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Autore: Rory_chan    08/04/2009    9 recensioni
[Libertà, timore, Sasuke, Sakura, Sex Pistols; Punk]
Sakura non ci pensò due volte a prendere sul serio l’avvertimento di quello strano – quanto affascinante, c’era da dirlo – individuo. Agguantò Ino per il braccio e la trascinò via, silenziosamente. Negli occhi di un verde brillante, vi erano ancora riflessi un paio di tenebra più che profonda.
{Auguri Terrastoria (in ritardo xD)}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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I tacchi di Ino risuonavano atoni e secchi mentre scattavano sul marciapiede asfaltato, i piedi piccoli e snelli elegantemente

Scritta in ritardassimo

Scritta comunque con il cuore.

Per un’amica speciale, davvero.

Auguri, Terra-chan <3.

 

 

 

I tacchi di Ino risuonavano atoni e secchi mentre scattavano sul marciapiede asfaltato, i piedi piccoli e snelli elegantemente fasciati dal sandalo nero.

I capelli vivi e lucenti, in quel momento adombrati dal buio della notte, erano legati come al solito in una alta coda di cavallo, e frustavano con delicatezza la schiena lasciata semi nuda della ragazza.

Alle due di notte, chiunque la vedeva camminare così altera, bella e raffinata, non poteva fare a meno che non staccarle gli occhi di dosso, aggiungendo magari un pochino di bava alla bocca.

Di certo con una tale visione eterea di Dea scesa in terra, chi mai poteva accorgersi del brutto anatroccolo lì affianco?

Buffa su quei tacchi troppo alti e sottili per le sue capacità d’equilibrio, impacciata nei movimenti fasciata in quel vestito forse troppo scollato, Sakura si sentiva tremendamente idiota.

I capelli di un rosa pallido ondeggiavano a destra e manca, a ritmo dei suoi passi fuori tempo, le solleticavano le spalle scoperte, scendendo fino agli inizi del seno non molto prosperoso.

La seta dell’abito cadeva in discesa libera sul suo corpo snello, troppo magro e troppo piatto per poter spiccare accanto a quello formoso di Ino.

“mi ricordi perché non mi hai fatto chiamare mio padre per farci venire a prendere?” sbottò irritata Sakura, scoccando un’occhiata non proprio confortante all’amica bionda.

“andiamo, un po’ di ginnastica. Che figura ci farei se mi facessi venire a prendere alle due di notte il sabato sera? Gli altri tornano alle quattro” rivelò infine Ino, aumentando il passo e ravvivando con una mano la coda di capelli lunghi.

“sei un’idiota. Mi devo fare la maratona su questi trampoli perché non vuoi far cadere la tua reputazione. Se potessi ti ucciderei, giuro.” Scattò l’amica – per così dire – imbronciandosi.

Ino Yamanaka fece finta di nulla, continuando a camminare indisturbata nel mezzo della notte, tenendo stretta a sé la nuova borsetta griffata.

“piantala di lamentarti, piuttosto cammina!” disse infine, affondando una mano nel gomito di Sakura e prendendola a braccetto, tentando di farle aumentare velocità.

“oddio amico, sei fuori di brutto, lo sai? Spari cazzate a tutto andare!”.

Ino e Sakura serrarono le labbra, improvvisamente intimorite da quella voce maschile troppo vicina a loro. Senza avere il coraggio di girarsi, si guardarono per un istante negli occhi.

“evita di prenderlo per il culo, tu non sei poi così meglio, idiota.” Un’altra voce si aggiunse, e le due poterono sentire distintamente – ora che ci facevano caso – il fruscio di passi alle loro spalle.

“oh, andiamo Sasuke, sempre a rompere i coglioni. Se non ci sbronziamo anche il sabato sera quando lo facciamo? Piuttosto, dove andiamo a far bordello, adesso?”.

Sakura socchiuse gli occhi, inspirando prepotentemente e tentando di ricorrere ad un autocontrollo adatto alla situazione: okay, erano sole per strada, ma erano in due. Okay, erano vestite da puttane.

No, nulla era “okay” in quel momento; un gruppo di idioti patentati, in più sbronzi, era dietro di loro.

Era tutto okay, tutto okay…

“Oh, ma hai visto che belle puttane che abbiamo qui davanti? Quella bionda…”.

Ino strinse con maggior vigore il braccio di Sakura, girandosi stizzita.

“puttana tua sorella, stronzo!” strillò con galanteria – ah no, quella l’aveva persa per strada, via facendo – facendo mulinare il lungo quanto curato ciuffo biondo davanti al viso.

Il ragazzo dietro di loro si tirò indietro, colpito da tale veemenza, fino a quando un sorrisino carico di malizia non gli si dipinse sul viso, increspando un paio di cicatrici purpuree sulle guance.

“stai offendendo mia sorella, lo sai, principessa?” ribatté tranquillamente, aumentando di poco il passo per potersi avvicinare maggiormente alle due.

Sakura tirò una gomitata sul fianco di Ino, tentando di nascondere un’espressione pressoché furiosa dietro ad un falsissimo sorriso di cortesia.

“Beh, non m’importa!” Ino si liberò dalla stretta dell’amica, assunse un’aria minacciosa e decise di fermarsi lì in mezzo alla strada, come se volesse aspettare il ragazzo castano per far botte.

“Kiba piantala, è una ragazza.” S’intromise quello accanto, sbuffando sonoramente ed allungando un braccio per afferrare dalla collottola colui che doveva essere Kiba.

Sakura batté ciglio, spostando lo sguardo dal polso del ragazzo – pieno di bracciali con borchie inquietanti – ai suoi occhi, impossibili da distinguere al buio della notte.

Il lampione della strada, precedentemente fulminato, ronzò appena, illuminandosi.

La luce flebile della luna e quella precaria del lampione permise ai ragazzi di squadrarsi con aria torva.

Ino osservò Kiba dall’alto in basso, storcendo il naso alla vista del giubbotto di pelle nera aderente al petto imponente, targhette di gruppi e qualche borchia sparsi qua e là. Lo sguardo cristallino si spostò poi sul ragazzo dall’altra parte, biondo almeno quanto lei e con lo stesso colore d’occhi splendente.

Il gilet di jeans, strappato in più punti, le fece rivoltare lo stomaco per il poco stile.

Sakura non si degnò di guardare gli altri; né quello biondo, né quello che sembrava in procinto di picchiare – o stuprare, dipendeva dai punti di vista – Ino.

Quello in mezzo la fissava con una luce negli occhi particolare; sembrava che la stesse divorando con lo sguardo, ma le iridi onice nascondevano sotto un velo spesso di indifferenza quell’istinto. 

Le labbra sottili, pallide, perfette, non tradivano alcuna espressione; neutre, non si piegavano neanche per un lieve sorriso, se non per una smorfia stizzita.

“E’ sbronzo, lasciatelo perdere. – cominciò, i capelli neri, sottili e lisci che scivolavano morbidamente sul suo volto di porcellana – piuttosto tornatevene a casa, non è né il posto né un orario adatto per due come voi. Fareste bene a sparire in fretta.” Concluse, tirando indietro Kiba e riportandolo al suo fianco.

“tante grazie per l’avvertimento, lo potevo capire da sola! Ciao, ciao, sfigato!” salutò Ino indignata, facendo muovere con attenta e perfida eleganza la mano davanti al viso del ragazzo castano.

Questo emise un ringhio strozzato, guardandola di sottecchi.

Sakura non ci pensò due volte a prendere sul serio l’avvertimento di quello strano – quanto affascinante, c’era da dirlo – individuo. Agguantò Ino per il braccio e la trascinò via, silenziosamente.

Negli occhi di un verde brillante, vi erano ancora riflessi un paio di tenebra più che profonda.

 

 

God Save [ My ] Queen

 

 

Il nero era un colore che non l’era mai particolarmente piaciuto.

In sé non aveva alcun colore; solo una piatta, morta, lugubre sfumatura senza vita.

E non le permetteva di vedere nulla, solo tenebre e oscurità.

Sakura amava la luce, non le tenebre.

Si svegliò così, con quella frase che le ronzava nella testa come se fosse una melodia impossibile da dimenticare, mentre un paio di occhi scuri la fissavano nell’antro della sua immaginazione.

I capelli chiari non avevano più una forma; a causa dei suoi continui spostamenti, giri e rigiri, erano completamente arruffati, e non avevano neanche più quel loro impeccabile liscio.

Trattenne a stento uno sbadiglio, portando distrattamente la mano alla bocca e tentando di sistemare alla meno peggio i capelli, con il risultato di spettinarli di più.

Ormai convinta che l’impresa-capelli era impossibile da portare a termine senza un’adeguata dose di feroci pettinate, si alzò dal letto sfatto, tremando appena sulle gambe esili.

Fuori il sole brillava con tutta la sua forza; irradiando di luce il cielo di un azzurro chiaro, quasi fosse piena estate. In realtà erano a malapena a metà primavera, sebbene il caldo fosse insopportabile.

Con aria assente si parò davanti allo specchio, armata di spazzola e con espressione beota: dormire al pomeriggio non era la soluzione ai suoi problemi d’insonnia, appurò con rimpianto.

Iniziò a passare la spazzola fra i fili rosati, districandoli senza grazia e con cattiveria fino a farsi male; un mero quanto selvaggio tentativo di svegliarsi attraverso la tattica del dolore.  

“Sakura! Muoviti, sono quasi le quattro!” strillò sua madre dal piano di sotto, severa.

“arrivo…” sibilò a denti stretti, pensando con classe un “basta che non mi rompi più le palle”.

Posò la spazzola sulla mensola sotto lo specchio, lanciando un’ultima occhiata a questo per rivedere velocemente la sua immagine riflessa. Non era in splendida forma, ma più o meno, era presentabile.

Sbuffò sonoramente, abbassando le palpebre al punto giusto per ottenere un’aria seccata e scese le scale, la voglia di vivere finita sotto ai gradini, precisamente fra le scarpe ed il parquet.

“Ha chiamato Mikoto Uchiha, ha chiesto se vai lì un po’ prima, quindi prepara la borsa ed esci” decretò la donna, senza premurarsi di chiederle pareri o spiegazioni.

Sakura le dedicò un’occhiata raggelante, stringendo le labbra fino a farle divenire pallide.

“Agli ordini” sbottò di malavoglia, afferrando sotto braccio il giubbotto di stoffa nera e la borsa, uscendo il più rapidamente possibile di casa. Era da diciannove anni che condivideva il tetto con quella donna austera e fredda, manco vivessero al polo nord con dei pinguini come vicini.

E’ per il tuo bene, il sabato sera non esci. Durante la settimana l’orario massimo è la sera, verso le sette” se poi l’avessero mandata in un collegio nei confini fra mondo e galassia, sarebbe stato più divertente. Alzò gli occhi al cielo, pensando quanto tempo ancora avrebbe dovuto sopportare quella situazione. Senza contare la punizione per il sabato sera trascorso fuori con Ino.

La concessione dell’uscita era stata una eccezione, e poi eccolo, suo padre “sei uscita sabato e sei tornata alle due. Ti ho concesso una mano e ti sei presa tutto il braccio” e via con la solita ramanzina.

Calciò distrattamente un sasso dalla strana forma arrotondata e liscia, facendolo ruzzolare fino al cestino della spazzatura posto al bordo del marciapiede.

Gli occhi color del bosco ripercorsero le ombre proiettate dall’alto dal sole, facendo assumere alle piastrelle di cemento chiaro una colorazione più scura.  

Si voltò spaesata, sentendo qualcuno puntarle lo sguardo sulle spalle e fu sicura di avvertire quegli occhi neri perseguitarla, proprio come nel suo sogno – o incubo? – di qualche minuto prima.

Scosse la testa con sconforto, puntando lo sguardo avanti e costringendosi a continuare a camminare.

 

Don't be told what you want

 

“Oh, grazie al cielo sei arrivata! Scusami, ma devo proprio scappare!”.

Mikoto Uchiha era davvero una bella donna; i capelli d’ossidiana le incorniciavano il volto fine, mettendo in risalto la carnagione nivea e delicata. In contrasto, spiccavano gli occhi del medesimo calore del crine. Leggermente a mandorla e dolcemente arrotondati, quegli occhi sembravano esprimere rassegnazione da ogni parte, ma Sakura non riuscì a spiegarsene un motivo.

“Il bambino è di là in sala, sta guardando la televisione. Ha mangiato, ma penso che fra poco avrà di nuovo fame – cominciò la donna con fare indaffarato, correndo da una parte all’altra dell’ingresso – purtroppo mia sorella lo ha dovuto lasciare qui ed io ho avuto un impegno improvviso. Ti ringrazio infinitamente per essere venuta, Sakura.” Continuò senza guardarla in faccia, cercando con lo sguardo tutti gli accessori necessari da buttare senza un preciso ordine nella borsa.

“Sei sola in casa, oltre al bambino. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamare. E adesso scappo!” concluse poi, riuscendo a fermarsi e a sorriderle in un sorriso quasi tenero.

“Non si preoccupi, farò del mio meglio. Buona giornata.” Augurò soltanto la ragazza, sforzandosi di piegare le labbra in maniera cordiale, puntando già l’attenzione sulla porta che dava alla sala.

Mikoto uscì senza dirle altro, se non per un veloce saluto ed un altro sentito ringraziamento.

Quando si richiuse la porta alle spalle, Sakura sospirò sollevata.

La metteva sempre a disagio stare sola con una persona che conosceva a malapena. Soprattutto se questa persona era tremendamente bella – un vago riferimento ad Ino – e la superava di gran lunga su tutta linea, sebbene avesse vent’anni più di lei.

“Okay marmocchio, siamo soli ora.” Borbottò senza divertimento, varcando la soglia della stanza e guardandosi intorno, alla ricerca del bambino al quale avrebbe dovuto fare da balia.

Lo trovò seduto a terra, gli occhi puntati con interesse sullo schermo della televisione – che trasmetteva i cartoni animati – ed un game boy in mano.

Senza pensarci due volte si sedette accanto al bambino, facendolo voltare di scatto, quasi egli si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.

“ciao, mi chiamo Sakura. Staremo un po’ insieme ora, la mamma arriverà fra poco.” Lo rassicurò con un sorriso accennato, scrutando con interesse gli occhi di un profondo nero del bimbo.

Saranno di famiglia…” pensò, mentre la mente si proiettava in modo automatico su quegli altri occhi, scuri proprio come quelli che si trovava di fronte.

Il bambino fece spallucce, riportando lo sguardo sulla televisione e strisciando lentamente più vicino a Sakura, come se cercasse un contatto più diretto.

Era normale, un bambino della sua età – circa cinque anni – necessitava di un contatto a pelle, di un conforto fisico che non gli avrebbe messo la paura della solitudine.

“Volevo vedere un film con i cattivi, ma… Lo guardiamo insieme?” il bambino censurò tranquillamente un “ma ho paura”, ostentando lo sguardo onice sulla ragazza accanto.

Questa sorrise, annuendo leggermente.

Magari Mikoto non glielo avrebbe mai permesso, ma fin quando c’era lei a fare da babysitter… le cose potevano pure prendere un andamento diverso da quello prestabilito.

 

Don't be told what you need

 

“Vado a preparare qualcosa da mangiare, okay? Metti in pausa il film, lo continuiamo fra pochissimo.” Affermò Sakura alzandosi da terra, spostando con noncuranza il cuscino che aveva appoggiato sotto di lei e traballando qualche istante sulle gambe abituate a stare piegate.

Con lo sguardo del bambino puntato sulla schiena, si allontanò a piccoli passi, passando dall’enorme vano del salotto a quello un poco più ristretto della cucina.

Si guardò intorno, momentaneamente spaesata: non era difficile trovare un po’ di pane e nutella, per forza di cose dovevano esserci e avrebbe dovuto trovarli.

Rovistando fra le mensole, dispense e mobili riuscì a mettere insieme tutto ciò di cui necessitava, aprendo il cassetto a sinistra per prendere un coltello.

Intonò una canzoncina fischiettando, gli occhi attenti ad ogni movimento del coltello che spalmava la nutella sul pane, le labbra schiuse per respirare.

Alzò la mano e aprì l’anta che si trovava nel ripiano un poco più sopra alla sua testa, prese un piatto, e lì vi appoggiò le fette di pane che aveva preparato con tanta cura.

Spostò il piatto dal ripiano della cucina al tavolo di marmo, rigirandosi per lavarsi le mani.

Il tempo di spostare nuovamente lo sguardo verso il tavolo, vide il bambino che stava accudendo improvvisamente cresciuto, alto, dal corpo scolpito da chissà che cosa di così tanto perfetto, ed estremamente bello. 

“Ma che…” sibilò colpita, sentendo il cuore mancare qualche battito a causa dello spavento.

Il ragazzo accanto al tavolo alzò lo sguardo con indifferenza, scoccandole un’occhiata disinteressata.

“ciao.” Disse solo, addentando con tranquillità la fetta di pane che lei aveva preparato per il bambino.

Okay – si disse Sakura – quello non è colui che devo tenere sotto controllo, divenuto tutto d’un tratto adulto. Fino a cinque minuti prima il bambino non indossava jeans stretti, un poco strappati sulle ginocchia, né una cintura completamente piena di borchie, abbinata al bracciale sul polso.

Per non parlare del bellissimo – virile, si corresse – petto lasciato scoperto dall’assenza di una qualsiasi maglietta, sullo sterno brillava un lucchetto che racchiudeva i due estremi di una catena sottile.

Tentando di distogliere lo sguardo dalla pelle nuda, Sakura si concentrò sui capelli scuri del ragazzo, infine sugl’occhi. La bocca si schiuse, conferendole un’espressione da perfetta idiota.

“ma tu…” sibilò, rimettendo confusamente le idee a posto.

“se mi chiedi che cosa ci faccio qui, sappi che ci abito. Mia madre si sarà dimenticata di dirtelo, immagino. Che rincoglio…” cominciò ma, vedendo l’espressione quasi del tutto allibita della giovane, fece una piccola pausa. Non durò a lungo.

“…nita.” Terminò quasi con fare soddisfatto, masticando con lentezza il pane.

“Tu sei il figlio di Mikoto?” domandò esterrefatta Sakura, mangiandoselo con gli occhi – e tentò di dare la colpa di quell’atteggiamento alla curiosità.

“Uhm, chi pensavi che fossi? Il ladro della porta accanto?” borbottò lui scrutandola di sottecchi, alzando un sopracciglio scuro ed assumendo un’aria limpidamente innocente.

Sakura aprì la bocca, come se volesse dire qualcosa, poi la richiuse, senza dire nulla.

“Sasuke.” Borbottò infine il ragazzo, mettendo sotto i denti e finendo la sua fetta di pane con sopra la nutella. Lei lo fissò stralunata, deglutendo a fatica il groppo irritato che l’era venuto in gola.

Senza capire il motivo per il quale il cervello stesse agendo, tirò indietro una sedia e lì si sedette, di fronte al piatto, altalenando lo sguardo dal pane a Sasuke.

Studiando le mosse da fare, afferrò senza fretta il cibo che aveva davanti agli occhi, portandoselo alle labbra. Sebbene fosse concentrata su ciò che stava facendo, non riusciva a distogliere gli occhi dalla figura particolare del giovane.

“Non ti ho mai visto a scuola.” Cominciò per attaccare bottone, facendo scivolare l’attenzione delle iridi verdi sul corpo longilineo di Sasuke, soffermandosi particolarmente sul lucchetto che portava al collo. Di sicuro era uno strano modo di portare bigiotteria, ma doveva ammettere che aveva un certo stile.

Forse proprio perché pensava allo stile, si domandò cosa avrebbe detto Ino a riguardo.

“Non ci vado. L’ultima volta ho preso a pugni il preside.” Rivelò in tutta tranquillità il moro, battendo ciglio. Sakura lo fissò sbigottita, la mano che tratteneva a mezz’aria il pane.

“…divertente?” domandò infine, sulle labbra un lieve ghigno di comprensione.

Sasuke scrollò le spalle, noncurante “Non sai quanto.”

Continuò a mangiare in silenzio, senza premurarsi di far sentire a suo agio Sasuke distogliendo lo sguardo da lui. Ma evidentemente non gli dava poi così fastidio, anzi, sembrava non accorgersene manco.

“Uhm… sembri un confetto.” Dichiarò dopo cinque solenni secondi il ragazzo, scrutandola per la prima volta dall’alto in basso. Ci mancò poco che Sakura sputò tutto sul tavolo.

Gli scoccò un’occhiata velenosa, lanciando veleno con la sola forza dello sguardo, nonostante le guance avessero cominciato ad arrossire a causa dell’imbarazzo.

“Sembri un emo.” Ribatté a bassa voce, quasi avesse paura di farsi sentire.

Effettivamente non capì bene da dove fosse provenuto quello strano impeto di coraggio – abbassò lo sguardo sulle borchie e singhiozzò, involontariamente – eppure sentì come se con quella pseudo persona, pseudo pazza, potesse andare d’accordo.

“Non sai quel che dici, figlia di papà.”

“Odio mio padre.”

“Benvenuta nel club, allora.”

Seguirono pochi attimi di silenzio, nei quali i due si scrutarono alla ricerca di qualsiasi difetto (o pregio) da poter prendere in considerazione, ma infine, a quanto parve, non ne trovarono di soddisfacenti.

L’Uchiha abbassò il mento, giusto quel poco che permise ai capelli di adombrargli la fronte e di impedire a Sakura di guardarlo negli occhi. In quel momento ne approfittò per studiarla più attentamente, sentendo pian piano gli istinti risvegliarsi.

Da troppo tempo non ci sono belle ragazze, qui” pensò, schioccando la lingua. 

Sasuke si alzò dalla sedia, spostandola in avanti e buttando senza troppo interesse le briciole sul tavolo per terra. Infine andò a lavarsi le mani al lavello della cucina, senza smettere di tenere un occhio attento su Sakura.

“Sai – cominciò aspramente, rimanendo di spalle – penso che ognuno abbia la libertà di fare ciò che vuole.” Disse perdendo il tono duro con il quale aveva iniziato, sfumando in uno atono.

Sakura inarcò le sopracciglia, spostando in fretta e senza fare rumore le briciole su un tovagliolo.

“Lo penso anche io.” Ribatté stringendo le labbra, incuriosita.

“Dopotutto nessuno si può permettere di dirmi come mi devo comportare, no? È questa la libertà.” Affermò convinto il ragazzo, continuando a darle la schiena.

La giovane deglutì indecisa, tentando di capire dove lui volesse andare a parare.

“Penso di sì. Ma ci sono diversi punti di vista, modi e modi per vedere la libertà. Ad esempio, per me, la libertà è il poter tornare all’ora che mi pare e uscire quando ne sento il bisogno.” Rivelò flebilmente, quasi avesse paura di essere fin troppo materialista per quel discorso così profondo.

Sentì Sasuke soffocare un ghigno divertito, quando finalmente si girò verso di lei.

“Hai un concetto di libertà molto semplice. Io aspiro a livelli più alti, a dire il vero – sorrise nel notare la buffa espressione di Sakura, a metà fra l’imbarazzato e il mortificato – infondo che cos’è la libertà? Una sensazione che puoi provare in pochi momenti, dopotutto sembra che essere liberi sia normale. Eppure non c’è nulla di normale, siamo tutti quanti condizionati dalla televisione, dalla moda, dagli altri. La realtà è che questo è un mondo di merda.”

L’Haruno lo scrutò con espressione persa, aprendo bocca come se volesse dire qualcosa di altrettanto intelligente e che lo colpisse, proprio come lui aveva appena colpito lei.

“Forse sei un pochettino pessimista…”

Ma tu pensa! Manco era lì da un’ora e già stava facendo discorsi filosofici con un perfetto sconosciuto, oltretutto bello da impazzire – maleducatamente mezzo nudo, si corresse – e stava smontando con frasi fatte e sempliciotte un discorso sulla vita umana.

Sicuramente avrebbe vinto l’oscar per l’idiozia, se fosse esistito davvero.

“Non sono pessimista, è la realtà. Il pessimismo, la pazzia e la stranezza sono semplici nomi per indicare quelli come me che fanno ciò che nessuno avrebbe mai il coraggio di fare per paura di essere giudicato.” Rispose appoggiandosi con il fondoschiena sul ripiano della cucina. 

Passarono pochi secondi che lui si allontanò da lì, avvicinandosi a lei con tranquillità, trasudando sensualità da ogni poro della pelle. Sakura rimase inebetita a guardarlo arrivare di fronte al suo viso, gli occhi color del bosco che non smettevano di divorarlo, famelici.

“Non hai tutti i torti.” Iniziò.

“Non ho mai torto. Chiunque darebbe qualsiasi cosa per sentirsi come mi sento io quando faccio ciò che mi pare e piace. È questione di testa. E di palle.” Concluse con un sorriso ironico sulle labbra pallide.

“Coraggio, intendo.” Aggiunse prima che lei potesse equivocare qualsiasi cosa.

“Sì lo so, ma…”

“Scommetto che chiunque vorrebbe avere le palle per fare ciò che faccio io.” Sasuke si abbassò fino ad accostare il suo viso a quello della ragazza, i nasi si sfioravano, le bocche si rubavano il respiro.

In quel momento Sakura fu assolutamente felice di non essere davanti allo specchio; si stava evitando la tortura di vedere il rosso porpora delle sue guance intonarsi alla perfezione ai suoi capelli pastello.

“…tipo prendere a pugni il preside?” domandò timidamente, scrutandolo con imbarazzo da sotto le ciglia che le adombravano appena gli zigomi arrotondati.

“Nah.” Lo vide socchiudere le palpebre e piegare il viso da un lato, così assurdamente vicino.

Tilt.

Non si ricordava con precisione a quale età avesse avuto il suo primo bacio, ma ricordava alla perfezione le sensazioni che aveva provato, così forti ed intense. Le palpebre si erano chiuse automaticamente, senza che lei potesse capire ciò che stavano facendo. Il corpo era stato pervaso da un torpore dolce, che sapeva però di folle abbandono a colui che le stava procurando quelle emozioni.

Le labbra, incapaci di aspettare più del tempo necessario, si sporgevano con vergogna verso quelle che si facevano desiderare. Oh, certo.

Era passato tanto tempo dal suo primo bacio, ma in quel momento si presentò la stessa idiota, stupida, patetica scena. Sperò che Sasuke avesse già chiuso gli occhi per non guardarla, e lo attese.

Sentì la lingua del ragazzo solleticarle un punto poco più su del labbro, movendosi poi piano e sensuale lungo tutta la lunghezza della bocca, fino a chiederle – ordinarle, sarebbe stato più corretto dire – di schiuderla, permettendogli di entrarvi dentro. Come ormai aveva già fatto, la parte non razionale del cervello agì di istinto proprio, spingendola a rispondere a quel bacio.

Mosse la sua lingua verso quella di lui, incontrandola a metà strada fra le loro bocche; l’accarezzò dapprima timidamente, pian piano prendendo poi fiducia in quel contatto. Si spinse verso Sasuke, artigliandogli le spalle nude con le dita affusolate, premendo il seno poco maturo fasciato dal reggiseno piuttosto imbottito contro il torace di lui. Un gemito le scappò dalla gola, mentre l’Uchiha l’afferrava per i fianchi e l’attirava a sé, togliendole quasi il respiro per la veemenza di quel bacio.

Un “ma che fai?” lampeggiò pericolosamente nella testa di Sakura, fino a quel momento assopita nel nulla. Percepì sul suo corpo le mani del ragazzo scendere dai fianchi fino al fondoschiena, percorrendo in una carezza delicata la linea sinuosa del bacino.

“Sakura-san! Dove sei finita?”.

Sakura si allontanò di scatto da Sasuke, dividendo le loro labbra con uno schiocco abbastanza rumoroso.

“Bambino del cazzo.” Sibilò lui alzandosi in piedi, scoccandole un’occhiata incolore.

Incapace di intendere e di volere, Sakura si allontanò dall’Uchiha quasi spaventata, fissandolo con la classica espressione inebetita che da quando lo aveva visto non voleva sapere di andarsene.

“Arrivo… sto arrivando!” assicurò con voce stridula, gettando un ultimo sguardo sulla schiena nivea di Sasuke. Il piatto della merenda completamente vuoto.

 

When there's no future how can there be sin?

 

Sakura trasse un sospiro di sollievo quando i titoli di coda comparirono sul grande schermo della sala.

Quel film era chiaramente uno splatter senza senso, si vedeva solo sangue gratis e la trama era inesistente. Con uno sbadiglio cercò il telecomando, sorridendo alla vista del cugino di Sasuke addormentato tranquillamente sul divano.

Fortunatamente il sonno gli aveva impedito di avere incubi su incubi alla vista di tutta quella violenza.

Senza che il sorriso le abbandonasse il volto, afferrò un plaid posato sullo schienale del lungo divano beige e lo aprì sopra al minuto corpicino del bimbo, coprendolo fino al mento.

Gli passò una mano fra i capelli d’onice, e per un istante le sembrò di accarezzare quelli di Sasuke.

Scosse la testa, infervorata dal timore di dover continuamente pensare a quel pazzo anarchico – o almeno, così alla fine l’era sembrato – e batté ciglio, quasi irritata.

Sentiva ancora il suo sapore sulle labbra, e non capiva se quello fosse un buon o cattivo segno.

A farla riprendere dallo stato confusionale nel quale era irrimediabilmente caduta, ci pensò un assordante suono di chitarre elettriche e bassi, proveniente dal piano di sopra.

“Che pazzo.” Dichiarò solennemente Sakura, allontanandosi di gran carriera dal divano su cui era steso il bambino e attraversando la sala, arrivando in corridoio. Scrutò interessata ciò che si vedeva del secondo piano dall’apertura delle scale, fino a quando non si decise a salirle.

Okay, le piacevano i bambini e sapeva che Mikoto l’avrebbe pagata per quel pomeriggio passato a fare la babysitter, ma svegliare in quel modo suo cugino era decisamente troppo.

Arrivata in cima alla rampa di scale si guardò intorno, posando lo sguardo su una quantità modesta di porte chiuse; tranne una. Istintivamente si avvicinò, facendo capolino all’interno solo con la testa, le gambe piegate pronte a scappare.

Non era di certo il modo migliore per iniziare un’amicizia farsi sorprendere a spiare per le stanze.

Sgranò appena i già grandi occhi verdi.

I muri bianchi erano tappezzati di poster di ragazzi vestiti più o meno come lo era Sasuke; catene al collo, qualche collare borchiato, magliette strappate, chitarre o bassi appesi alle spalle.

Lesse distintamente i nomi “Sex Pistols” su ogni poster, poi qualche altra scritta illeggibile. Boccheggiò qualche istante, rimanendo meravigliata dalla sproposita quantità di oggetti di ogni tipo.

Si riscosse grazie ad un improvviso acuto di un cantante decisamente non molto intonato, accompagnato da un assordante assolo di chitarra. Sbatté le palpebre indecisa, fino a quando non mosse qualche passo per entrare completamente nella stanza.

Si avvicinò di gran carriera allo stereo, con tutta l’intenzione di spegnere quell’aggeggio infernale che rischiava di rovinarle il resto del pomeriggio svegliando il bambino nella sala.

Spense lo stereo giusto in tempo per sentire la porta chiudersi.

Sasuke, sulla porta e più bello che mai, la fissava con un’aria incuriosita e allo stesso tempo irritata.

“Benvenuta nella tana del lupo.” Affermò con tono solenne, inarcando appena le sopracciglia scure e scrutandola dall’alto in basso, mettendola un poco in soggezione.

“Tu cugino si è addormentato, e…” finse di non aver sentito quell’accoglienza poco (o forse troppo?) calorosa, abbassando immediatamente lo sguardo foglia a terra, imbarazzata.

“Uhm. Quindi non puoi più scappare adesso, cenerentola.” Disse lui in tutta tranquillità, avvicinandosi pericolosamente alla ragazza. Sakura imbronciò le labbra, vagamente sorpresa, trattenendo il respiro.

“Adesso non c’è nessuno che ti può salvare.”

Non lo aveva neanche sentito avvicinarsi, troppo assorta com’era nel suo imbarazzo da liceale alla sua prima cotta. Che cosa l’attirava così magneticamente non se lo spiegava.

Sasuke rappresentava l’emblema della bellezza, era vero.

In confronto a lui, lei sfigurava con i suoi buffi capelli rosa e con quei comuni occhi verdi. Inoltre lui rappresentava il proibito; era una cosa stupida da pensare, ma mai avrebbe creduto di poter perdere la testa, se così poteva definire quella strana sensazione che la coglieva in quei pochi istanti nei quali si trovava con lui, per una persona così diversa da quelle che era abituata a frequentare. 

Sasuke aveva suoi ideali da seguire, non si atteneva alle mode né ai pregiudizi.

Ed inoltre poteva immaginare la reazione di sua madre se l’avesse scoperta a casa, da sola, con un individuo del genere. Avrebbe pagato oro per vedere la sua faccia.

Furono forse questi motivi che la spinsero a non avere timore di quelle labbra troppo vicine al suo orecchio, di quella lingua che le carezzava il collo, sempre più giù.

In quel momento fu sicura che non sarebbe mai riuscita a fermarlo, manco se avesse voluto davvero.

 

When there's no future
How can there be sin

 

“sei… sei un pazzo.”

“…evidentemente, sono un pazzo che ti piace.”

 

Oh Lord God have mercy
All crimes are paid

 

Era più o meno la decima volta che usciva di casa con il sorriso sulle labbra, consapevole del posto in cui sarebbe andata. Ed era più o meno la decima volta che sua madre la squadrava in maniera strana, chiedendosi il motivo di tutta quell’allegria nel fare da babysitter al bambino Uchiha.

Appena Sakura suonò il campanello del portone della casa, Mikoto aprì, sorridendo e lasciando passare il nipote fin troppo entusiasta di rivedere la sua babysitter – e quindi di vedere film con i cattivi, mangiare caramelle e saltare sul divano.

Prese in braccio il giovane ragazzino, portandolo all’altezza del suo viso e rimase un poco meravigliata dall’improvvisa manifestazione d’affetto che lui le dimostrò, dandole un sincero bacio sulla guancia.

Sakura spiò oltre la porta, riuscendo ad intravedere un Sasuke piuttosto imbronciato appoggiato alla ringhiera delle scale, lo sguardo come al solito incazzato puntato sul cugino.

Sakura rise, rise e rise, mormorando uno smaliziato “Che c’è, geloso Sasuke?”.

Il sorriso che gli increspò le labbra, fu solo un assaggio di quello che accadde dopo.  

 

 

 

 

Uhm… è il mio regalo di compleanno per Ale, ovverosia Terrastoria!

Diciamo che è un pochettino in ritardo, ma dopotutto, meglio tardi che mai, no? XD

 

Piccola nota riguardo alla fic: non sono un’appassionata di Punk, né tanto meno avrei mai visto Sasuke in queste vesti (sì lo so, tutti vedono Sasuke emo xD). Però ci ho voluto provare, e sono andata lenta appunto perché ho voluto far leggere/commentare questa fic a Lulluz che di punk se ne intende. Avuto il suo permesso (ovvero; sì, questa fic col punk c’entra qualcosa xD) finalmente eccola qui.

Le parole in corsivo e sottolineate, e parte del titolo stesso, è “God Save the Queen” dei Sex Pistols.

Importante: Sasuke è un punk 77, giusto per intenderci come quello dei Sex Pistols. Anche se loro hanno uno stile più “raffinato” rispetto agli altri, ho voluto comunque riempire Sasuke di borchie. È che il suo abbigliamento, così, mi gustava troppo. Per il resto, spero sia di vostro gradimento.

Altro avviso importante: (poi smetto di rompervi le palle, giuro!) il carattere di Sasuke è OOC, ma appunto perché ho tentato di adattarlo al punk anarchico a cui ho voluto associarlo. E poi non ha nessun trauma familiare alle spalle, nessun fratello da uccidere, quindi prendetemela un po’ per buona xD.

 

Fatemi sapere cosa ne pensate, grazie ç_ç.

Rory.

  
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