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Autore: koorime    04/05/2016    2 recensioni
Scritta per il prompt: MCU!What if: Tony non rivela di essere Ironman e si attiene alla versione della guardia del corpo. Alla fine di Avengers 1, Steve non riesce a comprendere la relazione che lega Tony a Ironman. (Eccetto quando finalmente la capisce). (POV-Steve, possibilmente)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Steve non è sicuro di cosa pensa di Tony Stark. Né di Iron Man. Se deve essere sincero, non sa neanche che pensare del ventunesimo secolo. È tutto così caotico e impersonale, che all'inizio gli sembrava quasi di essere finito su un altro pianeta. New York stessa sembra diversa - una vecchia signora che una volta conosceva, diversa, ma familiare come una vecchia fotografia sbiadita. Gli dà nostalgia e una stretta al cuore che gli fa quasi piacere. Una parte di lui è felice di poterla riscoprire - sempre nuova e affascinante.

Un po' come quella che ha provato la prima volta che ha conosciuto Tony. Quell'uomo è così simile ad Howard eppure così diverso da lui da avergli dato un leggero capogiro. Probabilmente deve essergli sembrato un pazzo quelle prime volte, a osservarlo ogni istante possibile, a sorridere a tutte quelle piccole somiglianze che notava, a guardarlo e immaginare come doveva essere stato il suo amico come padre. Non ha resistito molto prima che ammettesse all'altro che gli sarebbe piaciuto conoscere la donna che aveva imbrigliato Howard Stark. Tony quella volta aveva riso, ma era stata una risata priva di alcun divertimento. "Posso garantirle, Capitano Rogers, che nessuno è mai riuscito a imbrigliare Howard" aveva detto - e Steve non aveva potuto fare a meno di sentire il proprio affetto per il vecchio amico asciugarsi un po'. Cosa aveva voluto dire? Voleva bene a Howard, ma l'idea che si era formata in quel momento nella sua testa gli aveva fatto nascere un forte prurito alle mani che aveva faticato a scacciare.

 

 

"Ehi"

"Capitano"

"Mi sembrava fossimo arrivati a darci del tu, Tony"

"Come vuoi tu"

Tony è ancora pallido, ma l'escoriazione a di sopra dell'occhio sembra migliorata, almeno in parte. Il bendaggio è ancora al suo posto, attorno al cranio dell'uomo che dovrebbe stare a riposo e invece è in officina, ricoperto di grasso, piegato su uno dei guanti di Iron Man.

"Dovresti riposare"

"Dovresti farti gli affari tuoi"

"Tony"

"Steve" Tony finalmente si volta a guardarlo, il saldatore ancora stretto tra le due dita. "Cosa vuoi? Perché sei ancora qui?"

"Sono preoccupato per te"

Tony sbuffa una risata e torna a concentrarsi sul suo lavoro. Steve stira le labbra e non si muove. È evidente che l'altro vorrebbe solo che andasse via, che lo lasciasse da solo, ma non può farlo.

 

 

Tony è stato una delle prime persone che ha conosciuto dopo essersi svegliato. Il primo è stato Fury - tecnicamente la prima è stata l'agente dello S.H.I.E.L.D. dai capelli rossi, ma se deve essere sincero quella non è stata una vera e propria conoscenza, quanto più un breve e doloroso scontro con la cruda realtà.

Tony è arrivato quello stesso pomeriggio, chiamato da Fury che pensava fosse sano per lui incontrare una faccia quantomeno familiare in quel mondo di sconosciuti. Ed aveva avuto ragione. Tony era così simile a Howard che Steve aveva sentito il proprio cuore contrarsi dolorosamente quando aveva sentito un tono di voce diverso uscire da quelle labbra conosciute.

"Capitano Rogers" Tony gli aveva offerto la mano e Steve l'aveva stretta scemando un sorriso.

"Signor Stark. È un piacere conoscere il figlio di Howard. Suo padre era un genio ed un buon amico" si era sentito in dovere di dire. Tony aveva sorriso a mezza bocca e aveva sciolto la stretta, tornando ad infilare la mano nella tasca del completo. Aveva vagato con lo sguardo lungo tutta la palestra - volutamente in stile anni quaranta - e aveva indicato tutto l'ambiente circostante con un breve cenno di mento.

“Non è un po’ stanco di tutto questo vecchiume?”

Steve aveva sorriso un po’ mesto. “A dire il vero lo trovo confortante”

“Ma è illusorio. Non è peggio così?”

Sì, in parte lo era, ma Steve non riusciva ad allontanarsi da tutto quello, non riusciva a staccarsi dalla irreale sensazione di familiarità che gli dava. Se restava in quella palestra, se ci passava abbastanza ore, poteva illudersi che fuori di lì c'era ancora il mondo come lo conosceva. Peggy sarebbe entrata da quella porta da un momento all'altro e l'avrebbe trascinato fuori di lì per una cena romantica o forse una semplice passeggiata, o magari, se fosse stato abbastanza audace, una serata in un club, con la scusa di un lento per tenerla stretta a sé.

Steve aveva sorriso e scrollato le spalle, ma non aveva risposto e Tony, forse, si era reso conto che alla fine non erano poi affari suoi. Si era guardato attorno ancora una volta e poi era tornato a rivolgersi a lui. “Le va di fare un giro fuori di qui? Conosco un posticino che sono sicuro le piacerebbe” aveva detto e Steve non era riuscito a dirgli di no.

Il posticino si era rivelato un giro al di sopra di New York a bordo del suo jet privato, ascoltando musica Headmetal e mangiando sushi. Era stata una serata carica di emozioni, e Tony era stato paziente e comprensivo con lui, spiegandogli i grandi passi fatti dalla tecnologia e dalla società in quei suoi anni di sonno - ed era stata quella sera che il Signor Stark era diventato Tony, tra un boccone di sashimi e un’emozione bloccata in gola mentre guardava l’immagine di un’ecografia muoversi davanti ai suoi occhi. L’idea di poter vedere, anche solo in modo approssimativo, un bambino muoversi nel ventre materno era qualcosa che l’aveva scosso nel profondo, forse anche più di tutto il resto.

E poi Tony l’aveva portato allo Smithsonian e aveva continuato a parlare per ore e ore di storia, tecnologia e di Capitan America, del simbolo che per anni era stato una luce per gli americani e per chiunque credesse negli ideali di libertà e democrazia. Steve si era sentito risollevato e un po’ triste nello scoprire che il mondo era andato avanti bene anche senza di lui.

 

 

“Dovresti riposare”

“Dovresti farti gli affari tuoi”

“Tony” Steve sospira e l’altro chiude gli occhi.

“Smettila di sentirti in colpa, okay? Non è stata colpa tua”

“Non è per senso di colpa che sono qui”

Tony continua a non guardarlo e Steve non riesce più a sopportarlo. Allunga la mano e spinge gentilmente sullo schienale della poltroncina finchè quella non gira su se stessa e lui non riesce, finalmente, a incrociare gli occhi dell’amico. Sorride e gli accarezza la fronte fasciata.

“Da quant’è che non dormi?”

Tony si scosta dal suo tocco e si alza, allontanadosi da lui con velocità, neanche l’avesse scottato.

“Potrei farti la stessa domanda”

“Non sono io quello che è caduto dal cielo dopo essersi quasi fatto esplodere”

“Tecnicamente lo sei” risponde. Steve non può fare a meno di notare che le sue spalle sono rigide e che Tony continua a non guardarlo.

 

Iron Man lo ha incontrato tempo dopo. Aveva letto di lui sui giornali, nei fascicoli che Fury gli aveva dato per sapere cosa ne era stato delle persone che conosceva. Aveva letto di Peggy, della vita che aveva vissuto, del grande contributo che aveva continuato a dare in silenzio, nell’ombra. Aveva seguito con orgoglio e dispiacere le avventure degli Eagles Commandos e aveva letto di Howard, dei grandi passi che aveva fatto e del modo in cui aveva trovato la morte. E dopo aver conosciuto Tony, aveva cercato più informazioni possibili su quell’uomo così simile a uno dei suoi più cari amici. Era così che aveva scoperto di quella guardia del corpo che se ne andava in giro con un’armatura ipertecnologica e che aveva salvato Tony da morte certa pochi anni prima. Una parte di lui gli era grato prima ancora che lo incontrasse, perché senza Tony in questo tempo non sapeva cosa avrebbe fatto.

Incontrarlo, però, si era rivelato più complicato di quanto aveva immaginato. Iron Man sembrava cercare costantemente di evitare di incontrarlo e alternava momenti in cui sembrava possedere una parlantina sciolta ad altri in cui quasi registrava la sua presenza.

“Che tipo è?” aveva chiesto un giorno a Tony, mentre osservavano l'altro uscire silenzioso dall’ officina.

“Chi? Il mio uomo? È solo uno che cerca di rimediare a vecchi errori” aveva scrollato le spalle, tornando poi a parlargli del suo ultimo progetto. Ma se doveva essere sincero Steve non gli aveva dato ascolto. La sua mente era ferma su quell’espressione il mio uomo, sul modo in cui le labbra di Tony si erano mosse nel pronunciarle. Cosa aveva voluto dire? Tony era... Steve sapeva che in quella nuova epoca c'era più libertà, che nessuno o quasi giudicava gli altri per il colore della propria pelle, la propria religione o la persona che si ama, ma era strano vederlo davanti ai propri occhi. Senza contare che tutti i giornali ammiccavano maliziosi alla relazione tra lui e Virginia Potts.

In quel momento si era chiesto se quella storia non era tutta una copertura per un amore ben più coraggioso e controverso.

 

 

“Cosa stai facendo?” Steve allunga una mano verso il tavolo da lavoro, ma non tocca nulla, preoccupato di poter far danni, e osserva curioso la mano smembrata dell’armatura di Iron Man. C'è un piccolo punto grigio chiaro lì dove Tony stava saldando e sembra perfettamente anonimo e inutile, una comunissima saldatura, nulla di speciale. Ridicolmente, gli torna in mente Tony, e poi Iron Man, e si ritrova a ridere di se stesso.

“Mi avevi preso in giro, sai?” ammette, con un sorriso accennato.

Se ci pensava adesso, gli veniva da ridere per la rapidità con cui si era lasciato fregare. Potevano sembrare mesi, quando invece erano giorni, una settimana al massimo da quando si era svegliato, e Tony era già penetrato così rapidamente nel suo cuore. Era ridicolo - o forse era scritto nel destino? Non era un pensiero su cui si attardava molto spesso, non era tipo da credere nel destino, ma cos’altro poteva essere il suo dormire per settant’anni per poi innamorarsi del figlio di uno dei suoi più cari amici? Ma non era il momento di pensarci, non mentre Tony lo guardava, finalmente, seppur con un’espressione volutamente vuota.

“Facevo solo quello che ritenevo giusto” ammette, alla fine. La linea delle sue spalle resta tesa e Steve ha l’istinto di posarci una mano sopra e cercare di farlo rilassare. “Avevo un accordo con Fury. Non potevo mettere in pericolo le persone vicine a me, i miei collaboratori”

“Lei lo sa?” domanda a bruciapelo. Non sa perché sia importante, adesso, ma ha bisogno di capire. “La signorina Potts lo sa?”

“Dal primo giorno” ammette l’altro. Stranamente, la risposta non sembra fargli male come credeva.

 

Con Iron Man le cose sono andate con più calma. Lo ha incontrato qualche giorno dopo, quando ha preso il coraggio a due mani ed è andato alla Stark Tower per cercare la compagnia di Tony. È stato in quel momento che ha conosciuto Pepper Potts. Gli è bastato uno sguardo per rendersi conto che quella donna non avrebbe mai lasciato Tony - e che i tabloid avevano sminuito la sua bellezza e l’eleganza del suo portamento. Sembrava una regina, fiera e decisa, e Steve aveva avuto l’istinto di disegnarla in abiti appropriati. Perfino il Bucky dei suoi ricordi aveva fatto qualche apprezzamento inappropriato, minacciando di far incendiare le sue guance per la vergogna.

“Il Signor Stark è nell’officina” aveva detto, stringendogli la mano. Aveva un sorriso cordiale e mani curate. Ma il suo viso era quello che lo affascinava di più. Era una donna straordinaria e gli era bastato un’occhiata per capire perché Tony le avesse lasciato il governo della compagnia. “JAVIS, avviseresti Tony del nostro avviso?” aveva chiesto la donna e Steve si era voltato in cerca della terza persona, pronto a chiedere scusa e presentarsi. La risposta, invece, era arrivata dall’alto, sorprendendolo in modo evidente.

“Certamente” aveva detto. Pepper doveva aver notato la sua espressione confusa perché aveva sorriso.

“Lui è JARVIS, l’AI che governa la casa” aveva spiegato, guidandolo lungo il corridoio e nell’ascensore. “Tutta la torre, in realtà”

“AI?”

“Intelligenza artificiale. È un... programma per computer, per così dire, ma dei più avanzati al mondo. Anzi, ad essere onesti, non esiste nulla come JARVIS. Può prendere decisioni, ha una sua personalità, per quanto programmata, e rende la nostra vita molto più facile”

“Ne sono lieto, signorina” era stata la risposta - compiaciuta, poteva sentirlo senza difficoltà.

Le porte dell’ascensore si erano aperte con un plin delicato su un’enorme officina piena di pezzi di quella che, a prima vista, era l’armatura di Iron Man. Sulla parete, chiuse in teche di vetro, c’erano, se andava per ipotesi, vecchi prototipi. Quello sulla cui targhetta c’era segnato Mark I Steve l’aveva visto sui giornali - anche se questo sembrava più piccolo, molto più compatto di quello che Obadia Stane aveva fatto costruire per cercare di uccidere Tony. Forse era l’originale?

Una mano sottile si era posata sulla sua spalle e Steve si era voltato verso Pepper, rendendosi conto solo in quel momento che la donna aveva parlato e lui non aveva sentito nulla.

“Scusami, cosa hai detto?”

Lei aveva sorriso condiscendente. “Fa uno strano effetto vederle tutte schierate, vero?” aveva detto invece e Steve aveva annuito, perché aveva ragione. Dava i brividi.

“Tony non c’è. Deve essere uscito senza che lo notassi” aveva spiegato nello stesso momento in cui un lato della parete opposta si era mosso, rivelando una rampa da cui era entrato, volando, Iron Man. Era atterrato a pochi metri di distanza, avanzando verso di loro quando li aveva notati.

“Che ci fate voi qui?” aveva chiesto, senza cortesia. Pepper aveva sorriso ancora, ma questa volta era stato privo di gentilezza o simpatia.

“Cercavamo Tony. Il Capitano Rogers è venuto appositamente per lui”

“Beh, non è qui”

“Mi dispiace, avrei dovuto avvisare prima di venire qui” si era frapposto Steve tra i due. Era più che evidente che non scorreva buon sangue tra loro e Steve si era chiesto quanto questo aveva a che fare con la relazione che legava Iron Man a Tony.

Solo in quel momento Iron Man era sembrato accorgersi della sua presenza e il tono della sua voce era cambiato drasticamente, diventando più morbido e gentile.

“Non ha nulla di cui chiedere scusa, Capitano. Sono sicuro che il Signor Stark sarà felice di sapere è qui, ma forse è il caso che lo aspetti nel salotto al piano di sopra” La maschera non si era mossa, ma Steve poteva giurare che l’uomo all’interno aveva lanciato un’occhiata alla donna con loro. “Magari sorseggiando un buon bicchiere di bourbon d’annata”

Pepper aveva aperto la bocca per rispondere - a tono, probabilmente, se l’antipatia evidente aveva preso il sopravvento sull’educazione - quando Steve l’aveva anticipata.

“A essere sincero non mi dispiacerebbe parlare un attimo con lei, Signor...?”

C’era stato un attimo di incertezza, poi l’uomo aveva risposto “Iron Man, solo Iron Man. E mi dia del tu”

“Lo stesso vale per te, allora” aveva sorriso e gli aveva offerto la mano, in segno di pace. L’altro gliel’aveva stretta e poi si era voltato verso Pepper. Non aveva detto nulla, ma lei si era congedata con un sorriso freddo e li aveva lasciati soli.

“Non le sei molto simpatico”

“È solo molto protettiva nei confronti di Tony”

“Ma tu sei la sua guardia del corpo”

“Non credo che lei mi veda in questo modo” aveva ammesso. Steve non aveva approfondito, ma qualcosa nel suo petto aveva iniziato a pizzicare.

 

 

“Che cosa vuoi, Steve?”

“Sapere se stai bene”

“Beh, sto bene”

“Bugiardo”

Tony sbuffa un ringhio di frustrazione e getta con fastidio il saldatore sul tavolo più vicino, ingombro di pezzi meccanici. Un dito rosso rotola oltre il bordo e cade a terra, con un tintinnio.

“Non so davvero cosa diavolo ti aspetti che ti dica”

“La verità” ed è vero. Tutto ciò che Steve vuole è la verità. Su lui, su Iron Man, su loro due. “Ho bisogno di capire”

Tony si lascia andare contro il tavolo e sembra sgonfiarsi davanti ai suoi occhi. Si preme i palmi sporchi sulle palpebre e ride senza allegria. “Non l’ho mai detta a nessuno”

“Forse è il caso di cominciare, allora”.

 

 

C’è voluto meno di un giorno perché nascesse una piccola abitudine tra loro. La mattina Tony andava a trovare Steve, spesso gli portava la colazione o lo trascinava fuori dal suo piccolo mondo anni Quaranta per mostrargli la città, aiutarlo ad ambientarsi tra quelle strade che avevano nomi diversi, ma lo stesso, indimenticabile odore.

Il pomeriggio, invece, era lui ad andare alla Torre, in cerca di Iron Man, per poterlo sentir parlare degli ultimi anni, di cosa l’avesse spinto a rischiare la sua vita per Tony - per cercare di capire perché, cosa li legasse in modo così profondo. Più di una volta, Steve aveva avuto la sensazione che Tony volesse proteggere Iron Man tanto quanto il contrario ed era una cosa che gli dava sempre quel pizzicorio al petto. Tony era un uomo profondamente legato a poche, speciali persone, ma Iron Man sembrava quasi valicare quel sentimento. Non c’era solo affetto, nelle sue parole, c’era rabbia e preoccupazione e una leggera invidia che Steve davvero non si spiegava. Come non si spiegava la rabbia e la vergogna che ogni tanto trapelavano dalle parole di Iron Man quando finivano per parlare di come era diventato l’ombra di Tony.

E poi, la mattina del quinto giorno, Steve aveva cambiato tutto ed era uscito per una corsa. Aveva lasciato che le sue gambe lo guidassero in giro per la città, fino a quel piccolo chiosco di donnuts che Tony adora e una volta lì, col respiro appena affannato, aveva preso una decisione che aveva stravolto l’equilibrio. Aveva comprato una scatola di ciambelle, due caffè neri, ed era ripartito in direzione della Torre. Per una volta, voleva essere lui a portare la colazione all’altro.

Quando era arrivato alla Torre, era stato accolto dalla voce ormai familiare di JARVIS, lo aveva salutato ed era andato diretto verso la zona giorno, certo che Tony stesse ancora dormendo. Aveva ragione e in cucina aveva trovato Iron Man, intento a fare colazione.

“Buongiorno” aveva detto alle sue spalle rosso-oro. Il timore rumore della visiera che tornava al suo posto era stata quasi una dichiarazione d'intenti. Non devi guardarmi, non vedrai mai la mia faccia. Si era distrattamente chiesto perché fosse così chiuso, se qualcuno l'avesse mai visto - se da Tony si lasciasse guardare senza la protezione dell’armatura.

“Cap” la voce metallica gli era apparsa diversa per un attimo - familiare come non avrebbe dovuto - e l'uomo si volta verso di lui, una tazza di caffè tra le mani. “Che ci fai qui?”

“Ho pensato che per una volta potevo essere io a portare la colazione a Tony. Dorme ancora, vero? JARVIS, potresti svegliarlo, per piacere?”

“Temo che non sia possibile, Capitano”

“Cosa? Perché?” aveva chiesto Steve, improvvisamente preoccupato che Tony potesse star male.

“I protocolli di sicurezza permettono solo ad Iron Man di accedere alla camera da letto del Signor Stark” era stata la rapida risposta dell’AI. E oh. Steve si era voltato verso l'altro uomo, che aveva sospirato.

“Il mio cuore è l'unica cosa che può sbloccare le porte. Quello e la mia armatura” aveva agitato una mano, come in dimostrazione. “JARVIS scansiona il battito attraverso l'armatura e mi permette di accedere”

“Il tuo cuore?” Iron Man aveva fatto una specie di scollatina di spalle.

“Ci sembrava giusto” aveva detto e Steve aveva sentito di nuovo quella fitta al petto. Iron Man aveva forse insinuato che il suo cuore apparteneva a Tony? Dio, erano davvero così legati?

“Non si fida molto delle persone, vero?”

“L’uomo che amava come un padre ha tentato di ucciderlo, puoi biasimarlo?”

No, non poteva.

Iron Man si era fermato davanti la porta blindata che, sospettava Steve, conduceva alla camera di Tony. Si chiese se negli ultimi anni qualcun altro avesse varcato quella soglia - se Iron Man l’avesse varcata per altri motivi.

“JARVIS--”

“Aspetta” La mano di Steve si era posata sulla spalla metallica dell’altro e aveva sorriso mesto. “Le ciambelle non andranno da nessuna parte. Lasciamolo dormire. Qualcosa mi dice che ne ha bisogno”

Iron Man aveva tentennato - era ridicolo come Steve riusciva a leggerlo nonostante non avesse mai visto il suo viso, davvero - e poi aveva annuito. “Credo sia rimasto in piedi tutta la notte” aveva ammesso e Steve si era imposto di non chiedersi come l’altro potesse saperlo.

“Allora lasciamolo dormire” aveva sorriso ancora. “Tolgo il disturbo. Avrai da fare--”

“Cosa? No, perché? Stavo giusto andando a fare un po’ di allenamento e avrei proprio bisogno di un avversario che resista più di tre secondi” La sua voce era canzonatoria e Steve non aveva potuto trattenersi dal ridere.

“Beh, allora, se vuoi, sono il tuo uomo” aveva detto, seguendolo verso la palestra.

 

“Sai già cosa mi è successo. Cos’altro vuoi sapere?”

“So cosa è successo a Tony e cosa è successo a Iron Man. Voglio sapere cosa è successo a te” ribatte Steve. Tony lo guarda con sguardo duro, come se ce l’avesse con lui. Steve cerca di non fargliene una colpa.

“È iniziato tutto quando sono andato in Afghanistan per la dimostrazione del Jericho” Tony abbassa gli occhi e sospira. Steve lo ascolta in silenzio raccontare degli ultimi anni della sua vita, della scoperta sconcertante che ci fosse un mercato dietro al mercato e che lui ne fosse il primo fornitore.

 

 

Allenarsi con Iron Man era fantastico - e lo era per entrambi. Steve, finalmente, aveva una persona con cui confrontarsi dopo anni di gelo e Iron Man aveva un avversario che durasse più dei bot da combattimento che Tony gli aveva costruito.

“Non credevo avessi ancora questi riflessi, nonnetto” lo aveva canzonato Iron Man quel primo pomeriggio - quell’unico pomeriggio. Tony alla fine non si era fatto vedere, lo aveva chiamato attraverso JARVIS per scusarsi della sua assenza, ma Pepper aveva bisogno di una sua apparizione col consiglio di amministrazione ed era dovuto salire sul jet per volare a Malibù. Si sarebbe fatto perdonare appena sarebbe tornato, aveva detto, lo avrebbe portato in un posticino che era certo lo avrebbe entusiasmato. Steve aveva risposto che non ce n’era bisogno, ma Tony aveva continuato come se lui non avesse parlato - e dopo cinque giorni sapeva che era tipico suo, davvero - e aveva ribadito la promessa prima di interrompere la comunicazione con un frettoloso saluto.

Accanto a lui, Iron Man era rimasto silenzioso e quasi assente e Steve si era chiesto se non fosse geloso di quella loro amicizia - il che era ridicolo, no? Steve era geloso di quello che c’era tra loro.

Quando avevano ripreso ad allenarsi, avevano perso il senso del tempo. La palestra era in pessime condizioni, ma per fortuna Tony aveva fatto installare dei rinforzi nelle pareti, quindi nessun danno era grave.

“Dove hai imparato a combattere?” gli aveva chiesto Steve, ignorando la battuta sul nonno. Preferiva non ricordare di avere l’età per essere il padre di Tony.

“Sono una guardia del corpo” era stata la risposta dell’altro. Evasiva, come qualunque altra risposta che Steve si era sentito dare quando aveva provato a indagare sul suo passato.

Steve aveva schivato un gancio, una finta e un nuovo gancio, e aveva attaccato allo sterno, facendo leva sullo sbilanciamento dell’altro per atterrarlo. Iron Man era caduto di schiena con un singhiozzo sorpreso e lui aveva sorriso, vittorioso.

“Ti consiglio di ripassare le basi, allora” aveva detto, stringendogli i polsi ai lati della testa. Se avesse voluto, Iron Man avrebbe potuto liberarsi da quella blanda stretta senza alcuna difficoltà, invece non lo aveva fatto, ed era rimasto in silenzio a fissarlo - o almeno credeva. Quegli occhi meccanici erano fastidiosamente coprenti, come tutto il resto.

Ma la sensazione di essere osservato era lì a fargli pizzicare il collo e le guance e Steve lo aveva lasciato andare e tirare su. O almeno ci aveva provato. Perché appena era stato libero, Iron Man lo aveva afferrato per la nuca con una mano, l’altra si era poggiata sui suoi occhi e il sibilo della visiera che si alzava aveva preannunciato il bacio che era seguito.

 

 

“Perché non me l’hai detto?”

La voce di Steve spezza il silenzio calato tra loro dopo il racconto di Tony. Quest’ultimo ride e scuote la testa, spostandosi finalmente da quella piccola ancora di salvezza che è il tavolo.

“E cosa avrei dovuto dirti, esattamente?” allarga le braccia, quasi a voler dire non c’è niente da dire, non c’è nulla di più di ciò che vedi. Si sbaglia così tanto che a Steve viene voglia di urlare.

“Mi hai baciato” si impone di dire alla fine. Le guance gli pizzicano di imbarazzo, ma non cede al rossore e sostiene alto lo sguardo. Tony stira le labbra - quelle labbra che lo hanno mandato in confusione in così tanti modi - e i suoi occhi, invece, li distoglie.

“Tecnicamente non ero io”

“Smettila”

Tony si zittisce. Sospira e recupera il saldatore ormai spento. Se lo rigira tra le dita, nervoso.

“Mi dispiace, okay? Non avrei dovuto” sputa fuori e a Steve viene da ridere, perché è tutto così ridicolo.

 

 

Il bacio gli aveva mozzato il respiro e fatto arrampicare un brivido lungo la schiena, fino a fargli drizzare i corti capelli dietro la nuca. Distrattamente si era chiesto se Iron Man l’aveva notato. Poi un accenno di lingua gli aveva accarezzato le labbra, quasi in invito, e lui era stato trascinato nella realtà con forza. Iron Man lo stava baciando. L’Iron Man di Tony, l’uomo che con tutta probabilità era l’amante dell’uomo di cui lui si era un po’ - solo un po’ - innamorato, lo aveva baciato. Poteva sentire la morbidezza delle sue labbra e un leggero accenno di barba, e quella lingua che sembrava volerlo implorare di dargli spazio. Un angolo della sua mente voleva dire di sì, voleva lasciarsi andare - magari fingere che fosse Tony, magari godersi solo il momento e il sapore di Iron Man, perché, doveva ammetterlo, quell’uomo gli piaceva, lo intrigava e lo confondeva - ma un’altra parte di lui continuava a ripetere Tony Tony Tony in una piccola litania di supplica. Non poteva fargli questo, non poteva.

“Tony--” aveva balbettato, cercando di spingerlo via. Quel nome sembrava aver scongelato l’istante, perché Iron Man lo aveva lasciato andare come scottato ed era arretrato. Steve aveva tenuto gli occhi chiusi, per rispetto alla sua privacy e non li aveva riaperti finché non aveva sentito la visiera tornare al suo posto con l’ormai familiare sibilo. Solo a quel punto li aveva aperti, ma li aveva tenuti bassi, non sapendo cosa dire o fare.

“Sono stanco, Capitano” lo aveva anticipato l’altro, dirigendosi verso la porta senza aspettare risposta. Non c’era nulla da dire, dopotutto. Steve doveva andarsene e basta.

“Lo ami?” aveva però chiesto, gli occhi fissi sulle spalle metalliche dell’altro uomo. Iron Man si era fermato a pochi passi dall’uscio e aveva voltato appena il viso oltre la propria spalla.

“È complicato” aveva risposto. “Io gli appartengo” aveva poi aggiunto, uscendo.

 

 

Ci erano voluti due giorni perché Steve si innamorasse di Tony, ce n’erano voluti tre perché si rendesse conto che non aveva speranze con lui e ce n’erano voluti cinque perché Iron Man mandasse in confusione il suo cervello.

Ma era bastato un bacio perché entrambi sparissero completamente dalla sua vita per due giorni e quando finalmente era riuscito a rivedere Iron Man, erano in Germania, davanti un millantante dio norreno con tanto di copricapo cornuto.

Iron Man era stato freddo e distaccato - e quando aveva incontrato, finalmente, Tony, l’accoglienza non era stata poi così diversa. Per un attimo gli era sembrato di non averlo mai conosciuto prima di quel momento e la sensazione fu una delle peggiori della sua vita.

Poi erano arrivati i Chitauri, New York era stata invasa e non c’era stato altro tempo per pensare ai suoi drammi sentimentali.

La città era in doppio pericolo, e mentre lui e gli altri tenevano a bada Loki e il suo esercito alieno, Iron Man volava verso l’apertura nel cielo con un missile terra-aria pronto a far esplodere parte della città.

Quando lo aveva visto cadere, gli si era spezzato il respiro. No no no, non poteva morire, non doveva morire. E quando Thor, una volta che Hulk lo aveva riportato a terra, gli aveva strappato la visiera senza alcuna incertezza, Steve si era sentito morire.

Tony. Per tutto quel tempo, era sempre stato Tony e lui non aveva capito nulla.

Era un idiota. E si era innamorato di due facce dello stesso uomo senza neanche rendersene conto.

Era stupido e Tony era morto e lui non aveva che il ricordo di un bacio - che era tutto ciò che gli restava sempre.

“Che cosa è successo? Per piacere, ditemi che nessuno mi ha baciato” aveva detto Tony e Steve aveva riso, perché era tutto così ridicolo.

 

 

“Sei un idiota” ride Steve. Tony inarca un sopracciglio, offeso, e lui ride di più e si sposta verso di lui. Scuote la testa. “Tu, Tony Stark, sei il genio, miliardario, sexy, filantropo più stupido che abbia mai conosciuto”

“Si vede che non hai mai conosciuto Reed” ribatte l’altro, ma Steve lo ignora. Non gli importa nulla di questo Reed e se sia davvero un genio - o un genio idiota.

Prende il viso di Tony tra le mani e lo bacia, piano, con gentilezza, ma con la decisione di dimostrargli che, no, non ha capito nulla ed è un idiota e Steve vuole baciarlo ancora.

Tony lo guarda sorpreso per una frazione di secondo.

“Credevo--”

“Che avessi capito e ti stessi rifiutando?”

“Già”

Steve sorride ancora, questa volta un po’ imbarazzato.

“Tu sei il genio più stupido che abbia mai incontrato” ripete. “Io sono lo stupido che si è innamorato due volte” ammette. Il sorriso che lentamente compare sulle labbra di Tony lo ripaga di ogni futura e prevedibile presa in giro.

Dopotutto, sono solo due stupidi innamorati.

 


Fine.

   
 
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