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Autore: TigerEyes    09/04/2009    20 recensioni
Akane cambia dal giorno alla notte, assumendo movenze feline e diventando inaspettatamente... audace! Sarà forse a causa dello spirito di una gatta sacra? E Ranma come reagirà? Tutti infatti sappiamo quanto adora i gatti...
IX e ULTIMO CAPITOLO ON LINE con una fanart di Kelou!
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio dal profondo del cuore tutti coloro che hanno entusiasticamente commentato e con i loro fantastici commenti mi hanno commossa: inutile dirvi quanto sia stata felice di sapere che avete apprezzato a tal punto l’ultimo capitolo, che sia i personaggi sia le situazioni vi hanno indotto a pensare a una puntata del manga o dell’anime, un complimento più grande non potevate farmelo, grazie! ç_______ç Grazie Laila, Rakiy, lavs684, Tharamil – amore mio, questa non me l’aspettavo! *ç* – fufy93, moira, laurastella, Kuno – che ringrazio doppiamente perché mi ha fatto anche da beta per il V capitolo – apple92, Riccardo, caia, Robbykiss, Aruna, okkiverdi, Breed e bluemary, cui dedico questo capitolo non solo perché ha scritto uno stupendo papiro di commento XDDD, non solo perché ha pubblicizzato la ff sul forum di EFP con una recensione meravigliosa – al punto che mi sono chiesta: ma l’ho scritta proprio io la La Gatta Morta? XDDD – ma anche perché presumo che grazie a quella recensione la ff è stata notata dal Comitato Consiglio Fanfiction, che l’ha messa fra le Storie Scelte di questo fandom. Almeno, suppongo che sia quello che è accaduto, altrimenti non me lo spiego. XDDDD
Che posso aggiungere? Spero che anche questo capitolo vi piaccia, ammetto di averlo scritto di getto e di non aver avuto molto tempo per revisionarlo, ma spero possiate apprezzarlo comunque: al momento, causa studio concorso, il tempo a disposizione da dedicare alle ff è sempre di meno, purtroppo, quindi spero davvero non rimarrete delusi. ^^;;
Buona lettura e spero vi piaccia il disegno di Kelou, che ringrazio sentitamente! ^_^




V parte

Sono rovinato!






Ranma arrancava lungo le viuzze deserte di Nerima, nella tarda mattinata di un radioso lunedì. Per la seconda volta, ‘vita larga’ l’aveva aiutato ad apprezzare intensamente la vista ‘a volo d’uccello’ di Tokyo e il risultato di quell’ebbrezza era stato un incontro ravvicinato con la bocca del Fujiyama. Per questo ora si trascinava coi piedi scalzi costellati di vesciche, poggiandosi con ambo le mani a un bastone nodoso – neanche avesse l’età di quel dinosauro di Obaba – e con addosso pochi indumenti laceri e bruciacchiati non meno dei capelli e del codino.
Ormai prossimo al dojo Tendo, bramava disperatamente la vasca da bagno e ingozzarsi fino a rotolare per terra, ma sapeva di non potersi semplicemente presentare alla porta di casa, non dopo quello che era accaduto la notte appena trascorsa.
Non è accaduto niente! Un accidente di niente! È stato solo un incubo! Sì, ho fatto un brutto sogno e da bravo sonnambulo mi sono auto-proiettato nello spazio siderale, ecco tutto! Non ho detto quello che ho detto davanti a tutti, nossignore!
(Adesso sì che diventerò ricca da fare schifo…)
“Maledetta sanguisugaaaa!”, imprecò frantumando il bastone fra le dita. Doveva fermare quello sciacallo in pantaloncini prima che fosse troppo tardi, sempre ammesso che non lo fosse già: quella iena ridens stava forse smerciando proprio in quel momento qualche migliaio di copie di quel dannato video, che ovviamente non avrebbe mancato di rivendere a peso d’oro… il suo!
Appena si fosse ripulito e avesse rimpinguato lo stomaco, l’avrebbe scovata ovunque si era andata a cacciare e le avrebbe fatto ingoiare quegli stramaledetti duplicati uno per uno. E magari l’avrebbe pure aiutata, se avesse avuto ancora fame. Sì, per prima cosa si sarebbe occupato di quell’arpia coi capelli a caschetto, poi… poi…
Sospirò stancamente, accasciandosi su se stesso. Come avrebbe fatto questa volta a giustificare il suo comportamento con la cuoca peggiore dell’universo conosciuto e forse anche di quelli paralleli? Ranma si scompigliò freneticamente i capelli con le mani, come una shampista particolarmente accanita con la sua cute. E di colpo spalancò gli occhi. Shampista? Massì, certo, poteva sempre lavare la testa della famiglia Tendo e di suo padre con lo shampoo 110 di Shampoo, sempre che lo avesse ancora… No, no e poi no, ma che andava a pensare? Suo padre non aveva un capello manco a cercarlo col microscopio e lui non conosceva la corretta digitopressione per ottenere l’effetto mirato, se avesse fatto un casino coi ricordi di ognuno? Né poteva chiedere a quella piattola di amazzone di aiutarlo, come minimo avrebbe felicemente ridotto tutti a un branco di smemorati perenni, Akane in testa… Niente da fare, doveva inventarsi qualcos’atro.
Dannatissima divinità gattesca, non poteva aspettare due secondi di più per dileguarsi? Sembrava l’avesse fatto apposta a sparire proprio in quel momento! Un attimo… Poteva essere più imbecille, ma dove aveva il cervello? Poteva sempre inventarsi che lui aveva fatto quella ‘dichiarazione’ solo per indurre Bastet a lasciarlo in pace e impedire così alla bestiaccia di usare il corpo di Akane per i suoi scopi! Sìììì, che idea!
Ranma ritrovò immediatamente il suo sorriso da schiaffi e iniziò a ridere sguaiatamente da perfetto idiota quale sembrava, in mezzo alla stradina spazzata da un vento da far west, con tanto di balle di erba rotolanti. Solo troppo tardi si sarebbe reso conto che la colossale scemenza che aveva partorito sarebbe stata penosamente inutile: in quel momento lo stomaco aveva preso il posto del cervello, per cui funzionavano solo le rotelle di emergenza.
S’impettì, ormai certo di avere in tasca la soluzione per ogni problema e percorse gli ultimi metri che lo separavano da casa Tendo. Riuscì a saltare sino alla finestra della sua camera e a entrare senza far rumore, per poi strisciare di soppiatto fino in bagno. Quando mezz’ora dopo ne uscì, aveva un appetito tale che, se non si fosse sbrigato a mettere qualcosa sotto i denti, avrebbe mangiato il tavolino del salotto. E solo perché la carpa se l’era già mangiata Akane.
Corse in cucina, dove Kasumi stava canticchiando davanti ai fornelli inondando la casa con un aroma da capogiro. Solo allora Ranma si rese conto di non aver avvertito le auree di Akane, Nabiki, di suo padre e del signor Tendo: a parte la primogenita della famiglia, l’abitazione era praticamente deserta.
“Oh, buongiorno Ranma, sei tornato finalmente! Se hai pazienza, il pranzo è quasi pronto!”.
“Grazie, ma dove sono tutti?”, chiese il codinato addentando una fetta di rapa gialla.
“Oh, è vero, nessuno ti ha informato!”, sorrise Kasumi tornando alle sue pentole. “Questa mattina il professor Kisuda si è presentato di nuovo per riportare Akane al museo, invece papà e il signor Genma sono usciti circa un’ora fa per raggiungere Nabiki a scuola”.
Ranma inarcò un sopracciglio. Senza saperne il motivo, un brivido gli fece rizzare il codino dietro la nuca.
“Sono andati… al Furinkan? Coma mai, è accaduto qualcosa?”.
“Ecco, non lo so di preciso, Nabiki ha detto solo che si sarebbe trattenuta dopo le lezioni e ha chiesto ai nostri genitori di raggiungerla nella palestra della scuola verso quest’ora. Sembravano molto contenti, sai? Sprizzavano gioia da tutti i pori. Oggi ti va il riso al curry?”, volle sapere Kasumi voltandosi nuovamente verso di lui.
Peccato che fosse rimasta sola.

Corriiiiiiiiiiiiiii! CorriCorriCorriCorriiiiiiiiiiiiiiii!
Quella faina! Quella vipera cornuta! Non sapeva in che modo, ma era graniticamente certo che stesse per rovinarlo, se non c’era già riuscita! Forse non sarebbe mai arrivato in tempo per impedire l’inevitabile, saltare di tetto in tetto con lo stomaco che reclamava era uno sforzo per lui disumano, ma doveva tentare! Con un ultimo balzo riuscì a portarsi oltre il cancello del Furinkan.
E lì si bloccò.
Nonostante fosse l’ora della pausa pranzo, non un’anima viva si aggirava nel cortile, più deserto della tundra siberiana. Ranma iniziò a sudare freddo, temendo ciò che sapeva di dover temere. Alzò lo sguardo verso l’edificio scolastico, ma nessuno era affacciato alle finestre, né s’intravedeva passeggiare nei corridoi. Un beneamato nulla neppure sulla terrazza.
Inghiottì rumorosamente. Non riusciva a dare forma a un pensiero che era uno, troppo terrorizzato all’idea di ciò che stava probabilmente accadendo nella palestra. Eppure, un passo alla volta, i piedi lo condussero ugualmente là.
Le ante della pesante porta di metallo erano chiuse e nessun rumore sembrava provenire dall’interno. Inghiottì di nuovo e inspirò a fondo per darsi coraggio, quindi afferrò saldamente le maniglie e spalancò di slancio i battenti, inondando di luce l’enorme ambiente, gremito fino all’inverosimile.
«Vuoi capirlo che non mi interessi?! È AKANE CHE VOGLIO!».
Il cuore smise di battere e lui di respirare.
L’urlo, un urlo suo, anche se non proveniva dalla sua gola, aveva appena squarciato come un tuono il silenzio di tomba della palestra, perché lui campeggiava sul maxischermo allestito sulla parete di fondo, sdraiato fra le gambe di un’Akane mezza nuda che lo fissava incredula, mentre la costringeva sul suo futon tenendola per i polsi.
Il filmato si interruppe e lo schermo divenne bianco.
Silenzio, nemmeno una mosca si azzardava a volare.
Era morto. Era molto, molto morto. E se ancora non gli era venuto un infarto, che gli venisse almeno un ictus che lo fulminasse sul posto, rapido e indolore, perché difficilmente sarebbe scampato alla furia omicida che andava addensandosi come una nube rosso sangue sopra la testa dei presenti.
“Te l’avevo detto che sarei diventata ricca da fare schifo…”, sibilò Nabiki posandogli una mano su una spalla. “E pensare che questa volta non è stata nemmeno un’idea mia: io avrei fatto le solite due-trecento copie da rivendere sottobanco, invece i nostri genitori si sono fatti venire il colpo di genio: perché non mostrare il video pubblicamente – a pagamento, s’intende – e spedire gli inviti a chi avesse rischiato di perderselo, così da costringere le altre tue fidanzate e i vari spasimanti di Akane a mettersi l’anima in pace e farsi da parte? Così, ci abbiamo guadagnato tutti”.
“Oh… dio… mio…”.
“Tutti tranne te, è chiaro. Quella cui l’intera scuola ha assistito è una dichiarazione in piena regola, non tentare di far credere che Bastet ti ha mandato in tilt il cervello o roba simile, perché nel video è evidente che per tutto il tempo sei stato nel pieno possesso delle tue facoltà mentali, dall’inizio alla fine. Ora mezza Nerima conosce i tuoi veri sentimenti per mia sorella, quindi non puoi più tirarti indietro: ti sei ufficialmente impegnato con lei. Stavolta sei fregato, mio caro Ranma...”.
Il codinato abbassò finalmente gli occhi, ormai fuori dalle orbite, sulla platea che si era alzata in piedi e si era voltata verso di lui, una massa informe di sguardi infuocati e auree fiammeggianti che aspettava solo una mossa falsa da parte sua per sbranarlo. E in mezzo alla sterminata folla, dove due deficienti di mezz’età ballavano la macarena sulle sue disgrazie, gli spropositati ki di Ukyo, Shampoo, Kodachi e Tatewaki ribollivano come lava in un vulcano pronto all’eruzione. Suo padre e il signor Tendo l’avevano fregato proprio bene. Peccato si fossero dimenticati di pensare alla sua incolumità.
“Ah, dimenticavo: sai che papà ha pensato a un matrimonio da favola per voi due, questa volta? Però i soldi guadagnati oggi potrebbero non essere sufficienti, così…”.
“Che… che altro… hai combinato…?”, chiese affranto mentre iniziava istintivamente ad arretrare. Non voleva saperlo, in realtà: anche se pareva impossibile che la situazione potesse essere peggiore di così, con Nabiki Tendo non si poteva mai dare nulla per scontato.
“Oh, nulla, mi sono solo assicurata che il mondo intero contribuisse alle vostre nozze: ho caricato il video su YouTube. La visione è a pagamento, ovviamente…
“TUCHECOSAAAAAAAA?”, sbraitò voltandosi verso di lei.
“Ranma… SEI MORTOOOOOOOOOOOOO!”, urlò l’autoproclamato Tuono Stinto del Furinkan puntandogli contro il suo bokken.
Fu il segnale, quello. L’intera scuola si scaraventò su di lui capovolgendo le sedie, calpestando chi seguiva pur di raggiungerlo, menando calci e pugni pur di mettergli le mani addosso. L’orda inferocita ruggiva, urlava, imprecava. E su tutti, le sue amorevoli fidanzate, che lungi dal litigare su chi fra loro avesse il diritto di strappargli i gioielli di famiglia, si stavano avventando tutte insieme su di lui, seguite dallo svalvolato numero uno del Furinkan, che brandiva la sua spada di legno sopra la testa.
C’era solo una cosa che gli restava da fare. Usare la pericolosissima ‘tecnica Saotome dell’autoconservazione’. Un solo secondo di ritardo, un solo attimo di esitazione e sarebbe stata la fine. Ranma si mise in posizione, mentre gli assalitori stavano per piombargli addosso come uno spaventoso tsunami. Il codinato concentrò allora al massimo il suo ki e quando la gigantesca onda d’urto si abbatté, sfoggiò la prima e più importante tecnica marziale che il padre gli avesse mai insegnato.
Se la diede a gambe levate.
La valanga umana s’infranse contro il pavimento della palestra, mentre Ranma, con un salto acrobatico all’indietro, guadagnava l’uscita, atterrava in uno spiazzo soleggiato e scattava come un bolide verso il cancello della scuola.
“Scappa, Ranmaaaaaaaa! Scappaaaaaaa! Li trattengo iooooooooo!”.
Era la voce di Mousse, quella che aveva udito? Ranma si voltò pur continuando a fuggire e non riuscì a credere a quello che vide: il cinese aveva impacchettato l’esterno dell’edificio con le sue interminabili catene pur di sigillare la porta che aveva sbarrato, ma oltre la quale qualcosa premeva fino a deformarla e dalla quale urla selvagge fuoriuscivano.
Ranma si fermò davanti all’ingresso della scuola, strinse un pugno e, commosso, ringraziò quella papera cecata per il suo sacrificio. Non avrebbe mai dimenticato il suo gesto, mai, finché fosse vissuto.
“Ranma, MALEDETTOOOOOOOOOOO!”.
Ops, aveva parlato troppo presto. La porta di metallo aveva ceduto sotto la spropositata pressione dei suoi compagni di scuola, che avevano travolto il povero Mousse guidati da un invasato Kuno.
Ranma riprese a correre senza sapere dove andare a nascondersi. Non poteva condurre quei pazzi furiosi a casa Tendo, avrebbe dovuto ideare qualcos’al...
Una raffica di spatole gli fece quasi lo scalpo.
“Fermati, Ran-chaaaaaannnnn! Devo spalmarti sull’asfalto!”.
Questa era Ukyo e stava sicuramente brandendo la sua spatola gigante.
Aileeeen! Non scappareeeeeee!”.
Questa invece era Shampoo, certamente armata di bombori materializzatisi chissà da dove.
“Ranma, mio adoratooooo! Curerò io la tua insanità mentale, non preoccuparti!”.
Come no…
Un nastro nero si avvinghiò al collo di Ranma rischiando di strozzarlo, ma con uno strattone il codinato riuscì a liberarsene. Questa era Kodachi, che piagnucolava spargendo senza dubbio petali altrettanto neri nel polverone dietro di sé.
“Dannato Saotomeeeeee! Come hai potuto strappare quel fiore delicato di Akane Tendo? Non ti perdonerò maiiiiiiii!”.
E questo era Tatewaki. Alé, c’erano proprio tutti, mancava solo…
“Ryoga?!”.
Non credeva alle sue pupille. Il campione mondiale di disorientamento che fluttuava catatonico per le vie del quartiere, ma che gli era accaduto? Era come se la professoressa Hinako gli avesse risucchiato tutta l’energia combattiva…
Un momento! Ma da queste parti abita…
“Vieni con me, prosciutto con le zampe!”.
Ranma afferrò al volo un Ryoga con la consistenza della carta velina, quindi compì un poderoso balzo col quale si portò su un tetto, seguito a ruota da chiunque potesse imitarlo.
“Ma… ma dov’è andato?”, chiese Ukyo guardandosi intorno disorientata: per tetti e tetti non si vedevano altro che antenne paraboliche, pali della luce gremiti di uccelli e lampioni. Ranma sembrava svanito nel nulla.
“Il mio adorato non può essere scomparso così, dev’essere ancora qua attorno!”, affermò sicura Kodachi sgranocchiando il gambo della rosa nera che teneva fra i denti.
“Cerchiamolo, allora, non può essere andato lontano!”, suggerì Shampoo allontanandosi… verso casa Tendo. Era certa che il suo futuro marito le avesse depistate per andarsi a rifugiare nella casa della ragazza violenta. Nessun problema. Una volta lì, gli avrebbe gonfiato la faccia a suon di bombori, quindi lo avrebbe trascinato in chiesa perché rinsavisse: doveva prendersi le sue responsabilità, una buona volta, basta coi trucchetti. Pensava davvero di metterla fuori gioco inscenando una così patetica recita a uso e consumo dell’intera Nerima? Poteva anche pensare di fregare la spatolona e quella pazza di una ginnasta, ma non lei!

“Andiamo Shampoo, ormai dovresti saperlo: non rilascio informazioni senza una congrua offerta di denaro...”, sorrise Nabiki continuando a contare i soldi guadagnati quella mattina.
Seduta davanti al tavolo del salotto, confrontava meticolosamente il numero dei biglietti venduti con le mazzette di yen impilate davanti a lei: non era stata così sciocca da fissare un prezzo universale, visto che c’erano compagni di scuola – come Tatewaki e sua sorella – che potevano tranquillamente permettersi di spendere il doppio, quindi doveva stare molto attenta a calcolare l’esatto ammontare del guadagno per assicurarsi che tutti avessero pagato la loro quota.
“Dimmi dove si nasconde, Nabiki, lo so che è qui, dimmelo!”, minacciò la cinesina sollevando un bombori.
“Di’ un po’, vuoi beccarti una denuncia per violazione di proprietà privata e aggressione, carina? Su avanti, attaccami, se ci tieni a perdere il ristorante, perché è il risarcimento che chiederò!”, sorrise Nabiki senza scomporsi.
Shampoo rimase col braccio sollevato, fumante di rabbia. Proprio allora fece il suo ingresso Kasumi con un vassoio.
“Ciao Shampoo, mi sembrava di aver riconosciuto la tua voce, vuoi un po’ di tè? Se sei venuta per Ranma, non è ancora tornato. Benedetto ragazzo, è scappato via senza nemmeno pranzare…”.
Nabiki si volse seccata verso la sorella maggiore: un’occasione di guadagno extra aveva appena preso il volo.
“Maledizione!”, sbuffò la cinesina dando loro la schiena. E adesso? “Sbaglio, o non c’è nemmeno Akane?”.
“No, infatti”, rispose sconsolata Kasumi.
“Fai silenzio, accidenti!”.
“Oh, smettila Nabiki, non hai guadagnato abbastanza?”.
“Con sette persone che vivono in questa casa, no, non è mai abbastanza! Ti ricordo che ben tre di loro scroccano vitto e alloggio ormai da anni!”.
“Avanti sorellina, che male c’è a dire semplicemente che Akane non è qui, non ho detto dove si trovi, né lo dirò mai a nessuno”, sorrise Kasumi accondiscendente.
“Ma se ti pagassi, tu me lo diresti, vero Nabiki?”, chiese melliflua Shampoo a pochi centimetri dal suo viso.
“Non so se ti puoi permettere il prezzo che ho in mente…”, ghignò la secondogenita dei Tendo.
“Qualsiasi cifra, pur di togliere di mezzo tua sorella”.
Nabiki sorrise da un orecchio all’altro.
“Affare fatto, allora”.
“Nabiki!”, esclamò scandalizzata Kasumi.
“Sta’ tranquilla, sorellina”, le sussurrò all’orecchio accostandosi a lei. “Qualcosa mi dice che sarà Akane a sbarazzarsi di lei…”.

“Ecco, tieni Ranma, mangia”.
“Grazie, dottor Tofu!”. Il codinato afferrò la ciotola e se la portò davanti al viso, iniziando a trangugiare il riso e i sottaceti.
“Stento ancora a credere a quello che mi hai raccontato, è… è davvero sbalorditivo. Comunque questa volta non posso aiutarti in alcun modo, nemmeno la vecchia Obaba può farlo, temo, men che mai Happosai: lo capisci da te che l’Egittologia è completamente al di fuori della nostra portata, l’unica persona che può aiutarti è quel professore che ha preso in custodia Akane”.
“Non dica scemenze, dottore! Quello non sa dove sbattere la testa, ma continua a sbattere il muso sui suoi papiri ammuffiti senza cavarne nulla!”.
“Non dire così, vedrai che tutto si risolverà, come sempre. Ryoga comunque non ha nulla che non va, è semplicemente sotto shock”, concluse il medico dopo aver cercato inutilmente di ottenere dal ragazzo una qualche reazione: se ne stava seduto su uno sgabello accanto a Ranma, senza mostrare segni vitali all’infuori di un balbettio sconnesso.
“Grazie, me n’ero accorto anch’io, è il motivo che vorrei sapere: ho intravisto la professoressa Hinako fra coloro che hanno assistito alla proiezione, quindi non può essere stata lei a ridurlo così”.
“Se riuscissimo a sapere dove è stato prima che tu lo trovassi in queste condizioni, forse…”.
“Cos’ha detto?”, chiese Ranma voltandosi di scatto e posando la ciotola vuota su un basso tavolino.
“Ho detto che se potessimo sapere dove…”.
“Sì sì, ho capito, intendevo che forse ne ho una vaga idea, può lasciarci soli qualche minuto?”.
Il medico lo osservò perplesso.
“Non adotterai le maniere forti con lui, vero?”.
“Mannò, che dice?”, proclamò Ranma con un sorriso fintissimo.
Tofu inarcò un sopracciglio e sospirò.
“Va bene, come vuoi…”, concluse allontanandosi e chiudendo la porta dello studio dietro di sé.
Ranma si volse verso l’amico e lo prese per le spalle. Si era di colpo ricordato che la sera prima Nabiki gli aveva detto che Akane, nel seguire il professor Kisuda al museo, si era portata appresso P-chan. Forse quel rincretinito aveva visto qualcosa che poteva tornargli utile per scacciare Bastet dal corpo di Akane.
“Ryoga, ora ascoltami bene, molto molto attentamente…”.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
“Concentrati, Ryoga, avanti!”, ringhiò dandogli una scrollata. “Devi dirmi cos’è accaduto quando…”.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
Era peggio di suo padre quando si metteva in testa di regredire allo stato di panda.
Ranma chiuse il gli occhi e serrò la mascella, mentre un nervo iniziava pericolosamente a pulsare su una tempia.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
“Oh, insomma, piantalaaaa!”, gridò il codinato sollevandolo in aria per il bavero della maglietta e mandandolo a sbattere con un pugno contro la parete opposta.
“Ma che… ma cosa…”, balbettò Ryoga massaggiandosi una guancia e guardandosi attorno confuso.
“Finalmente!”, sbraitò Ranma raggiungendolo e riacciuffandolo per la canotta logora con ambo le mani. “Allora, vuoi dirmi che è accaduto ieri sera al museo?”.
“Al museo…?”. Lo sguardo di Ryoga vagò per la stanza. “No! Non me lo chiedereeee! Non hai idea di cosa ho passato, non puoi assolutamente immaginarlo!”, frignò il disorientato mettendosi le mani nei capelli.
“Sì, figurati, non può essere peggio di quello che ho passato io…”.
“Non puoi capire! Akane è mutata sotto i miei occhi…”.
“Capirai, sai che novità, avresti dovuto vederla quando me la sono ritrovata nella mia stanza…”, minimizzò Ranma agitando una mano e fissando il nulla con sguardo intenso.
“E poi… poi… che orrore! Mi ha guardato come un gatto guarda un topo…”.
“Mi fissava con una bramosia tale che sarebbe stata capace di spogliarmi con gli occhi…”.
“E si è leccata le labbra, capisci? Lei!”.
“Sì, sì, ho ancora l’immagine stampata in fronte, un vero incubo…”.
“E poi… poi ha iniziato a inseguirmi finché mi ha afferrato la coda…”.
“E non mi mollava più, Ryoga, capisci? Mi stava continuamente appiccicata, non posso pensarci…”.
“Ha tentato di mangiarmi!”.
“Ha tentato di violentarmi!”.
Silenzio di tomba.
“Ehhhh?!”, mormorarono all’unisono fissandosi sbigottiti.
“MA IO TI AMMAZZOOOOOO!”, urlò Ryoga avventandosi su Ranma. Gli afferrò il collo con tutt’e due le mani e iniziò a strozzarlo, sbattendogli al contempo la capoccia dura che si ritrovava sul pavimento. “Cosa le hai fatto? COSA LE HAI FATTOOOOO?”.
“Ma che succede qui dentro? Fermati, Ryoga!”, intervenne il dottor Tofu colpendogli un punto dietro il collo.
Il ragazzo con la bandana si accasciò su un Ranma cianotico, che prontamente se lo scrollò di dosso massaggiandosi la gola.
“Accidenti a te, sempre la stessa storia, dannato ottuso di un maiale!”, imprecò il codinato.
“Stai bene, Ranma?”.
“Sì sì, grazie, dottore… ma non ho cavato nulla da lui, non mi è stato per niente utile…”.
“E come avrebbe potuto esserlo?”.
“Ah… ehm… lasciamo stare…”.
“Se può interessarti, comunque, subito dopo avervi lasciato soli sono uscito in cortile e ho visto Shampoo che saltava sui tetti”.
“Dannazione, mi stanno ancora cercando!”.
“Può darsi, comunque la direzione che ha preso coincide con quella del museo…”.
Ranma guardò il medico con tanto d’occhi, improvvisamente cereo, e scattò in piedi. Ci mancava solo questa.
“Devo andare, dottore, grazie di tutto!”.

“Glielo ripeto di nuovo, professore! Apra quella porta o frantumo le sue preziose statue una per una, a cominciare da... quella là!”, minacciò Shampoo puntando uno dei bombori contro la statua di Amon-Ra.
“Noooo! Quella no! L’abbiamo appena finita di restaurare, la prossima settimana sarà finalmente esposta al pubblico!”, piagnucolò Kisuda seduto alla sua scrivania.
“Allora apra subito quella porta! Adesso!”.
“Ma… ma ragazza, tu davvero non ti rendi conto! Sarebbe come stuzzicare il can che dorme: potresti risvegliare Bastet…”.
“La smetta con questa messinscena! Ho combattuto contro Akane solo due giorni fa e se Ranma non si fosse intromesso, l’avrei battuta facilmente, quindi non credo affatto alla storia della possessione!”.
“Ti prego, sii ragionevole, non costringermi a chiamare la sicurezza: capisco che siate tutti preoccupati per lei…”.
“Ma che va blaterando? Io voglio farla fuori!”.
“Adesso basta, chiamo la polizia!”.
“Peggio per lei!”.
La cinesina scagliò un bombori contro una statua di Amenhotep III assiso in trono, facendogli saltar via la testa.
“Noooooooooooooooooooooooooooooo!”, urlò il professore strappandosi i capelli. “Quella statua era in prestito al museo!”.
“Quello laggiù in piedi, chi è?”.
“Q-quello? Ma-ma Ramesse II, ovviamente!”.
Anche l’altro bombori volò attraverso il magazzino e la statua rovinò per terra in mille pezzi.
“Basta, per carità! Basta, o mi farai venire un infarto!”, gemette il professore. Che danno incalcolabile, che barbarie! Avrebbe emesso una circolare che obbligava il museo a stare aperto sette giorni su sette, mai più chiuso il lunedì e mai più senza i vigilanti a pattugliarlo.
“E allora?!”.
“Ecco le chiavi, prendile, ma vattene di qui!”.
Shampoo le afferrò, recuperò le sue armi e corse alla porta del caveau. Avrebbe ‘risolto’ il problema di Akane una volta per tutte e con quello anche i suoi: Ranma si sarebbe rassegnato a sposarla e a seguirla in Cina, da bravo marito di donna di polso.
La cinesina spalancò la pesante porta blindata e in fondo alla stanza intravide Akane che stava placidamente dormendo su una branda, come era ovvio: per inscenare quella ridicola rappresentazione, doveva essere rimasta alzata tutta la notte.
“Sveglia, ragazza violenta!”.
Per tutta risposta, Akane mugugnò il nome di Ranma nel sonno e strizzò ancora di più il cuscino a sé.
“Sveglia, ho detto!”, gridò Shampoo avvicinandosi ad ampie falcate. Anche questo doveva sopportare.
Niente, la giovane Tendo non dava segno di averla sentita, o forse faceva solo finta come estremo tentativo di difesa. Peggio per lei. Shampoo sollevò un bombori sopra la testa e calò il braccio, ma la sua arma sfondò soltanto il cuscino, che si aprì in due in un tripudio di piume.
“Shampoo! Ma sei impazzita?! Che ti prende?”, sbraitò un’Akane perfettamente vigile.



La cinesina rimase per un istante disorientata: Akane era appollaiata sulle spalle di una statua alta almeno tre metri, come aveva fatto ad arrivare fin lassù?
Non ha importanza, ormai non può sfuggirmi!
Le lanciò un bombori e Akane saltò giù con un’agilità che avrebbe potuto definire… felina, guadagnando l’uscita del caveau. Ora che ci pensava, la sua posizione le aveva ricordato Ranma quando, gattizzato, aveva combattuto contro sua nonna. Qualcosa le diceva che doveva approfittarne ora, finché era in tempo.
“Fermati, Akane, è inutile che scappi!”.
Shampoo la inseguì per le sale del museo sotto lo sguardo inorridito del professor Kisuda, intento a comporre il numero della polizia.
“Lasciami in pace, Shampoo, ho già i miei problemi, non voglio combattere contro di te!”.
“Li risolverò io i tuoi problemi, fermati!”.
Akane continuò a schivare tutti gli affondi della cinesina, stupendosi lei per prima di riuscirci e piuttosto facilmente, ma ricordandosi poi che purtroppo non era merito suo. Fu allora che le tornò in mente cos’era accaduto quella notte.
Addormentatasi con P-chan fra le braccia, si era risvegliata fra le braccia di Ranma. Di nuovo. Ma questa volta lui non era addormentato e non sarebbe potuta sgattaiolare via come nulla fosse: sdraiata mezza nuda sul suo letto, se l’era ritrovato letteralmente addosso che le teneva bloccati i polsi. Stava per urlare, quando l’aveva sentito pronunciare l’inaudibile. Un’affermazione tanto shoccante che tutto il resto era passato completamente in secondo piano: la sua seminudità, la posizione in cui si trovavano, tutto. A ripensarci, le tornavano le lacrime agli occhi. Se non fosse stato per la sua famiglia riunita al completo e soprattutto per Nabiki armata di videocamera, forse non avrebbe reagito spedendo il suo fidanzato in orbita: no, forse si sarebbe limitata a demolire quella sua faccia da schiaffi a forza di pugni, forse…
Akane mise male il piede su un dislivello del pavimento e scivolò all’indietro, ma fece in tempo a vedere Shampoo spiccare un salto e piombare su di lei come un falco, il bombori lanciato come la palla di un cannone verso la sua testa.
Evitarlo, questa volta, era impossibile.
Con un grido incrociò istintivamente le braccia davanti al volto e fu l’ultima cosa che vide, prima di precipitare nell’oblio.

Shampoo vide Akane tentare inutilmente di parare il colpo con le braccia… e poi slanciare quelle stesse braccia all’indietro per poggiare i palmi sul pavimento, sollevare le gambe in aria disegnando un arco col corpo, stringere il suo bombori fra le ginocchia e spezzare di netto il lungo manico.
La cinesina si ritrovò sbilanciata in avanti e se non cadde riversa sul pavimento fu solo perché qualcosa di morbido e folto le si avvinghiò come un boa constrictor intorno al collo tenendola sollevata da terra.
“Ciao Shampoo, è un piacere conoscerti...”, sorrise Bastet mostrando dei canini pronunciati.
“Ma… che… stai… dic… dicendo?!”.
“Che il tuo sì che sarebbe stato il corpo perfetto per me, che peccato…”, si lamentò la dea incrociando le braccia al petto.
“La… la… scia… mi!”.
Respirare stava diventando difficile, qualsiasi cosa le stesse stringendo la gola non faceva che aumentare la pressione. Un momento… ma era una coda! E usciva da sotto la gonna di Akane! Era tutto vero, allora!
“Se proprio ci tieni…”. Bastet sollevò Shampoo ancora più in alto e si guardò intorno. “Vediamo… no, contro una statua che mi raffigura no, contro chi potrei scagliarti? Ah, eccolo là, poteva mancare quel dannato cagnaccio?”.
La dea lanciò la cinesina contro una statua di granito di Anubi, che andò in frantumi contro una parete. Una pioggia di frammenti cadde su Shampoo riversa a terra che cercava disperatamente di rialzarsi in piedi nonostante le saette di dolore che il corpo lanciava ovunque. Quella dannata non l’avrebbe mai avuta vinta, mai! Lei era un’amazzone e avrebbe combattuto fino alla morte.
“Ehi tu, omuncolo, portami un bicchiere d’acqua!”, ordinò Bastet con tono annoiato voltandosi verso il fondo dell’enorme sala.
“Di-di-dite a me?”, pigolò il professor Kisuda emergendo da sotto il tavolo.
“Sì, a te, idiota, muoviti o ti tramuto in una delle tue preziose statue!”.
“Cosa… cosa vuoi fare?”, chiese Shampoo mettendosi in posizione di attacco sulle gambe malferme.
Bastet tornò a fissarla sorridendo malignamente, il giallo paglierino degli occhi fessurato da un paio di tagli verticali.
“Ah, Shampoo, cosa avrei dato per un corpo come il tuo: metà umana e metà gatta, sublime! Che peccato che sia stata questa ragazzetta a risvegliarmi...”.
“Stai lontana da me!”, urlò la cinesina spiccando un balzo: avrebbe usato la testa di un colosso come trampolino di lancio per colpire dall’alto quella strega con un calcio.
Patetica…, pensò Bastet lanciandole contro la lunghissima coda che si estendeva a dismisura, per afferrarle la caviglia protesa verso di lei. Shampoo lanciò un grido e si ritrovò a testa in giù, mentre la divinità l’avvicinava a sé.
“Ecco il vostro bicchiere d’acqua, mia signora…”, osò con un filo di voce il professore alle spalle della dea tremando come la foglia di un acero.
Bastet si voltò verso di lui e Shampoo riuscì a scorgere lo sguardo del matusa farsi appannato e catatonico. Quindi, la divinità prese il bicchiere senza più degnare di uno sguardo il pover’uomo, rimasto a fissare il vuoto come un ebete.
“Vedi, Shampoo, nello stato in cui sei ora non mi servi a niente”, sorrise di nuovo Bastet gettandole l’acqua addosso. “Invece così potrai servirmi egregiamente…”
La dea lasciò andare la gattina, che cadde miagolando irritata, ma pronta a saltarle nuovamente addosso non appena poggiò le zampe sul pavimento. Quando però guardò di nuovo Bastet negli occhi, questa volta li trovò talmente irresistibili da restare ammaliata a fissarli in totale adorazione.
Proprio come il professore.
“Perfetto, ora che sei anche tu in mio potere, diventerai la chiave per piegare Ranma”.
   
 
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