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Autore: nigatsu no yuki    08/05/2016    6 recensioni
Minilong 3 capitoli | Iwaoi | 20k parole| Viaggio spaziale AU
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«Grazie per avermi salvato Iwa-chan» aveva sussurrato, cercando in tutti i modi di sorridere.
Iwaizumi si sarebbe arrabbiato in un’altra occasione, per il modo infantile in cui aveva storpiato il suo nome. Non aveva avuto modo, in ogni caso di replicare nulla, aveva guardato il suo volto ancora una volta, decorato da quel sorriso così vero, da far male agli occhi, alle ossa, al cuore.
Allora, in quel momento ci aveva visto qualcosa di eroico, in quella missione.
Dalle ceneri di quel pianeta distrutto e bruciato, era riuscito a salvare quel germoglio di vita e per un attimo, si era sentito la persona migliore della galassia.
Una singola vita nello sconfinato universo, ma quella vita forse era abbastanza.
Genere: Angst, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Intreccio 



«Ehi Tooru, allora sei pronto?»
I piedi penzolavano giù, verso l’alta erba arancione che ricopriva il campo dei frutti estivi.
Il cielo andava scurendosi, la luna era già sorta, i due soli gemelli stavano tramontando.
«Allora?»
Tooru frustò l’aria con la coda ridacchiando divertito e voltandosi verso suo nipote «Hai davanti a te il Re di quest’anno Takeru.»
«Wow» esclamò il bambino con un gran sorriso «io ti supererò quando sarà il mio turno però!»
Dall’albero campana su cui erano seduti iniziarono a disperdersi i pollini rossi che vorticarono verso il cielo sospinti dal vento.
«Vincerai quindi» ripeté Tooru fissando il cielo, l’estate era vicina, la corsa del Re sarebbe arrivata, Takeru sognava la gloria, per quando sarebbe arrivato il suo turno. 
Tooru, che si era allenato allo sfinimento per la tradizione più importante in onore della Gemma, non avrebbe fallito.
No, so che non fallirai.
“Ascoltami Gemma, vincerò” si ripeté ancora posando una mano su una delle radici della Gemma che arrivavano fin sopra l’albero campana “vincerò!” le venature della Gemma brillarono d’azzurro, così come il marchio sul suo torace.
«Oh Gemma, aiuta Tooru nella sua corsa, lo sai quanto si è impegnato, vero? E poi sennò chi lo sente, se non dimostrerà di essere il migliore?» Takeru aveva anch’esso posato le mani sulla radice e comunicava con la Gemma, il suo marchio che brillava.
«Dannato ragazzino non dire così!» si lagnò Tooru cercando di acchiapparlo, ma quello era già sceso dall’albero campana con un balzo ed era corso via ridendo.
Non lo inseguì, si perse a fissare il cielo ancora per un attimo, le stelle iniziavano ad illuminarsi sulla volta celeste, erano così lontane, così belle. Alzò le mani, come a sfiorarle.
«Perché continui a guardare le stelle?»
«È una cosa così stupida.»
Gli altri bambini avevano sempre riso di lui, ma a Tooru importava poco. Quello che c’era al di là della Gemma, del loro cielo, cos’era in realtà? C’erano altri mondi lontani? C’erano altri esseri?
L’universo lo chiamava e lui non poteva far altro che guardarlo, notarlo, ascoltarlo, gli piaceva sentir la sua storia, gli piaceva sussurrargli “Io so che c’è dell’altro”.
Quello superava tutto forse, le cattiverie degli altri bambini, il duro lavoro per la corsa del Re, la Gemma stessa.
“Avvera il mio desiderio Gemma.”
Mi dispiace, figlio mio, avrei dovuto ascoltarti ed esaudire il tuo desiderio in modo diverso, perdonami.
 

 
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Dopo la missione di salvataggio del terzo pianeta Primo Sguardo Hajime e il suo equipaggio erano ripartiti immediatamente.
I tempi, per quelli come loro, non erano mai adatti ai festeggiamenti, avevano il loro lavoro, avevano la loro guerra.
Il comando centrale dei ribelli li aveva inviati nei sistemi di confine, dove gli scontri contro le navi dello Stato erano qualcosa di quotidiano.
A pagarne le conseguenze erano, spesso, pianeti che venivano saccheggiati di risorse, disinfestati da qualsiasi forma vivente, uomini compresi; spesso distrutti dagli incrociatori con cannoni al plasma denso.
Tutti sulla nave spaziale capitanata da Iwaizumi, sapevano che era così che la guerra riduceva la galassia.
«Ma non possiamo chiudere gli occhi» ripeteva spesso Kunimi «anche se siamo abituati a vedere questa violenza continuamente, non deve diventare la normalità. La galassia non si merita tutta questa distruzione per mano nostra, né di ricevere solo come commento finale "Tanto è normale" da parte dei carnefici.»
Hajime vedeva che il giovane ragazzo fosse quello con l'animo più sensibile lì a bordo. Trovava conforto e coraggio quando ripensava alle sue parole.
La sua saggezza potrebbe salvare i mondi che sono sull'orlo del collasso.
Ma agli umani non era mai piaciuto ascoltare, era meglio l'impulsività, portava più spesso alla conquista del potere.
Quella storia era fin troppo vecchia e già troppe volte sentita, quando ci pensava finiva per annoiarsi e per spronarsi allo stesso tempo. Non capiva come fosse in grado di tirar fuori due sentimenti così contrastanti per quella faccenda.
Erano rimasti nei sistemi di confine per quasi tre mesi, solo a vedere la morte.
Non poteva continuare così: la resistenza era in piedi da una cinquantina di anni e il risultato quale era stato? Un sesto della galassia liberato certo, ma non riuscivano a fare di meglio. Lo Stato aveva fonti migliori, energie migliori, più uomini. Era da una decina di anni che si era arrivato ad un simil-compromesso tra le due fazioni: lo Stato avrebbe lasciato perdere i ribelli a patto che questi non intralciassero il loro piano. Ma le richieste di aiuto dai pianeti soggiogati al loro volere arrivavano di continuo. Quella finta pace spesso non bastava e quando finiva, come in quel caso, in combattimenti galattici, ci andavano di mezzo innocenti e floridi pianeti. A volte i ribelli vincevano certo, ma liberare tutta la galassia? Sembrava solo un bel sogno.
Atterrarono nella pista proprio dietro al palazzo militare: era lì che tutte le squadre che appartenevano alla divisione del sistema St-116 alloggiavano. Quasi tutti gli equipaggi erano o di quel sistema o dei due più vicini, Hajime sapeva ad esempio che Kyoutani e Kindaichi venivano dal sistema St-114, mentre Yahaba e Watari erano del pianeta Riot-2, io secondo più grande del loro sistema. Lui, Hanamaki, Matsukawa e Kunimi erano invece nati lì, su Riot-4, gli ultimi due erano proprio della capitale.
In ogni caso, da qualunque pianeta o sistema uno venisse, se faceva parte di un equipaggio si aveva davvero poco tempo libero per tornare a casa, quindi era stato creato il palazzo militare, dove loro vivevano in attesa di partire di nuovo ed immergersi nello spazio.
«Sono arrivati i rapporti dettagliati sul pianeta Primo Sguardo 3» disse Matsukawa, visualizzando l’ologramma delle notizie recenti dal polsino computerizzato.
«Hanno deciso di chiamarlo così, alla fine?» brontolò Hanamaki «potevano inventarsi di meglio» concluse sbadigliando.
«Ci darò un’occhiata appena arrivato in stanza» disse Hajime.
I tre stavano percorrendo il corridoio principale dopo aver fatto rapporto ai piani alti. Avevano appena superato la sala addestramenti quando Matsukawa si bloccò; stava continuando a leggere il rapporto.
«Che succede?» chiese preoccupato Hanamaki, una stilla di ansia intrisa nella sua espressione mentre guardava il co-pilota.
«La bambina» spiegò piano lui «non sono riusciti a salvarla»
Hajime strinse i pugni trattenendo il respiro. La bambina era la più grave dei tre quando si erano lasciati alle spalle il pianeta Primo Sguardo 3, ma sapeva, sperava, che sarebbero riusciti a salvarla.
Forse se fossero arrivati prima, se l’avessero trovata in condizioni migliori…
«Ma gli altri due stanno bene» continuò Matsukawa «la donna è ancora scossa e data l’età ha lasciato l’ospedale solo la scorsa settimana, l’hanno sistemata vicino al centro ricerche, come era prevedibile.»
«E l’altro?» chiese di getto Hajime, alzando lo sguardo.
«Vediamo…» l’altro fece scorrere il dito sull’ologramma «dimesso già da due mesi, è stato al centro ricerche per una settimana intera» spiegò, poi gli scintillarono gli occhi «adesso è qui.»
«Qui?» chiese sorpreso il capitano «davvero?»
Matsukawa indicò solo alle spalle dei due compagni che si girarono all’unisono.
Era cambiato.
Fu la prima cosa che colpì Hajime, aveva trovato un ragazzo dall’espressione vuota e dagli occhi spaventati, una delle tante vittime di quell’inutile guerra; mentre ora aveva davanti un giovane con sguardo fermo e fiero che sventolava una mano sorridendo.
«Ehilà» salutò contento.
Quella fragilità sembrava esser sparita.
«Oh guarda, ti sei ripreso proprio bene.»
«È un piacere rivederti.»
I due piloti lo salutarono altrettanto sorridenti, Hajime invece rimase zitto a fissarlo.
«Iwa-chan, tu non mi saluti?» montò su un’espressione offesa guardandolo a sua volta.
Il capitano fece solo in tempo a sentire i due piloti soffocare le risate, colpa di quel dannato nomignolo, ne era certo, poi li fulminò entrambi. Riuscirono a scappare in tempo solo perché il polsino di Hanamaki iniziò a lampeggiare, la chiamata in corso era da Watari.
«Oh beh mi sa che il propulsore d’emergenza ha deciso di funzionare di nuovo» disse, poi fece segno al compagno.
«È stato un piacere rivederti» disse Matsukawa ad Oikawa «capitano, ti faremo rapporto dopo.»
I due se ne andarono, e il loro dannato sorrisetto irritò Hajime fin troppo.
Fu però costretto a concentrarsi di nuovo sull’alieno che continuava a guardarlo indignato. Non aveva più i suoi abiti tradizionali, era vestito come un qualunque membro di un equipaggio intergalattico, certo dovevano aver modificato la tuta perché riusciva ad intravedere alle sue spalle la coda. Una linea perfettamente verticale divideva le sue sopracciglia sottili, gli occhi scuri enigmatici.
«Quindi stai bene» riuscì a dire Iwaizumi, il silenzio come quello lo metteva a disagio.
Oikawa sorrise divertito «Sei così felice di rivedermi che sei senza parole, Iwa-chan?» chiese divertito.
Hajime gli lanciò un’occhiataccia «Non chiamarmi così, è imbarazzante» borbottò.
«Ma è un soprannome come un altro» replicò lui «puoi darne uno anche a me, se vuoi»
Troppo sicuro di sé, era davvero la stessa persona che aveva salvato tre mesi prima?
Sospirò «Perché questa strana fissa?»
Era davvero tutta lì la conversazione che riusciva a fare con un alieno, a cui indubbiamente aveva pensato molto nell’ultimo periodo? Hajime era una persona pratica, non gli piaceva perdersi in tante parole, da bambino amava sognare, crescendo aveva incominciato a vedere la realtà con occhi concreti. I discorsi futili di sicuro non facevano per lui, ma in quel caso…
Oikawa gli si avvicinò fino a trovarsi di fronte a lui, sempre sorridendo, fin quando si aprì una crepa nel suo volto, Hajime rivide quel ragazzo spaventato e tremendamente umano, durò un istante, poi tornò ad essere l’alieno perfetto, col suo perfetto sorriso, che aveva davanti.
«Dovrei ancora ringraziarti» disse «anche se Mei-chan non…» si fermò soppesando le parole «io e la nonnina siamo salvi, tutto grazie a te e alla tua squadra.»
Iwaizumi abbassò appena lo sguardo «Era la nostra missione» spiegò «ma avremmo dovuto far di più.»
Oikawa sorrise poi inaspettatamente prese una sua mano e la strinse forte tra le sue, per poi portarsela alla fronte e poggiarvela per qualche istante «Grazie» sussurrò di nuovo.
Hajime rimase sorpreso da quel gesto, ma immaginò fosse un’usanza del suo popolo, ringraziare in quel modo.
Si schiarì la voce dopo un attimo di imbarazzo «Quindi che ci fai qui?» chiese.
«Mi hanno detto che posso stare dove voglio» rispose lui «mi hanno visitato molto all’inizio, forse per cercare di capire cosa i nostri corpi hanno di diverso dai vostri. Ora posso far quello che desidero, mi hanno dato una stanza qui, e mi piace guardare i guerrieri che si allenano.»
Hajime non li avrebbe mai definiti guerrieri, ma soldati, ma non indagò meglio sulle parole dell’altro «Stai imparando la nostra lingua?»
Annuì con vigore «Sì ho anche studiato molto, ho scoperto che la lingua che parlavo a casa deriva da un dialetto che usavate voi umani tantissimo tempo fa» spiegò «è stato divertente, e io lo sapevo…»
«Cosa?» chiese Iwaizumi curioso.
Tooru lo guardò divertito, poi senza preavviso gli afferrò un polso e cominciò a trascinarlo «Vieni Iwa-chan, ti faccio vedere.»
Ancora con sto Iwa-chan pensò Iwaizumi quasi infastidito, ma non oppose resistenza e si lasciò trascinare chissà dove.
Non fecero molta strada, oltre la sala di addestramento c’era una porta di metallo trasparente che dava sul giardino interno del palazzo, Oikawa non superò la porta, ma rimase fermo davanti ad essa ed indicò il cielo.
«Da piccolo» iniziò «guardavo sempre il cielo e mi dicevo che doveva esserci qualcun altro… forse l’ho desiderato troppo, per questo il mio popolo» si fermò e Hajime lo rivide di nuovo, nascosto dietro quel sorriso fin troppo sforzato c’era il suo vero sguardo, ancora triste, ancora spaventato «nonostante questo voi mi avete salvato, quindi esistete, avevo ragione.»
Aveva un caro prezzo ammettere quelle parole per lui, Hajime lo poteva immaginare, ma per la prima volta si sentì davvero vicino a quell’alieno. Probabilmente da bambini avevano fissato entrambi il cielo cercando di vedere più in là.
Quella dannata guerra li aveva fatti incontrare, l’universo aveva deciso per far sì che forse, in piccola parte, il sogno di entrambi si avverasse.
Hajime rimase a qualche passo da lui senza dir nulla, indugiò lì a fissare il cielo ancora per un po’.
 

Rimasero nella capitale per qualche settimana, Hajime dovette presentarsi a parecchie riunioni, come il suo rango richiedeva e per un breve periodo l'intero equipaggio si concesse una pausa.
Dal sangue e dalla guerra.
Yahaba sparì trasferendosi al centro ricerche, Oikawa gli disse che voleva soprassedere agli esami effettuati alla nonnina. I tre tiratori si allenarono soprattutto con i cannoni, Kindaichi diceva sempre che una buona mira si manteneva con duro allenamento.
A trattare fin troppo bene la loro nave Ace era rimasto Watari, che l'aveva lucidata da cima a fondo.
Matsukawa e Hanamaki avevano mantenuto il loro solito comportamento da bambini troppo cresciuti, e chissà come mai Oikawa con loro si trovava dannatamente bene. Hajime infatti aveva cominciato a non sopportarli tutti e tre.
In quel momento si trovava nella sala addestramento: uno dei requisiti fondamentali per i soldati, capitano o pilota o quant'altro, era il combattimento corpo a corpo.
Matsukawa parò il suo fendente dall'alto con un movimento più lento, ma efficacie.
Avevano molti tipi di armi, di solito preferivano averne di più modelli, fucili al plasma compresso associati ad armi a corto raggio; era sempre la scelta migliore se ti ritrovavi troppo vicino un nemico.
Erano armi a compressione di materia: venivano tenute legate alla cintura come cilindri non più lunghi di venti centimetri, una volta attivati si espandevano. Erano spesso delle semplici lance a doppia punta, volendo potevano essere coltelli.
Hajime tentò un nuovo affondo, ma questa volta andò a vuoto, il sudore gli imperlava la fronte, era stravolto.
«Sono curioso di vedere chi vomita per primo» disse Hanamaki seduto poco distante dalla pedana fluttuante dove i due si allenavano.
Hajime alzò gli occhi al cielo, ma non replicò anche perché Matsukawa fece scattare la sua arma che si ricompattò «Davvero, ora basta capitano, sono stravolto.»
Anche l'altro lo era, non ebbe nulla da obbiettare, si sedette lasciando penzolare le gambe al di fuori della pedana.
Un robot assistente arrivò in un attimo portando due bottigliette piene di soluzione defaticante, un misto di biomolecole utili dopo intensi sforzi fisici, disciolte in acqua.
«La prossima volta concedi la rivincita a Kyoutani, ha più resistenza di me» si lamentò il pilota sedendosi accanto ad Hanamaki e iniziando a bere grandi sorsate della bevanda.
Hajime ricordò come Kyoutani tentasse qualsiasi sfida fisica per mettersi alla prova contro di lui: combattimento, corsa, persino braccio di ferro. Ma non era riuscito a batterlo neanche una volta, come Yahaba spesso ripeteva.
Sorrise, lo vedeva come un modo sempre nuovo per spronarsi, quell'atteggiamento del ragazzo più giovane, e ricordando come aveva fatto fatica ad ambientarsi e a star dietro ai ritmi dell'equipaggio, non poteva che esserne felice.
Che i piloti avessero paura di lui, ad Hajime non importava.
La porta della sala addestramento si aprì in quel momento, fece il suo ingresso Oikawa.
«Iwa-chan! Makki! Mattsun! Vi state allenando?» esclamò salutandoli.
Questi dannati soprannomi pensò di nuovo Hajime, esasperato.
«Ohi Oikawa, come va?» chiese Hanamaki, solo perché Matsukawa cercava ancora di regolarizzare il respiro.
«Che cattivi, potevate chiamarmi» borbottò l'alieno.
E ovviamente quelle parole fecero scattare i due piloti, che videro davvero vicina, la libertà dalla morsa di Iwaizumi e dai suoi addestramenti massacranti.
Come volevasi dimostrare pensò proprio il capitano quando vide i due dileguarsi con una scusa inventata di sana pianta. Ma non si scoraggiò, aveva ancora abbastanza forze per continuare per un po’, almeno finché non fosse sceso il sole e salite in cielo le due lune.
Oikawa si sedette al bordo della pedana anti-gravitaria a fissarlo con interesse, tanto che dopo due affondi con la lama Hajime si bloccò per prestargli attenzione «Vuoi stare qui a squadrarmi tutto il tempo?» borbottò, lasciando trapelare dal suo tono una punta di imbarazzo.
«Non ti piace essere al centro dell’attenzione, Iwa-chan?» chiese lui divertito dalla sua reazione.
Sbuffò «Odio il pubblico» disse «quindi o ti lasci sfidare oppure ci rivediamo più tardi.»
L’altro era già balzato in piedi, andato a prendere un’arma, facendola scattare, cosicché si espandesse, prendendo la forma di una lancia.
Hajime però guardò il suo entusiasmo con un pizzico di scetticismo «Sei addestrato ad usare armi?» chiese per sincerarsene.
Lui annuì «È praticamente obbligatorio per i Primi» spiegò.
Ma Iwaizumi lo guardò interrogativo, così Tooru dovette spiegarsi meglio «Il popolo vive sotto la protezione della Gemma ed è diviso in più gruppi, in base ai lavori, i Primi sono la classe dei guerrieri che proteggono il popolo e vanno a caccia degli animali più feroci che vivono tra una Gemma e l’altra.»
Una casta militare tradusse nella sua testa Hajime riuscendo ad intendere a cosa l’altro si riferisse «Bene allora non ci andrò piano con te» decretò.
L’alieno rise divertito «Sono proprio curioso di vedere quanto sei bravo Iwa-chan.»
Fu divertente, ma anche educativo, avevano due stili totalmente diversi. Hajime notò che Oikawa tendeva a parare e schivare i suoi colpi, si ritrovò dopo mezz’ora buona con il fiatone, e aveva colpito l’avversario appena due volte. A quel punto fu l’alieno a sopraffarlo e a vincere la sfida.
Ovviamente la cosa lo fece imbestialire, perché alla fine, anche lui era tremendamente competitivo.
«Contro un Eduiari non avresti scampo combattendo così Iwa-chan, devi sfiancarlo a fondo e poi colpire, attaccandolo con quella forza bruta perderesti una gamba e poi lui ti mangerebbe la coda» Oikawa si sedette a terra ridendo, riprendendo fiato; sembrava felice, tranquillo, sembrava che l’orrore fosse sparito dai suoi occhi.
«Primo: cosa sarebbe un Eduiari? Secondo: io non ho una coda. E terzo: la prossima volta penserò io a staccare la tua» ribatté Iwaizumi lanciandogli un’occhiataccia.
«Non sai perdere, Iwa-chan?» ghignò divertito, l’espressione da schiaffi.
«Giuro che ti prendo a calci» sbottò di rimando il ragazzo.
«Che rude!» rise l’alieno, per nulla spaventato dalle sue parole «comunque un Eduiari è una delle bestie che vive nei territori morti tra le gemme, è difficile da cacciare.»
Hajime sospirò e si sedette accanto a lui passandogli una bottiglietta «Bevi, ti farà bene» borbottò.
Almeno questa volta non ebbe da ridire nulla e accettò l’offerta in silenzio.
Spiando la sua espressione Iwaizumi si accorse di una crepa nella sua espressione felice, una crepa nella maschera.
«Non dovrei tirarli fuori questi argomenti, vero?» chiese, quasi a se stesso, poi si girò a guardarlo «non vuoi parlare del tuo pianeta» era un’affermazione.
Il sorriso di Oikawa si distese per un attimo, poi tornò quello, quasi falso, di poco prima «Mi fa piacere raccontarti com’era la mia vita» disse «saresti potuto venire prima, a trovarmi, ti avrei portato per tutto il villaggio, fin sopra la Gemma, anche a lei saresti piaciuto Iwa-chan» disse.
Iwaizumi distolse lo sguardo, improvvisamente imbarazzato. Quel anche, detto con estrema delicatezza, lo rese inquieto «Non avevi amici? Non sembri certo il tipo che preferisce star solo.»
Lui fissò un punto lontano davanti a sé «Mmmh no, non avevo tanti amici» spiegò con leggerezza, come se la cosa non lo toccasse affatto «voi siete davvero simpatici invece.»
Più conosceva l’alieno, più non riusciva a capirlo: quel suo stano carattere aveva mille sfaccettature.
Gli aveva raccontato, in quel viaggio disperato quando si erano conosciuti, che le uniche due persone della sua famiglia erano sua sorella e suo nipote, ma Hajime non aveva chiesto dettagli su di loro, in fondo non erano tra i sopravvissuti, e poteva immaginare tutto senza che l’altro tirasse fuori altri discorsi dolorosi. E di tutti gli altri suoi racconti, spesso legati alla vita di tutti i giorni, che aveva potuto sentire in quelle settimane, in effetti non aveva mai ascoltato nomi diversi da quello del nipote o della sorella.
Era solo.
Lo era in quel momento, lo era stato anche prima che Iwaizumi lo conoscesse, prima che l’umanità devastasse il suo mondo.
Eppure, in quel modo così bizzarro e contorto, per lui era stato facile avvicinarsi ad Oikawa, ci si trovava stranamente bene insieme, nonostante spesso facesse commenti inopportuni o lo prendesse velatamente in giro. Era strano certo, ma a lui non dispiaceva.
«Qui stai conoscendo tantissime persone» disse allora Hajime «e sembra che tu piaccia a tutti.»
«Spero non sia solo perché sono diverso, la novità rara» fece una smorfia sulle ultime parole.
«Hai sentito qualcuno dirlo?» domandò.
Voltò il viso indignato, intenzionato a non rispondere.
Così Hajime si ritrovò a sospirare «Non tutti hanno le stesse idee» disse alla fine «ma se davvero ricerchi dei compagni, amici, perché non chiedi che ti lascino venire sulla mia nave? Il mio equipaggio ne sarebbe felice.»
Oikawa lo guardò con ritrovato interesse «E andremmo ad esplorare e salvare altri pianeti?»
«Beh è più o meno quello che facciamo» spiegò «ci sono spesso anche missioni prettamente commerciali, a volte anche diplomatiche»
«Sarebbe bellissimo» cinguettò lui, di colpo tornato felice, e Iwaizumi ne fu contento, non capiva perché non riuscisse proprio a reggere quel suo sguardo spezzato.
«E tu Iwa-chan?» chiese poi.
«Io cosa?»
«Tu saresti felice se potessi venire con te, sulla tua nave?»
Hajime dovette reprimere un insulto sul nascere, che però poi venne fuori spontaneo quando Oikawa aggiunse, vantandosi in modo spudorato “dopotutto sono famoso adesso”.
«Che cattivo!» accusò l’alieno quando Hajime, con poco tatto gli tirò una gomitata, e continuò a ricevere incessanti lamentele dall’altro per il resto del pomeriggio.
 

 
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Era il migliore.
Tooru cercava in qualche modo, infantile certo, di convincersi che fosse così. Ma era evidente, inconfutabile.
Non era stato il migliore. Forse non lo sarebbe mai stato.
Si era allenato per una vita per poter sostenere al meglio la corsa del Re, la corsa che avrebbe decretato il miglior giovane tra la classe dei Primi, una corsa che poteva costare la vita.
Aveva messo tutto se stesso in quegli allenamenti, ma forse non aveva fatto abbastanza.
Se doveva scontrarsi contro qualcuno privilegiato in partenza, qualcuno che grazie al talento naturale era considerato un genio, era allora che il suo allenamento, il suo mettercela tutta, non valevano più nulla.
Non si vergognava a pensarlo, ma aveva pianto frustato e furioso ogni sua lacrima una volta finito il tutto. Avrebbe dovuto essere grato perché era ancora in vita, come gli precisava ogni volta sua sorella, ma lui non ce la faceva.
Guardava dietro di sé e vedeva solo fallimento, se provava a guardare avanti vedeva solo nero.
Inutile. E a quanto pareva, non abbastanza degno.
Si ritrovava a chiedere alla Gemma cosa avesse sbagliato. Nella notte da solo, ne sfiorava l’arcana pietra, sentendo i segni sul petto scaldarsi e brillare, la domanda incastrata nella gola “Se fossi stato abbastanza?”
 

 
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La decisione, quella di permettere ad Oikawa, di unirsi all’equipaggio di Hajime, non fu accolta con il massimo dell’entusiasmo.
Il giovane capitano in ogni caso riuscì a strappare il consenso alle alte cariche militari, a cui spettava la decisione.
Ma quell’esperimento, come alcuni lo avevano definito, durò poco.
Furono mandati in missione, ci rimasero poco più di quattro mesi. Oikawa non se la cavò affatto male, la tecnologia non era il suo forte certo, per forza di cose, provenendo da un pianeta nettamente più arretrato. Ma si ritrovò interessato agli studi di Yahaba e quando ci fu l’abbordaggio di una nave dello Stato riuscì a combattere con una furia e un’eleganza tremendamente efficaci.
Ritornati alla base, dopo quel lungo periodo, fu richiamato dai piani alti, e Hajime ebbe quasi la certezza che la sua abilità speciale ne fu la causa.
Successe durate l’unico scontro fisico che dovettero combattere: Hajime ricordava bene la scena. Oikawa brandiva la lunga lancia con maestria, facendosi largo tra i nemici, evitando per poco gli spari ogni volta. Poi, fulmineo, un soldato dello Stato fu dietro di lui e Iwaizumi ebbe solo il tempo di avvertirlo urlando.
Oikawa sparì, letteralmente, davanti ai suoi occhi.
Era una dannata abilità mimetica di cui non aveva detto nulla. Riusciva a rendersi completamente invisibile.
«È difficile da padroneggiare, è la prima volta che mi capita consciamente.»
«No, solo alcuni della mia specie ci riuscivano, si tramanda tra le famiglie dei Primi.»
«Ma non è così particolare! Alcuni riescono a svilupparla anche da più piccoli… sai, quelli speciali.»
Aveva sentito astio nella sua voce, in quell’ultima frase, ma aveva deciso di non indagare oltre. Era già abbastanza infuriato perché quell’idiota si era dimenticato si riferire qualcosa di così importante.
Aveva dovuto far rapporto, e i generali ribelli, scoperta questa particolarità avevano deciso, seduta stante, di convocare Oikawa. Hajime non fu per nulla tranquillo della piega che l’intera faccenda stava prendendo.
 

C’erano sempre stati compiti, tra i membri dei ribelli, più pericolosi di altri.
Essere a bordo di una nave spaziale, far parte dell’esercito di per sé, non era qualcosa da poco.
Hajime, sebbene fosse ancora giovane, come il suo equipaggio, ricordava già una decina di occasioni in cui avevano rischiato la vita. Una volta erano stati addirittura agganciati e catturati da una nave nemica, solo l’intervento di altri due incrociatori ribelli li avevano salvati. Hanamaki aveva ricevuto, come ricordo di quella missione, una frattura biossea* della gamba sinistra, a Kunimi avevano dovuto asportare la milza. Per il resto erano stati fin troppo fortunati, e in quel mondo la fortuna girava raramente dalla parte giusta, lui lo sapeva fin troppo bene.
C’era forse una missione che metteva a rischio la vita, molto più di quanto non lo facesse essere semplici militari di stanza su navi spaziali.
«Non sono d’accordo, non lo sono per nulla.»
«Oh andiamo Iwa-chan, hai davvero così poca fiducia in me?»
«Non è affatto una questione di fiducia» Hajime si voltò a guardarlo ripensando che quello era lo stesso posto dove avevano parlato la prima volta, neanche un anno prima, le stesse stelle a farvi da cornice, mentre le loro parole si disperdevano nell’universo «e che è pericoloso.»
Tooru sorrise deliziato, ad Iwaizumi venne voglia di prenderlo a pugni, avrebbe detto qualcosa di infinitamente stupido, ne era certo «Non sono un bambino, ma noto una certa preoccupazione da parte tua?»
Hajime ringhiò, ma non lo ammise.
Oikawa rise cristallino, le antenne sul suo capo vibrarono «Non devi esserlo Iwa-chan, so badare a me stesso» iniziò «e poi se posso aiutarvi in qualche modo, sarò felice di farlo.»
Iwaizumi era sicuro che l’alieno potesse benissimo aiutare la causa dei ribelli rimanendo nel suo equipaggio, aveva le capacità e avrebbe avuto l’addestramento necessario a breve. Rimanendo abbastanza vicino a lui da essere protetto.
Non riusciva ad ammetterlo neanche a se stesso, ma era terrorizzato dall’idea che gli capitasse qualcosa.
«Sei una mia responsabilità» sussurrò piano il capitano, la frase sfuggita dalle labbra prima che potesse fermarla. Ovviamente fu accompagnata da un’espressione sorpresa da parte di Oikawa e dal rossore sul viso di Hajime.
Tooru si sentì scaldare da quelle parole, dette quasi per sbaglio, e sorrise, questa volta davvero, come raramente gli capitava di fare «Non mi succederà nulla Iwa-chan, ti prometto che tornerò senza neanche un graffio» assicurò.
Hajime non si voltò verso di lui, troppo imbarazzato per muovere un singolo muscolo, ma quando sentì la mano dell’altro stringere la sua, non poté che, istintivamente, stringerla a sua volta.
Non parlarono più per tutto il viaggio, una promessa era stata fatta, non serviva altro.
 

Spia nei territori nemici.
Perché i capi della ribellione puntassero sull’abilità di rendersi completamente invisibile, agli occhi umani, di Oikawa, Hajime non lo sapeva.
Lesse un rapporto che spiegava in dettaglio come l’alieno potesse anche eludere i controlli termici, abbassando la sua temperatura corporea a piacimento.
Ma perché spingerlo in territorio ostile? Era tra gli ultimi della sua specie e lo spedivano così vicino al nemico che probabilmente non vedeva l’ora di cancellare la sua razza dall’universo.
Dentro sé sapeva che non aveva pensato all’intera faccenda con pensiero razionale. Si sforzava per riuscirci, ma gli era impossibile.
A poco servirono le rassicurazioni dai membri dell’equipaggio, ci provò anche Kyoutani. Era inquieto, intrattabile, in ansia per quell’essere che ora si trovava chissà dove, a migliaia di anni luce da lui. Poteva essere morto, e quel pensiero lo traeva in fallo a volte nei lunghi giorni che sembravano non passare.
Non capiva. Non capiva cosa gli stava succedendo.
Il tempo passò, la sua ansia si placò quel poco, nonostante rimase nascosta in lui, pronta a fargli visita quando meno se lo aspettava.
Dai rapporti, si diceva che il lavoro di Oikawa fosse eccellente, era riuscito ad infiltrarsi tra le gerarchie di uno dei pianeti contesi, aveva trovato documenti e dati importanti, aveva spedito tutto ai ribelli che erano riusciti a spazzar via un plotone di incrociatori dello Stato, dopo aver scoperto il loro punto debole nel sistema di difesa a scudo riflettente.
Iwaizumi apprendeva con gioia i successi di Oikawa, anche se lui rimaneva in missione. Sperò con tutto se stesso che quello che stava facendo placasse quella sua voglia di sdebitarsi con i ribelli e forse anche un po’ della sua sete di vendetta, che gli aveva confidato, nutriva nei confronti dello Stato.
Hajime non poteva negarlo, lo aveva conosciuto ancora più a fondo in quei mesi passati in missione insieme: Oikawa gli aveva raccontato ancora e ancora del suo pianeta.
Dalla fioritura della Gemma, una volta ogni cinque anni, delle orde di animali selvaggi che si abbattevano sempre con più frequenza nel territorio della foresta sacra, dei Gihonu che combattevano per nidificare tra le fronde più robuste della Gemma, della Festa della Preghiera, che le notti calde riempiva il villaggio di luce azzurra, quella delle venature delle radici di pietra, mista a quella che i loro strani segni sul petto emettevano.
Gli aveva anche raccontato della corsa del Re, a cui lui aveva partecipato e che, per poco, non aveva richiesto la sua vita in cambio. Hajime non chiese altro su quella corsa, Oikawa quando ne raccontava si incupiva e arrabbiava. E Iwaizumi aveva capito che le emozioni più profonde dell’alieno difficilmente venivano a galla da sole. Aveva cercato più volte di arpionarle a forza e portarle in superficie, ma avevano finito per litigare.
Hajime aveva compreso che Oikawa avrebbe continuato a nascondergli la parte più profonda del suo animo, ma lui avrebbe comunque continuato a scavare.
Era innegabile, si erano avvicinati, ma nessuno dei due aveva ancora capito quanto tutto quello fosse davvero pericoloso.
 

Hajime aspettava fuori dal centro medico ormai da due ore. Prima aveva macinato metri su metri, consumandosi gli stivali, davanti all’entrata; quando sfinito si era appoggiato contro il muro nulla era cambiato.
Fremeva di rabbia. Era il sentimento principale che provava al momento, era diventata incontenibile quella rabbia, nonostante sapesse quanto fosse ingiusta.
Erano tornati da un incarico commerciale dal sistema St-97 appena tre giorni prima; non aveva potuto forzare i tempi, il lavoro e la missione veniva prima di tutto.
Appena atterrati su Riot-4 aveva saputo i dettagli, ma si era potuto ritagliare del tempo libero solo dopo tre estenuanti ed eterne riunioni speciali.
Da quando la missione è passata in secondo piano?
Scacciò quella voce dalla sua testa, prima che lo facesse sentire in colpa, la sua mente era già abbastanza incasinata, senza che si mettesse anche il rimorso.
«Capitano Iwaizumi?»
Non si era neanche accorto che un medico si era avvicinato a lui; guardò la donna con sguardo frastornato, annuendo appena.
«Sta bene, la sta aspettando nel giardino sul tetto» spiegò la dottoressa «non ha riportato gravi danni fisici, l’infezione alla gamba era circoscritta nell’area del ginocchio, non ha toccato componenti ossee o articolari, ma credo sia anche merito della sua spiccata capacità di guarigione.»
Hajime la ascoltava senza sentirla davvero, la donna dovette capirlo, perché con un sorriso mesto lo invitò a seguirla fin al giardino pensile.
Era seduto su una delle rocce della cascata, fissava l’acqua scrociare placida; il ragazzo allora lo raggiunse in silenzio in pochi passi.
Oikawa si accorse di lui e lo guardò prima sorpreso, poi un sorriso si fece largo sul suo volto «Iwa-chan!» esclamò «sono felice di rivederti.»
Hajime guardò oltre il suo sorriso e i suoi occhi vigili, si fermò appena sulla sua gamba fasciata e allora non si trattenne, perché il panico e la rabbia erano stati troppi, e lui con quelle emozioni non voleva averci più a che fare, non se lo colpivano così in prima persona.
Con poco garbo lo afferrò per il colletto della giacca che indossava in quel momento, attirandolo a sé, trattenendo a stento il calcio che aveva voglia di rifilargli «Che me ne faccio delle tue inutili promesse eh, Culokawa?» gli ringhiò addosso, senza riuscire a frenare gli insulti.
Oikawa rimase sbalordito di fronte a quell’atteggiamento, gli occhi spalancati lo guardavano confusi, il che fece solo infuriare di più Hajime.
«Questo per te significa tornare senza un graffio?» strinse più forte la presa sul suo colletto.
Inaspettatamente lo sguardo dell’alieno si addolcì, cosa che lasciò Iwaizumi interdetto.
«Iwa-chan, non dirmi che…»
«Sì, razza di coglione, era in pensiero per te, tu non hai idea di quanto lo sia stato» sbraitò ancora Hajime, solo per poi pentirsene neanche un secondo dopo. Come riusciva quell’idiota a fargli tirare fuori pensieri che non avrebbe ammesso neanche sotto tortura?
Oikawa richiuse la bocca che aveva lasciato aperta dalla sorpresa e abbassò lo sguardo, sembrava che quelle parole lo avessero colpito e fatto piombare con i piedi a terra, nella realtà.
«Mi dispiace» sussurrò appena, una mano che si posò sulle dita strette di Hajime sui suoi vestiti «avrei preferito non farmi male, credimi, mi sono lasciato prendere la mano, ho cercato di strafare e questo è il risultato» ammise, forse più a se stesso che all’altro.
Iwaizumi lasciò lentamente la presa sul colletto dell’altro, facendo un mezzo passo indietro, riacquistando una debita distanza, perché improvvisamente l’aria sembrava essersi rarefatta. Abbastanza lontano da lui riuscì a respirare di nuovo, senza smettere di fissarlo «Non osare farlo mai più, hai capito?» ordinò Hajime, lo sguardo basso.
«Non voglio che Iwa-chan si tormenti per me ancora» spiegò Oikawa «potresti smettere di preoccuparti?»
Non ci riesco!
Hajime alzò lo sguardo, l’ira che montava di nuovo, ma Oikawa non lo guardava, i suoi occhi fuggivano, i suoi occhi erano tornati improvvisamente fragili.
«No» rispose solo l’umano, non riusciva ad aggiungere altro.
Tooru riportò lo sguardo su di lui e traballante ricolmò il passo che prima li aveva divisi: poggiò le mani sul collo di Iwaizumi e avvicinò le loro fronti fino a farle sfiorare.
Hajime sentì il panico salire dentro sé con un’impennata che gli fece pulsare dolorosamente la testa; in qualsiasi altro frangente avrebbe allontanato qualcuno che gli si avvicinava in quel modo bruscamente, ma era paralizzato. Il battito del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie.
«Non ne vale la pena» sussurrò Oikawa, aveva gli occhi chiusi «ero ad un passo dalle informazioni a cui davo la caccia da quasi due mesi, ci ero così vicino eppure… a quanto pare neanche questa volta sono stato il migliore, succede sempre così, non sono mai abbastanza. Quindi Iwa-chan non devi preoccuparti per me, io non ne valgo la pena»
Probabilmente avrebbe aggiunto altro, forse un’altra ammissione di una colpa che non aveva, un’altra insicurezza scappata via per sbaglio, un’altra crepa. La maschera era praticamente infranta, Iwaizumi riusciva a vedere sotto cos’era Oikawa, cos’era oltre ai sorrisi finti o sfrontati, oltre la sicurezza e la curiosità.
Era spezzato. Era esattamente come la sua maschera, in frantumi.
Hajime aveva cercato in tutti i modi di ricomporlo, lo aveva sempre intravisto e sempre, inconsciamente, aveva cercato di arginare la sua rottura. Ma quella era già avvenuta, lui l’aveva solo nascosta.
Non si pentì di aver bloccato quel flusso di parole false, anche se terribilmente convinte. Aveva colmato lo spazio tra di loro attirando Oikawa a sé in un bacio.
A guardarlo da fuori, quando ci avrebbe ripensato a mente lucida, aveva capito quanto quel gesto fosse sbagliato. Anche se in quel momento gli sembrò la cosa migliore e più giusta, che avesse fatto nella sua vita.
 

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 

Fuoco dal cielo.
Bruciava tutto, bruciava ovunque, bruciava le persone.
Era a caccia qualche ora prima, anche se le prede sembravano essersi volatilizzate nel folto della foresta rossa. L’alta erbaluce, che brillava di arancione puro, era continuamente sferzata da vento forte.
Qualche giorno prima tutto il villaggio si era accorto che doveva esser successo qualcosa alla citta sotto la Gemma vicina, era stata quella nube grigia, come una cicatrice sul volto del cielo, a rendere inquieti gli animali, a rendere inquieti loro.
Aveva corso.
Era tornato nel villaggio solo per vederlo bruciare.
Degli esseri con vestiti blu e con la testa a forma di sfera trasparente sputavano fuoco dalle mani.
Ecco i tuoi alieni, Tooru.
La testa esplose in un mare di scintille, non riusciva a far nulla che non fosse stringere i pugni e fissare quelle scene.
Uno degli esseri si avvicinò a lui, tirò fuori una specie di cilindro nero con un manico, fu l’istinto a salvarlo, ad urlargli di lanciarsi di lato, ad evitare quel proiettile luccicante.
L’essere gli fu addosso, brandiva una lunga lancia.
Non ebbe tempo di pensare, il suo corpo si mosse per lui, evitando il primo fendente riuscì a colpirlo sul petto, aprendovi uno squarcio, da cui iniziò a fuoriuscirne un sangue fin troppo liquido e rosso. L’essere stramazzò a terra in un lungo lamento, poi non si alzò più.
Gli veniva da vomitare.
Lo stimolo fu più forte degli altri quando iniziò a vedere i primi cadaveri carbonizzati.
Poi fu di nuovo l’istinto a svegliarlo, vide davanti agli occhi chiusi il volto di sua sorella e quello di Takeru. Fece uno scatto avanti, iniziando a correre. 
Li avrebbe trovati, li avrebbe salvati.
Un forte gemito si sparse nell’aria. La Gemma aveva iniziato a piangere.










*Per frattura biossea si intende una frattura doppia a tibia e perone, ossa presenti nella gamba.















Angolino

Sono tornata e proprio nel weekend come previsto :D
Faccio partire qualche precisazione qui sotto, non avevo voglia di riempire di asterischi il capitolo, andava bene giusto vicino al termine più o meno medico, dato che non è intuibile se non si conosce la materia ^//^"
Il capitolo è diviso e vediamo per la prima volta il pov di Tooru, e il suo pov ho sempre cercato di evitarlo nelle storie perché ho paura di non riuscire a renderlo bene ;_; ma per questo lascio i commenti a voi!
I nomi degli animali alieni sono inventati di sana pianta, com'era prevedibile.
La sorella di Tooru non avrà mai nome, anche perché non si sa ancora se in effetti lui abbia una sorella o un fratello più grande.

Ok precisazioni finite spero, nel dubbio se mi fossi dimenticata qualcosa, mi rifarò nelle note dell'ultimo capitolo, che spoiler ahahah arriverò il prossimo weekend 'w'
E per finire un ringraziemento speciale ha chi ha messo la storia tra le preferite e seguite, e a chi mi ha fatto sapere cosa ne pensa :3 mi avete resa felice felice ;_;
Quindi ancora grazie per aver letto la storia e lo sclero il commento qui a fondo, ci vediamo al prossimo aggiornameto!
Alla prossima c:
   
 
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