Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Northern Isa    29/04/2016    0 recensioni
Inghilterra, XI secolo. Una terra di cavalieri e stregoni dominata da re Ethelred l'Impreparato, sopravvissuta alle incursioni vichinghe, si appresta ora a vivere un periodo di pace.
Nonostante la tregua, l'equilibrio tra maghi e Babbani è sempre più instabile, non tutti i Fondatori di Hogwarts condividono l'operato del sovrano e c'è chi auspica un dominio dei maghi sull'Inghilterra. Una nuova minaccia è alle porte: Sweyn Barbaforcuta e i suoi Danesi sono ancora temibili, e questa volta hanno un esercito di Creature Magiche dalla loro. Roderick Ravenclaw, nipote della celebre Rowena, farà presto i conti con quella minaccia. Ma scoprirà anche che il pericolo maggiore per lui proviene dal suo passato.
[Questa storia partecipa al contest "Gary Stu, noi ti amiamo" di Santa Vio da Petralcina]
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 30


Salazar si trovava nel suo studio, i gomiti puntati sul piano di legno  del tavolo davanti a lui, il mento poggiato sulle dita intrecciate. Aveva lo sguardo fisso sull’architrave della porta che si trovava dall’altra parte della stanza, di fronte alla scrivania, ma la sua mente era altrove.
Lo aveva visto nelle viscere, perché ciò che aveva profetizzato tardava ad avverarsi?
Salazar distolse lo sguardo e corrugò la fronte. Il re danese sarebbe dovuto venire da lui, ma ancora non si era visto. Il mago sapeva che Sweyn Barbaforcuta non si fidava di lui per quella storia dei messaggeri spariti nel nulla, e sapeva inoltre che non poteva fare molto per fargli cambiare idea. Il nuovo sovrano aveva inviato i suoi uomini da tutti i lord dell’isola per chiedere loro di fare atto di sottomissione e riceveva regolarmente i loro rapporti. Tuttavia l’ultimo era stato inviato dal castello di Salazar Slytherin, per questo il re lo aveva collegato alla loro scomparsa. Invece Salazar aveva visto i messaggeri volgergli la schiena e allontanarsi tra le paludi a dorso dei loro cavalli, non c’entrava nulla con la loro scomparsa, anche se, da una parte, avrebbe tanto voluto. Solo dopo si era reso conto che probabilmente i Danesi avevano raggiunto l’ulteriore tappa del South Norfolk. Che Roderick avesse dato loro una sanguinosa accoglienza? Da una parte, Salazar non riusciva a capacitarsene. Gli sembrava che non fosse trascorso poi molto tempo da quando il Ravenclaw, alto un metro o giù di lì, si nascondeva ridendo tra le gonne di sua zia, o giocava spensierato con sua figlia Lamia. D’altra parte però, negli ultimi tempi il ragazzo si era mostrato capace di più di quanto lui avesse mai osato immaginare.
Salazar strinse le dita delle mani a pugno e serrò le labbra al pensiero. Roderick aveva infangato il suo nome e il suo onore lasciando Lamia sull’altare e, come se non bastasse, si vociferava che avesse un’altra donna. Furibondo come mai avrebbe immaginato di essere con il giovane, si era presentato al castello che lui gli aveva tanto generosamente concesso alla ricerca di una spiegazione. Roderick invece era completamente sparito nel nulla, aggravando così la sua posizione.
Salzar si era fatto prendere dall’ira. Aveva iniziato a pensare a dove fosse potuto andare il giovane, e a cosa l’avesse portato a sparire, così aveva iniziato le sue ricerche. Aveva scoperto che non c’era traccia di lui a Hogwarts, né al castello di Bachelor. Nessuno dei Fondatori l’aveva visto, nemmeno sua zia; nessuno dei suoi amici aveva avuto sue notizie. Aveva perfino cercato di scoprire l’identità della sua misteriosa amante, ma non aveva trovato alcuna traccia di lei. Dov’era potuto andare, allora? Salazar non riusciva a pensare a nessun altro posto in cui Roderick avrebbe potuto trovare rifugio.
D’un tratto, tutto fu drammaticamente chiaro. Come una folgore, un ricordo attraversò la sua mente. Roderick che, in un ambiente di quello stesso castello, gli manifestava con calore la volontà di uccidere Sweyn Barbaforcuta. Lui che gli rivelava che sua madre aveva ucciso suo padre. E Roderick sapeva che Vistoria era stata vista con i Danesi.
Il mago affondò la testa tra le mani, l’ira che aveva provato nei confronti del ragazzo si era trasformata in preoccupazione e rimorso. Roderick non si era comportato in quel modo per infangare il suo onore e tradire la fiducia, ma per evitare che gli Slytherin potessero venire in alcun modo coinvolti in ciò che aveva in mente.
Il mago si sollevò di scatto dallo scranno che occupava; doveva capire. Uscì dallo studio e percorse il castello finché non giunse nella sala in cui conservava tutti i suoi strumenti divinatori. Afferrò un altro fegato e lo aprì con mani febbrili. Per quanto lo rigirasse tra le dita, ciò che vedeva era chiaro: nessun Sweyn Barbaforcuta sarebbe giunto al suo castello.
Il cuore di Salazar mancò un battito. Doveva andare a cercare Rowena.
Roderick continuava a giacere nel buio, senza altre visite, dopo quella di sua madre, al di fuori quelle dei topi che infestavano le segrete. Si era accorto molto presto della loro presenza. Le loro zampette avevano iniziato a percorrere il pavimento di pietra, i loro squittii risuonavano seguiti da strane eco, i loro occhietti ogni tanto rilucevano nell’oscurità, colpiti dalle lame di luce opaca che filtravano attraverso i cardini della porta. All’inizio erano stati presenze discrete, poi, appena avevano capito che Roderick non rappresentava per loro una minaccia, si erano avvicinati sempre di più. Erano arrivati a mordergli gli stivali e a tirargli le vesti. Travolto dalla rabbia e dal disgusto, Roderick li aveva scacciati dapprima agitando le braccia, poi aveva esploso due sfere di fuoco dai palmi. Queste erano andate ad estinguersi all’altra estremità della cella, contro la pietra fredda e umida, ma la vista delle fiamme era bastata a tenere lontani quegli odiosi animali. Roderick però sapeva che sarebbero tornati, più audaci di prima, e lui non avrebbe potuto scagliare palle di fuoco all’infinito.
Affamato, indolenzito e sconfortato, si ritirò nel suo angolo e si cinse le ginocchia con le braccia. Nel muoversi urtò qualcosa: un secchio, nel quale con grande probabilità avrebbe dovuto espletare le sue funzioni corporee. Disgustato, cercò di non pensare alla cella oscura in cui si trovava.
Pensò a sua zia Rowena e a quando si era raccomandata affinché lui non andasse a giocare troppo vicino al Tranello del Diavolo, a Lord Salazar e alla bacchetta che gli aveva donato. Pensò alle ronde di pattuglia con Baldric quando erano Prefetti, all’aria di sfida con cui la generalmente timida Abigail gli aveva detto che, da nata Babbana, un giorno avrebbe fatto impallidire i maghi Purosangue. Pensò alla composizione floreale che Lamia gli aveva regalato per il suo undicesimo compleanno. Di colpo, l’impressione di aver sbagliato tutto lo travolse. Tutte quelle persone avevano dimostrato di essergli sinceramente affezionate, e lui aveva mentito a tutte loro, tradendole. Eppure si era sempre ripetuto di fare tutto per loro: mirava alla libertà da Sweyn e dai Danesi. Sua zia Rowena, Lord Salazar, Baldric, Lamia e anche Abigail sarebbero stati meglio senza di loro. Ma aveva fallito, e nessuno di loro avrebbe saputo per quale ragione Roderick gli aveva mentito. Aveva anche approfittato della devozione di Abigail e tradito Lamia, sapendo che l’avrebbe lasciata sull’altare per allontanarsi da lei e da suo padre. Alla fine di Abigail si era innamorato veramente, e lei non l’avrebbe mai saputo. Tutti loro l’avrebbero ritenuto un infame, un impostore, un mentitore, e l’avrebbero odiato. E lui non avrebbe potuto smentirli in alcun modo.
Roderick affondò il visto tra le mani e pianse.
Trascorse un’eternità, dopodiché la porta della cella ruotò sui cardini, svegliando il prigioniero con il suo cigolio. Due uomini armati di tutto punto lo afferrarono rudemente per le spalle e lo sollevarono, ignorando il suo grugnito di sofferenza. Gli legarono i polsi con una corda e lo trascinarono fuori dalla cella. Roderick fu in grado solo di muovere stupidamente il capo per cercare di capire chi fossero quegli uomini e cosa volessero da lui.
Le due guardie lo portarono fuori dalle segrete, su per alcune scale a chiocciola che si arrampicavano nelle viscere di una torre. Attraversarono ancora una porta e spinsero il giovane nella luce del giorno.
Accecato, Roderick dovette sbattere ripetutamente le palpebre per riuscire a vedere qualcosa. Si mosse a tentoni, sorreggendosi con la spalla a un muro; quando i suoi occhi si abituarono all’intensa luce solare, fece un salto all’indietro per il terrore. Le guardie lo avevano condotto su una sorta di terrazzo che si apriva sul fianco di una delle torri del castello, ma che non aveva parapetto. Muovendosi senza sapere dove stesse andando, per poco Roderick non era caduto di sotto.
Con occhi sbarrati osservò il cortile che si apriva sotto di lui, il suo petto si sollevava e abbassava ritmicamente mentre sudore freddo gli bagnava la fronte. Le guardie, a pochi passi da lui, ridevano tra loro.
«Cos’è, hai paura di morire?» domandò una delle due nel suo dialetto. Roderick strinse le labbra e non rispose.
«Se ti spiaccicavi di sotto non cambiava molto, visto che questo è il tuo destino» sogghignò l’altra.
In quel momento, la porta che conduceva al terrazzo si aprì di nuovo, lasciando passare altri armigeri, seguiti dal principe Knut. Aveva un aspetto orribile, osservò Roderick, con quelle guance scavate, il colorito smunto e una rada barba disordinata. Sopra le occhiaie marcate però lo sguardo era terribilmente vigile e determinato. Roderick notò che tra le ciocche scarmigliate dei suoi capelli era stato collocato un cerchio di metallo.
Appena i carcerieri si accorsero della presenza del principe, smisero di ridere e costrinsero il prigioniero a inginocchiarsi. Roderick gemette per il colpo ricevuto; con un paio di falcate Knut fu davanti a lui. Sotto la superficie tesa della pelle del viso, i muscoli erano contratti.
Roderick si chiese se avrebbe dovuto dire qualcosa. Non era affatto pentito di ciò  che aveva fatto a Sweyn, però per Knut avrebbe quasi potuto dispiacersi. Forse perché in tante cose era molto simile a Baldric.
Ogni parola che gli veniva alla mente però gli sembrava vana e ipocrita, così decise di non nominare Sweyn.
«Mia madre…» inizò. Fu sorpreso di notare quanto rauca fosse risuonata la sua voce.
«Non verrà» tagliò corto il principe. Anche lui sembrava essere intenzionato a non sprecare parole.
Senza scollare gli occhi dal mago, mosse una mano in direzione degli uomini alle sue spalle. Le guardie gli portarono un involto di grandi dimensioni di un tessuto marrone che Roderick non riuscì a riconoscere.
Knut lo afferrò e iniziò ad allontanare i lembi dell’involto per svelarne il contenuto. Fu proprio in mezzo a quelle estremità di tessuto che Roderick notò uno scintillio di metallo. Una solida impugnatura di legno, intorno alla quale erano avvolte strettamente delle strisce di cuoio, delle rune incise sui bordi accuratamente affilati: Knut reggeva una maestosa ascia bipenne.
A quella vista, qualcosa scattò in Roderick. Iniziò a divincolarsi con tutte le sue forze, riuscendo a sottrarre alla presa di uno dei suoi carcerieri il braccio sinistro. Urlava, inveiva, invocava aiuto. Gridò le formule di alcuni incantesimi oscuri insegnatigli da Lord Slytherin, ma furono del tutto inefficaci senza bacchetta. Cercò allora di esplodere delle palle di fuoco dai palmi: non aveva bisogno di rievocare il ricordo di quando era rimasto chiuso nella Camera dei Segreti, il terrore che provava ora era di gran lunga più intenso.
Gli armigeri riuscirono ad afferrarlo nuovamente, deviando così l’unica, grande sfera di fuoco che provenne dalle sue mani legate insieme. Nella confusione, questa andò a colpire due guardie che si trovavano lì vicino; le loro urla furono alte, ma i loro compagni riuscirono rapidamente ad estinguere il fuoco rovesciando loro addosso un intero cato d’acqua. Attrezzati com’erano, erano intervenuti così rapidamente da evitare che il fuoco causasse danni rilevanti.
Roderick venne colpito duramente alla tempia, e questo bastò a ripristinare la calma sul terrazzo. A un’ordine di Knut, le guardie portarono davanti al prigioniero un altro recipiente colmo d’acqua, poi lo costrinsero a immergere le mani. In quell’istante, Roderick seppe di essere veramente perduto.
Qualcosa doveva aver attraversato i suoi occhi, perché Knut si illuminò di un selvaggio trionfo. Il suo volto parve meno emaciato di prima e le pupille sembravano tizzoni ardenti.
Roderick aprì la bocca per parlare, ma una guardia lo colpì con un manrovescio talmente forte che gli ruotò il capo. Il giovane sentì le labbra invase dal sapore ferroso del suo sangue, tossì e sputò un dente.
Sollevò la testa in tempo per scorgere Knut che impugnava nuovamente la bipenne. L’ultima cosa che vide fu lo scintillio della lama che venne sollevata. Poi chiuse gli occhi, sperando solo che tutto finisse presto.
 
Rowena sedette su un ceppo d’albero, con occhi sbarrati. Il luogo in cui lei e Salazar si erano accampati, poco lontano da Londra, puzzava di bruciato e di liquami. Il mago aveva garantito che la città era messa anche peggio, e che ad ogni modo per loro sarebbe stato pericoloso soggiornarvi. Non avevano alleati, laggiù.
La strega si morse le labbra, sentendo che il peso che le gravava il petto stava diventando ormai intollerabile.
Salazar le si avvicinò e le strinse una mano. La donna espirò profondamente. Era buffo, quello era il loro primo contatto da anni. Eppure gli era grata per aver osato tanto.
«Sei stato laggiù» disse con un filo di voce.
Non era una domanda, e Salazar comprese. Il mago aveva insistito affinché lei rimanesse fuori dal perimetro della città, mentre lui vi si inoltrava, diretto verso il castello. Era tornato a prenderla molto tempo dopo, e da solo. Rowena sapeva perfettamente cosa voleva dire, senza bisogno di parole.
«Avrei dovuto fare qualcosa.» Nel parlare, la voce le si incrinò.
«No, Rowena. Non avresti potuto fare niente: siamo arrivati troppo tardi.»
La strega ebbe voglia di esplodere in mille frammenti fluttuanti nell’aria, lontana da tutto ciò che stava vivendo. Lontana dal dolore, dalla rabbia, da una nuova ferita che si era aperta accanto a una vecchia, mai rimarginata.
Salazar aveva fatto il possibile, e anche di più, lei lo sapeva.
«Ho ucciso Vistoria» le sussurrò, accarezzandole i capelli. Rowena socchiuse gli occhi.
Erano trascorse settimane da quando quel barbaro principe aveva torturato e ucciso Roderick. Salazar si affiancò al vetro della finestra a sesto acuto e sospirò. Nonostante quella perdita, il mondo era andato avanti, come se lo avesse dimenticato. Del resto, Roderick non era che una tra le centinaia, forse migliaia di vittime che quella guerra aveva provocato. Eppure per lui era più che un semplice numero.
Il mago si staccò dalla cornice della finestra e indossò il mantello, pronto per uscire. Nel cortile del castello, il suo attendente lo aspettava reggendo per le briglie il Thestral che avrebbe cavalcato fino al castello dei Bachelor. Più rapidi dei Grani, si era detto. Inforcò la sella e superò, galoppando, il barbacane. Quando fu fuori, spiccò il volo.
Atterrò di fronte al grande ponte levatoio del castello dell’arciduca Bachelor, che era stato abbassato in vista del suo arrivo. Lo percorse rapidamente e, appena fu dentro, venne accolto da Rowena. La strega gli corse incontro, prese poi in consegna il Thestral e il suo mantello.
«Ho delle notizie importanti» esordì la donna. Dall’espressione del suo viso, Salazar non riuscì a capire se si trattasse di buone o cattive notizie. Da quando Roderick era morto, il volto di Rowena era diventato di pietra.
La strega lo condusse all’interno dell’edificio, dove trovò l’arciduca stesso ad attenderli. Beauregard fece strada e introdusse Salazar in un’ampio salone con il camino acceso.
«Mi accennavate a delle novità» disse il mago, sedendosi al tavolo e congiungendo le dita di fronte a sé.
L’arciduca annuì.
«L’abbiamo saputo da pochissimo. Si tratta di notizie riservate, che se finissero nelle mani sbagliate potrebbero costarci la vita. Ma sono anche confermate, dal momento che provengono da una fonte accertata.»
Salazar roteò gli occhi davanti a quella posopopea. Istintivamente volse lo sguardo verso Rowena, che costrinse il marito a tagliare corto.
«Si tratta del re» disse. Qualcosa si mosse dietro la maschera di pietra.
«Re Knut?» domandò Salazar, sollevado un sopracciglio. Il figlio di Barbaforcuta era stato proclamato re dall’esercito alla morte del padre, ma non si trattava di una novità.
«No, re Ethelred.» Sul viso di Rowena si aprì l’ombra di un sorriso. «Sta tornando.»
Salazar ebbe difficoltà a credere alle sue orecchie. Il pasciuto, pavido Ethelred, al sicuro in Normandia da suo cugino, stava ritornando in Inghilterra?
«Il titolo di Knut è stato messo in discussione dai magnati» spiegò Rowena. «Chiunque rifiuta i Danesi e vuole indietro re Ethelred.»
Salazar dubitò che volessero realmente indietro quel vecchio stupido, quanto piuttosto quello che lui rappresentava: un regno libero da invasori stranieri. E soprattutto, l’erede di Ethelred era Edmond che, a differenza del padre, sembrava un uomo capace.
«Sta tornando?» domandò ancora il Fondatore. «Con degli alleati?»
«È riuscito a mettere insieme un esercito.»
Rowena interpretò correttamente lo sguardo interrogativo di Salazar prima che lui potesse esternare una qualsiasi domanda.
«Abbastanza grande da costringere Knut alla fuga.»
Solo dopo aver accolto l’informazione da qualche istante, Salazar si rese conto che stava sorridendo. Non amava re Ethelred e nulla avrebbe potuto cambiare lo stato dei fatti. Ma forse, se lui si era messo alla testa di un esercito per tornare in Inghilterra, c’era ancora speranza. Per quella terra, per loro, per le loro famiglie.
Quando il mago fu pronto a lasciare il castello, Rowena lo accompagnò alle stalle dove avevano fatto riposare il suo Thestral. La donna accarezzò distrattamente il muso della Creatura Magica, poi passò le redini a Salazar. Nel compiere quel gesto, le loro mani si sfiorarono.
Il mago la salutò, chinando leggermente il capo. Poi salì in groppa alla creatura e la spronò al galoppo. Oltrepassate le mura del castello, spiccò il volo.
Lì, sospesi nell’aria, i pensieri sembravano assumere un nuovo colore.
Forse, dopotutto, agli occhi dei posteri Roderick non sarebbe sembrato un caduto tra tanti, ma sarebbe stato giustamente considerato come colui che, ucciso il re conquistatore danese, aveva permesso tutto ciò che di lì a poco si sarebbe verificato. Un’Inghilterra di nuovo libera, di nuovo forte, di nuovo temibile.
Il pensierò risultò così audace che Salazar gettò il capo all’indietro ed esplose in una nuova risata.
«E tutto per mano del mio ragazzo!»
Il vento si portò via le sue parole.






NdA: Un minuto di silenzio per Roddy. È la prima volta che uccido un protagonista, questa cosa mi esalta e mi riempie di amarezza insieme. Mi ero affezionata a lui, povero ciccino, ma doveva morire ai fini della trama. Le cose non sarebbero potute andare diversamente.
In realtà può sembrare che la sua sia stata una fine troppo tenera per un regicida. Non volevo esagerare descrivendo chissà cosa, considerato che, dal pov del protagonista, sarebbe stato tutto più duro. Però ci tengo a sottolineare che c’era una tortura vichinga che consisteva nell’amputazione degli arti, per poi lasciare il malcapitato in quelle condizioni. Sappi che è ciò che è successo
Il linguaggio sgrammaticato dei suoi carcerieri è voluto.
Passando alla conclusione, ci stava, ammettiamolo :’) Anche questa è storia: Ethelred, messo insieme un esercito, costringe veramente Knut a lasciare l’Inghilterra. Quando si prepara a salpare, il Danese mutila gli ostaggi che i nobili locali avevano dato a Sweyn a garanzia del loro sostegno. Non c’è quindi da meravigliarsi del trattamento che Knut ha riservato a Roderick. Knut non era stato riconosciuto vero erede di Sweyn perché questi aveva un figlio maggiore, che diventa re di Danimarca. Knut gli propone di governare insieme, ma suo fratello Harald non accoglie il suo appello. Gli promette il suo sostegno però se conquisterà l’Inghilterra. Knut torna così alla carica, conquista diversi territori inglesi e giunge nuovamente ad assediare Londra. Ethelred muore durante l’assedio e suo figlio, il principe Edmond, viene proclamato re. Segue la battaglia decisiva tra le forze di Knut e quelle di Edmond; nonostante il valore dimostrato da quest’ultimo, deve piegarsi al Danese per ottenere la pace. Knut ed Edmond si accordano allora per dividersi il regno. La morte di Edmond qualche tempo dopo lascia Knut unico sovrano d’Inghilterra, e alla fin fine fu pure un buon re. Tuttavia, alla fine della mia storia, Salazar ancora non lo sa, e lasciamolo crogiolare nella pia speranza che Roderick abbia cambiato davvero le cose.
Roddino, ti amiamo :’D

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Northern Isa