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Autore: Clytie    01/05/2016    2 recensioni
Nemmeno un bacio di addio né una carezza con dita pallide e tremanti, solo parole pronunciate a metà e lacrime dal sapore acre. Nemmeno un bacio.
Prima classifica a parimerito al contest "Idee in libera uscita" di meryl watase sul forum.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 1, Doctor - 10, Jackie Tyler, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se queste ali








È un giorno come tanti altri, quello (d’altronde i giorni si accavallano in monotona successione da quando il Dottore non è più con lei): una serie di vagiti incessanti destano Rose Tyler prima ancora che sia la sveglia ad occuparsene, poi l’aroma penetrante del caffè giunge a solleticarle le narici simultaneamente al saluto di sua madre.
    «Si è svegliato senza trovarmi lì con lui» spiega Jackie, cullando il piccolo Tony tra le braccia. Pare calmarsi istantaneamente, come avvertisse il calore di quello sguardo materno che veglia su di lui.
    Rose inarca appena le labbra. È contenta che finalmente non sia più sola; Pete non sarà il suo vero padre, ma ha provato a più riprese di amarle immensamente. Ora lei gode di un lavoro ben pagato, una famiglia unita, buoni amici, l’affetto del suo caro Mickey, una vita ordinaria. Si potrebbe forse desiderare di meglio?
    , risponde il cuore di Rose, nonostante il cervello le comandi di non disprezzare la fortuna toccatale in sorte.
    Eppure, non sa accontentarsi. Non è in grado di placare la sete di conoscenza che serba in animo, il bisogno quasi fisico di viaggiare con il misterioso uomo nella cabina blu che le salvò la vita in un grande magazzino a Londra, molto tempo prima. A volte pensa egoisticamente che darebbe indietro tutta questa nuova vita per trascorrere un solo altro giorno con lui. Poi si maledice in silenzio e seppellisce questo desiderio in un angolo inaccessibile di cuore, in fondo, dove a nessuno sia concesso di scorgerlo.
    «Il caffè è pronto, se vuoi fare colazione con noi» sussurra sua madre che, ormai avvezza ai suoi sbalzi d’umore repentini, ha imparato a rispettare i suoi tempi.
    «Scendo subito, mamma. Grazie».
    Gli abiti giacciono abbandonati sulla spalliera di ferro del letto: un grazioso tailleur nero, una camicia bianca. Solleva da terra un paio di décolleté scure, le detesta: le soffocano i piedi e le impediscono di correre. Ha dovuto adeguarsi a quel genere di abbigliamento da quando lavora per Torchwood, però ha conservato le Converse logore, reduci da tutte le loro scorribande.
    Ogni tanto le guarda.


*


Mentre sorseggia la sua dose giornaliera di caffeina e i fiumi di parole di Pete e sua madre le scivolano sulle spalle senza far rumore, Rose non smette di pensare a come si prospetta il suo futuro di lì a qualche anno e a come, invece, avrebbe voluto che fosse.
    E se…
    Macina pensieri, Rose, e, come una piuma in balia di un refolo d’aria, si libra alta la sua mente. Una mente libera, viva, costretta in un corpo imprigionato in uno spazio, un tempo che non le appartengono. Non desidera altro che scioglierle, quelle catene invisibili che la imbrigliano e volare via, come un uccello.
    Quando l’ultima goccia di caffè sfiora la punta della sua lingua, ha già preso la sua decisione.


*


Sunlight comes creeping in
Illuminates our skin
We watched the day go by
Stories of what we did
It made me think of you

   
Quando, diverse ore dopo, scorge la baia scintillante all’orizzonte, improvvisamente non le importa più di aver acquistato un biglietto dell’ultimo minuto non proprio economico, di aver marinato il lavoro e di aver speso istanti eterni tra l’aeroporto e la macchina. Tutto sembra acquistare un senso che forse nemmeno c’è, che nessun altro oltre a lei potrebbe afferrare.

    La spiaggia è completamente deserta, proprio come l’ultima volta, e il vento soffia forte scompigliandole la chioma bionda e sollevando i granelli di sabbia da terra. Essi si aggirano in piccoli turbini, qua e là, e finiscono coll’impregnarle i vestiti; sa già che scuoterli via è controproducente e, a dirla tutta, neppure le interessa.
    Si aggira per Dårlig Ulv Stranden come un’anima in pena, finché non è convinta di aver scovato l’esatto punto in cui sei mesi prima la proiezione del Dottore si è materializzata. Si ferma in quel posto preciso ed ancora per bene i piedi nella sabbia, che penetra a poco a poco nelle Converse oramai consunte. Solleva la mano destra e con dita tremanti carezza l’aria, quasi lui fosse rimasto lì per tutto quel tempo, ad attendere fedelmente il suo ritorno.
    Spera forse che lui compaia da un istante all’altro?
    In piedi dinnanzi al nulla, in un luogo distante chilometri da casa, si sente improvvisamente così sciocca per averlo solo fantasticato. Gliel’ha spiegato, con voce incrinata e pupille luccicanti, che non si potranno più rincontrare, che la connessione tra i loro due mondi è stata definitivamente chiusa e non c’è più alcuna possibilità di abbattere quel muro che li divide.
    E chissà dov’è adesso, in quale nuova avventura è stato coinvolto, se qualcun altro ha incrociato la sua strada. Chissà se la pensa di tanto in tanto.
    Rose Tyler si lascia cadere sulla sabbia umida; il vento si è placato. Osserva i flutti del mare infrangersi a riva e sembrano rincorrersi, fare a gara per scoprire chi sfiorerà per primo con le sue labbra spumose la battigia.
    Un grosso uccello dal piumaggio bianco e marrone si esibisce in una serie di piroette in cielo, poi plana nell’acqua e ne riemerge con un pesce che si agita invano nella morsa del suo becco. Poi l’aquila – Rose la riconosce dal portamento fiero ed elegante – riprende quota e svanisce all’orizzonte.
    A volte desidera avere ali d’uccello con le quali spingersi oltre i confini di questo mondo, con le quali raggiungere il Dottore, l’altra Terra dove da mesi è considerata morta.
    Allora le giunge alla mente uno dei moniti del Signore del Tempo: «Ti sei mai chiesta perché sia comune pensiero credere che gli uccelli siano creature libere? Anche se possono volare liberamente nel cielo, senza una terra da raggiungere, senza un posto in cui fermare le loro stanche ali, potrebbero anche pentirsi di possederle. L’essere davvero libero forse consiste nell’avere un luogo in cui poter tornare». Lo aveva detto un pomeriggio del 1886 con i piedi a penzoloni sopra la baia di Galway, osservando i gabbiani trascinare le zampe palmate sulla superficie dell’acqua, disegnando cerchi in continua espansione, come l’universo.
    Inizialmente si era sorpresa che qualcuno potesse dubitare che gli uccelli fossero liberi, con quelle ali vigorose in grado di condurli in luoghi inesplorati, di varcare confini sconosciuti. Ma poi aveva riflettuto a lungo e realizzato, infine, che la vita degli uccelli era in tutto parallela a quella del Dottore, libero di spostarsi nel tempo e nello spazio a piacimento, eppure perennemente condannato a separarsi da chi lo ama: il suo popolo annientato dalla Guerra del Tempo, Sarah Jane Smith, lei stessa. La sua maledizione, l’ha chiamata, essere strappato per l’eternità agli affetti che l’hanno fatto illudere di avere una casa a cui poter tornare.


*


Under a trillion stars
We danced on top of cars
Took pictures of the state
So far from where we are
They made me think of you



Rose ha montato la tenda preventivamente infilata nel borsone da viaggio, poi ha steso un telo sulla sabbia ed è rimasta a contemplare il paesaggio che si estende di fronte ai suoi occhi. Le piace, ha un fascino ombroso e malinconico con i suoi colori algidi, la terra brulla e arida, il mare color dell’ardesia.
    Non fa in tempo a spiluccare un po’ della pizza acquistata strada facendo, che la sera con il suo manto stellato avvolge la baia del “Lupo Cattivo”. Quando Rose alza gli occhi al cielo, la volta celeste è punteggiata di migliaia di astri fulgidi, tanti quanti non ne ha visti spesso nel suo presente in questa Terra (Londra non regala facilmente scenari di questo calibro, lo smog e la spessa cortina di nuvole impediscono la libera visione del firmamento).
    Allora le torna in mente la vastità dell’universo, lo spettacolo delle supernove e le emissioni di radiazione che causano, tutto ciò a cui il Dottore l’ha iniziata. Se ora fosse lì con lei, sa che le racconterebbe con solerzia aneddoti sulle miriadi di pianeti e le popolazioni che li abitano, le indicherebbe le costellazioni ed elencherebbe ad una ad una i nomi delle stelle. E lei, Rose, penderebbe dalle sue labbra, come ha sempre fatto.
    Quelle labbra, che ancora brama di assaporare, si è continuamente domandata che gusto potessero avere, quanto soffici fossero al tatto.
    «Rose».
    È niente più che un mormorio sommesso quello che raggiunge il suo orecchio sinistro, alla stregua dei segnali che le ha inviato mesi prima. Esce dalla tenda e si inerpica sulla roccia più alta che riesce ad individuare (da lì la vivida bellezza della distesa astrale è ancor più facilmente apprezzabile). È come una voce che la chiama, quello che percepisce, è come la voce chiara ed estrosa del suo Dottore che la attrae a sé.
    «Rose».
    Sbatte velocemente le palpebre per ricacciare le lacrime che avverte affiorare negli occhi. Le pare di vedere l’aria vibrare vicino alla riva. Forse s’illude.
    «Dottore?»
    Non ha neppure avuto il tempo di confessarle che l’ama, non udrà mai la sua bocca pronunciare quelle due semplici sillabe. E ora il suo animo esacerbato rimpiange di non aver avuto l’ardire di ammetterlo prima, prima che il loro tempo insieme volgesse al termine.
    Nemmeno un bacio di addio né una carezza con dita pallide e tremanti, solo parole pronunciate a metà e lacrime dal sapore acre. Nemmeno un bacio.
    Aveva creduto davvero che sarebbe durato per sempre.
    «Oh, Rose. Mi dispiace così tanto, così tanto…»
    È la sua voce quella che sente? Continua a percepirlo quel tacito sussurro, ma di lui non v’è più traccia. È solo la sua mente a giocarle brutti scherzi.
    «Dottore, non lasciarmi…»
    Rose è scossa dai tremiti, non sa se di freddo o di dolore. Si trascina fino alla tenda, barcollando sulla terra silicea, e desidera nuovamente di possedere delle ali in grado di raggiungere le stelle, il TARDIS e il Dottore. Quelle ali che la porterebbero a casa, se fossero in grado di volare.
    Forse possedere ali non determina alcun grado di libertà, però se queste ali, ripiegate a forza sulle scapole dolenti, potessero dispiegarsi e prendere quota, abbatterebbero i confini del tempo e varcherebbero i limiti dello spazio, per raggiungere l’unico che abbia conquistato il cuore della giovane Rose Tyler.
    Appena prima di abbassare le palpebre e cadere in uno stato d’incoscienza, le sembra che i bagliori cangianti delle stelle riproducano vividamente il sorriso dell’uomo che ama.


*

 
Oh lights go down
In the moment we're lost and found
I just wanna be by your side
If these wings could fly


    «Stai bene, tesoro?»
    Rose avverte solo la pressione di una mano sulla spalla, prima di riemergere dal sonno.
    No, non sta bene. Finché la sua mente si prende gioco di lei, potrà mai avere pace?
    La voce di sua madre, pur suonando dolce, non nasconde un velo di preoccupazione, che emerge anche tra le rughe della fronte.
    Si è accasciata sul letto sfatto ancor prima di infilarsi e vestiti e scendere a colazione, e si è appisolata. Le succede con una frequenza piuttosto imprevedibile che immagini tanto nitide le balenino nella mente stanca. Per quante infinite volte abbia avvertito l’istinto atavico di rivedere ancora i toni cinerei della baia norvegese, l’aveva sopito, respinto.
    «Sì, mamma. Sto bene» mormora Rose, mentre impallidisce notando l’ora impressa sulla sveglia elettrica: farà tardi al lavoro. Jackie le posa un bacio sulla tempia pulsante e abbandona la stanza.
    Rose lascia vagare lo sguardo fuori dalla finestra. È un giorno come tanti altri, un giorno mediocre di un’esistenza mediocre. Non è stato altro che un sogno.
    Ogni tanto si domanda se il Dottore non sia stato anch’egli un frutto della sua immaginazione.


Oh damn these walls
In the moment we're ten feet tall
And how you told me after it all
We'd remember tonight
For the rest of our lives










Note:
mi odierete, anch’io mi odio, quindi non vi biasimo. Volevo dipingere uno giorno qualunque della vita di Rose sull’altra Terra, dopo la separazione dal Dottore e questo è stato il risultato: l’illusione di averlo rincontrato che si dissolve in nulla, trasformando un sogno in un incubo già vissuto. Ho cercato di analizzare il dolore e la frustrazione di Rose, ma anche la profondità del legame che li lega.

Quando ho ascoltato la canzone (Wings di Birdy), ho pensato calzasse a pennello e la citazione mi è parsa appropriata per descrivere l’esistenza del Dottore.
Spero di non aver combinato un macello, comunque vi prego di farmelo sapere. Grazie <3
   
 
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