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Autore: reby    27/04/2016    6 recensioni
[...] Erano cambiati tutti.
I tempi che li avevano visti digiprescelti e bambini insieme erano passati, esperienze mai dimenticate ma già lontane.
I lineamenti dei visi più marcati, più adulti.
Ma erano come la frutta maturata precocemente: all’ apparenza, come tutti si aspettano, liscia, succosa, perfetta. Ma dentro.. dentro lo zucchero, la vita non aveva fatto il suo naturale corso, lasciando un retrogusto amaro troppo forte per sembrare normale.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mimi/Matt, Sora/Tai, TK/Kari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo è dedicato a tutti quelli che hanno avuto la pazienza e la forza di continuare ad aspettarlo.




“E ora sto per dirti una cosa, nel caso non la sapessi già: l’amore, quello vero, è sempre letale. Mi spiego meglio: il suo scopo non è la felicità, l’idillio fino a che morte non ci separi, le romantiche passeggiate mano nella mano, sotto i tigli in fiore, attraverso i quali s’intravede la fioca luce del lampione che illumina il portico, finché appare la casa che ti accoglie avvolgendoti con i suoi freschi effluvi… Questa è la vita, non è l’amore. L’amore è una fiamma più sinistra, più tragica. Un giorno si accende il desiderio di conoscere questa passione devastante. […] molti non conosceranno mai un simile sentimento… sono i prudenti: non li invidio”
Sandor Marai, La donna giusta




Una volta a scuola, forse in prima o seconda media, avevano portato la loro classe in gita al planetario di Shibuya. Stavano studiando le stelle e quindi la loro maestra era partita spiegando loro quella più vicina: il Sole.
Sora ricordava l’eccitazione di quel giorno, perché per la prima volta avrebbe osservato attraverso un telescopio. L’addetto che gli accolse, spiegò loro una cosa che Sora non dimenticò, paradossalmente fu la cosa che la colpì di più: non dovevano mai osservare il Sole senza adeguta protezione.
-Perché, anche se lontanissimo da noi, potrebbe quasi bruciarvi gli occhi! Infatti anche quando alziamo gli occhi al cielo ci viene spontaneo riparaci la vista con la mano-.
Sora lo stava ascoltando rapita. E poi Taichi l’aveva tirata per un braccio, mostrandole che la loro maestra aveva beccato di nuovo un loro compagno di classe intento a mangiare cioccolata. Avevano ridacchiato insieme.



Erano passati tanti anni da quel giorno, eppure la questione “Sole” Sora l’aveva scolpita nella mente.
Non riusciva a guardarlo, ecco tutto. Si sentiva in pericolo, voleva una protezione per il suo sguardo, per quello che stava avvenendo dentro di lei
Poteva avvertirlo. Era un po’ come sentire il calore del Sole sulla pelle: sapevi da dove proveniva ma non lo osservavi direttamente. Adesso capiva lo zigomo gonfio di Yamato, lo sguardo preoccupato di Mimi e le sue affermazioni.
-Posso andarmene-.
Un tremito, nella sua voce. Aveva imparato a riconoscerne ogni sfumatura, ogni inflessione.
-Non pensavo che saresti venuto-, ammise.
Sentì un sospiro ironico. –Diciamoche sono stato invitato in maniera abbastanza convincente-.
Solo allora Sora alzò lo sguardo. E fu come guardare il Sole senza nessuna protezione.
Taichi stava guardando lei e lei soltanto e gli occhi profondi e caldi la fissavano dritta in faccia. Erano molto più freddi.
Ha senso?
Possono gli occhi sembrare più caldi o freddi realmente? Non lo sapeva con certezza, ma ciò che vide Sora Takenouchi negli occhi di Taichi Yagami, occhi che da tanto-troppo- tempo non vedeva in modo così diretto, era qualcosa che con il suo Tai c’entrava ben poco.
-Hai incontrato Yamato, vedo- mormorò Sorae davvero non voleva che la sua voce risultasse così bassa. Da quanto tempo non parlavano loro due soli?
Tai esibì un breve sorriso ironico e poi abbassò gli occhi. Frugò brevemente nelle tasche e ne tirò fuori una sigaretta. –Posso?- domandò retoricamente, quando se la ficcò tra le labbra.
Sora sospirò, aggrottando le sopracciglia. Taichi alzò le spalle e l’accese. Indossava una maglia a maniche corte di un bianco sbiadito e un paio di jeans che avevano sicuramente visto giorni migliori.
Ed incredibilmente era Sora a sentirsi a disagio con lui, nel suo vestito blu scuro che metteva in risalto quel poco di colore che aveva preso andando in piscina e i sandali con tacco alto.
Taichi continuava a fumare in silenzio fissando quasi con ostinazione la porta dietro di lei, da dove proveniva il vociare degli altri invitati.
-Dovresti rientrare-
-Ti va di venire di là?-
Si guardarono. Avevano parlato contemporaneamente e Sora, malgrado tutto, si ritrovò a sorridere. Vide Tai deglutire e per la prima volta da quando era entrata in quella stanza, sentì il suo sguardo percorrerla interamente. Si mosse sul posto un po’ imbarazzata.
Imbarazzata davanti a Tai, non essere sciocca, si ripeté mentalmente. Eppure si sentiva, sciocca. Voleva dirgli tante cose, ma le parole sembravano sparite da qualche parte e non riusciva a trovarle più.
-Lo sai che non posso-, le rispose Taichi. Finì la sigaretta e la pigiò nel posacenere lì vicino.
Aprì la bocca per ribattere, forse non sapeva nemmeno lei bene cosa, quando sentirono bussare cautamente alla porta.- Sora?-
Era Mimi. Sora si chiese quanto tempo fosse passato. A lei parevano ore.
-Va tutto bene, arrivo-, alzò un po’ la voce per farsi sentire e poi udì il rumore dei tacchi dell’amica allontanarsi. Non era entrata e per questo si ripromise di ringraziarla. Sicuramente le era costato molto, non aprire quella porta.
-Ti lascio tornare dagli altri, - disse infine il ragazzo.
Sora inspirò. Era come paralizzata, eppure aveva vissuto quel momento nella sua testa così tante volte… non riusciva a fare niente, ogni fibra del suo corpo voleva afferrare Taichi per le spalle e farlo tornare quello di sempre. Farlo tornare da lei. E da loro.
Ma quando vuoi una cosa per così tanto tempo, alla fine quel desiderio è talmente radicato in te che hai paura di muovere un solo passo per realizzarlo davvero.
Taichi le diede le spalle e prima di poggiare la mano sulla maniglia e andarsene lasciò sul tavolo un piccolo pacchetto. Si girò un solo attimo, un solo piccolo sorriso che però non arrivava agli occhi. –Buon compleanno, Sora-.



Aveva appena chiuso la porta che dava sul retro. Solo allora, una volta poggiato al muro di mattoni della piccola villetta a schiera di Sora, Taichi si permise di chiudere gli occhi e liberare il battito accelerato del suo cuore.
Perché cazzo vederla faceva così male?
L’hai voluto tu, suggerì una voce dentro di lui. Era vero. Era dannatamente vero. Ma era anche giusto.
-Se stai pensando di fumarti una delle tue orribili sigarette, potresti offrirmene una-.
Taichi sobbalzò. Guardò alla sua sinistra e assottigliò gli occhi per vedere la sagoma di Yamato seduta nell’ombra con un bicchiere in mano.
Sbuffò, mentre lo vedeva avvicinarsi in silenzio. Si poggiò al muro accanto a lui, senza dire altro. Il castano gli allungò il pacchetto e Ishida ne prese una, avvicinando il volto alla fiamma che Tai gli porgeva, mentre a sua volta ne accendeva un’altra.
-Non mi abituerò mai a vederti fumare, Yagami- gli disse, mentre tirava il primo tiro storcendo la bocca. No, non gli piaceva proprio quella roba.
-Se è per quello, non fa proprio per te Ishida- ribatté l’altro.
-Hai dannatamente ragione. E mi fa anche schifo-.
-E allora perché me l’hai chiesta?- insisté Tai, guardando fisso davanti a sé.
Era strano, stare lì con quello che era stato il suo migliore amico per tutta la sua vita –ed infondo, molto infondo Tai sospettava che lo fosse ancora-. Era strano sì, ma strano in un modo giusto.
-Perché- cominciò Yamato- perché a volte si fanno stronzate, ma si può decidere di smettere.-
Taichi ridacchiò.- Sempre con queste frasi a metà, tu-.
A quel punto il biondo si voltò a guardarlo dritto in faccia. Lo zigomo viola lo fece quasi sorridere, déjà-vu. -E tu sempre sordo da non riuscire ad ascoltarle?-  
Il ghigno sul viso dell’altro si disperse immediatamente. Finirono in silenzio di fumare, i grilli cantavano placidi e le risate dentro proseguivano indisturbate.
-Come sta?- mormorò Tai.
-Potresti riferirti a più di una persona. Sii più specifico, - rispose Yamato lasciando andare la testa all’indietro. Sembrava un gesto così stanco.
Tai strinse le labbra in una linea sottile.- Lei l’ho appena vista. Lo sai a chi mi riferisco-.
Yamato gettò la sigaretta e si voltò a guardarlo per un’ultima volta prima d’imboccare il viale verso la porta. –Tua sorella sta meglio fisicamente. Ma sai che a volte questo non basta-.
-Non ho bisogno di un’altra lezione di morale da te,- rispose duro Taichi.
-Oh,- ridacchiò ironico l’altro. – Lo credo anche io. So che hai bisogno di tutti noi, so che hai bisogno di loro due. Quando deciderai di esserti punito abbastanza però potrebbe essere troppo tardi-.
Le ultime parole Yamato le pronunciò con un tono di voce più alto perché a quel punto Tai stava andando via con ampie falcate.
Scosse la testa e il rombo del motore della sua moto coprì il tonfo della porta che si chiuse con forza alle spalle.



Quando andarono via tutti quella sera, Sora si ritrovò a fissare il pacchetto che aveva lasciato sul suo comodino col cuore in gola.
Mimi e gli altri l’avevano aiutata a rassettare tutto. Avevano tentato di tenerle su il morale, per quanto possibile, proprio fino alla fine. Con la sua migliore amica non aveva ancora parlato. Quando era rientrata, Mimi le aveva lanciato uno sguardo carico d’apprensione ma lei aveva annuito, con un piccolo sorriso. Stava bene, -più o meno- poteva resistere ancora e l’indomani avrebbero parlato.
Sulla porta, l’avevano tutti stretta, e poi era successo: Matt l’aveva abbracciata. Era stata una cosa così strana che anche Mimi ne rimase sorpresa. In rare, rarissime occasioni  Yamato Ishida si lasciava andare a manifestazioni d’affetto così plateali davanti ad altre persone. Joe e Izzy si scambiarono un’occhiata, complici. Un’oretta prima l’avevano uscire fuori in giardino e l’avevano anche seguito con lo sguardo quando era rientrato tutt’altro che calmo. La ragione poteva essere una sola, anzi una sola poteva essere la persona ad avergli scatenato una reazione del genere.
Poco prima di sciogliere l’abbraccio, Yamato le aveva sussurrato qualcosa all’orecchio. Qualcosa che Sora sapeva costargli molto. –Resisti-, le aveva detto.
E Sora onorò quel consiglio, quando si fece forza e finalmente aprì il pacchetto improvvisato che le aveva portato Taichi.
Coraggio. Tai le aveva regalato il suo digimedaglione e la sua annessa digipietra. Era un regalo o una resa? La ragazza sperò nella prima ipotesi, ma dentro di lei sapeva che la vera ragione era la seconda. A Sora tremavano le mani quando lo prese tra le dita. Non brillava più, così come gli altri. Ma forse a causa della suggestione o forse perché il suo proprietario era cambiato così tanto, i colori di quello sembravano ancora più spenti. Chiuse gli occhi, portandoselo al petto.
Sì, forse Taichi non credeva più nel suo coraggio. Ma di certo c’erano altre sette persone disposte a farlo per lui.




A qualche chilometro di distanza, il ragazzo castano ballava sotto le luci stroboscopiche senza guardare realmente nessuno. Aveva bevuto e finalmente la testa aveva smesso di pulsargli. Una ragazza al bancone, di spalle a lui, lo fece bloccare un attimo. Ma poi si voltò e lui si maledisse. Sora probabilmente stava già dormendo. O forse aveva già lanciato contro il muro il suo fottuto digimedaglione. Si sentì tirare per un braccio ed una ragazza del suo nuovo gruppo gli sorrise, maliziosa.
Dopo di che, Taichi Yagami non pensò più a niente.





SPAZIO AUTRICE:

Sedici Settembre 2014 recita l’ultimo aggiornamento di questa storia e quando qualche giorno fa l’ho letto sono rimasta quasi shockata. Così tanto tempo? Ma dove sono finiti tutti i giorni in mezzo?Sono stati anni davvero assurdi, per me. Ma le mie beghe personali dubito v’interessino perciò passo oltre.
Bentornati a tutti -sempre se qualcuno avrà avuto il coraggio di arrivare fino alla fine di questo capitolo. Sinceramente, pubblicare un nuovo tassello di questa fan fiction mi trasmette ansia perché non scrivo di loro da così tanto tempo ed ho paura di averli allontanati da me, tutti quanti. Ma non riesco a lasciarli andare, per fortuna o sfortuna ancora non l’ho capito. Starà a voi giudicare, come sempre. Come avrete notato, per la prima volta(credo) in una delle mie storie la vera storia è parte integrante di essa. Non me la sono sentita di escludere Digiworld, stavolta anche se i riferimenti saranno sempre al passato, come un’esperienza della loro infanzia chiusa e finita ma che ovviamente li ha segnati tutti.
Spero di ritrovarvi perché, sarò sincera: mi siete mancati.
Alla prossima e mi auguro che il quinto capitolo giunga decisamente più in fretta.

Ps. Il titolo del capitolo, oltre che al chiaro riferimento dell’inizio con la lezione di astronomia, richiama anche la fine. Che simbolo c’è sulla digipietra di Taichi?
Pss. Un ringraziamento speciale va a eleCorti. Spero di aver onorato la tua pazienza.
Sabrina



   
 
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