Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar
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Autore: Zappa    04/05/2016    3 recensioni
La vita avventurosa e un po' romantica del detective Skipper e della sua brillante squadra di polizia.
Raccolta.
[Humanized, AU]
I personaggi presenti non mi appartengono, se mi appartenessero, be', sarei molto felice, non c'è dubbio.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Lo guardava minaccioso, come se lo avesse assalito da un momento all'altro.
Fermo, immobile sulla scrivania di legno, era pericolosamente vicino al suo caffè amaro senza zucchero e, pensò, se ci fosse riuscito, glielo avrebbe volentieri rovesciato in testa, giusto per fargliela pagare.
Si fissarono entrambi: l'uno attraverso i suoi occhi blu mare, che ora erano in burrasca, e l'altro sempre immobile, fermo al suo posto, appoggiato sulla scrivania a faccia in giù.
Mai sottovalutare il nemico, questo aveva imparato Skipper dopo il servizio nei Marines nelle missioni in Kosovo e Iraq.
Anche se può sembrare calmo, in realtà, nasconde le più oscure trame per sorprenderti.
Ma perché, poi, ce l'aveva con lui e sembrava guardarlo, scrollando la testa, come se avesse commesso chissà quale crimine?
Era stata necessità, non maleducazione, la sua.
<< Non l'hai ancora chiamata per scusarti? >>
Lo raggiunse la voce del giovane agente Peter che, entrato in ufficio, gli aveva posato dei documenti sulla sua scrivania e si era messa a scrutarlo con i suoi occhioni azzurri limpido.
Skipper sembrò un attimo risvegliarsi dal coma che lo aveva avvolto per dei lunghi minuti e si passò la mano sulla faccia per poi scompigliarsi la zazzera corta nera. Sospirò.
<< No... >>
Prese in mano il nemico in questione e controllò il registro delle chiamate: tre chiamate rifiutate. Tutte con lo stesso, dolce, nome.
<< Ma perché? >>
Sbuffò, all'insistenza a tratti infantile, a tratti così premurosa, del giovane soldato e gli rifilò un'occhiataccia.
<< Avresti potuto mandarle almeno un messaggio, sarebbe stato cortese da parte tua >>
Lo osservò incrociare le braccia al petto e mettergli il muso, gonfiando le guance che, paffute, incorniciavano il suo visetto così fresco ma anche delicato, sotto la frangetta bionda.
Piccolo, giovane, inesperto soldato, pensò fra sé e sé.
<< Non credo che sarebbe stata una buona idea. >>
<< Secondo me, invece, hai semplicemente paura, Skipper >>
Portò lo sguardo, incredulo, sul giovane agente che ridacchiava modesto, guardandolo con i suoi occhioni color del cielo primaverile.
<< Cos-cosa? >>
Il piccolo Peter scoppiò, allora, a ridere, non riuscendo più a trattenersi e lo lasciò, poco dopo, solo nel suo ufficio, confondendosi tra il via vai di agenti e militari che gremivano la centrale.
Il detective riportò lo sguardo sul suo smartphone che, fino a quel momento, non aveva abbandonato la sua mano e che, questa volta, lo guardava, inerte.
Un attacco di nervosismo lo costrinse a lanciare malamente il telefono sulla scrivania andando, però, a colpire il bicchiere di caffè che, indolente, si abbandonò sui fogli e documenti che affollavano il tavolo. Tra qualche imprecazione, afferrò, di fretta, dei fazzoletti per pulire il liquido che, ormai, bagnava anche parte del pavimento.
Lanciando qualche improperio contro i Danesi, cercò di asciugare alla bell'e meglio i verbali che avevano fatto il bagno nel caffè finché, riafferrato il cellulare, si abbandonò con un sospiro sulla sedia della scrivania.
Forse Peter aveva ragione, era un codardo. Un vile, che non sapeva neanche affrontare una ragazza alla quale aveva dato buca all'appuntamento la sera prima per “motivi di lavoro”.
E il motivo era che non aveva avuto il coraggio di presentarsi a casa sua, preferendo rifugiarsi in ufficio per lavorare anche se, ovviamente, non aveva nulla da sbrigare alle otto di sera ed era rimasto tutta la sera a mugugnare sulla sua imbecillità.
Per quanto il detective McGrafth odiasse sentirsi dare del codardo, cosa che, lo sapevano tutti i colleghi, non gli si addiceva per niente, in quel momento avrebbe preferito avere a che fare con una banda di malviventi in uno dei peggiori vicoli del Bronx, in piena notte, armati di tutto punto, con in mano solo un cacciavite, piuttosto che avere a che fare con lei.
Si ritrovò, poi, improvvisamente, il telefono in mano mentre questo vibrava, concitato. Sullo schermo l'inconfondibile numero di Marlene.
Intorno colleghi e civili facevano via vai tra uffici e la sua squadra, nella sala ristoro, parlava attorno a Kowalski e ad alcuni documenti che teneva in mano.
Il telefono continuò a vibrare e non si accorse di star trattenendo il fiato, fino a quando, il telefono lo informò che l'utente aveva rilasciato un messaggio in segreteria telefonica. Cliccò velocemente sul tasto per ascoltare il messaggio.
Ciao Skipper, sono io. Mi spiace ancora chiamarti, immagino tu sia impegnato con il lavoro in ufficio ma, ci tenevo a sentirti.”
Se la immaginò mentre, con il suo taglio sbarazzino, si sistemava il ciuffo che le ricadeva ogni volta sulla fronte in una maniera diversa da quella che voleva lei, cosa che la faceva terribilmente irritare.
Volevo dirti che ieri ti sei scordato che dovevamo trovarci. Mi sarebbe piaciuto vederti ma immagino i tuoi impegni...”
Sbarrò gli occhi, ascoltando il suo tono pacato, quasi intristito.
Allora non era arrabbiata!
Anzi, probabilmente, ci era rimasta anche male, pensò sbuffando e passandosi una mano tra i capelli neri.
Ti chiedo solo di informarmi se puoi, la prossima volta, e di chiamarmi... quando vuoi. A presto.” concluse, serafica, riattaccando la chiamata e lasciandolo con il telefono ancora all'orecchio, perso nella sua voce.
Poggiò il telefono sulla scrivania, aggrottando le sopracciglia, pensieroso. Lo riafferrò, poi, velocemente e compose il suo numero. Si alzò dalla scrivania in tutta fretta e afferrò il cappotto per lasciare l'ufficio.

Aveva fatto i gradini a quattro a quattro per raggiungere il prima possibile la sua porta, poi, ripreso fiato e sistematosi la cravatta, era rimasto immobile, davanti all'entrata, incerto se suonare o meno.
La luce che illuminava il giroscale batteva contro i fiori che teneva in mano.
Sorrise tra sé e sé per la sua incertezza e, prendendo un sospiro, suonò.
Dalla cucina la raggiunse il campanello che la costrinse ad andare ad aprire alla porta, evitando il suo gatto norvegese che, pigro come al solito, si spaparanzava sul pavimento del salotto, rischiando, non poche volte, di farla inciampare, soprattutto quando era di fretta.
<< Ciao >>
Si ritrovò ad aprire a due occhi blu che, speranzosi, le sorridevano timidamente, mentre dei fiori profumavano l'aria.
<< Skipper... >>
<< Mi dispiace per ieri, non ho avuto il coraggio di presentarmi. Mi conosci, sono... restio, alle volte. Mi spiace >> le sussurrò, mentre le porgeva dei fiori che aveva preso dal fioraio, chiedendo i più belli che aveva.
Marlene, dapprima interdetta, osservò i fiori per poi specchiarsi nei suoi occhi che, le parvero, come tutte le volte che si specchiava, sinceri e veri.
Con un sorriso lo fece accomodare in casa per, poi, chiudere, felice, la porta dietro di sé.

   
 
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