Steve non è
sicuro di cosa pensa di Tony Stark. Né di Iron Man. Se deve essere sincero, non sa neanche che
pensare del ventunesimo secolo. È tutto così caotico e impersonale, che
all'inizio gli sembrava quasi di essere finito su un altro pianeta. New York
stessa sembra diversa - una vecchia signora che una volta conosceva, diversa,
ma familiare come una vecchia fotografia sbiadita. Gli dà nostalgia e una
stretta al cuore che gli fa quasi piacere. Una parte di lui è felice di poterla
riscoprire - sempre nuova e affascinante.
Un po' come
quella che ha provato la prima volta che ha conosciuto Tony. Quell'uomo è così
simile ad Howard eppure così diverso da lui da avergli dato un leggero
capogiro. Probabilmente deve essergli sembrato un pazzo quelle prime volte, a
osservarlo ogni istante possibile, a sorridere a tutte quelle piccole
somiglianze che notava, a guardarlo e immaginare come doveva essere stato il
suo amico come padre. Non ha resistito molto prima che ammettesse all'altro che
gli sarebbe piaciuto conoscere la donna che aveva imbrigliato Howard Stark. Tony quella volta aveva riso, ma era stata una
risata priva di alcun divertimento. "Posso garantirle, Capitano Rogers, che nessuno è mai riuscito a imbrigliare
Howard" aveva detto - e Steve non aveva potuto fare a meno di sentire il
proprio affetto per il vecchio amico asciugarsi un po'. Cosa aveva voluto dire?
Voleva bene a Howard, ma l'idea che si era formata in quel momento nella sua
testa gli aveva fatto nascere un forte prurito alle mani che aveva faticato a
scacciare.
"Ehi"
"Capitano"
"Mi
sembrava fossimo arrivati a darci del tu, Tony"
"Come vuoi
tu"
Tony è ancora
pallido, ma l'escoriazione a di sopra dell'occhio sembra migliorata, almeno in
parte. Il bendaggio è ancora al suo posto, attorno al cranio dell'uomo che
dovrebbe stare a riposo e invece è in officina, ricoperto di grasso, piegato su
uno dei guanti di Iron Man.
"Dovresti
riposare"
"Dovresti
farti gli affari tuoi"
"Tony"
"Steve"
Tony finalmente si volta a guardarlo, il saldatore ancora stretto tra le due
dita. "Cosa vuoi? Perché sei ancora qui?"
"Sono
preoccupato per te"
Tony sbuffa una
risata e torna a concentrarsi sul suo lavoro. Steve stira le labbra e non si
muove. È evidente che l'altro vorrebbe solo che andasse via, che lo lasciasse
da solo, ma non può farlo.
Tony è stato
una delle prime persone che ha conosciuto dopo essersi svegliato. Il primo è
stato Fury - tecnicamente la prima è stata l'agente
dello S.H.I.E.L.D. dai capelli rossi, ma se deve essere sincero quella non è
stata una vera e propria conoscenza, quanto più un breve e doloroso scontro con
la cruda realtà.
Tony è arrivato
quello stesso pomeriggio, chiamato da Fury che
pensava fosse sano per lui incontrare una faccia quantomeno familiare in quel
mondo di sconosciuti. Ed aveva avuto ragione. Tony era così simile a Howard che
Steve aveva sentito il proprio cuore contrarsi dolorosamente quando aveva
sentito un tono di voce diverso uscire da quelle labbra conosciute.
"Capitano Rogers" Tony gli aveva offerto la mano e Steve l'aveva
stretta scemando un sorriso.
"Signor Stark. È un piacere conoscere il figlio di Howard. Suo
padre era un genio ed un buon amico" si era sentito in dovere di dire.
Tony aveva sorriso a mezza bocca e aveva sciolto la stretta, tornando ad
infilare la mano nella tasca del completo. Aveva vagato con lo sguardo lungo
tutta la palestra - volutamente in stile anni quaranta - e aveva indicato tutto
l'ambiente circostante con un breve cenno di mento.
“Non è un po’
stanco di tutto questo vecchiume?”
Steve aveva
sorriso un po’ mesto. “A dire il vero lo trovo confortante”
“Ma è
illusorio. Non è peggio così?”
Sì, in parte lo
era, ma Steve non riusciva ad allontanarsi da tutto quello, non riusciva a
staccarsi dalla irreale sensazione di familiarità che gli dava. Se restava in
quella palestra, se ci passava abbastanza ore, poteva illudersi che fuori di lì
c'era ancora il mondo come lo conosceva. Peggy sarebbe entrata da quella porta
da un momento all'altro e l'avrebbe trascinato fuori di lì per una cena
romantica o forse una semplice passeggiata, o magari, se fosse stato abbastanza
audace, una serata in un club, con la scusa di un lento per tenerla stretta a
sé.
Steve aveva
sorriso e scrollato le spalle, ma non aveva risposto e Tony, forse, si era reso
conto che alla fine non erano poi affari suoi. Si era guardato attorno ancora
una volta e poi era tornato a rivolgersi a lui. “Le va di fare un giro fuori di
qui? Conosco un posticino che sono sicuro le piacerebbe” aveva detto e Steve
non era riuscito a dirgli di no.
Il posticino si
era rivelato un giro al di sopra di New York a bordo del suo jet privato,
ascoltando musica Headmetal e mangiando sushi.
Era stata una serata carica di emozioni, e Tony era stato paziente e
comprensivo con lui, spiegandogli i grandi passi fatti dalla tecnologia e dalla
società in quei suoi anni di sonno - ed era stata quella sera che il Signor Stark era diventato Tony, tra un boccone di sashimi e
un’emozione bloccata in gola mentre guardava l’immagine di un’ecografia
muoversi davanti ai suoi occhi. L’idea di poter vedere, anche solo in modo
approssimativo, un bambino muoversi nel ventre materno era qualcosa che l’aveva
scosso nel profondo, forse anche più di tutto il resto.
E poi Tony
l’aveva portato allo Smithsonian e aveva continuato a
parlare per ore e ore di storia, tecnologia e di Capitan America, del simbolo
che per anni era stato una luce per gli americani e per chiunque credesse negli
ideali di libertà e democrazia. Steve si era sentito risollevato e un po’
triste nello scoprire che il mondo era andato avanti bene anche senza di lui.
“Dovresti
riposare”
“Dovresti farti
gli affari tuoi”
“Tony” Steve
sospira e l’altro chiude gli occhi.
“Smettila di
sentirti in colpa, okay? Non è stata colpa tua”
“Non è per
senso di colpa che sono qui”
Tony continua a
non guardarlo e Steve non riesce più a sopportarlo. Allunga la mano e spinge
gentilmente sullo schienale della poltroncina finchè
quella non gira su se stessa e lui non riesce, finalmente, a incrociare gli
occhi dell’amico. Sorride e gli accarezza la fronte fasciata.
“Da quant’è che
non dormi?”
Tony si scosta
dal suo tocco e si alza, allontanadosi da lui con
velocità, neanche l’avesse scottato.
“Potrei farti
la stessa domanda”
“Non sono io
quello che è caduto dal cielo dopo essersi quasi fatto esplodere”
“Tecnicamente
lo sei” risponde. Steve non può fare a meno di notare che le sue spalle sono
rigide e che Tony continua a non guardarlo.
Iron Man lo ha
incontrato tempo dopo. Aveva letto di lui sui giornali, nei fascicoli che Fury gli aveva dato per sapere cosa ne era stato delle
persone che conosceva. Aveva letto di Peggy, della vita che aveva vissuto, del
grande contributo che aveva continuato a dare in silenzio, nell’ombra. Aveva
seguito con orgoglio e dispiacere le avventure degli Eagles
Commandos e aveva letto di Howard, dei grandi passi
che aveva fatto e del modo in cui aveva trovato la morte. E dopo aver
conosciuto Tony, aveva cercato più informazioni possibili su quell’uomo così
simile a uno dei suoi più cari amici. Era così che aveva scoperto di quella
guardia del corpo che se ne andava in giro con un’armatura ipertecnologica e
che aveva salvato Tony da morte certa pochi anni prima. Una parte di lui gli
era grato prima ancora che lo incontrasse, perché senza Tony in questo tempo non
sapeva cosa avrebbe fatto.
Incontrarlo,
però, si era rivelato più complicato di quanto aveva immaginato. Iron Man sembrava cercare costantemente di evitare di
incontrarlo e alternava momenti in cui sembrava possedere una parlantina
sciolta ad altri in cui quasi registrava la sua presenza.
“Che tipo è?”
aveva chiesto un giorno a Tony, mentre osservavano l'altro uscire silenzioso
dall’ officina.
“Chi? Il mio
uomo? È solo uno che cerca di rimediare a vecchi errori” aveva scrollato le
spalle, tornando poi a parlargli del suo ultimo progetto. Ma se doveva essere
sincero Steve non gli aveva dato ascolto. La sua mente era ferma su
quell’espressione il mio uomo, sul modo in cui le labbra di Tony si
erano mosse nel pronunciarle. Cosa aveva voluto dire? Tony era... Steve sapeva
che in quella nuova epoca c'era più libertà, che nessuno o quasi giudicava gli
altri per il colore della propria pelle, la propria religione o la persona che
si ama, ma era strano vederlo davanti ai propri occhi. Senza contare che tutti
i giornali ammiccavano maliziosi alla relazione tra lui e Virginia Potts.
In quel momento
si era chiesto se quella storia non era tutta una copertura per un amore ben
più coraggioso e controverso.
“Cosa stai
facendo?” Steve allunga una mano verso il tavolo da lavoro, ma non tocca nulla,
preoccupato di poter far danni, e osserva curioso la mano smembrata
dell’armatura di Iron Man. C'è un piccolo punto
grigio chiaro lì dove Tony stava saldando e sembra perfettamente anonimo e
inutile, una comunissima saldatura, nulla di speciale. Ridicolmente, gli torna
in mente Tony, e poi Iron Man, e si ritrova a ridere
di se stesso.
“Mi avevi preso
in giro, sai?” ammette, con un sorriso accennato.
Se ci pensava
adesso, gli veniva da ridere per la rapidità con cui si era lasciato fregare.
Potevano sembrare mesi, quando invece erano giorni, una settimana al massimo da
quando si era svegliato, e Tony era già penetrato così rapidamente nel suo
cuore. Era ridicolo - o forse era scritto nel destino? Non era un pensiero su
cui si attardava molto spesso, non era tipo da credere nel destino, ma
cos’altro poteva essere il suo dormire per settant’anni per poi innamorarsi del
figlio di uno dei suoi più cari amici? Ma non era il momento di pensarci, non
mentre Tony lo guardava, finalmente, seppur con un’espressione volutamente
vuota.
“Facevo solo
quello che ritenevo giusto” ammette, alla fine. La linea delle sue spalle resta
tesa e Steve ha l’istinto di posarci una mano sopra e cercare di farlo
rilassare. “Avevo un accordo con Fury. Non potevo
mettere in pericolo le persone vicine a me, i miei collaboratori”
“Lei lo sa?”
domanda a bruciapelo. Non sa perché sia importante, adesso, ma ha bisogno di
capire. “La signorina Potts lo sa?”
“Dal primo
giorno” ammette l’altro. Stranamente, la risposta non sembra fargli male come
credeva.
Con Iron Man le cose sono andate con più calma. Lo ha
incontrato qualche giorno dopo, quando ha preso il coraggio a due mani ed è
andato alla Stark Tower per
cercare la compagnia di Tony. È stato in quel momento che ha conosciuto Pepper Potts. Gli è
bastato uno sguardo per rendersi conto che quella donna non avrebbe mai
lasciato Tony - e che i tabloid avevano sminuito la sua bellezza e l’eleganza
del suo portamento. Sembrava una regina, fiera e decisa, e Steve aveva avuto
l’istinto di disegnarla in abiti appropriati. Perfino il Bucky
dei suoi ricordi aveva fatto qualche apprezzamento inappropriato, minacciando
di far incendiare le sue guance per la vergogna.
“Il Signor Stark è nell’officina” aveva detto, stringendogli la mano.
Aveva un sorriso cordiale e mani curate. Ma il suo viso era quello che lo
affascinava di più. Era una donna straordinaria e gli era bastato un’occhiata
per capire perché Tony le avesse lasciato il governo della compagnia. “JAVIS,
avviseresti Tony del nostro avviso?” aveva chiesto la donna e Steve si era
voltato in cerca della terza persona, pronto a chiedere scusa e presentarsi. La
risposta, invece, era arrivata dall’alto, sorprendendolo in modo evidente.
“Certamente”
aveva detto. Pepper doveva aver notato la sua espressione
confusa perché aveva sorriso.
“Lui è JARVIS,
l’AI che governa la casa” aveva spiegato, guidandolo lungo il corridoio e
nell’ascensore. “Tutta la torre, in realtà”
“AI?”
“Intelligenza
artificiale. È un... programma per computer, per così dire, ma dei più avanzati
al mondo. Anzi, ad essere onesti, non esiste nulla come JARVIS. Può prendere
decisioni, ha una sua personalità, per quanto programmata, e rende la nostra
vita molto più facile”
“Ne sono lieto,
signorina” era stata la risposta - compiaciuta, poteva sentirlo senza
difficoltà.
Le porte
dell’ascensore si erano aperte con un plin
delicato su un’enorme officina piena di pezzi di quella che, a prima vista, era
l’armatura di Iron Man. Sulla parete, chiuse in teche
di vetro, c’erano, se andava per ipotesi, vecchi prototipi. Quello sulla cui
targhetta c’era segnato Mark I Steve l’aveva visto sui giornali - anche se
questo sembrava più piccolo, molto più compatto di quello che Obadia Stane aveva fatto
costruire per cercare di uccidere Tony. Forse era l’originale?
Una mano
sottile si era posata sulla sua spalle e Steve si era voltato verso Pepper, rendendosi conto solo in quel momento che la donna
aveva parlato e lui non aveva sentito nulla.
“Scusami, cosa
hai detto?”
Lei aveva
sorriso condiscendente. “Fa uno strano effetto vederle tutte schierate, vero?”
aveva detto invece e Steve aveva annuito, perché aveva ragione. Dava i brividi.
“Tony non c’è.
Deve essere uscito senza che lo notassi” aveva spiegato nello stesso momento in
cui un lato della parete opposta si era mosso, rivelando una rampa da cui era
entrato, volando, Iron Man. Era atterrato a pochi
metri di distanza, avanzando verso di loro quando li aveva notati.
“Che ci fate
voi qui?” aveva chiesto, senza cortesia. Pepper aveva
sorriso ancora, ma questa volta era stato privo di gentilezza o simpatia.
“Cercavamo
Tony. Il Capitano Rogers è venuto appositamente per
lui”
“Beh, non è
qui”
“Mi dispiace,
avrei dovuto avvisare prima di venire qui” si era frapposto Steve tra i due.
Era più che evidente che non scorreva buon sangue tra loro e Steve si era
chiesto quanto questo aveva a che fare con la relazione che legava Iron Man a Tony.
Solo in quel
momento Iron Man era sembrato accorgersi della sua
presenza e il tono della sua voce era cambiato drasticamente, diventando più
morbido e gentile.
“Non ha nulla
di cui chiedere scusa, Capitano. Sono sicuro che il Signor Stark
sarà felice di sapere è qui, ma forse è il caso che lo aspetti nel salotto al
piano di sopra” La maschera non si era mossa, ma Steve poteva giurare che
l’uomo all’interno aveva lanciato un’occhiata alla donna con loro. “Magari
sorseggiando un buon bicchiere di bourbon d’annata”
Pepper aveva aperto
la bocca per rispondere - a tono, probabilmente, se l’antipatia evidente aveva
preso il sopravvento sull’educazione - quando Steve l’aveva anticipata.
“A essere
sincero non mi dispiacerebbe parlare un attimo con lei, Signor...?”
C’era stato un
attimo di incertezza, poi l’uomo aveva risposto “Iron
Man, solo Iron Man. E mi dia del tu”
“Lo stesso vale
per te, allora” aveva sorriso e gli aveva offerto la mano, in segno di pace.
L’altro gliel’aveva stretta e poi si era voltato verso Pepper.
Non aveva detto nulla, ma lei si era congedata con un sorriso freddo e li aveva
lasciati soli.
“Non le sei
molto simpatico”
“È solo molto
protettiva nei confronti di Tony”
“Ma tu sei la
sua guardia del corpo”
“Non credo che
lei mi veda in questo modo” aveva ammesso. Steve non aveva approfondito, ma
qualcosa nel suo petto aveva iniziato a pizzicare.
“Che cosa vuoi,
Steve?”
“Sapere se stai
bene”
“Beh, sto bene”
“Bugiardo”
Tony sbuffa un
ringhio di frustrazione e getta con fastidio il saldatore sul tavolo più
vicino, ingombro di pezzi meccanici. Un dito rosso rotola oltre il bordo e cade
a terra, con un tintinnio.
“Non so davvero
cosa diavolo ti aspetti che ti dica”
“La verità” ed
è vero. Tutto ciò che Steve vuole è la verità. Su lui, su Iron
Man, su loro due. “Ho bisogno di capire”
Tony si lascia
andare contro il tavolo e sembra sgonfiarsi davanti ai suoi occhi. Si preme i
palmi sporchi sulle palpebre e ride senza allegria. “Non l’ho mai detta a
nessuno”
“Forse è il
caso di cominciare, allora”.
C’è voluto meno
di un giorno perché nascesse una piccola abitudine tra loro. La mattina Tony
andava a trovare Steve, spesso gli portava la colazione o lo trascinava fuori
dal suo piccolo mondo anni Quaranta per mostrargli la città, aiutarlo ad
ambientarsi tra quelle strade che avevano nomi diversi, ma lo stesso,
indimenticabile odore.
Il pomeriggio,
invece, era lui ad andare alla Torre, in cerca di Iron
Man, per poterlo sentir parlare degli ultimi anni, di cosa l’avesse spinto a
rischiare la sua vita per Tony - per cercare di capire perché, cosa
li legasse in modo così profondo. Più di una volta, Steve aveva avuto la
sensazione che Tony volesse proteggere Iron Man tanto
quanto il contrario ed era una cosa che gli dava sempre quel pizzicorio al petto. Tony era un uomo profondamente legato
a poche, speciali persone, ma Iron Man sembrava quasi
valicare quel sentimento. Non c’era solo affetto, nelle sue parole, c’era
rabbia e preoccupazione e una leggera invidia che Steve davvero non si
spiegava. Come non si spiegava la rabbia e la vergogna che ogni tanto
trapelavano dalle parole di Iron Man quando finivano
per parlare di come era diventato l’ombra di Tony.
E poi, la
mattina del quinto giorno, Steve aveva cambiato tutto ed era uscito per una
corsa. Aveva lasciato che le sue gambe lo guidassero in giro per la città, fino
a quel piccolo chiosco di donnuts che Tony adora e
una volta lì, col respiro appena affannato, aveva preso una decisione che aveva
stravolto l’equilibrio. Aveva comprato una scatola di ciambelle, due caffè
neri, ed era ripartito in direzione della Torre. Per una volta, voleva essere
lui a portare la colazione all’altro.
Quando era
arrivato alla Torre, era stato accolto dalla voce ormai familiare di JARVIS, lo
aveva salutato ed era andato diretto verso la zona giorno, certo che Tony
stesse ancora dormendo. Aveva ragione e in cucina aveva trovato Iron Man, intento a fare colazione.
“Buongiorno”
aveva detto alle sue spalle rosso-oro. Il timore rumore della visiera che
tornava al suo posto era stata quasi una dichiarazione d'intenti. Non devi
guardarmi, non vedrai mai la mia faccia. Si era distrattamente chiesto
perché fosse così chiuso, se qualcuno l'avesse mai visto - se da Tony si
lasciasse guardare senza la protezione dell’armatura.
“Cap” la voce
metallica gli era apparsa diversa per un attimo - familiare come non avrebbe
dovuto - e l'uomo si volta verso di lui, una tazza di caffè tra le mani. “Che
ci fai qui?”
“Ho pensato che
per una volta potevo essere io a portare la colazione a Tony. Dorme ancora,
vero? JARVIS, potresti svegliarlo, per piacere?”
“Temo che non
sia possibile, Capitano”
“Cosa? Perché?”
aveva chiesto Steve, improvvisamente preoccupato che Tony potesse star male.
“I protocolli
di sicurezza permettono solo ad Iron Man di accedere
alla camera da letto del Signor Stark” era stata la
rapida risposta dell’AI. E oh. Steve si era voltato verso l'altro uomo,
che aveva sospirato.
“Il mio cuore è
l'unica cosa che può sbloccare le porte. Quello e la mia armatura” aveva
agitato una mano, come in dimostrazione. “JARVIS scansiona il battito
attraverso l'armatura e mi permette di accedere”
“Il tuo cuore?”
Iron Man aveva fatto una specie di scollatina di spalle.
“Ci sembrava
giusto” aveva detto e Steve aveva sentito di nuovo quella fitta al petto. Iron Man aveva forse insinuato che il suo cuore apparteneva
a Tony? Dio, erano davvero così legati?
“Non si fida
molto delle persone, vero?”
“L’uomo che
amava come un padre ha tentato di ucciderlo, puoi biasimarlo?”
No, non poteva.
Iron Man si era
fermato davanti la porta blindata che, sospettava Steve, conduceva alla camera
di Tony. Si chiese se negli ultimi anni qualcun altro avesse varcato quella
soglia - se Iron Man l’avesse varcata per altri
motivi.
“JARVIS--”
“Aspetta” La
mano di Steve si era posata sulla spalla metallica dell’altro e aveva sorriso
mesto. “Le ciambelle non andranno da nessuna parte. Lasciamolo dormire.
Qualcosa mi dice che ne ha bisogno”
Iron Man aveva
tentennato - era ridicolo come Steve riusciva a leggerlo nonostante non avesse
mai visto il suo viso, davvero - e poi aveva annuito. “Credo sia rimasto in
piedi tutta la notte” aveva ammesso e Steve si era imposto di non chiedersi
come l’altro potesse saperlo.
“Allora
lasciamolo dormire” aveva sorriso ancora. “Tolgo il disturbo. Avrai da fare--”
“Cosa? No,
perché? Stavo giusto andando a fare un po’ di allenamento e avrei proprio
bisogno di un avversario che resista più di tre secondi” La sua voce era
canzonatoria e Steve non aveva potuto trattenersi dal ridere.
“Beh, allora,
se vuoi, sono il tuo uomo” aveva detto, seguendolo verso la palestra.
“Sai già cosa
mi è successo. Cos’altro vuoi sapere?”
“So cosa è
successo a Tony e cosa è successo a Iron Man. Voglio
sapere cosa è successo a te” ribatte Steve. Tony lo guarda con sguardo
duro, come se ce l’avesse con lui. Steve cerca di non fargliene una colpa.
“È iniziato
tutto quando sono andato in Afghanistan per la dimostrazione del Jericho” Tony abbassa gli occhi e sospira. Steve lo ascolta
in silenzio raccontare degli ultimi anni della sua vita, della scoperta
sconcertante che ci fosse un mercato dietro al mercato e che lui ne fosse il
primo fornitore.
Allenarsi con Iron Man era fantastico - e lo era per entrambi. Steve,
finalmente, aveva una persona con cui confrontarsi dopo anni di gelo e Iron Man aveva un avversario che durasse più dei bot da
combattimento che Tony gli aveva costruito.
“Non credevo avessi
ancora questi riflessi, nonnetto” lo aveva canzonato Iron
Man quel primo pomeriggio - quell’unico pomeriggio. Tony alla fine non
si era fatto vedere, lo aveva chiamato attraverso JARVIS per scusarsi della sua
assenza, ma Pepper aveva bisogno di una sua
apparizione col consiglio di amministrazione ed era dovuto salire sul jet per
volare a Malibù. Si sarebbe fatto perdonare appena
sarebbe tornato, aveva detto, lo avrebbe portato in un posticino che era certo
lo avrebbe entusiasmato. Steve aveva risposto che non ce n’era bisogno, ma Tony
aveva continuato come se lui non avesse parlato - e dopo cinque giorni sapeva
che era tipico suo, davvero - e aveva ribadito la promessa prima di
interrompere la comunicazione con un frettoloso saluto.
Accanto a lui, Iron Man era rimasto silenzioso e quasi assente e Steve si
era chiesto se non fosse geloso di quella loro amicizia - il che era ridicolo,
no? Steve era geloso di quello che c’era tra loro.
Quando avevano
ripreso ad allenarsi, avevano perso il senso del tempo. La palestra era in
pessime condizioni, ma per fortuna Tony aveva fatto installare dei rinforzi
nelle pareti, quindi nessun danno era grave.
“Dove hai
imparato a combattere?” gli aveva chiesto Steve, ignorando la battuta sul
nonno. Preferiva non ricordare di avere l’età per essere il padre di Tony.
“Sono una
guardia del corpo” era stata la risposta dell’altro. Evasiva, come qualunque
altra risposta che Steve si era sentito dare quando aveva provato a indagare
sul suo passato.
Steve aveva
schivato un gancio, una finta e un nuovo gancio, e aveva attaccato allo sterno,
facendo leva sullo sbilanciamento dell’altro per atterrarlo. Iron Man era caduto di schiena con un singhiozzo sorpreso e
lui aveva sorriso, vittorioso.
“Ti consiglio
di ripassare le basi, allora” aveva detto, stringendogli i polsi ai lati della
testa. Se avesse voluto, Iron Man avrebbe potuto
liberarsi da quella blanda stretta senza alcuna difficoltà, invece non lo aveva
fatto, ed era rimasto in silenzio a fissarlo - o almeno credeva. Quegli occhi
meccanici erano fastidiosamente coprenti, come tutto il resto.
Ma la
sensazione di essere osservato era lì a fargli pizzicare il collo e le guance e
Steve lo aveva lasciato andare e tirare su. O almeno ci aveva provato. Perché
appena era stato libero, Iron Man lo aveva afferrato
per la nuca con una mano, l’altra si era poggiata sui suoi occhi e il sibilo
della visiera che si alzava aveva preannunciato il bacio che era seguito.
“Perché non me
l’hai detto?”
La voce di
Steve spezza il silenzio calato tra loro dopo il racconto di Tony. Quest’ultimo
ride e scuote la testa, spostandosi finalmente da quella piccola ancora di
salvezza che è il tavolo.
“E cosa avrei
dovuto dirti, esattamente?” allarga le braccia, quasi a voler dire non c’è
niente da dire, non c’è nulla di più di ciò che vedi. Si sbaglia così tanto
che a Steve viene voglia di urlare.
“Mi hai
baciato” si impone di dire alla fine. Le guance gli pizzicano di imbarazzo, ma
non cede al rossore e sostiene alto lo sguardo. Tony stira le labbra - quelle
labbra che lo hanno mandato in confusione in così tanti modi - e i suoi occhi,
invece, li distoglie.
“Tecnicamente
non ero io”
“Smettila”
Tony si
zittisce. Sospira e recupera il saldatore ormai spento. Se lo rigira tra le
dita, nervoso.
“Mi dispiace,
okay? Non avrei dovuto” sputa fuori e a Steve viene da ridere, perché è tutto
così ridicolo.
Il bacio gli
aveva mozzato il respiro e fatto arrampicare un brivido lungo la schiena, fino
a fargli drizzare i corti capelli dietro la nuca. Distrattamente si era chiesto
se Iron Man l’aveva notato. Poi un accenno di lingua
gli aveva accarezzato le labbra, quasi in invito, e lui era stato trascinato
nella realtà con forza. Iron Man lo stava baciando.
L’Iron Man di Tony, l’uomo che con tutta probabilità
era l’amante dell’uomo di cui lui si era un po’ - solo un po’ - innamorato, lo
aveva baciato. Poteva sentire la morbidezza delle sue labbra e un leggero
accenno di barba, e quella lingua che sembrava volerlo implorare di dargli
spazio. Un angolo della sua mente voleva dire di sì, voleva lasciarsi andare -
magari fingere che fosse Tony, magari godersi solo il momento e il sapore di Iron Man, perché, doveva ammetterlo, quell’uomo gli
piaceva, lo intrigava e lo confondeva - ma un’altra parte di lui continuava
a ripetere Tony Tony Tony in una piccola litania di supplica. Non poteva
fargli questo, non poteva.
“Tony--” aveva
balbettato, cercando di spingerlo via. Quel nome sembrava aver scongelato
l’istante, perché Iron Man lo aveva lasciato andare
come scottato ed era arretrato. Steve aveva tenuto gli occhi chiusi, per
rispetto alla sua privacy e non li aveva riaperti finché non aveva sentito la
visiera tornare al suo posto con l’ormai familiare sibilo. Solo a quel punto li
aveva aperti, ma li aveva tenuti bassi, non sapendo cosa dire o fare.
“Sono stanco,
Capitano” lo aveva anticipato l’altro, dirigendosi verso la porta senza
aspettare risposta. Non c’era nulla da dire, dopotutto. Steve doveva andarsene
e basta.
“Lo ami?” aveva
però chiesto, gli occhi fissi sulle spalle metalliche dell’altro uomo. Iron Man si era fermato a pochi passi dall’uscio e aveva
voltato appena il viso oltre la propria spalla.
“È complicato”
aveva risposto. “Io gli appartengo” aveva poi aggiunto, uscendo.
Ci erano voluti
due giorni perché Steve si innamorasse di Tony, ce n’erano voluti tre perché si
rendesse conto che non aveva speranze con lui e ce n’erano voluti cinque perché
Iron Man mandasse in confusione il suo cervello.
Ma era bastato
un bacio perché entrambi sparissero completamente dalla sua vita per due giorni
e quando finalmente era riuscito a rivedere Iron Man,
erano in Germania, davanti un millantante dio norreno con tanto di copricapo
cornuto.
Iron Man era stato
freddo e distaccato - e quando aveva incontrato, finalmente, Tony,
l’accoglienza non era stata poi così diversa. Per un attimo gli era sembrato di
non averlo mai conosciuto prima di quel momento e la sensazione fu una delle
peggiori della sua vita.
Poi erano
arrivati i Chitauri, New York era stata invasa e non
c’era stato altro tempo per pensare ai suoi drammi sentimentali.
La città era in
doppio pericolo, e mentre lui e gli altri tenevano a bada Loki
e il suo esercito alieno, Iron Man volava verso
l’apertura nel cielo con un missile terra-aria pronto a far esplodere parte
della città.
Quando lo aveva
visto cadere, gli si era spezzato il respiro. No no no, non poteva
morire, non doveva morire. E quando Thor, una volta che Hulk lo aveva riportato a terra, gli aveva strappato la
visiera senza alcuna incertezza, Steve si era sentito morire.
Tony. Per tutto
quel tempo, era sempre stato Tony e lui non aveva capito nulla.
Era un idiota.
E si era innamorato di due facce dello stesso uomo senza neanche rendersene
conto.
Era stupido e
Tony era morto e lui non aveva che il ricordo di un bacio - che era tutto ciò
che gli restava sempre.
“Che cosa è
successo? Per piacere, ditemi che nessuno mi ha baciato” aveva detto Tony e
Steve aveva riso, perché era tutto così ridicolo.
“Sei un idiota”
ride Steve. Tony inarca un sopracciglio, offeso, e lui ride di più e si sposta
verso di lui. Scuote la testa. “Tu, Tony Stark, sei
il genio, miliardario, sexy, filantropo più stupido che abbia mai
conosciuto”
“Si vede che
non hai mai conosciuto Reed” ribatte l’altro, ma
Steve lo ignora. Non gli importa nulla di questo Reed
e se sia davvero un genio - o un genio idiota.
Prende il viso
di Tony tra le mani e lo bacia, piano, con gentilezza, ma con la decisione di
dimostrargli che, no, non ha capito nulla ed è un idiota e Steve vuole
baciarlo ancora.
Tony lo guarda
sorpreso per una frazione di secondo.
“Credevo--”
“Che avessi
capito e ti stessi rifiutando?”
“Già”
Steve sorride
ancora, questa volta un po’ imbarazzato.
“Tu sei il
genio più stupido che abbia mai incontrato” ripete. “Io sono lo stupido che si
è innamorato due volte” ammette. Il sorriso che lentamente compare sulle labbra
di Tony lo ripaga di ogni futura e prevedibile presa in giro.
Dopotutto, sono
solo due stupidi innamorati.
Fine.