko era più piccolo di lei di due anni e due mesi, aveva dieci giorni di differenza da sua sorella minore. Dio, era proprio un’imbranata! Neanche uno della sua età riusciva a trovarsi!

Eppure…eppure Mirko le sembrava così adulto, così grande! Si sentiva sempre una bambina vicino a lui: era più bassa di almeno quindici centimetri, e tra le sue compagne di corso era una delle più alte; era sempre lui a stupirla con racconti di avventure ogni volta più pericolose, come se avesse sulle spalle molti più anni di lei; la spiazzava con i suoi commenti e le sue battute, facendole giocare volente o nolente il ruolo della ragazzina ingenua.

Davvero una causa persa, sospirò Laura, aggrappandosi involontariamente ancora di più a Mirko.

Mirko la strine a sé, inspirando il profumo del suo shampoo.

Laura cercò di formulare un pensiero razionale, ma sembrava che la parte razionale del suo cervello in quel preciso momento fosse entrata in sciopero. Tutto ciò che riusciva a immaginare era la sua bocca su quella di Mirko, una mano tra i suoi capelli morbidi e una mano a sfiorargli quella barba un po’ rada e incolta.

Aveva un assoluto bisogno di riempire quel silenzio imbarazzato, e se non si fosse sbrigata a trovare argomenti di conversazione l’avrebbe baciato seduta stante.

 “Hai saputo di Paolo e Francesca?”

Sentì Mirko cambiare posizione, adesso si trovava esattamente dietro di lei, schiena contro torace. La sua schiena contro  il torace di Mirko. Lasciò andare l’aria che aveva trattenuto in quei momenti di silenzio.

Mirko non riusciva a capire che c’entrasse Paolo in quel momento. Non erano solo loro due? La sentì rilassarsi tra le sue braccia, e le lasciò un istintivo e timido bacio tra i capelli. Si ritrovò con un capello tra i denti, e sorrise, come un ebete.

“Paolo dici? Mi ha aiutato a caricare il furgone. Cos’è successo?”

Laura rise del suo tono leggermente allarmato, non si era accorto di nulla. Ma che si aspettava poi? Era con Mirko che stava parlando, e lui per definizione non si accorgeva mai di nulla, soprattutto se quel qualcosa non era descrivibile con un codice binario.

“Stanno insieme, da un paio di settimane. Sembrano in luna di miele da quanto sono sdolcinati e zuccherosi”

Non che Laura fosse invidiosa, lei non si sarebbe mai sognata di sbaciucchiarsi il fidanzato davanti a tutti alla riunione del campeggio. Il suo fidanzato se lo sarebbe baciato in privato, e sempre in privato ci avrebbe fatto tanti bei giochetti. Sorrise al pensiero dei giochetti che avrebbe potuto fare con Mirko. Inclinò la testa e fissò Mirko negli occhi per qualche secondo. Sentiva le guance diventare sempre più calde, ma si impose di non pensarci. Non poteva fare la parte della fifona proprio adesso.

“Troppo zucchero per l’ingegnere dal cuore di ghiaccio?”

“Cuore di ghiaccio?”

L’atmosfera dolce e rilassata svanì in un attimo: Laura rimase genuinamente stupita da questo soprannome, chi l’aveva messo in giro? Certo, non era una romanticona tutta rose e cenette a lume di candela, ma “cuore di ghiaccio” le sembrava troppo esagerato. Se fosse stato il suo ex, sarebbe accidentalmente scivolata sulla sua caviglia alla prima occasione. O sulla rotula, non faceva molta differenza.

Mirko si stava dando per la quinta volta in cinque secondi dello stupido. Come gli era venuto in mente di usare proprio cuore di ghiaccio? Era un soprannome idiota vecchio di anni. L’aveva ribattezzata così con il suo compagno di classe, quello che aveva invitato alla festa dell’oratorio, ci aveva provato con lei e si era ritrovato con un manrovescio stampato sulla guancia destra. Mirko non aveva mai avuto il coraggio di confessare a Laura che quel conquistatore improvvisato era suo amico, avrebbe riservato un trattamento identico anche a lui, ne era certo.

Si diede ancora una volta dello scemo, non poteva semplicemente tacere? Quale istinto masochista aveva ascoltato per uscirsene con quel soprannome ridicolo?

Mirko si grattò il mento, e sospirò pesantemente. Temeva davvero di aver tirato troppo la corda, e pregò che Laura non lo ringraziasse con un pugno sul naso.

“Hem… scusa. Molto poco appropriato”

Laura ridacchiò, dimenticandosi già del soprannome. Le piaceva troppo starsene tra le braccia di Mirko per arrabbiarsi veramente.

“Potrei perdonarti, per questa volta.. Forse, dipende da cosa mi offri come dono di pace”, pigolò, civettuola e maliziosa come non era mai stata.

Mirko sentì il cuore lottare per uscirgli dalla gabbia toracica, persino nella sua ingenuità da futuro informatico aveva capito che quello il momento decisivo. Tutto dipendeva dalla sua mossa.

Aveva quasi più ansia adesso che agli esami di maturità. Si avvicinò a Laura, pregando di non avere un alito pestilenziale e di non avere lo sguardo da maniaco. Non seppe dire cosa successe al suo cervello e al suo corpo nei secondi seguenti. Ad un certo punto, come per magia, le sue labbra si trovarono esattamente sopra le labbra di Laura, e le sue mani stavano stringendo quel corpo così morbido e tonico. Non osò chiudere gli occhi, per paura di veder scomparire la ragazza e ritrovarsi a stringere aria.

Dal canto suo, anche Laura non aveva molto chiare le dinamiche di quel bacio. Ciò che importava ora erano le loro labbra unite quasi timidamente e le loro mani: le sue stavano giocando con i capelli di Mirko, morbidi e lisci come li aveva sempre immaginati; e le mani di Mirko le stavano accarezzando delicatamente la schiena, timorose di spingersi troppo in là.

Non si accorsero degli sguardi curiosi dei passanti, né dei commenti maliziosi. Mirko strinse più forte Laura, sperando che non se ne andasse mai. Ancora faticava a credere di essere lì, a baciarla e a lasciarsi baciare. Per la prima volta da ore si sentì finalmente in pace, e sorrise sulle labbra di Laura, felice come non mai.

Quella, l’estate della maturità, sarebbe stata la sua estate, la loro estate.
 
  
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