Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lyel    28/04/2016    2 recensioni
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Ed era proprio questa sua debolezza che gli permetteva di apprezzare maggiormente le braccia di Erwin intorno al suo busto, il petto ampio che gli faceva da scudo e da supporto nei momenti di fragilità emotiva. Quello era il suo luogo preferito: gli abbracci del Comandante erano caldi e confortanti, il miglior rifugio quando voleva dimenticare il mondo che era costretto ad abitare, le scene cui assisteva e che ricorrevano costantemente nei suoi incubi.
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Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Erwin Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disegno di Frida Rush~




Il sole, anche quel giorno, stava già tramontando dietro al Wall Rose ponendo termine alla giornata che era stata tanto tranquilla da poterla quasi considerare di riposo. I raggi sembravano definire le mura con una linea luminosa che si estendeva a perdita d’occhio e che indirizzava la fantasia oltre quelle: Armin sapeva benissimo che il mondo esterno era la manifestazione più perfetta e incontaminata del pianeta ed era sicuro –oh, avrebbe fatto in modo che la sua sicurezza non risultasse vana- che prima o poi sarebbe riuscito a vederlo.
Era quello l’obiettivo che si era preposto sin da piccolo, che aveva continuato a rafforzarsi seguendo Eren quando era entrato nella Legione Esplorativa. Entrambi perseguivano quel sogno, lo condividevano ed era il motivo che li spingeva a prendere le decisioni, a vivere tutti i giorni, uno dopo l’altro, con la speranza che ci fosse un domani e un futuro perfetto per i loro figli, per le generazioni successive, per l’intera umanità.
Furono quelle considerazioni a disegnargli un sorriso felice sulle labbra: presto o tardi avrebbe ringraziato opportunamente qualunque divinità gli avesse piazzato affianco Eren e Mikasa, i suoi punti fermi, le basi solide su cui aveva costruito l’Armin che era in quel momento.
Da poco tempo in cima a una gerarchia d’importanza, al lato dei suoi amici, si era posta un’altra persona che aveva raggiunto quel livello con una velocità disarmante. I suoi pensieri cercarono immediatamente di mettere a fuoco quella figura nella sua immaginazione: a partire dai capelli biondi, dai lineamenti forti e decisi, scendendo poi nei particolari degli occhi che sembravano nascondere molta più intelligenza e conoscenza di quanto la persona stessa dimostrasse, e delle labbra sempre tese in una linea sottile che gli conferiva un’espressione perennemente seria. Era un uomo imponente, la sua presenza chiaramente percepibile anche senza la necessità di incontrarla con gli occhi. Riusciva a gestire l’intera Legione Esplorativa al meglio con una precisione che poche altre persone sarebbero state capaci di raggiungere.
Sì, era lui: il Comandante Erwin.
Armin lo stimava, lo rispettava, lo ammirava. Lo amava.
Arrossì leggermente e si decise a staccare gli occhi dallo spettacolo del tramonto, ormai quasi del tutto consumato, per poi avviarsi a passi svelti verso una stanza lì vicina. Bussò e attese vari secondi prima di capire che nessuno sarebbe venuto ad accoglierlo, perciò aprì la porta e s’infilò con discrezione cercandolo nella luce soffusa: era sicuro che, dopo essersi rifugiato lì dentro durante il pomeriggio, l’uomo non fosse uscito. Notò il chiarore di una lanterna farsi strada fuori dal bagno, il quale diventò la sua destinazione. Fu quasi intenerito di trovarlo immerso nell’acqua fumante della vasca con un cipiglio sulla fronte, quasi come se tentasse di rilassarsi senza però riuscirci turbato da qualche pensiero negativo.
«Sono tornato».
Erwin non aprì subito gli occhi, ma l’angolo della sua bocca s’inarcò leggermente all’insù, confermandogli che lo aveva sentito. Armin si sentiva un ragazzo privilegiato perché, da quando il loro rapporto si era approfondito, Erwin gli aveva dato la tacita concessione di rimanere al suo fianco, preoccupandosi sempre di assicurargli che la sua presenza era gradita anche nei momenti in cui era impegnato e quindi impossibilitato a dedicargli il tempo che il ragazzino si meritava. Era proprio tipico del Comandante inserire la dolcezza in ogni parola che rivolgeva al più piccolo, in modo da farlo sentire quasi importante: a ogni occasione era pronto a ripetergli che era un onore potersi prendere cura di lui, anche se era Armin il primo a sentirsi nello stesso modo.
Il ragazzo sorrise di rimando e andò ad accovacciarsi di fianco alla vasca per poterlo guardare più da vicino con gli occhi affascinati. Appoggiò un dito sul suo braccio, accarezzando lentamente quella parte di pelle asciutta perché fuori dall’acqua, poi risalì fino alla scapola continuando la sua corsa verso la bocca. Lì lasciò il polpastrello indugiare dolcemente prima sul labbro superiore e poi in direzione inversa su quello inferiore, fermandosi riluttante solo quando le sentì muoversi.
«Hai l’abilità di farmi rilassare con pochi gesti», gli confessò quella voce profonda. «Prima o poi mi dirai come fai, sicché possa ricambiarti il favore.»
Il ragazzo non poté evitare a un altro sorriso di farsi strada sul suo volto, contento di avere questo effetto sull’altro. «Sei sempre tu che ti prendi cura di me. Lascia che sia io, per una volta, ad aiutarti.»
Fece forza sul bordo della vasca per tirarsi in piedi. Sentiva il corpo stanco per gli allenamenti intensi dei giorni precedenti, per lui gli esercizi a cui erano sottoposti tutti i componenti della Legione rappresentavano il doppio della fatica. Era consapevole della sua debolezza fisica –non notarlo sarebbe stato da stolti- la quale gli faceva ammirare i suoi amici come se fossero loro quelli che eccellevano in forza, anche se era chiaramente lui che sforava dalla media. Era affascinante osservare con quanta fluidità i suoi compagni si destreggiavano tra i rami delle foreste durante le spedizioni, evitando con eleganza gli ostacoli che si ponevano loro davanti, e riuscivano a scavare la pelle dei titani con le loro lame: per alcuni di loro pareva che non facessero altro che uccidere quei mostri dalla nascita.
Ed era proprio questa sua debolezza che gli permetteva di apprezzare maggiormente le braccia di Erwin intorno al suo busto, il petto ampio che gli faceva da scudo e da supporto nei momenti di fragilità emotiva. Quello era il suo luogo preferito: gli abbracci del Comandante erano caldi e confortanti, il miglior rifugio quando voleva dimenticare il mondo che era costretto ad abitare, le scene cui assisteva e che ricorrevano costantemente nei suoi incubi.
Allungò una mano verso un recipiente cilindrico e trasparente lì vicino, versandone parte del contenuto liquido e denso su una mano e, senza aspettarsi una risposta, iniziò a insaponare con dolcezza i capelli biondi dell’uomo. I suoi movimenti sfregarono inizialmente per rimuovere ogni singola polvere o sporcizia, ma ben presto si trasformarono in un lento massaggio alle tempie. Le sue orecchie furono raggiunte dal rumore di un debole sospiro rilassato e soddisfatto.
«Potrei abituarmi, Armin», fu il commento che sembrava nascondere una sorta di avvertimento.
«Come se per me fosse un sacrificio», sbuffò divertito il minore, allungando il braccio a prendere questa volta una bacinella. La riempì d’acqua e la utilizzò per sciacquare via la schiuma dai capelli dell’altro.
«Non lo è?»
Quando Armin finì il lavoro sorrise, incontrando il suo penetrante sguardo azzurro. Tese la mano nuovamente verso il suo viso per potergli accarezzare uno zigomo, cercando di trasferirgli almeno una parte di tutta la dolcezza che sentiva permeare nel suo animo in quel momento.
«È così difficile da credere?», sussurrò. «La fatica non è niente quando si parla di passare del tempo con te».
Era vero, il ragazzo non mentiva. Il pensiero di fare qualcosa finalizzato al benessere o alla felicità di Erwin era il motore delle sue azioni, la fatica si riduceva al minimo d’importanza e dava il massimo di sé. Il pensiero di rendere Erwin fiero di lui era ormai una costante, un bisogno naturale di farsi apprezzare dall’uomo che aveva scelto: non che fossero necessari i suoi servigi per renderlo desiderabile agli occhi dell’altro, questo Armin lo sapeva molto bene, ma anche un semplice gesto, come quello di preparare la cena e spendere una serata da soli, non poteva che consolidare un legame tra loro già forte.
Erwin gli sorrise e Armin lesse la riconoscenza nei suoi occhi. Lo vide alzarsi premurandosi di non farlo troppo velocemente e sedersi poi sul bordo della vasca. Armin si affrettò a prendere l’accappatoio lì vicino e appoggiarglielo sulle spalle.
«Non so per quale motivo mi merito tanto e non farò il moralista dicendo che sono ben altre le persone che hanno bisogno di creature meravigliose come te al loro fianco. Un po’ di egoismo non nuoce», affermò l’uomo, approfittando della vicinanza per afferrargli un braccio, tirarlo più vicino e schiudere le labbra.
Armin non aspettò oltre per abbassarsi sul viso dell’altro fino a che le loro bocche si sfiorarono, le une docili, le altre piene di bisogno, e i loro respiri si mescolarono.
Era una bella sensazione quella che precedeva il contatto vero e proprio, una sorta di momento in un limbo costituito d’attesa e di aspettativa. Stavano per baciarsi, quella era una verità imprescindibile. Era ciò che in quel momento entrambi volevano fare di più al mondo, ancor più di vivere e di respirare, ma nessuno dei due osava fare il primo passo perché capivano la preziosità di quel momento e volevano prolungarlo all’infinito.
Il tutto durò finché l’istinto non prese il sopravvento e Armin si ritrovò ad assaporare a occhi chiusi le labbra che abitavano le sue fantasie. Ora poteva sentire chiaramente l’impellente bisogno tramutarsi in dolce piacere, una condizione emotiva che giocava con il suo cuore, lo avvolgeva con rudezza e lo spingeva al massimo. All’esterno non traspariva nemmeno parte dell’impulsività di questo sentimento, nessuno avrebbe potuto capire quanto fosse travolgente: il loro bacio fu lento, si convertì presto nel mezzo per scoprire l’uno le emozioni dell’altro attraverso il contatto delle loro anime.
Quella di Erwin era la più interessante delle personalità che avesse mai potuto incontrare: quando si trattava di lavoro impegnava tutto se stesso nel suo compito, eccelleva sia nell’attività fisica che in quella strategica; sembrava impenetrabile, se lui non lo permetteva nessuno poteva leggere i suoi pensieri o il suo stato d’animo nemmeno attraverso quegli occhi profondi; era saggio e astuto, abile a prendere le decisioni corrette anche in poco tempo o in tensione.
Era tutto ciò che Armin voleva diventare.
Erwin fu il primo a staccarsi, lentamente per non spezzare quell’intesa creatasi tra i due. Prese il viso del minore in una mano e con un pollice gli accarezzò una guancia.
«Vai di là. Aspettami».
Armin fece come detto, pronto a salutare la giornata ormai al termine. Si diresse in una stanza lì affianco, buia, e accese la fiamma della candela di una lampada. La luce illuminò una camera disadorna: un grande letto, un comodino, un armadio – tutti di legno – e dei vari tappeti che coprivano il pavimento e rendevano alla stanza un minimo di colore. Si svestì della divisa militare, sostituendola con una maglia bianca di Erwin che, coprendolo fino  a metà coscia, fungeva quasi da vestaglia; quello che i due avevano fatto quando avevano iniziato a dormire insieme era una sorta di patto: Erwin amava poter vedere Armin indossare i suoi vestiti nella privatezza del loro alloggio, gli procurava  una forte sensazione di profonda intimità, dall’altra Armin la utilizzava come scusa per avere l’odore dell’uomo ad avvolgerlo.
S’infilò sotto le coperte e non dovette aspettare molto per sentire un peso nel letto al suo fianco.
Un paio di braccia lo avvolse e lo strinse verso un petto ampio e confortevole che sapeva così tanto di lui. Cedette alla tentazione di baciargli il lembo di pelle dei pettorali che si intravedeva dalla maglia che Erwin stava indossando e di rimando sentì le labbra calde del maggiore posarsi fra i suoi capelli.
Armin sorrise, Erwin anche.
«Buonanotte, Comandante», sussurrò il ragazzo con la voce distorta dal sonno. Anche quelle poche parole erano biascicate dalla stanchezza che lo costringeva a rilassarsi.
«Buonanotte, Armin».
E con le ultime, dolci effusioni anche quella giornata si concluse.


 

Note d’autrice:
il titolo è tratto da una frase di 'Piccoli particolari' degli Huga Flame.
ebbene sì, sono qui con una winmin. Non scrivo da un anno e notando che nel fandom inglese abbonda sono rimasta un po’ spiazzata vedendo efp scarso in merito. Perciò avevo in mente di scriverne una, chissà che qualcuno leggendo inizi ad appassionarsi a loro <3
La verità ufficiale è che oggi è un giorno importante per una personcina importante, quindi questa fanfic è dedicata tutta a lei. Takkun, mi raccomando, goditi questo giorno! ^^ È l’unica cosa che possa fare, anche se vorrei avere qualche scelta in più! <3
Il disegno all'inizio è opera di Frida Rush! Mi fa piacere che questa fanfic ti abbia ispirata tanto da disegnarci su *^* Grazie mille, è bellissimo!
Grazie a tutti per aver letto fino a qui! :D


 
  
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