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Autore: Tetide    08/04/2009    2 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Volo OS 547 VOLO OS 547

Disclaimer: questa è una fanfiction ispirata dall’anime “Alpen Rose” del 1986. Il diritto d’autore dei personaggi di “Rosa Alpina”, degli eventuali avvenimenti e frasi riportati da “Rosa Alpina” appartiene a Michiyo Akaishi, alla Flower Comics Wide (Shogakukan) ed alla Tatsunoko Pro. Il diritto d’autore è tutelato dalle leggi del copyright, e qui non ne è intesa alcuna violazione. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, è solo un racconto amatoriale. Il diritto d’autore dei personaggi originali presenti in questa storia, che non compaiono né nel manga, né nell’anime appartiene all’autrice Tetide.
Questa storia mi è stata ispirata dalla bellissima canzone “Cinque minuti e poi…”, interpretata da Maurizio dei New Dada, e ri-interpretata da Claudio Baglioni nell’album “Quelli degli altri… tutti qui”.



CAPITOLO 1
UNA VITA PERFETTA?
Il sole stava tramontando tra le nuvole; Jeudi guardò tristemente fuori dal finestrino: tra poco atterreremo, pensò. Girò la testa verso l’interno dell’aereo, osservando la solita scena del pre-atterraggio: gente che si svegliava profondendosi in sbadigli a catena, assistenti di volo che giravano tra i sedili chiedendo di allacciare le cinture di sicurezza, una ragazza che canticchiava ascoltando musica dal suo hi-pod… tutto come ogni volta, tutto visto e rivisto!
Chiuse gli occhi, e cercò di concentrarsi su ciò che avrebbe trovato a casa: sicuramente, Lundi e Pierre la stavano aspettando, sarebbero venuti a prenderla all’aeroporto; l’indomani, alla sede del giornale si sarebbe tenuta la tanto attesa riunione per l’unificazione delle due testate… tutto a posto, allora.
Eppure, da qualche tempo, Jeudi sentiva che nella sua vita c‘era qualcosa che mancava, ma cosa? Aveva un lavoro che amava: era giornalista; aveva un marito, Lundi, che divideva con lei l’appartamento da quasi tredici anni; aveva un figlio, Pierre, che amava molto; aveva un gran numero di amici; aveva sua sorella Martha e suo cognato Hans; aveva un bell’appartamento nel centro di Ginevra… aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato… che motivo aveva per non stare bene?
Ripensò a sé e Lundi, alla loro casa: ecco, la frase più esatta era che loro dividevano la stessa casa, ma non anche la stessa vita: Lundi era un affermato manager, che aveva lavorato per diverse aziende, ma da quando era stato assunto alla Troncan Company era divenuto molto strano. La teneva… a distanza, ecco. Ma perché? Eppure, non erano mai stati in disaccordo, prima. Ma poi, quando lui aveva preso il nuovo lavoro, erano iniziate le liti, anche furiose a volte. Certe volte erano così furiose che Pierre si chiudeva in camera sua, spaventato, ficcando la testa tra i cuscini per non sentire.
A sentir lui, non andava mai bene nulla: se Jeudi proponeva una gita domenicale, lui borbottava che doveva andare in ufficio a finire un qualche rapporto; “Andate pure voi, se ci tenete”; Jeudi, naturalmente, gli rispondeva: “In ufficio? Anche la Domenica? Puoi rimanere un giorno con la tua famiglia!”. E litigavano.
Lundi era stranamente cambiato, pensava.

“Il comandante annuncia che tra poco atterreremo. Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza”. La voce della hostess riportò tutti i passeggeri alla realtà dai loro assonnati pensieri.
Il sole era oramai del tutto tramontato, lasciando il posto ad una luminosità violacea; l’aereo si abbassò sulla pista, la sfiorò, poi toccò terra del tutto.

Recuperati i bagagli, Jeudi passò la dogana, quindi uscì fuori nel grande atrio arrivi dell’aeroporto. C’era la solita confusione: un mare di gente con gli occhi assonnati che prendevano improvvisamente vita al momento dell’apertura della porta a vetri; alcuni di loro recavano in mano dei cartelli di benvenuto, tipo “Fleur d’eté viaggi”, “Benvenuto Frederick”… Jeudi girò attorno lo sguardo ed in un angolo vide Lundi con in braccio Pierre. “Ecco la mamma!”, esclamò questo.
Il padre lo fece scendere, lo prese per mano e si avviò verso la moglie.
“Ciao piccolo pirata!”, esclamò lei prendendo in braccio il figlio; poi abbracciò il marito “Ciao amore”, “Ciao tesoro. Come è andato il viaggio?”, “Mah! A Toronto c’era un tempo orribile! Siamo partiti tra i fulmini”.
Presero un taxi per dirigersi verso casa. “Dov’è la macchina?”, chiese Jeudi a Lundi,
“Dal meccanico. Ha avuto un piccolo problema con la frizione”,
“Capisco”.

I fari del taxi illuminarono la tranquilla via dove abitavano, una via piena di eleganti palazzine con giardino. “Quindici euro, signore. Grazie, signore. Buonanotte”.
Lundi aiutò la moglie a scendere le valigie, mentre lei lo guardava di sottecchi. Non sembra felice di rivedermi, pensò. Il bambino sbadigliava.
Entrarono in casa.
“C’è puzza di rinchiuso, qui dentro!” esclamò Jeudi, subito aprendo le finestre del salotto,
“Sì, non sono stato molto in questa stanza ultimamente. Senza di te mi rattrista”.
Jeudi sorrise. Si girò per aprire la finestra in fondo alla stanza. “…Si vede…!”, stava dicendo al marito girandosi di scatto, quando notò che lui si stava affrettando a nascondere qualcosa raccolto tra i cuscini del divano, con aria colpevole e malcelata ansia.
“Lundi, tesoro, cosa c’è? Cos’hai lì dietro?”,
“Niente… niente di importante, Jeudi.. solo una cicca di sigaretta, nient’altro!”.
Jeudi sorrise: il marito sapeva bene che lei detestava il disordine in casa, quindi la risposta le era sembrata più che plausibile. “Allora sei entrato qui dentro, dopo tutto!”,
“Solo una volta… Una sera in cui io e Jean dovevamo revisionare i bilanci…”.
Lei scoppiò a ridere “E per una cicca di sigaretta ti vergogni tanto! Dammela, vado a gettarla nel secchio dei rifiuti”.
Inaspettatamente, Lundi balzò all’indietro “No!”, fece.
Lei rimase interdetta: perché reagire a quel modo? L’uomo si calmò “Faccio io, non preoccuparti! Sono io che l’ho fatta cadere lì, no?”. Le diede le spalle ed uscì dalla stanza.
Ma che strana reazione, pensò lei; davvero molto, molto strana. Forse si sente in colpa per aver fatto disordine in mia assenza, pensò.
Poi, salita al piano di sopra, iniziò a disfare le valigie, e non ci pensò più.

Il mattino dopo, vi fu la tanto attesa riunione. Il pezzo di Jeudi era uno dei più attesi, e riscosse un grosso successo. Robert, il direttore del giornale, ne era entusiasta.
“Sei la nostra migliore opinionista. Non so che faremmo senza di te!”,
“Dài, non esagerare: un giornale è un lavoro di squadra, me lo hai insegnato tu. Ognuno di noi fa il suo dovere”,
“Ma se tutti lo facessero come te… raddoppieremmo i lettori nel giro di un mese! E a proposito di questo, ti volevo proporre una cosa”,
“Di che si tratta?”,
“Ecco… sai che in questi giorni è in corso una mostra di opere d’arte. Vorrei farci una recensione”,
“Ma io non capisco un tubo di arte!”,
“Infatti non dovresti farla tu. Ho contattato un critico d’arte a Vienna, e gli ho chiesto di venire qui. Sarà lui a fare la recensione, e tu dovresti solo trascriverla, sotto forma di intervista”,
“Va bene. Chi hai contattato?”,
“Com’è che si chiama… andiamo nel mio ufficio, devo averlo trascritto da qualche parte”.
Lasciata la sala riunioni, si avviarono lungo il corridoio, un corridoio sui toni del beige, luminoso, pieno di gente indaffaratissima. Entrarono nello studio di Robert, una grande stanza con una parete a vetri sul fondo, contro la quale si trovava la scrivania.
Robert si avvicinò alla scrivania piena di fogli “Qui non si capisce nulla. La segretaria deve averlo messo da qualche parte… Ah, ecco qua: Aschenbach! Leonhard Aschenbach”.
Jeudi sgranò gli occhi “Hai detto Aschenbach?”.
Robert alzò la testa dalle scartoffie e la guardò “Perché? Lo conosci?”,
“Sì- fece lei – eravamo colleghi all’Università, finché lui non cambiò facoltà”,
“Meglio, allora! Il tuo lavoro sarà più semplice”, rise lui.

Più tardi, Jeudi ripensava al passato.
Leonhard… erano stati assieme per circa un anno. A quell’epoca lui era il più bello della facoltà: alto, biondo, occhi viola, voce profonda e calda, modi gentili… le altre colleghe la invidiavano molto. Era stata bene con lui. Finché lui, all’improvviso, non era scomparso: sparito, in un’altra facoltà, a Salisburgo. Le aveva inviato una lettera, invitandola a venire anche lei “Anche qui c’è la facoltà di Scienza della Comunicazione”, le aveva scritto. Ma a lei non fu possibile trasferirsi, dato che poco dopo entrambi i genitori erano morti in un incidente automobilistico, e lei aveva dovuto occuparsi delle esequie, di tutte le formalità, e dell’educazione della sorella, all’epoca ancora adolescente. Così, si erano persi di vista. Poi, aveva iniziato a lavorare e poco dopo aveva conosciuto Lundi. Era stato durante un congresso per un’azienda di alta tecnologia, al quale lei fu obbligata a presenziare per il giornale. Si erano innamorati e l’anno successivo si erano sposati. Anni dopo era nato Pierre. E la sua vita aveva così preso un binario differente da quello di Leonhard.
Ed ora, Leòn che tornava a farsi vivo… era così che era solita chiamarlo: Leòn. A lui piaceva.
Come aveva potuto dimenticarlo, per tutto quel tempo, si domandava.
A quanto pare, adesso il passato esigeva di saldare i conti.
  
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