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Autore: Always_Always    02/05/2016    5 recensioni
Quando Jeremiah Arkham ha aperto i cancelli per la prima volta, non sapeva certo a cosa stesse andando in contro. Era stato più un salto nel buio, il suo: il sogno di realizzare qualcosa di grande. Col pugno di ferro non si era fermato e non aveva mai ceduto alla paura, conscio che quelle che aveva davanti fossero solo persone. Persone che - seppur piene di problemi, di violenza latente e con una concezione di giusto e sbagliato altamente precaria - potevano essere gestite con il giusto personale e la giusta determinazione.
Ma con quest'ultima annata sta per cambiare tutto, perché qualcosa non quadra.
È la classe dell'ultimo corridoio che non quadra, con i suoi studenti. Come se concentrasse in sé qualcosa di sbagliato che fa tremare le pareti di tutto l'Arkham High School.

...
AU ambientato tra i banchi di scuola che cercherà di raccontare dei personaggi quando ancora non sono quelli che conosciamo. Di quello che succede in quel lasso di tempo tra il prima e il dopo.
...
{BrucexSelina, BrucexTalia, HarveyxRachel, JokerxHarley}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Due Facce, Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo n°9
"Kings and Queens"
 
 
 
Into the night
Desperate and broken
The sound of a fight
Father has spoken
 
We were the kings and queens of promise
We were the phantoms of our selves
Maybe the children of a lesser god
Between Heaven and Hell
 
Heaven and Hell
 
 
 
(Kings and Queens, 30 Seconds to Mars)
 
 
 
 
 
La neve che imperversa su Gotham City è una poltiglia zozza e macchia di grigio i palazzi e le strade.
Harleen Francis Quinzel, una coda bionda che ricade sopra una spessissima sciarpa di lana, è sempre rimasta affascinata da questo strano spettacolo. Soltanto a Gotham City il nevischio che scende giù dal cielo è già sporco prima ancora di toccare il suolo e lo trova un dettaglio davvero interessante. L'anima di questa città è così lurida da infettare perfino le nuvole.
E allora? Forse siamo tutti sporchi; siamo tutti infetti.
Pensieri alternativi: non ha idea quando abbia cominciato a farli. Il mondo è diventato un posto tutto nuovo dove ogni giorno c'è qualcosa che non aveva notato prima. A volte pensa che si tratti della fantomatica maturità – salutare l'adolescenza e le sue contraddizioni per entrare finalmente nel mondo adulto; altre si convince che non possa essere semplicemente così. C'è qualcosa di più profondo – di più sinistro – che si agita dentro di lei.
Harleen Francis Quinzel, la punta del naso rossa per il freddo e le dita ghiacciate, ha realizzato di vivere istante per istante, un tassello di vita alla volta.
Le piace. E le fa paura al tempo stesso.
Tutti i grandi paroloni come moralità, futuro e fede hanno perso il loro lussuoso fascino. Non si tratta più di azioni lungimiranti per un fine irraggiungibile, ma del qui e ora, dell'immediato presente che non si ripeterà.
Tutto gira e ruota e vortica e l'importante è godersi la gravità.
Non ha importanza cadere a terra, se lo fai con un bel sorriso.
Un capitombolo a testa in giù e poi di nuovo sulla giostra.
Dio, non si è mai sentita tanto libera in vita sua – non si è mai sentita tanto diversa in vita sua. Non ha ancora capito se sia un bene o un male questa ventata di novità che sente, ma si sta impegnando per scoprirlo.
Libertà e costrizione… da che parte stai, Harleen?
Certo, la libertà è avida – al contrario di quanto si possa pensare – ma lo scotto da pagare ne vale la pena. E stuzzica anche il suo lato più sagace.
Come a volerle dare ragione, le pagine scorrono sotto i suoi occhi.
 
«Disturbo borderline di personalità: caratterizzato da instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e degli affetti, e da marcata impulsività.»
 
La sua libertà ha una forma concreta e risponde al nome di Mr J. O qualunque sia il suo nome vero.
Ha provato a chiederglielo una volta ancora, dopo la festa di Talia Al Ghul, ma lui le ha fatto capire chiaro e tondo che – oltre a non apprezzare la sua banalità morbosa – non ha intenzione di rivelarglielo. Quella stessa notte lei ha ripercorso i lividi che le ha lasciato, riscoprendo una gioia che non sapeva di possedere. Masochismo? Non l'aveva mai considerato possibile e ora comincia a ricredersi; quando Mr J la maltratta, lei si accende come fuoco vivo – un altro sintomo di psicopatia acuta, ma a lei piace pensare che sia soltanto una fantasia erotica, uno di quei piccoli peccatucci innocenti che insaporiscono la vita. E Mr J ha un sapore particolare: acerbo e dolce, rassicurante e pericoloso; Harleen ha capito che se vuole amarlo davvero deve imparare a capirlo fino in fondo e apprezzare tutto di lui, tutte le sue contrastanti sfaccettature psicologiche – vuole riuscire a immergersi nel buio profondo dei suoi occhi e respirare l'ossigeno della ragione per non annegare. Dentro e fuori, dentro e fuori. Harleen subisce il fascino del proibito ma ha paura di lasciarsi andare e deve coprirsi le spalle: per questo motivo stamattina ha rubato dei libri da suo padre - manuali di psichiatria con infinite dita di polvere – e li ha nascosti nella sua borsa.
Ora, mentre aspetta che i cancelli dell'Arkham High School si spalanchino, divora le pagine a una a una: c'è sempre un dettaglio che le ricorda il suo Mr J.
 
Impulsività? Lui.
Instabilità? Ancora lui.
 
La chiave di lettura è sempre quella. Mr J è una costante che si ripete all'infinito.
 
«Disturbo narcisistico di personalità: caratterizzato da grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia.»
 
E lei che ha sempre detestato la psichiatria. Stupida, stupida Harley. Se avesse saputo prima che ogni cavillo riportava a Mr J, avrebbe chiesto a suo padre delle lezioni extra.
 
«Disturbo sadico di personalità: caratterizzato da comportamenti aggressivi, crudeli e umilianti verso gli altri.»
 
Sembra il suo perfetto ritratto, una biografia tanto azzeccata da sorprenderla. Le pare di avere un illimitato accesso alla psiche di Mr J, di avere sottomano la sua stessa mente e di poterci viaggiare dentro come vuole.
Dentro e fuori, dentro e fuori.
Rilegge le ultime parole.
Comportamenti aggressivi, crudeli e umilianti verso gli altri.
Non si vergogna del fremito che le scivola nel ventre. Perché dovrebbe? Quello che legge le piace. Quello che scopre non fa che aumentare la voglia che ha di lui. Tutto gira e ruota e vortica e lei si sta godendo la sua dannata gravità.
Dannata? Forse. Sbagliata? Qualcuno potrebbe dirlo.
Ma se ne infischia. La strada per mantenere la sanità mentale è lunga e perigliosa, e lei ha già deciso che farà di tutto per ottenere sia quella che Mr J.
Sarò la tua dottoressa, Mr J. Il punto fermo della tua vita. E tu sarai lo Stregatto della mia follia.
Può funzionare: l'amore e la determinazione possono fare qualsiasi cosa.
 
«Disturbo antisociale di personalità: caratterizzato da inosservanza e violazione dei diritti degli altri.»
 
Troverà anche se stessa in queste pagine? Una descrizione più calzante delle altre che sarà la prova definitiva del suo tuffo negli abissi reconditi della psicopatologia?
Harley Quinn la regina dei matti…
No, non è così: non perderà la via. Troverà un modo per restare appiccicata alla realtà, un appiglio per mettersi in salvo quando le cose peggiorano – Mr J è lunatico e imprevedibile e lei dovrà imparare a giostrarsi tra l'irrazionalità e la razionalità. O forse sta cercando di capire qual è il segreto della sua attrazione per Mr J. È pazzo? È un genio? Ne è attratta per questo? O perché sente di volerlo salvare?
Ma lui vuole essere salvato? Merita di essere salvato?
Non è più nemmeno convinta che sia salvezza, il grigio mondo schematico che la circonda fin da quando ne ha memoria.
Mr J risplende. Colora la realtà con la sua personalissima visione della vita e Harley non sa se accettare l'inaffidabilità del suo mondo e gettarsi a capofitto nell'esistenza, o se trascinarlo con sé nella rassicurante società che ha imparato a conoscere – se mai glielo permettesse.
Bianco o nero… è davvero tutto qui?
Harley stringe di più il manuale di psichiatria e prega di trovare tutte le risposte.
 
"Che ci fa un arlecchino in preda al freddo del mattino?"
 
Harleen chiude il libro e alza lo sguardo: Mr J ha i capelli scomposti, una matita fra le mani e un'ombra scolorita attorno agli occhi; potrebbero sembrare delle occhiaie, ma lei non si fa ingannare: quei cerchi sono i residui del trucco da clown che adora indossare durante la notte.
Chissà per quale motivo.
Le basta un'occhiata per capire che è di buon umore. Un po' le dispiace: non è particolarmente manesco quando si sveglia per il verso giusto e lei deve accontentarsi dei segni sbiaditi.
 
"Aspettavo te, Mr J. "
"La mattina è già abbastanza pesante senza le tue chiacchiere, Harley."
 
Harleen risponde con un sorriso. Lo spettacolo continua, soprattutto in un rapporto strampalato come il loro. E se Mr J si sente più felice recitando la parte del menefreghista, così sia. Chi è lei per pretendere il contrario? Il suo obiettivo è farlo ridere; renderlo fiero di lei e fare in modo di diventare indispensabile, una presenza velata che aderisce al suo cuore.
Quindi, sì, pasticcino: gioca a fare il duro, tanto la partita la vincerò io.
 
"Mmh," constata poi lui, regalandole un buffetto sulle guance, "sei fredda come il cadavere di un direttore di banche."
Harleen infila il libro nella borsa e lo segue all'interno della scuola: "Un direttore di banche?"
"Strambe creature. Rigidi e impettiti come se il mondo fosse in linea retta."
"Sembra una noia mortale."
 
Mr J s'illumina. Basta davvero poco per renderlo felice. A volte è come un bambino: stessi bronci e stessi desideri.
 
"Vuoi sapere il rimedio perfetto contro la noia, Harley Quinn? Un pizzico di violenza. È un tocco elegante che fa sempre la differenza."
 
Harleen registra l'informazione e si ritrova a ridere per la rima. Vorrebbe dirgli che è meraviglioso, ma riesce a trattenersi: conosce i limiti che non deve varcare. Mr J è vanitoso ma detesta i gesti sdolcinati e Harleen non può spingersi troppo oltre. Dopotutto, il loro rapporto è un'incognita d'infinite variabili e lei sta ancora sondando il terreno per erigere un porto sicuro.
Una fortezza invalicabile dalla quale non mi strapperai più.
In questo, il manuale di psichiatria potrà aiutare: entrare nel suo cuore il più in fretta possibile e mantenersi stretta la ragione è la sua priorità.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
"Schiaccialo di più."
 
Lo stivale Prada di Shiva risponde al suo ordine e aumenta la pressione sulla guancia arrossata di… come si chiamava il primino con l'apparecchio acustico e il naso grosso? Troppo superfluo per ricordarselo. Tanto meglio: le informazioni inutili le hanno sempre dato fastidio.
Shiva[1] si sistema sulla schiena della sua vittima e Talia ticchetta le dita sul lavandino del bagno. Li osserva con attenzione, concentra le sue forze su quel piccolo atto di bullismo per trarne il piacere necessario e andare avanti per il resto della giornata.
Ma io non sono mio padre e non è così semplice.
Silenzio. Silenzio nella testa. Nasone-a-patata ha cominciato a gorgogliare e questo è assolutamente un particolare che merita attenzione.
 
Shiva piega il viso verso il loro nuovo amico e gli mostra un sorriso affilato: "Come dici, Langstrom[2]? Non riesco a capirti con il mio stivale in bocca."
 
Langstrom. Ecco come si chiamava. Prevedibilmente, un nome inutile per un'esistenza altrettanto inutile.
Gli si addice molto di più Nasone-a-patata.
 
"Che fai, adesso, piangi? Non piangere, Kirk!"
 
Shiva si sta davvero divertendo un mondo, stamattina. La sua passione per le arti marziali la aiuta a sottomettere anche i casi più difficili senza tanti problemi – non che con Nasone-a-patata sia servita. Talia la guarda farsi beffe del ragazzino, mollargli una manata sulle orecchie e deriderlo per la sua sordità.
Certo, non un tocco di classe, ma quando Talia non ha voglia di occuparsi dei dialoghi Shiva si deve accontentare di quello che le passa per la testa. È sempre stata meglio nei confronti fisici che in quelli verbali ed è forse questo il difetto che la relegherà per sempre al ruolo di spalla. Suo padre glielo ripete in continuazione.
Il braccio e la testa, Talia. Sii la testa e trovati il braccio.
Lei ha fatto di più: è diventata la testa e ha imparato a essere il braccio. Perché dipendere da qualcuno che potrebbe tradirti? Un buon capo non dovrebbe essere in grado di interpretare qualsiasi ruolo gli si presenti?
Noi siamo la più antica famiglia di Gotham City, Talia. Le fondamenta stesse di questa città poggiano sulle nostre spalle e un giorno sarai tu a sopportarne il peso.
La prima volta che le ha fatto questo discorso aveva nove anni e sua madre era appena morta. Suo padre l'ha portata davanti al camino e le ha spiegato che Gotham City è un meccanismo complesso in cui si muovono Luce e Buio; l'equilibrio che impedisce alla città di collassare su se stessa è retto dalla famiglia Al Ghul, simbolo di forza e potere. Talia è una principessa che sarà regina e, come tale, deve imparare i trucchi del mestiere per mantenere alto il nome della sua gloriosa famiglia.
È questo il legame che c'è tra lei e suo padre, per lo più: un contratto di affari stilato fin dalla sua nascita. Se sua madre fosse viva le cose potrebbero essere diverse, ma Talia non ha intenzione di lamentarsi per questo.
Un Al Ghul non si lamenta. Un Al Ghul si tempra nel dolore e ne fa la sua forza.
 
"Talia, sei tra noi?"
 
Il pestaggio di Nasone-a-patata ha perso di significato. Talia è chiaramente distratta da altri pensieri e se anche Shiva se n'è accorta significa che la faccenda è seria.
 
"Questo sfigato mi ha stancata," esordisce. "Andiamocene."
 
E poi, c'è anche l'altra questione. Quella che si contrappone perfettamente a suo padre; quella che le trancia lo stomaco di netto e la lascia sveglia di notte, nonostante i suoi pallidi tentativi di contrattacco.
Bruce…
No, fuori dalla mente. È uno di quei pensieri autodistruttivi che non portano da nessuna parte: suo padre li detesta e se dovesse scoprirli s'infurierebbe davvero. La verità è che non le importa nulla di suo padre, della sua famiglia o delle sue responsabilità, perché la presenza o l'assenza di Bruce Wayne è in grado di ribaltare completamente il suo umore e le sue giornate; potrebbe mollare tutto – scuola, titolo, obiettivi, tutto – e fuggire lontano, se soltanto lui glielo chiedesse.
Se soltanto lui me lo chiedesse.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Edward Nashton è sempre stato convinto di tre cose in tutta la sua vita: primo, il suo genio è inarrivabile; secondo, il mondo è un luogo illogico dove vivono delle specie sottosviluppate; terzo, lui ha avuto la sfortuna di nascere sul pianeta Terra per mero errore. Avrebbe potuto prendersela con Dio per questo abbaglio imperdonabile, se solo avesse creduto alla sua esistenza.
Ma ora, con le dita che schizzano sulla tastiera del portatile e il labbro inferiore arricciato in una smorfia di pura concentrazione, Edward Nashton dipana la fitta coltre che si è condensata davanti ai suoi occhi e finalmente capisce.
Non sono solo.
Una rivelazione tanto inaudita che deve ripeterla più volte per renderla reale.
Qualcun altro là fuori ha due dita di cervello in più.
Forse è proprio questa la causa dell'euforia che gli sconquassa il petto; una nuova energia gli scorre nelle vene e accende la sua monotona vita in un altrettanto monotono mondo. Sente di non riuscire a stare fermo; deve muoversi, deve agire; deve fare e fare e fare, assecondare questa nuova bellissima sensazione e cercare di farla durare il più a lungo possibile.
La tazza di caffè che si ferma davanti al suo naso aumenta il suo entusiasmo e per un attimo Edward Nashton si dimentica del grigio apatico che contraddistingue la sua esistenza.
Il caffè ha un odore più dolce del solito, oggi.
 
"Dio, Eddy… devi avvertire prima di sorridere," Vicki gli cede la tazza e sfoggia due occhi colmi di sorpresa – anche quelli sono più belli del solito, oggi. "Nessuno è abituato ai tuoi slanci emotivi."
 
Ora, Edward ha due opzioni: tornare al solito grugnito insofferente, o condividere la sua elettrizzante scoperta con lei.
La verità è che oggi Edward Nashton non ha molta voglia di rimuginare sui pro e i contro di ogni cosa; la verità è che oggi Edward Nashton vuole seguire l'istinto – un'altra novità che dovrebbe appuntare sul taccuino intitolato: 'Eventi incredibili che stanno ribaltando la vita di Edward Nygma Nashton'.
 
"Ha coperto le sue tracce!" esulta, stando attento a non far gocciolare la tazza di caffè – d'accordo che la sua sfera emotiva è più attiva del solito, ma le sue sinapsi cerebrali funzionano ancora egregiamente.
 
Vicki Vale sorseggia la sua tazza di caffè e si volta verso l'armadietto etichettato a suo nome: "Chi?"
"Il finto Jack Napier, ecco chi!" Edward ha gli occhi che brillano, "si è infiltrato nel database della scuola e ha coperto le sue tracce!"
"Ne parli come se fosse una cosa positiva."
"È una cosa positiva, Vicki," ribatte lui, beccandosi un'occhiata entusiasta da lei perché finalmente l'ha chiamata Vicki, "vuol dire che il nostro amico, chiunque sia, sa giocare bene le carte che ha."
 
Lei gli si avvicina e poggia una mano sulla sua spalla. Ha uno smalto nero laccato, una catenina d'argento attorno al polso e un profumo agrodolce che ricorda vagamente un frutteto d'arance.
I capelli voluminosi solleticano il collo di Edward, che ha chiuso gli occhi.
 
"E come facciamo a beccarlo se non lascia tracce?"
 
Dio, pensa Edward, speravo che lo chiedessi.

"Non ho detto che non lascia tracce," risponde saccente, dopo aver riaperto gli occhi, "ho detto che è bravo a coprirle. Ma se spera di fermarmi, si sbaglia di grosso."

Hai scelto il giocatore sbagliato con cui intavolare una battaglia di cervelli. Anzi, hai scelto il migliore.

"Certo," continua Edward, "la scuola ha un sistema di sicurezza tanto idiota che persino un neonato troverebbe la falla del server; ma il fatto che ci abbia pensato è davvero…"
Eccitante.
"Allarmante," termina Vicki per poi alzare le sopracciglia, "come la tua faccia in questo momento. Non sapevo del tuo feticismo per l'hackeraggio, Eddy."
Feticismo per l'intelligenza, mia cara.
Edward alza le spalle e stacca gli occhi dal computer: "È una sfida, Vicki. Pensa di essere furbo? Gli dimostrerò che sono più furbo di lui."
 
Vicki Vale strizza gli occhi e si concede una lunga risata. Edward vorrebbe chiederle cosa ci sia di tanto divertente, ma poi anche lui si lascia andare a un sorriso genuino e per la prima volta da moltissimo tempo, pensa che sia una splendida giornata.
 
"Fammi sapere se hai bisogno di una mano, partner," lo stuzzica Vicki una volta raggiunta la porta che dà sul corridoio, "non sono pratica di hacker, ma mi piacerebbe fare un altro interrogatorio a tappeto. È stato divertente."
 
Divertente non è la parola che userebbe lui, ma Vicki è già uscita dalla sua visuale e la prospettiva di questo misterioso confronto gli stuzzica la mente, tanto che alla fine Edward si scorda quello che voleva dire, il caffè e qualsiasi altra questione non implichi il computer[3].
Quando suonerà la campanella, Harold[4] passerà buona parte della prima ora a cercare il professor Nashton per tutto l'Arkham High School, per ricordargli della lezione di matematica che starà lentamente volgendo al termine nella più totale anarchia.

 

 
∞∞∞
 
 
 
"Lo sa, sir? Non è un comportamento che approvo."
 
Bruce Wayne, il muso voltato contro il finestrino, ripiomba improvvisamente nella realtà e concede un'alzata di spalle al suo maggiordomo.
 
"Quale comportamento?"
"Quello indifferente che ha adottato da qualche tempo a questa parte," risponde Alfred con le mani sul volante.
Bruce disegna dei cerchi sul finestrino appannato: "Indifferente?"
"È distratto," spiega il maggiordomo, "non ascolta ciò che le dico e si dimentica dei suoi impegni. Non aveva mai fatto tardi a scuola, prima d'ora."
"Sì, Alfred," risponde Bruce senza ascoltarlo, "lo farò più tardi."
"Le cose sono peggiori di quanto pensassi, sir."
 
Bruce annuisce al vuoto e la macchina precipita nuovamente nel silenzio. Alfred Pennyworth gli lancia un'occhiata, si schiarisce la voce un paio di volte e mentre insegue la curva della rotonda ci prova di nuovo.
 
"Non sono un esperto, signorino Bruce, ma credo che qualcosa non vada per il verso giusto."
 
Bruce Wayne è così incantato dal panorama nevoso di Gotham City che Alfred vorrebbe chiedergli cosa ci trovi di tanto interessante in qualche grattacielo sporco e dei fiocchi bianchi di puro freddo.
Probabilmente, non risponderebbe.
 
"Signorino Bruce?"
 
Silenzio. Silenzio. Silenzio.
Alfred sospira e pensa che gli adolescenti siano più complicati di una manovra militare per linee interne con munizioni contate[5].
 
"Bruce, c'è un motivo in particolare per cui io debba conversare amabilmente con il vuoto?"
 
Finalmente lo sguardo di Bruce Wayne si distoglie dalla città e si posa su di lui: "Niente di niente, Alfred."
"Ha fatto qualcosa che dovrei sapere, sir?"
Un ghigno che ricalca la sfrontatezza di sempre si fa strada sul volto di Bruce: "Sei preoccupato che possa combinare qualche cazzata?"
 
Parolacce. Un altro splendido regalo dell'adolescenza. Alfred fa una fatica immane a digerirle.
 
"Mi fido del suo buonsenso, sir, ma la prudenza non è mai troppa."
 
Qualcosa si agita nello sguardo di Bruce e precipita nel fondo dei suoi occhi: "Ti sorprenderebbe sapere quanto sono bravo a combinare cazzate."
 
Alfred nota al volo quello sguardo – noterebbe ovunque quello sguardo – e ne resta così sorpreso da non fare più domande. E in fondo, ha già la risposta che stava cercando: sì, Bruce ha qualcosa che non va. No, non si tratta di una questione spinosa come quella terribile zuffa nella mensa della scuola, però è qualcosa che lo turba, tanto da adottare quello sguardo, il più tenebroso, che gli ha visto al funerale dei suoi genitori e ogni tanto sfodera nelle notti di maggiore sconforto.
Alfred lo accarezza con un'altra occhiata e poi torna a guardare la strada.
 
In che cosa ti sei cacciato, Bruce?
 
"La conosco da quando è nato, sir: non c'è niente di lei che potrebbe sorprendermi."
 
E io come posso aiutarti?
 
Detesta quando si fa tutto così complicato. Alfred Pennyworth ha sempre saputo che un Wayne sarebbe stato difficile da crescere, ma non pensava potesse essere così frustrante. Bruce Wayne ha l'isolamento intrinseco nel sangue, condito con cupezza e turbamento cronici e anche se Alfred sente che diventerà un grande uomo, per ora non può far altro che stringere i denti e sperare che quel momento arrivi in fretta. Possibilmente, senza troppi danni collaterali.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
L'aria canta. Non l'aveva mai sentita cantare.
Aliti freschi s'intrufolano tra i suoi ciuffi e le spettinano i capelli rossicci – ha deciso di lasciarli sciolti per l'occasione: il modo in cui ricadono sulle spalle aveva sempre fatto impazzire suo padre ed è convinta che anche adesso possa fargli piacere.
Canta, sì, una melodia che ricorda rami che s'intrecciano, germogli che sbocciano, fiori che appassiscono.
Il cerchio della vita è tutto qui, nelle note malinconiche di questo quartetto di violini.
È una scena surreale quella che Pamela ha davanti a sé: non pensava che una bara potesse essere così grande, così catalizzante. Lo sguardo di tutti è attratto da quel coperchio di ciliegio, contornato da campanule e rose rosse - le può sentire gemere se chiude gli occhi e proprio per questo Pamela si premura di non farlo.
Si concentra sulla folla attorno a lei, che non fiata se non per qualche sospiro; poi si concentra sul prete e su come l'aria scompigli la sua tunica viola – mai come ora le è sembrato un colore tanto brutto. Dice qualcosa, il prete, ma Pamela Isley non lo sta davvero ascoltando e si limita a interpretare i suoi gesti, i suoi lineamenti rigidi, le occhiate languide che lancia a lei e ad Amina Franklin[6].
È la volta buona che te la fai andare a genio, Pamela. Proprio come papà avrebbe voluto.
Amina ha lo sguardo marmoreo, ermeticamente sigillato in un religioso silenzio. Ha rifiutato gli occhiali da sole scuri, il velo da lutto e qualsiasi altra cosa potesse coprirle il volto, come se fosse orgogliosa del suo dolore – come se sfidasse i presenti con i suoi occhi gonfi e gridasse guardate! Sono una fidanzata addolorata! Una fidanzata disperata!
Forse anche Pamela dovrebbe mostrare lo stesso tormento; sarebbe incredibilmente facile fare la parte della vittima – mio padre era un uomo buono, oh, così buono, e qualcuno l'ha ucciso, qualcuno di cattivo che ha dato fuoco al laboratorio e mi ha fatto tanto male.
Ma non le va. Non è così che lo riporterà indietro. La parte da recitare è già stata stabilita e non sarebbe gradita una deviazione dal copione originale.
Un incidente fatale. A questo si riduce la morte di suo padre: una fuga di gas nel laboratorio, una propagazione incontrollata di fiamme e un grande, unico boom.
 
Che incidente fatale.
 
Nessuno ha ritenuto opportuno chiedersi perché mai l'antincendio non sia scattato, oppure è Pamela che è perspicace per la sua età. Hanno giustificato persino il colore della sua pelle: "Un'esperienza traumatica", "pallida come un cencio," "terribile tragedia". Pamela si è sentita quasi soffocare da tutte queste supposizioni, dalle bugie e dagli occhi colmi di pietà che si è sentita addosso; ha rischiato la crisi isterica. Poi un albero le ha fatto le condoglianze. Non se l'è immaginato: una voce nodosa e profonda è partita dalla corteccia imbrunita di un albero e le ha fatto le condoglianze per la sua perdita. A quel punto Pamela avrebbe potuto cedere al crollo di nervi che cercava di annientarla da quando è cominciata tutta questa pagliacciata, invece ha deciso di assecondare quello che sentiva e l'ha ringraziato.
"Mi dispiace, sorella."
"Grazie, albero."
Surreale e inaspettato. Come il funerale di suo padre.
La situazione ti sta sfuggendo di mano, Pammy Pammy.
Un'altra osservazione perspicace, soprattutto quando si rende conto che le condoglianze dell'albero sono l'unica nota positiva della mattinata.
Questa è bella, Pam: tuo padre è morto e l'unica cosa che ti fa stare meglio è un albero.
Pamela storce il naso avvertendo l'odore marcio che aleggia nell'aria e lo sente sottopelle che è colpa dei fiori attorcigliati alla bara: stanno morendo. Il fioraio di fiducia aveva torto quando diceva che, una volta troncato il gambo, muoiono sul colpo. Stanno soffrendo, un dolore invisibile che soltanto lei riesce a cogliere e le provoca un fastidio mai provato prima.
Concentrati, Pamela: tuo padre è morto. Qualcuno l'ha ucciso.
Qualcuno con un nome ben preciso; con un volto ben preciso. Non potrebbe scordare gli zigomi aguzzi, gli occhietti da predatore e la lingua bislunga nemmeno se volesse. Li rivede continuamente sulla faccia dei passanti –appiccicati alla loro carne – che la guardano e la deridono. Anche adesso, mentre i singhiozzi sfuggono dalle labbra serrate di Amina Franklin e lasciano il posto a lacrime copiose.
Woodrue. Un nome che la fa rabbrividire.
Il grande campanile rintocca a morto e desta Pamela; per un momento le passa per la mente che la scuola è già cominciata, ma che potrebbe arrivare in tempo per l'ultima ora se scappasse adesso. Dovrebbe giustificare il ritardo, ma con il professor Tetch è facile inventare una scusa e passarla liscia; con Harleen non sarebbe così semplice, però. Alla sua bionda basterebbe un'occhiata per capire che qualcosa non va come dovrebbe.
Harleen… ci crederesti mai se te lo raccontassi?
La bara si lascia andare sul tappeto di terra scavato per l'occasione e produce un tonfo attutito; alla piccola folla fuggono altri sospiri e i fiori, là sotto, piangono. Hanno una voce stridula che stiletta il cuore di Pamela – i loro lamenti le ricordano il laboratorio, e le fiamme, e il siero, e il dolore, e…
Woodrue, pensa Pamela, stringendo i pugni e i denti, la pagherai per questo.
Dovunque tu sia, la pagherai.
La sua condanna è pregna di veleno e la investe di un'adrenalina improvvisa: fargliela pagare. Perché non ci ha pensato prima? Perché adesso sembra una questione così semplice?
Che importa la vita di un reietto in confronto a quella di mio padre? In confronto a quella del mio giardino?
Pamela Isley si lascia sfuggire un sorrisetto accennato che stona con l'apatia di quel funerale malinconico. All'improvviso, cambia tutto.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Selina Kyle usa lo stivale per schiacciare il mozzicone della sigaretta e con esso tutta la sua frustrazione.
L'intervallo sta per finire e ha appena deciso che si prenderà un bonus per fumare un'altra sigaretta e farci scappare anche un cappuccino; ne ha davvero bisogno. Nicotina e caffeina: le migliori amiche contro la noia. E lei è decisamente annoiata.
Non sei costretta a fingere anche con te stessa, Selina. Stare male per qualcuno non è una debolezza.
S'infila una mano tra i capelli liscissimi e ignora categoricamente i suoi stessi pensieri, come se da questo dipendesse la sua vita: a nessuno importa della verità, men che meno a lei. Ha sempre gestito ogni situazione e questa non sarà da meno. Salta giù dal muretto e sta per imboccare il portone principale dell'Arkham High School quando dall'angolo spunta una figura.
 
"Selina Kyle?"
 
Grazie a Dio, pensa Selina: distrazioni.
Si volta verso il nuovo interlocutore e si scontra con il volto appuntito di Jonathan Crane. Per un attimo resta interdetta – Crane non le ha mai rivolto la parola prima d'ora – ma poi decide d'infischiarsene.
 
"Hai cinque minuti di tempo prima che io giri i tacchi," risponde, con più insolenza di quanto vorrebbe. "Che cosa vuoi?"
 
Jonathan inchioda gli occhi su di lei e Selina percepisce una formicolante sensazione di disagio che parte dagli occhi ghiacciati di lui e si ferma al centro esatto del suo petto. Si sente esposta, come se lui riuscisse a scavare sotto l'apparenza per afferrare i segreti che nasconde persino a se stessa. Non le piace che qualcuno metta il naso nella sua intimità. Non le piace per niente.
 
Sta sinceramente pensando di assestargli una bella unghiata sulla guancia quando Jonathan si appoggia al muro e comincia a parlare.
 
"Girano certe voci, su di te."
 
Selina si acciglia. Piega le labbra e mostra i denti: "Non dovresti fidarti dei pettegolezzi."
Lui ruota la testa di lato e sistema meglio gli occhiali: "Dicono che tu sia brava a risolvere i problemi della gente…"
"Come ho detto, non dovresti fidarti dei pettegolezzi."
Jonathan alza di nuovo lo sguardo – occhi ghiacciati: "… con la giusta ricompensa."
 
Selina si concede uno sbuffo teatrale e si fa più vicina. Arriva davanti al suo volto e con un sorriso sfrontato poggia una mano sul muro. Le unghie laccate di rosso sfiorano l'orecchio di Crane.
 
"Hai tutta l'aria di propormi dei loschi affari, Jonny."
 
Esattamente quello che mi ci vuole.
 
"Ho bisogno che recuperi qualcosa per me."
"Hai dimenticato la merenda a casa?"
Jonathan fa una smorfia che Selina traduce a fatica come un sorriso: "Qualcosa del genere."
 
Lei arriccia le labbra, alza un sopracciglio e studia brevemente la situazione: quanto può divertirsi e, soprattutto, quanto può ricavarci?
 
"Girano voci anche su di te, sai?" risponde alla fine, con tono carezzevole. "Sui motivi che ti hanno spinto a venire in questa scuola."
"Nemmeno tu dovresti fidarti dei pettegolezzi," ribatte lui, ma Selina non demorde.
 
"Dicono ci siano di mezzo delle erbe speciali…"
 
Jonathan Crane irrigidisce le spalle e il suo volto diventa livido. Lo sguardo si affila, gli occhi si strizzano e quando risponde la sua voce è calma, ma trasuda una collera che prende Selina in contropiede.
 
"Io non sono uno spacciatore," scandisce, "non ho niente da spartire con quegli smidollati."
 
La rabbia di Jonathan è un grumo isterico che rotola fuori dalle sue labbra serrate e Selina ne è intimorita.
Perché ti scaldi tanto?
Vorrebbe chiederglielo, ma il suo fiuto le consiglia di non rischiare. Un disagio insolito rosicchia il suo stomaco e la lascia in balia di una semplice constatazione: Jonathan Crane ha qualcosa che non va. Una o due rotelle che non funzionano nel modo giusto.
Ma sono tutti matti, in questa dannata città?
Prende seriamente in considerazione l'idea di tirarsi fuori dall'impiccio e accampare una scusa per dargli forfait. Potrebbe inventare qualsiasi cosa e sembrare comunque credibile, ha soltanto l'imbarazzo della scelta. Tuttavia un altro pensiero va a prudere in fondo alla nuca. Un solletico fastidioso che le sussurra parole severe.
Fregatene, Selina. Gli affari sono affari e tu hai una collana di diamanti da comprare.
È una valida obiezione, ma è quasi certa che aiutando Jonathan Crane farà qualcosa di sbagliato e questo la blocca.
Da quando in qua fare la cosa giusta rientra nei tuoi interessi?
Una domanda interessante e molto scomoda. Da quando? Non ne ha idea, ma sa per certo di chi è la colpa.
Bruce Wayne è un capitolo chiuso, Selina. Fare la parte dell'eroina non cambierà le cose.
Selina abbassa lo sguardo e scalcia un sasso con lo stivale. Bruce ha avuto una terribile influenza su di lei e non è qualcosa che si dimentica facilmente. Il principe di Gotham è un concentrato di rabbia e rimorso perennemente in bilico sul burrone delle scelte sbagliate e se Selina l'ha capito è perché ha riconosciuto se stessa nel riflesso tentennante di Bruce. Se lui restava a galla, lei restava a galla, questa era l'auspicio che l'aveva pervasa. Dopo quella notte per le strade di Gotham, abbracciati e soli sotto la pioggia, si era convinta che lui potesse essere la persona giusta con cui condividere la solitudine. Sarebbe stata disposta a limare alcuni aspetti del suo carattere, per far funzionare la cosa. Ci ha provato, a dirla tutta. Non è stato abbastanza.
Quindi ora non devi più niente a nessuno. Vecchia te, vecchie abitudini. E fanculo anche a Bruce Wayne.
 
"Allora," miagola infine, esibendo un sorriso impertinente. "Parlando del mio compenso…"
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Sono anni che aspetta questo momento.
Finalmente, finalmente, finalmente, finalmente.
Anni che aspetta la figura compiaciuta del preside Arkham sorriderle in questo modo e stringerle la mano – è una presa forte e sicura che la rende estremamente orgogliosa.
 
"La signorina Vale mi ha detto cose incredibili su di lei, Dawes," dice.
 
Cose incredibili? Cose incredibili.
 
"Sono certo che saprà far brillare questa scuola."
"Farò del mio meglio, signore."
 
Rettifica: è una vita che aspetta questo momento. È il primo passo verso il mondo dell'arte, verso la realizzazione del suo sogno più grande; già s'immagina infilata in un tailleur grigio alle prese con mostre, musei, convegni, riunioni. È una visione perfetta.
Torna con i piedi per terra, Rachel: è soltanto un ballo.
Eppure lei sente che è più di questo. I balli scolastici realizzati ad hoc entrano nella storia – e se ogni cosa va come deve andare, lei può essere annoverata nella lista delle persone che sanno il fatto loro. Potrebbe liberarsi per sempre della sua eterna etichetta da sfigata e questo è un motivo più che valido per essere tanto euforici.
 
Non appena Jeremiah Arkham si allontana, Harvey le viene in contro con il sorriso. Prova a cominciare una conversazione ma Rachel è così emozionata da saltargli al collo e baciarlo ovunque.
 
"È successo qualcosa o sei soltanto felice di vedermi?"
"Sono nel comitato!" un altro bacio, un altro abbraccio, Harvey quasi soffoca sotto tanto affetto. "Nel comitato del ballo!"
Alla fine Rachel è colta dall'imbarazzante idea che il preside Arkham possa essere ancora nei paraggi e decide di staccarsi da Harvey e riprendere un comportamento degno di questo nome.
Non riesce a smettere di sorridere, però. Harvey non può fare a meno di guardarla e pensare che splenda.
 
"Il ballo invernale?" chiede lui, condizionato dalla sua allegria.
Rachel annuisce, stringe le spalle e porta le mani al petto: "Sono a capo del comitato. Tutte le decisioni spettano a me. L'organizzazione, l'allestimento, la musica… Harvey, te lo immagini?"
 
Sì, pensa Harvey. E sarà magnifico.
 
"Te l'avevo detto che avevi qualcosa di speciale," risponde, puntellandole la fronte con l'indice.
Lei sorride e Harvey non ricorda qualcosa di più bello: "Però, mi devi promettere una cosa," aggiunge.
"Che cosa?" chiede lei.
Lui le scocca un bacio sui capelli: "Ci sarà anche l'alcool."
 
La risata cristallina di Rachel è contagiosa e alla fine anche lui si lascia andare.
 
"Ma se non lo reggi nemmeno, l'alcool!"
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
"Ti racconto una storiella, Harley, vuoi?"
 
Harley inarca la schiena e mugugna in risposta. I capelli biondi sfuggono dall'elastico sfilacciato e scivolano sul suo viso, si spargono sul banco vuoto di questa classe vuota – la pausa pranzo è sempre stata il momento perfetto per allontanarsi dalle aule e scrollarsi di dosso la fatica, eppure ora lei non riesce a pensare a un modo migliore per svagarsi.
Ha gli occhi chiusi – e l'espressione contratta, e le guance rosse, e il respiro affannato – e non se ne accorge.
 
"Non è una delle migliori, bambolina. Ma vedrò di renderla più... eccitante."
 
Tutto attorno a lei è fuoco.
Lava incandescente le scorre lungo il corpo e si concentra sotto le mani sicure di Mr J – dita che premono e accarezzano e pizzicano e graffiano e
 
"Ah!…"
Harley contorce le dita dei piedi.
Mio… Dio.
 
"Lo prendo per un sì!" esulta lui, poi schiocca la lingua e si blocca a mezz'aria; Harley vorrebbe dirgli di continuare, di andare fino in fondo, ma dalle sue labbra esce solo un altro mugugno.
"Allora," comincia lui e insieme alla sua voce ripartono anche le sue mani, si avventano su Harley e stuzzicano il suo corpo – i suoi sensi. "C'è questo piccolo arlecchino che… veramente non fa nulla di particolarmente rilevante. Beh, a parte ficcare il naso dappertutto…"
 
Dappertutto, fa eco Harley. Sei dappertutto.
 
Mr J ride e le sue dita scorrono lungo la coscia contratta di lei: "È un bel cosino, il piccolo arlecchino. Deve ancora migliorare, ma basta toccare i punti giusti."
 
Ad Harley sfugge un altro gemito che allunga il sorriso di Mr J.
Sono una marionetta in estasi.
Il corpo non risponde più ai suoi comandi: è mosso da un piacere primordiale e selvaggio, una moltitudine di voglie che si muove per conto suo. È imbambolata e attonita per tutto quello che sta vivendo – sul suo corpo, nella sua mente. Non si sarebbe mai aspettata un trattamento così… accomodante. Mr J ha le mani ferme e rigide, ma nei suoi gesti c'è una morbidezza che la meraviglia.
 
Harley sa come andrà a finire: lividi di vittoria e morsi di possesso. Violenza che crea appagamento. Dolore che crea piacere. Dominanza che crea assuefazione. E la dominanza già c'è, trasuda dai movimenti calcolati di Mr J, dal suo corpo sopra di lei, dalle sue dita ostinate – sta giocando, la stuzzica per dimostrarle che qualsiasi cosa abbia mai provato lui farà di meglio.
Harley strizza gli occhi e non vede l'ora che Mr J perda il controllo.
Ho pregato per questo momento, Mr J. Non sai quanto l'ho fatto.
 
La lingua di lui striscia lungo il collo di Harley e lei sente le cicatrici sfiorarle le guance. Ruvide e profonde. Ruvide e magnifiche. Allunga istintivamente una mano per carezzarle, seguirne la linea e arrivare alle sue labbra, ma Mr J le intercetta il polso e la blocca al banco. Harley si lascia sfuggire un altro gemito.
Il controllo è tutto tuo. Io sono tutta tua. Fammi quello che vuoi prima che mi renda conto di quello che sei.
 
Mr J obbedisce e le soffia sul collo: "Il difetto del piccolo arlecchino è che non si fida di quello che sente. Ha bisogno di risposte, poverino, di certezze. Ma non è così che si fa. No, no, no…"
 
L'altra mano di Mr J risale la pelle calda di Harley e si ferma sul suo collo – un gesto abituale che però la eccita ancora di più.
Perché non lo stringi, Mr J?
 
"Harley, lo sai qual è il dramma del piccolo arlecchino?"
 
N-non lo so ma tu dimmelo, tu continua a t-tenermi stretta, c-continua e non fermarti… non…
 
"Semplice: restare incastrata in due costumi che non stanno bene insieme."
 
Harley apre gli occhi e sente all'improvviso qualcosa di stonato. Il tono di Mr J, forse? Deve accertarsene, quindi quando lui smette di toccarla e si avvicina a un soffio dalle sue labbra con gli occhi fissi nei suoi, Harley sente di essersi risvegliata da un sogno.
 
"Etichette, Harley," riprende lui, "sei sottomessa alle etichette. Carina e gentile, studiosa e pulita. Tutto quello che volete, signori, Harleen Quinzel è qui per voi!" piega la testa di lato e sorride solo per via delle cicatrici. "Definizioni, limiti. Giusto e sbagliato. Identità costruite. Tu vuoi sapere se puoi fidarti di quello che c'è dopo…"
 
Lei sbatte le palpebre e deglutisce.
 
"Ma questo non c'è scritto nei tuoi libri da dottoressa, vero?"
 
Sì. No. Io…
Harley ripiomba in una realtà che non è bella come quando l'aveva lasciata.
Un mucchio di domande accalca l'anticamera del suo cervello e le arrotola la lingua: quando l'ha scoperta? Come ha fatto? Perché ha capito tutto subito?
Dovrebbe davvero smetterla di tentare di fregarlo: Mr J legge le persone con uno sguardo e lei gli è troppo vicina per sperare di nascondersi.
 
"Sto cercando il modo migliore per essere come te," replica, gli occhi luccicanti che trasudano insicurezza.
"Non esiste modo migliore del lasciarsi andare, tortina. Un balzo e tutto è più bello."
 
Mr J ne parla con innocenza, una delicatezza innaturale che fluisce nella piccola carezza che le concede sulla guancia. E Harley sente lo stomaco pesante quando ricambia la dolcezza senza che lui si opponga. È docile, Mr J, nei suoi occhi legge la viva speranza di risposte. Harley fa scivolare le dita sui capelli mossi di lui e sente la sua domanda taciuta.
Salti con me, Arlecchino?
Voglio farlo, Pasticcino, ma non è così facile.
 
Prende un bel respiro e si prepara ad affrontarlo: "Ho paura," ammette, "ho tanta paura. Perché io ti amo ma non sono sicura di quello che succederà. E sono stanca di non sapere cosa fare, di dover stare attenta a quello che dico o che faccio, di avere paura di te, per te. Voglio che le cose siano semplici. È chiedere troppo?"
 
Mr J la guarda in silenzio, poi la lingua scivola sulla sua cicatrice: "Semplici," ripete, l'astio impregna la sua voce, "Harleen Quinzel vuole le cose semplici. Harleen Quinzel non vuole faticare, non vuole scoprire cosa c'è al di là del muro. Vuole tutto e subito, Harleen Quinzel. Storie banali che si ripetono all'infinito. Forse potevi essere diversa, ma hai troppa paura per provarci… troppa paura…"
 
Un tic nervoso arriccia il naso di Mr J. Con uno scatto si rimette in piedi e la butta giù dal banco. Harley atterra a pancia in giù e istintivamente si sistema i vestiti che ha addosso.
 
"Il mio arlecchino non ha mai paura, puttanella imbrogliona. Sa esattamente cosa fare e quando farlo, senza rendere conto a nessuno. Balla la sua musica e si diverte fino a morirne!"
 
Mr J ribalta il banco dietro di lui e sbatte una sedia contro la lavagna. Harley guarda i suoi gesti rabbiosi e prima ancora di avere paura si sente in colpa. Ha rovinato tutto. È palese la delusione di Mr J. Forse anche lui aveva bisogno di certezze – inconsapevolmente. Forse era il suo modo per dimostrarle il suo amore e lei ha rovinato tutto. Sente un pugno all'altezza dello stomaco ma s'impone di ricacciare indietro le lacrime. Se piange adesso, è certa che lui la ucciderà.
Te ne importa qualcosa, Harley?
No, ma non accetta di vederlo ancora più arrabbiato per colpa sua.
 
"Sparisci dalla mia vista!" Mr J fa avanti e indietro come una bestia in gabbia, le dardeggia un'occhiata truce e poi sbatte i pugni su un altro banco. "Tu sei un falso, un rifiuto, un insetto schifoso!"
No, Mr J, ti prego no, non farlo…
 
Ma lui lo fa: ribalta un altro banco e si ferma soltanto per guardarla dall'alto al basso con disgusto. Spalanca le labbra e sputa veleno, scandisce ogni parola con una lentezza violenta e calibrata: "Non vale la pena nemmeno ucciderti, Harleen Quinzel. Farò finta che tu non sia mai esistita. Non penserò a nessuna barzelletta per te, non ti farò nessun regalo speciale, non proverò a renderti migliore. Un fantasma come tutti gli altri. Peggio degli altri."
 
Crack. Harleen Quinzel avverte chiaramente il suo cuore creparsi nel mezzo e stillare sangue incandescente. Non tenta di ribattere – è troppo sconvolta per farlo.
 
"Che succede qui?"
 
Corre. Prima ancora di capire chi si sia intromesso, si volta di scatto e scappa il più lontano possibile da lì, da quelle accuse rabbiose, da se stessa. Sente lo sguardo rovente di Mr J sulle sue spalle – morsi profondi che recidono la carne e tutto quello che resta attaccato al cuore – e Harleen corre più veloce. Deve andarsene, sente che non riesce a respirare. Ha bisogno di aria, di spazio, di luce. Qui è tutto troppo stretto: la scuola si accartoccia su di lei e le soffoca i polmoni, le spappola il cervello, le sbriciola le ossa, le stritola il cuore.
Pamela… dove sei?
Nemmeno lei potrà aiutarla, non questa volta. Il dolore è troppo acuto e troppo grande, inghiotte qualsiasi tipo di speranza che s'intravede in lontananza: è sola, per la prima volta da moltissimo tempo. Come quando sua madre è morta e suo padre ha aumentato i turni in ospedale, lasciandola in balia dell'assenza; come quando quell'uomo l'ha aggredita nel vicolo e lei ha pensato che fosse finita. Anche adesso è finita, è il suo cuore a ulularlo.
L'hai perso, Harley! L'hai perso perché sei debole e non te lo meriti!
Sola e abbandonata, il freddo pungente s'insinua nel suo corpo, la congela e la opprime. Sussurra parole spregevoli, accuse fondate che la ingoiano tutta intera.
Sei un insetto schifoso, sei un rifiuto e un imbroglio, sei l'ombra di un arlecchino che non ballerà mai più – che non l'ha mai fatto.
Spalanca le porte dell'Arkham High School e si aggrappa all'immensa quercia che troneggia nel cortile, il respiro affannato, le guance rosse e gonfie, gli occhi strizzati e i polmoni a secco. Mangia l'aria a bocca piena, conficca le unghie nella corteccia marcia che le finisce sottopelle.
Non vale la pena nemmeno ucciderti. Conti meno di zero.
Improvvisamente, l'aria gelata sbatte sulla sua faccia trafelata e lei realizza di essere senza giacca in mezzo alla neve. Fiocchi lenti piovono su di lei, scivolano sulle sue guance e si fermano agli angoli delle labbra.
Harley non se ne accorge e sfoga tutta la sua frustrazione in un pianto isterico che le inebetisce i sensi. È il cuore che sanguina, freddo e ammaccato, triste e solo, e quando Harleen avverte la suoneria del suo telefono vibrare nel vento sta piangendo da dieci minuti buoni.
 
È un messaggio di suo padre – Harleen aveva dimenticato di averne uno. Dice che vuole che lei sia la prima a saperlo; che non è ancora ufficiale ma che presto le cose saranno definitive. Informazioni che attraversano i suoi occhi ma non arrivano davvero alla mente. Il mondo è attutito dal suo dolore e Harleen non riesce a distinguere nulla: colori, odori, sapori. Un grumo secco di grigio spento è incastrato nei suoi occhi. Harleen non è sicura di riuscire a toglierlo – né ora, né mai.
Un altro squillo del cellulare, Harleen si concentra un po' di più. Ignora i pensieri, il cuore, il cervello, fissa gli occhi sulle lettere che compaiono sul display – riesce a metterle in fila.
"Si può ben sperare," dice il messaggio, ma Harleen non capisce di cosa stia parlando. Quando arriva in fondo al testo, però, spalanca gli occhi e le labbra; i muscoli s'irrigidiscono e lei resta impietrita – sentimenti che non ci sono, emozioni cristallizzate in una sorpresa inaspettata.
 
"Ce l'ha fatta," dice suo padre. "Jack Ryder si sveglierà."
 
E nonostante la neve sporca che dovrebbe risollevarle l'umore, nonostante il cuore dilaniato che dovrebbe sentirsi più leggero e nonostante il sorriso morto che dovrebbe incresparle le labbra screpolate, Harleen smette di respirare.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Vicki Vale ha la spiacevole sensazione di sentirsi piccola.
Di tornare a essere la bambina con le trecce e le lentiggini che si nascondeva sotto le coperte per non sentire le grida di mamma e papà in salotto[7].
Osserva con circospezione il ragazzo che ha davanti e pensa che sia la prima volta che si ritrovano faccia a faccia dopo tutto quello che è successo.
Le cicatrici sono davvero tremende come ricordava. Vicki deglutisce e distoglie lo sguardo – da quelle, dai suoi occhi, dalla terribile rabbia nera che incendia il suo sguardo.
 
"Non sono permessi atti di vandalismo nell'Istituto," comincia, le mani irrigidite e il tono duro. Sa che è una frase scontata ma sente il bisogno di puntualizzare, perché il ragazzo che ha davanti la intimorisce e lei deve sembrare forte, deve sembrare determinata e fiera e per niente preoccupata.
Fingi come farebbe Eddy.
No, forse lui non avrebbe bisogno di fingere, forse sarebbe contento di questo confronto perché potrebbe colmare la sua curiosità. Anche lei ne ha una voglia matta, ma il buonsenso le consiglia prudenza: non ci sono prove ma Jack Ryder è finito in ospedale per colpa di quel ragazzo – e questo è un motivo più che valido per ritenerlo pericoloso.
 
Lui la studia con volto serio. Cammina lentamente fino alla cattedra e fa scivolare la mano sulla superficie del tavolo. Quando ruota la testa di lato, Vicki intravede un sorriso: "Lei è quella nuova, vero? Quella che piace tanto alla piccola Rachel…"
 
Quel ragazzo è amico di Rachel Dawes?
 
Vicki Vale capisce che la faccenda sia più complicata di così, ma non si prende il tempo per indagare: "Cosa è successo con Harleen Quinzel?"
Un lampo di rabbia guizza sul volto del ragazzo ma scompare subito dopo. I segni del suo cedimento sono un sorriso incrinato e occhi in fiamme: "Errori di calcolo. A volte vedi le persone come vorresti che fossero e non come sono per davvero," ruota la testa dall'altra parte, alza gli occhi al cielo e sfoggia un sorriso più largo – come se la sua mente avesse appena abbandonato un pensiero scomodo per concentrarsi su qualcos'altro.

"Le è mai capitato?"

Vicki sente il freddo filtrare dalle finestre e avvinghiarsi attorno alle ossa. Il ragazzo non ha mai abbassato lo sguardo per un singolo istante, sfidando la sua autorità con un'impertinenza sfacciata e questo la infastidisce; Vicki coglie la furia cieca dietro la calma piatta del suo sguardo – come se fosse un predatore che gioca con la vittima prima di balzarle alla gola.
Come può metterla tanto a disagio con la sua sola presenza?
 
"Anche Jack Ryder è un errore di calcolo?" ribatte, il tono aggressivo di chi deve difendersi. "O forse lo è Jack Napier?"
 
Se nominando Jack Ryder il volto del ragazzo era rimasto impassibile, con Jack Napier la questione cambia: aggrotta le sopracciglia impercettibilmente e Vicki ha la prova di averlo colto di sorpresa. Il ragazzo con le cicatrici è un agglomerato di rabbia e impulsività che si veste di un autocontrollo che non gli appartiene – Vicki se ne accorge quando lui distende di nuovo i lineamenti e le concede un sorriso caino che ha il sapore di ferro e sangue.
 
"Jack, Jack, Jack. Ne ho abbastanza del nome 'Jack'. Mi ricorda tanto un imprenditore immobiliare, e io odio gli imprenditori immobiliari. Si fanno sempre gli affari degli altri… come lei."
 
Vicki legge tra le righe e cerca di capire se quella minaccia velata sia abbastanza per sporgere denuncia, ma deve rassegnarsi al fatto che quel ragazzo, oltre che essere spaventoso, è anche estremamente scaltro.
Il che peggiora la situazione.
Un imprenditore immobiliare… non è la prima volta che ne sento parlare in questi giorni…
Ancora una volta, si costringe a rimandare a dopo qualsiasi tipo di indagine.
 
"Il furto d'identità è un reato," continua Vicki, "e non sarebbe difficile per me provare che tu sia colpevole."
Lui si lascia sfuggire un risolino e Vicki capisce di aver perso terreno: "Il preside Arkham non è il tipo da mettere a rischio la reputazione della sua scuola per piccoli scherzi che non danno fastidio a nessuno."
 
Tremendamente vero. Tremendamente frustrante. Tremendamente ingiusto.
È lo stesso concetto che le ha fatto presente Edward prima ancora di cominciare tutta quella storia: Jeremiah Arkham non collaborerà. All'inizio aveva pensato che scherzasse – Arkham sembrava un uomo così perbene e così responsabile e aveva dato per scontato che si sarebbe fatto in quattro per il benessere dell'Istituto e dei suoi pellegrini. E a ben vedere, Jeremiah Arkham si fa davvero in quattro, ma solo per le questioni che interessano a lui – il resto tende a relegarlo alla segretaria o, addirittura, a lasciarlo sprofondare nel conveniente beneficio del dubbio.
Come dice sempre Eddy: prima l'apparenza e poi la sostanza.
Lui riesce sempre a ridere per questa ipocrisia ma lei non ci vede niente di divertente.
Così Vicki si ritrova senza niente in mano e la rabbia accresce il suo sconforto. Stringe i pugni e per un attimo ripensa a come era conciato il ragazzo con le cicatrici quando Bruce Wayne si era preso cura di lui. Non è nella sua indole provare piacere per il dolore altrui, ma deve ammettere che per oggi farà un'eccezione.
 
La campanella risuona nell'aula e il ragazzo ne approfitta per avvicinarsi all'uscita.

"È stata una chiacchierata interessante… la piccola Rachel aveva ragione."
 
Vicki Vale si ferma a guardarlo. Quando resta sola si prende un momento per ripensare a quello che è successo e capisce che per scrollarsi di dosso la sensazione schifosa di marcio che le è rimasta attaccata alla pelle dovrà fare una full immersion di letture di romanzi rosa.
 
 
 
 
 
 
The age of man is over
A darkness comes and all
These lessons that we've learned here
Have only just begun
 
We were the kings and the queens of promise
We were the phantoms of our selves.
Maybe the children of a lesser god
Between Heaven and Hell
 
Heaven and Hell
 
 
 
 
(Kings and Queens, 30 Seconds to Mars)
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:
 
Sì, avete letto bene: ho aggiornato la storia. No, non sono morta. Sì, ci ho messo una vita e sì, avete tutto il diritto di essere infuriati. Potrei dire a mia discolpa che la real life è stata una vera carogna con me in questo periodo, ma sarebbe una giustificazione scialbissima quindi ho deciso che mi prenderò tutti i vostri insulti xD
 
Questo capitolo è un'offerta di pace xD Ho inserito tutti, proprio tutti, e ho posto le basi che serviranno per lo sprint finale – sì, ancora una volta avete letto bene: siamo quasi alla fine. La buona notizia è che ho abbozzato tutti i capitoli che mi mancano e mi resta soltanto di scriverli come si deve (non preoccupatevi: la mia ispirazione, puntuale come un orologio svizzero, è tornata in concomitanza con l'inizio dei parziali, quindi possiamo ben sperare).
Spero di aver fatto tutto bene in questo capitolo; di aver reso i personaggi per come li ho in testa. Mi sono accorta che non è sempre facile mostrare quello che si ha ben chiaro in mente. Harleen, per esempio, questa volta è stata la più difficile. In questo capitolo viene presa, spezzata, aggiustata, capovolta e spezzata di nuovo. Ci tengo a precisare che non sono monotona e che non mi fisso sempre sulle solite questioni: Harley oscilla tra due modi che non possono coesistere e la scelta non è facile, non è immediata. Ma Mr J non è conosciuto per la sua pazienza, quindi è chiaro che non ha intenzione di aspettarla.
 
Per il resto: Bruce è un peso morto in questo capitolo (l'ho odiato anche io) ma passerà presto.
 
Per quanto riguarda le note:
 
[1]: Lady Shiva. A essere sincera non ricordo se lei e Talia abbiano mai avuto una sorta di contatto; io me le sono sempre figurate bene insieme e quindi ho deciso di renderle il duo più tosto di tutto l'Arkham High School;
[2]: Kirk Langstrom aka Man-Bat. Lo so che Kirk è un personaggio molto più vecchio rispetto a tutti gli altri e che quindi relegarlo a adolescente sia una mossa azzardata, ma io l'ho adorato in Arkham Knight (non chiedetemi perché) e ho deciso di inserirlo. Oltretutto, la sua sordità era il pretesto perfetto per renderlo uno dei sollazzi di Talia e Shiva;
[3]: sinceramente, non so come diavolo faccia Mr J a introdursi in tutte le comunicazioni disponibili ogni volta che si gioca a un Arkham. In ogni gioco c'è il suo faccione sorridente in tutti i televisori e in ogni livello che lo riguarda la sua voce domina le radio. S'infila dappertutto, manco fosse Eddy. Così ho deciso di usare questa sua capacità innata e di sfruttarla a mio vantaggio;
[4]: Harold il bidello. È già apparso in uno scorso capitolo, ma non mi ci ero mai soffermata. In realtà, non è farina del mio sacco: Harold è veramente un personaggio di Batman – essendo io una frana patentata con i nomi, ho scritto su Google "personaggi secondari di Batman" e ho estratto a caso un nome dalla lista. Harold, per l'appunto. Non so nemmeno quale sia la sua vera parte nel mondo del pipistrello: per me resterà per sempre il bidello;
[5]: Alfred e un accenno al suo passato da militare, perché sì;
[6]: Amina. Stesso discorso di Harold: nome preso a caso dalla lista che è servito allo scopo. Una fidanzata in lutto che non è nemmeno mai esistita; 
[7]: l'infanzia di Vicki made by Always_Always. Sinceramente, non ho la più pallida idea di quale fosse la situazione familiare di Vicki Vale e mi sono dovuta arrangiare con la fantasia. E siccome in tutta la FF nessuno ha una famiglia felice, dovevo rispettare la tradizione (sono una persona terribile, lo so xD).
 
Eeee, niente, mi dispiace davvero per il ritardo (io vi avevo avvertiti!)
Grazie di cuore tutti voi che avete avuto pazienza. Grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli – chi recensirà in futuro. Grazie a tutti i lettori silenziosi e tutti quelli che hanno inserito la mia storia nelle preferite / seguite / ricordate.
Grazie, grazie, grazie.
 
Always_Always

 
   
 
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