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Autore: Dandelionx    08/05/2016    1 recensioni
È la storia di Sarah Davies che, una notte d’inverno, rischia di cadere giù da un tetto. È la storia di Nathan Price che, sempre quella notte, salva la pelle di Sarah per un caso fortuito del destino. È la storia di chi, come loro, ha ancora gli occhi troppo chiusi per rendersi conto della realtà.
È una storia d’amore, questa. Non una storia qualunque. Il cliché si mescola alla sorpresa: prima dell’amore, ci sono amicizie, alleanze, fidanzamenti mal riusciti, odio mal celato e sicuramente tanti guai e fraintendimenti.
È una storia qualunque, partorita da una mente qualunque, che narra di personaggi qualunque; troppo stupidi, troppo sciocchi, troppo amanti o poco vivi. Sarà il lettore a decretarlo...
Dunque, lettore, accetti la sfida?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Troublemaker 2
Troublemaker
*

«Esse, andiamo, me lo avevi promesso!», esclama la mia amica uscendo con fare concitato dal camerino, un vestito piegato sul braccio e l’altro messo al contrario sul suo corpo.
«Val, sei cosciente di esserti infilata quel pezzo di stoffa alla rovescia? E poi, perdonami ma cosa dovrei venire a fare a questa festa? Sono o non sono una completa estranea per Wesley Cooper? Sei tu quella che è stata invitata!», ribatto serafica spulciando altri capi con aria distratta. Sinceramente, anche se è venerdì sera, sono nel pieno della mia adolescenza e tutti i miei amici si vanno a sbronzare e a godersi la vita, io preferisco rimanere a casa, sotto un corposo strato di coperte, con una ciotola di pop corn e un film strappalacrime, possibilmente con Ryan Gosling e più precisamente “The Notebook”.
Valerie ruota su se stessa dopo aver dato un’occhiata al disastro combinato e si rintana nel camerino; ciononostante non perde occasione di rimbeccarmi anche stavolta e anche a distanza.
«Penso che a Wes possa fare solo piacere se invito qualcuno... se poi questo qualcuno ha due gambe mozzafiato, due tette ed una figa credo non possa proprio disdegnare».
Scuoto la testa divertita perché so che Val non mollerà tanto facilmente.
«Senti, sono i suoi diciotto anni. Io credo invece abbia invitato una ristretta cerchia di amici per l’occasione. E la sua fidanzata, naturalmente».
Wesley Cooper e Marissa Prior sono praticamente la coppia dell’anno, del mondo e soprattutto di New York. La mia amica, la quale stravede da tempo immemore per il suo migliore amico, tale Wes, appunto, non perde occasione di partecipare alle sue feste stratosferiche nella speranza che lui si accorga finalmente di lei. Quanto a me invece sono solo un tramite, una spalla – per così dire. So bene che a questo genere di feste rimarrei da sola, contrariamente a quanto afferma Valerie per convincermi ad andarvi e voglio proprio evitare spiacevoli situazioni.
«La sua fidanzata? Pff, quella Barbie umana non è altro che la sua conquista di facciata. Io, per esempio, sarei un buon partito. Non credi?», mi domanda retorica comparendo nella mia visuale provandosi un nuovo vestito semplicemente appoggiandolo addosso.
«Meglio quello rosso o quello blu?», mi interroga e so quanto poco importante sia il mio giudizio per lei. Non è che Valerie sia proprio l’umiltà fatta persona, tutt’altro... è infinitamente superficiale, con una lingua biforcuta, ferma alle apparenze ma con innato senso dell’umorismo. Quantomeno è simpatica ed una buona confidente e poi sa come farsi volere bene anche se la maggior parte delle volte andrebbe strangolata.
«Io direi il primo che hai provato. Più sobrio, molto elegante ma pur sempre sexy», propongo e la vedo inorridire immediatamente.
«Non cerco qualcosa di sobrio, Sarah. Cerco qualcosa di provocante, tremendamente scollato, rosso passione e soprattutto che metta a tappeto il festeggiato. Capisci che intendo?», replica scoccandomi un bacio volante e strizzandomi l’occhio ed io non posso fare a meno di sorridere.
«Ricevuto. Dunque... direi che hai scelto, no?».
«Vedi che sei perspicace quando vuoi?» – emette un gridolino eccitato e poi ammicca facendo una giravolta su se stessa.
«Mi costerà un occhio della testa. Adoro prosciugare i migliaia di dollari dal conto bancario del nuovo marito di mamma», mi confida sorniona.
Mi acciglio. «Val, non mi sembra molto etico da parte tua».
Si stringe nelle spalle con noncuranza. «E chi ha detto che abbia un’etica? E poi... ha talmente tanti soldi da non saper dove conservarli, quindi, tanto vale spenderli in cose utili».
Inarco un cipiglio scettico, indicando l’oggetto della discussione. «Quel vestito sarebbe una cosa utile?»
«Se può aiutarmi a far breccia nel cuore di Wes, sì».
È mortalmente seria. E chi sono io per contraddire la forza dell’amore? Per carità, continuo a pensare sia una follia più che forza d’amore ma... meglio non fare la pignola con lei.
Dopo aver pagato il vestito e successivamente delle costosissime scarpe Manolo ultimo modello, con l’aggiunta di un gioiello Tiffany coordinato, decidiamo di fermarci al bistrot del ristorante per mettere qualcosa sotto ai denti anche se questa è solo una mia idea. Ci sediamo all’unico tavolo libero e un ragazzo con un grembiule legato in vita, una penna in equilibrio dietro l’orecchio ed un blocchetto in mano si avvicina per consegnarci i menù. Rifiuto con un gesto della mano ed un sorriso cordiale perché ho già le idee chiare su ciò che voglio prendere mentre la mia amica si arrotola una ciocca di capelli al dito palesemente annoiata; gesto accentuato da una smorfia che le storce le labbra.
Ordino un frappè cioccolato e menta ed una fetta di torta al cocco e dopo averlo annotato sposta l’attenzione su Valerie che non sembra per niente decisa.
«Tutti questi carboidrati mi faranno ingrassare talmente tanto da non entrare in quel vestito, Esse. Perché non siamo andate da Vikie’s? Lì hanno tutti prodotti a basso contenuto di grassi!»
Il suo tono è prettamente da bambina capricciosa e viziata qual è. Mi sento quasi in imbarazzo per lei; in fondo il ragazzo ha da fare ben altro che ascoltare le sue lamentele. Non siamo a Princeton Manor dove tutto le è dovuto. Questa è la vita reale, fatta di sacrifici e, in questo caso, anche di carboidrati a colazione.
Mi volto verso il cameriere e faccio un sorrisino imbarazzato. «Prende solo una bottiglietta d’acqua, grazie e... scusala, non lo fa di proposito».
Questi dapprima inarca le sopracciglia scettico poi ricambia cordialmente il mio sorriso, quindi se ne va.
«Ma che fai? Ti metti a flirtare con i camerieri adesso? Ridicolo», osserva Valerie con occhio critico e se potessi la prenderei a schiaffi in questo momento.
«Val, è semplicemente il suo lavoro e tu sei stata scortese. Ammettilo senza tante storie perché non mi scuserò per te un’altra volta!», la riprendo alzando di poco la voce nel tentativo di farla ragionare. Non può sempre fare così.
«Scusa? Ma chi te lo ha chiesto...»
Decido di troncare lì la discussione altrimenti dirò cose di cui, con più lucidità, mi pentirei.
«E comunque, tornando al fattore festa, tu verrai che ti piaccia o no, perché siamo amiche ed è questo quello che fanno le amiche: si sostengono a vicenda». Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.
«Ed io ti ribadisco che non verrò a quello stupido party, non vedrò un goccio di alcol e in più noleggerò un film come la peggiore delle nerd e tu non potrai fare nulla per farmi cambiare idea. Sostenere? Amicizia? Ma ti ascolti? So già come finirà questa storia. Tu che ti strusci su qualche ragazzo a caso ed io che devo annoiarmi su un divano come una sfigata. No, grazie, stavolta passo». Il mio tono è perentorio e mi sento piuttosto agitata tanto che per poco, gesticolando, non faccio rovesciare il contenuto del vassoio al malcapitato di prima. Lo guardo mortificata ma lui non se la prende affatto, anzi mi guarda comprensivo... come se capisse con chi ho a che fare.
«E allora? È questo che si fa solitamente alle feste: si flirta, si attacca bottone e ci si bacia. Dovresti provarlo anche tu, Sarah, qualche volta. Non vorrai farmi credere che sei così frigida come ti dipingono in giro», mi canzona ma so che vuole farlo per provocarmi e farmi abboccare alla sua insistente proposta.
«Be’, sarò anche frigida ma almeno ho un cervello cosa che manca a loro sicuramente. Andiamo, non esagerare, so divertirmi anche io», rispondo un po’ punta sul vivo.
«Certo. Guardando film e mangiando pop corn fino ad ingrassare come una chiattona? Immagino che bel divertimento!»
A volte me lo chiedo, sapete; il perché io sia ancora qui in sua compagnia, nonostante Valerie sia una persona complicata da capire e soprattutto da sopportare. Forse perché nonostante il suo brutto carattere le voglio bene e non vorrei mai perderla perché so che, in fondo, me ne vuole anche lei sebbene faccia fatica  a dimostrarlo. E inoltre so che da sola non varrebbe niente, cadrebbe nel profondo baratro da cui è riuscita ad uscire conoscendomi e non voglio che le capiti nulla di male. Adesso sta decisamente meglio e son contenta di sapere che è stato anche grazie a me.
Le sorrido bonaria. In questi casi mi sento un po’ la saggia tra le due; lei è la bambina capricciosa.
«Dovresti provare qualche volta, sai?». È il mio turno di canzonarla usando la sua stessa moneta e vedo affiorare un sorriso sul suo volto cosa che mi fa preoccupare alquanto. È come se avesse avuto un’illuminazione vale a dira nulla di buono, pessima idea.
«Okay, Esse, facciamo un patto; tu verrai alla festa insieme a me, ti lascerai andare per una sera e intendo che ballerai, ti ubriacherai se necessario e scoperai con qualcuno di molto figo ed io, in cambio, ti lascerò trasformarmi in una nerd, con tanto di film e pop corn. Che ne dici, si può fare?», conclude speranzosa allungandomi una mano che presumo dovrei stringere anche se so  che questo è solo un patto con il diavolo. Alla fine decido di prenderla come una sfida e aggiungo una piccola clausola, dopo aver stretto la presa.
«Ci sto! Solo che non toccherò un solo drink, non la darò via al primo che capita e quando mi sarò stancata ti farai trovare e ce ne andremo. Siamo intesi?»
La vedo sorridere vittoriosa. «D’accordo. È un piacere fare affari con te, amica mia», mormora alla fine ed io, per l’ennesima volta, scuoto la testa affranta rimurginando su cosa ho appena accettato: la mia condanna a morte.
* * *

Come non detto.
Maledetta me. Maledette le sue parole persuasive. Maledetta di nuovo me e quando ho acconsentito a questa follia. Rimpiango la mia perfetta e sobria serata da quando mi sono infilata in questo vestito che almeno non è scollato come quello della maggior parte delle ragazze qui dentro e che ho messo solo dopo aver ricattato Valerie di tirarmi indietro qualora non me lo avesse lasciato indossare.
Come da programma quest’ultima mi ha lasciata da sola subito dopo avermi accompagnata al bancone delle bevande, bevande che nella mia clausola erano bandite. Così, raggiunta da Emery Jefferson, si son allontanate e adesso sono da qualche parte di questa immensa casa probabilmente a sballarsi e tracannare birra a tutta spiano. Quanto a me sono seduta su questo sgabello in cucina con l’aria prettamente annoiata appoggiata ad una mano.
Per ora ho contato ben sedici persone che mi hanno chiesto dove fosse il bagno e che poi si sono ritrovate a vomitare chi nel lavandino, chi nel secchio della spazzatura, chi per terra e impregnata l’aria di un odore acre sono tornati a fare baldoria nel salotto dove dovrei essere al momento invece di inalare quest’aria putrida e morire di noia. Valerie me la pagherà, può starne certa.
Decido che è arrivato il momento di uscire da questa camera a gas e prendere una boccata d’ossigeno. Anche se non conosco nemmeno un antro di questa casa prendo le scale sulle quali scorgo diverse coppiette che si baciano piuttosto appasionatamente. Perché non prendersi una stanza, poi, se hanno così tanta voglia di procreare?
Chiedo più volte permesso sebbene non sia mia intenzione interrompere niente di così personale; tuttavia hanno deciso loro di ostruire il passaggio.
Appena arrivata in cima trovo una bottiglia mezza vuota di rum e, senza farmi notare, la afferro come alibi per andare sul tetto sperando che ci sia facile accesso.
Passando da queste innumerevoli stanze noto dal momento che hanno ben pensato di lasciare la porta spalancata, probabilmente nella fretta di catapultarsi sul letto, che qualcuno ci sta dando dentro alla grande. Beati loro.
Più avanti, a ridosso della ringhiera vedo il festeggiato palpare una ragazza che però non sembra essere Marissa. Sgrano occhi e bocca quando riconosco i riccioli castani di Valerie e senza volerlo davvero, quasi per riflesso, impreco più volte. Stupidi, stupidi, stupidissimi! E se fosse passata Marissa al mio posto? Non oso immaginare cos’avrebbe fatto passare alla mia amica in quel caso dato che se la sta facendo con il suo adorato ragazzo storico. Provo un po’ pena per lei. In fondo sembra tenerci visibilmente a lui e non è colpa sua se si è innamorata proprio di uno stronzo senza cuore che la tradisce con la prima che capita.
«Valerie, ma che diavolo?! Razza di incosciente... vi costava tanto chiudervi in bagno? Se fossi stata Marissa a quest’ora vi avrebbe uccisi entrambi a mani nude e sappiamo tutti di cosa è capace la Prior». Sto blaterando senza sosta, ne sono consapevole, ma mi fa incazzare il fatto che siano stati così imprudenti.
«Oh mio Dio! Esse!», esclama con l’affanno e sinceramente spaventata, staccandosi dalla morsa del traditore. Si sistema alla ben e meglio il vestito senza spalline che, non ci sono dubbi, si è rivelato davvero utile alla fine.
«Esse? La conosci? Non farà la spia, vero?», chiede a raffica quell’idiota perforando con lo sguardo spiritato ora la mia amica ora me. Valerie sospira stancamente.
«Sì, certo che la conosco. È la mia migliore amica e ovviamente non farà la spia, che credi? Di grazia, vorrei sapere perché ci ha interrotti, piuttosto».
Incrocia le braccia al petto e mi fissa con gli occhi tristi. Le ho rovinato il momento, ne ha tutto il diritto.
«Perché...»
«Wes! Wes, ma dove sei? Ti cercano tutti. È ora della torta!»
Giuro che non sono stata io a parlare bensì Marissa. Lancio loro un’occhiata eloquente come a far capire che era proprio quello il motivo della mia interruzione. Wesley sgrana gli occhi, come colto sul fatto e spinge Valerie verso di me come se fosse qualcosa che scotta. Ignora la reazione angosciosa della mia amica e si appresta a raggiungere la fidanzata.
Dopo di ciò anche Valerie se ne va senza lasciarmi il tempo di replicare ed io resto da sola. Di nuovo. Sbuffo per l’ennesima volta nella serata e raggiungo la mia meta senza ulteriori intoppi.
Appena metto il naso fuori l’aria gelida invernale mi investe come una pioggia fredda, mi inebria i polmoni spazzando via tutto il lercio inalato poco prima.
Mi tiro su del tutto attraverso la scaletta e poi vado a sedermi sulle tegole. La vista senz’altro è mozzafiato, degna di una villa firmata Cooper. Suo padre, infatti, è proprietario di numerose industrie che lo hanno reso noto a livello nazionale e si sa che con la fama ci si arricchisce parecchio.
Lancio un’occhiata alla mia unica amica rimasta, ovvero la bottiglia con il beccuccio scheggiato e sospiro. Non era così che avevo immaginato il mio weekend.
Tra l’altro mi prenderò un malanno di sicuro visto che ho le braccia scoperte e sono vestita di un indumento velato e quindi leggero.
Mentre pondero se trangugiare il contenuto alcolico o guardare giù e farmi venire l’adrenalina o peggio le vertigini in un attimo di masochismo e follia, sento un movimento dietro di me che per poco non mi fa capitombolare giù per lo spavento.
«Porca puttana, Alice, lasciami! Tra di noi è finita, vuoi mettertelo in testa una buona volta?!»
«Ti prego, lasciami spiegare. È stato lui a baciarmi, Nate! Non ti avrei mai tradito e lo sai. Sai quanto io ti ami», risponde quella che presumo essere Alice con uno pseudo dispiacere nella voce. Sta di fatto che un tradimento, seppur involontario, non è giustificabile poiché anche se indirettamente lei sembra esserci stata al bacio o qualsiasi cosa sia successa.
«Non me ne frega un cazzo se ti scopi il mio migliore amico! Scopati chi vuoi perché la nostra storia è giunta al termine. Va’.via!»
Devo ammettere che il tono adoperato mi spaventa un po’. È deciso, roco, nervoso ma con una lieve vena... triste. La stessa utilizzata da Valerie, per intenderci.
Se continuo a cercare di nascondermi va a finire che cado di qui e parliamo pur sempre di una bella altezza. Non credo sia stata poi una buona idea farmi venire le vertigini. Deglutisco a vuoto mentre ancoro saldamente le mani alle tegole, cercando al contempo di seguire la scena. Certo che sono proprio invadente, eh...
«Non finisce qui, Nate, sappilo!»
E dopo questa velata minaccia capisco che se n’è andata dal tonfo della botola ed io mi sporgo per vedere se lui sia ancora lì; lo scorgo passarsi le mani sul volto e sospirare stancamente. Ha un’aria così afflitta. Nel muovermi perdo momentaneamente l’equilibrio di una mano e cerco di nuovo l’appoggio ma mi graffio con qualcosa di molto affilato, probabilmente un chiodo esposto, nell’impresa.
«Ah! Cazzo che male», impreco ad alta voce. Di norma non sono volgare ma ho il timore di prendere qualche malattia da tetano per via della ruggine ed è per questo che inizio ad agitarmi.
«Ehi, c’è qualcuno lì?», chiede il ragazzo, la voce spezzata per il freddo e dei piccoli sbuffi di aria che fuoriescono dalle sue labbra.
«Uhm, no?», balbetto in risposta abbastanza indecisa.
L’attimo seguente mi accorgo che avrei fatto meglio a tacere perché in questo modo sarò sembrata sicuramente una perfetta stupida. Sento i suoi passi avvicinarsi ed è in quel momento che sbianco visibilmente. E non credo sia colpa del freddo.
Merda. Merdissima. Merda. E ora? Posso dire addio alla conquistata pace.
Per errore, presa dal panico mi sfugge dalle mani la bottiglia che precipita nel vuoto fino a schiantarsi al suolo facendomi strizzare gli occhi e urlare di panico. Che cazzo, avrei potuto uccidere qualcuno. Provo ad accertarmi che non ci siano vittime e poi sussulto per la sorpresa di ritrovarmi faccia a faccia con il tipo misterioso che nel frattempo mi ha raggiunta lì su.
Mi trattengo dall’emettere un altro urlo perché risulterei una pazza psicopatica.
«Stai bene? Ho sentito un tale frastuono», si accerta prendendomi di scatto la mano e dal tono sembra sinceramente preoccupato.
Uh. Sì. Bene. Certo. Come no. Benissimo. Mi volto guardando prima la sua mano che stringe la mia e poi lui allorché sbianco, riconoscendolo. Non posso credere di non essere riuscita subito ad assemblare la voce alla sua faccia di cazzo. Assurdo ritrovarsi proprio di fronte a lui, tra tutti i ragazzi presenti a questo compleanno. Se avessi saputo che salendo quassù avrei trovato la compagnia, in questo deprimente già di suo venerdì sera, di Nathan Price mi sarei buttata volontariamente da questo cornicione con la mia fidata bottiglia che ora rade infelice al suolo. Ora come ora ne sento un’innaturale bisogno; di sbronzarmi fino a perdere la ragione, intendo, tanto da riuscire a stare con lui senza ricorrere agli istinti omicidi.
Reprimo la mano con studiata velocità  e alzo gli occhi al cielo.
«Ma che cazzo di scherzo del destino è? Con tutti i bellocci di questa scuola, amici di quell’idiota patentato di Cooper, per altro, io proprio con il suo braccio fidato dovevo ritrovarmi faccia a faccia? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Cosa?!», sbraito animandomi come una sfilza di lampadine a Natale, quelle del Rockefeller Center, per rendere meglio l’idea.
«Che cazzo! Non ci credo... sei tu la donzella in pericolo? Ed io che credevo che fosse almeno qualcuna meno frigida di te. Stavo già pregustando la conqu...»
Lo stronco sul nascere perché dirà sicuramente qualcosa di volgare e/o malizioso.
«Prego? Ma ti senti? Hai appena mollato la tua ragazza e già parti alla carica? Sei proprio degno di Cooper. Già che ci siete, perché non vi sposate, mh?»
«Woah, woah, sta’ calma Miss Mi Rode Sempre il Culo, cos’hai contro Wes stasera? Se non erro sei alla sua festa», mi fa notare risultando ovvio. No, pensavo di aver sbagliato casa... ma dai!
«Già, non ricordarmelo, brutto idiota. È colpa di...»
«...fammi indovinare, Valerie?», propone interrompendomi, un dito sulle labbra con aria pensierosa.
Annuisco stremata. Dovevo anche ritrovarmi con lui per litigare, come se questa serata non facesse schifo già da sé.
«Perché non ti sei opposta allora dato che sembri odiare chiunque presente a questa festa? Tu sei sempre stata una persona schietta e senza peli sulla lingua, sincera – forse fin troppo – e con una lingua biforcuta e dalla testardia immane. Dunque, come ha fatto Val a convincerti? Chiedo solo perché in tal modo userò il suo metodo la prossima volta che ti vorrò proporre un’avance», ammica con un tono allusivo e la solita faccia da schiaffi, con quel solito sorrisetto antipatico.
Mi stringo nelle spalle decidendo di ignorarlo. Forse, così, capirà l’antifona e se ne andrà.
«Oh, andiamo... non metterai il muso proprio ora. Stavo iniziando a divertirmi, piccola», mi canzona dandomi un buffetto sulla guancia che io prontamente allontano da lui. Nego a me stessa che il suo tocco mi abbia fatto rabbrividire. In fondo fa freddo, è comprensibile.
«Senti, Nathan, io... sono davvero stanca stasera che non ho voglia neanche di guardarti quindi ti pregherei di andartene subito. È chiedere troppo un po’ di privacy, di... solitudine? Tanto lo sono sempre, no? Sarah è un’asociale, frigida e da sempre e per sempre sfigata. Lo pensi anche tu, giusto? Be’, sinceramente avrei preferito che qualcuno di voi fosse venuto a dirmelo in faccia senza doverlo sapere da lei. Valerie, capisci? Che praticamente è della stessa stupida opinione quindi... okay, va’ via. Tu hai cacciato la tua ex ragazza ed io lo sto facendo con te adesso.
Perché diavolo sei ancora qui?!», sbotto tutto d’un fiato e quando termino ho il fiatone, la gola infiammata e la voce roca per il freddo. Sto tremando, non so neanche io il maledetto perché.
Dopo qualche secondo Nathan scoppia a ridere di cuore. È una risata diversa, oltre che di gola. Non la solita risata di scherno con cui mi prende sempre per i fondelli tra i corridoi scolastici, no. È una risata divertita. Nathan Price sa anche divertirsi in presenza della sottoscritta? Wow, a saperlo prima, mi sarei data al cabaret.
«Hai finito?», borbotto offesa dandogli un pugno sul braccio. Chi si crede di essere, poi? Nathan ed io non siamo mai – e ripeto, mai – andati d’accordo, neanche all’asilo o alle elementari, men che meno alle medie e alle superiori il rapporto si è evoluto in qualcosa di più che semplice disaccordo. Sembra che tra noi ci sia il sottile filo di una particolare ttrazione... quella del voler prendersi ad insulti costantemente. Una cosa reciproca che sembra farci stare bene dopo un po’. Ci diciamo la verità in questo modo. Ognuno è sincero con l’altro grazie ai battibecchi continui che molte volte hanno infastidito Cooper e la mia amica i quali alla nostra prima frecciatina decidono di cambiare strada. Il nostro è un rapporto cangiante, non resta mai lo stesso troppo a lungo; un attimo prima possiamo ammazzarci a parole e l’attimo dopo ridere del nostro comportamento. Sembra una cosa assurda - e in effetti lo è - ma è l’unico modo che abbiamo e che conosciamo per interagire senza ucciderci sul serio.
C’è solo una piccola cosa che stona in questa faccenda: Nathan crede da sempre che io lo odi semplicemente perché ho voluto lasciarglielo credere. Mi son detta che così sarebbe stato più facile non far riaffiorare i sintomi di una cotta scoppiata al secondo anno delle medie e soffocata nuovamente l’anno successivo.
«Sc-scusa», dice ancora tra le risate, alzando le braccia in segno di resa. Sembra proprio che non abbia intenzione di smettere o andarsene come io gli ho chiesto e questo mi fa innervosire perché pare che io parli sempre a vuoto con lui.
«Basta, Price. Uff, va’ via!», esclamo arrivata ormai all’esasperazione spingendolo all’indietro ma come da copione non si muove di un millimetro, causa la sua stazza lungi parecchio dalla mia.
«Nah, non mi sembri nelle condizioni di restare da sola. Sei esausta, mi dicono quelle borse sotto gli occhi - terribili, piccola mia, terribili - anche un po’ insicura di te stessa stasera - ehi, ma che ti è successo, a proposito? - e molto, molto violenta - mi sta confermando il tuo carattere più ritroso e scontroso del solito», asserisce incrociando le braccia al petto e sorridendo di gusto alla vista del mio broncio; il suo sorriso ha provocato la nascita di un’adorabile fossetta. No, né adorabile, né fossetta, Sarah. Riprenditi, per piacere!
«E sentiamo, hai preso una laurea in psicanalisi ed io non ne sapevo nulla? Caspita, devo aver anche rimosso quando mai ti ho chiesto un consulto», replico platealmente spalancando gli occhi. È veramente insopportabile quando si mette. Tremendamente insopportabile. Come un bambino, ecco. Nathan Price è un bambino piccolo e viziato. Che andrebbe preso a schiaffi continuamente.
«Oh, non ti è arrivata la notizia della mia nuova ambizione? Che peccato scoprirlo così, eh... e comunque, è stato quel faccino triste a richiedere un piccolo parere», continua con un’espressione eloquente, toccandomi la guancia con un dito. Non ce la fa proprio a non toccarmi, eh? Comincio a pensare che sia un vizio questa cosa del contatto fisico.
Sapete cosa non sopporto, tra le altre cose, di lui? Il suo sapermi sempre tenere testa. Lo odio. Odio il fatto che abbia una risposta per tutto e per tutti, che non ci sia niente - ma proprio niente - che lo scalfisca e che abbia una faccia di bronzo ed un’innaturale bellezza da dio greco. Poteva nascere brutto, almeno.
Prendo un respiro profondo e decido, contrariamente a quanto dice la mia coscienza, la mia testa e tutto l’apparato ancora pregno di un barlume di ragione, di aprirmi con lui, di mostrargli un po’ della mia vulnerabilità.
«Price, mi chiedevo...- prendo a giocare con il mio braccialetto senza riuscire a guardarlo negli occhi - secondo te sono una persona troppo buona? Intendo... faccio bene a stare dietro a Valerie nonostante sia una completa stronza? Dovrei abbandonarla una volta per tutte anche se questo significherebbe perderla per sempre?»
Aspetto una sua risposta. Lui tace. Ed è la prima volta che lo trovo in difficoltà. Prima mi guarda con una faccia buffa che in altre circostanze mi avrebbe fatto ridere ma stavolta resto seria. Non so come comportarmi, come agire, come andare avanti con il discorso senza morire dell’imbarazzo che si è venuto a creare. Nathan si tortura le mani nervosamente. Se bastava solo porgli una domanda seria per farlo rimanere senza parole ci avrei pensato prima. Un giorno scriverò un manuale solo per far comprendere ai posteri i comportamenti bizzarri di Nathan Price.
«Uhm, lascia perdere, dai... non ha importanza», dico scacciando la questione con una mano.
«No, invece ne ha. Scusami, è che... è strano che tu chieda... che tu mi stia facendo questa domanda, cioè... siete sempre state inseparabili voi due ed ora... be’, è strano, tutto qui», farfuglia parole sconnesse ed io sorrido automaticamente.
«Lo so, lo so. Voglio bene a Val, le vorrò sempre bene, solo che... talvolta sembra così diversa da me, così... complicata che... mi chiedo solo se sia giusto starle accanto senza avere la certezza assoluta che lei ricambi il mio affetto. Ecco, lei è l’unica mia vera amica per ora ed io ho così paura di restare da sola un domani che... penso che io sia facilmente sostituibile. Ecco».
La me insicura e dubbiosa è qualcosa di talmente personale che faccio fatica ad esternare il più delle volte. Pensare di esserci riuscita con Price è quanto di più inspiegabile persino a me stessa. Mi sento così nuda di fronte a lui in questo momento, ho così paura che possa usare le mie debolezze per conto proprio, per un suo scopo bastardo perché lui è fatto in questo modo, tende a rovinare ogni cosa bella, lo ha sempre fatto. Un po’ come me, del resto.
«Stai scherzando, vero? Dimmi che fine ha fatto la Sarah indistruttibile e sicura di sé che dispensa consigli per gli altri in ogni situazione, nonostante tutto e tutti. Valerie è fortunata ad averti e lo sa bene. Sa che sei indispensabile per lei, la prova che ha con sé un tesoro di amica e anche se a volte vorrebbe assomigliare alla cerchia di cui facciamo parte io, Prior e Coop, solo per stare un po’ più vicina a colui che ama, è una brava persona con delle idee brillanti, proprio come te».
Mi sfugge una lacrima e, giuro, contro la mia volontà anche un sorriso sincero. È la cosa più carina che Nathan mi abbia mai detto in questi diciassette anni di vita e anche se ha fatto difficoltà ad esprimerla gli sono grata. Mi afferra la mano e la stringe forte e mi sorride e stavolta decido di lasciarglielo fare perché è uno di quei momenti che, sono sicura, non tornerà più.
«Price... uhm... ecco, vedi... ci sarebbe un’altra cosa... una cosa da niente che... ehm, potresti... sì, insomma... la giacca, potresti prestarmi la giacca?», farfuglio impacciata indicando l’oggetto con la mano libera e battendo i denti per il freddo.
«E cosa ottengo in cambio?», chiede retorico e malizioso recuperando un po’ della sua solita strafottenza che sembra tirarci, almeno per il momento, fuori dall’imbarazzo.
«Uhm...un calcio nelle palle?», propongo divertita.
«Ehi, sei scorretta, sai? Ti ho consolata. A questo punto un bacio è il minimo!»
Di nuovo la fossetta fa capolino sulla guancia e trattengo l’infantile impulso di affondarci il dito.
«Nel frattempo sono morta assiderata, grazie tante», ribatto scortese e leggermente scocciata. Dopo un po’ decide di togliersela e me la posa sulle spalle. Io mi porto una mano al petto e teatralmente lo ringrazio.
«Che gesto nobile, signor Price. Mi meraviglio di tale benevolenza». Piego una mano nella sua direzione che lui afferra reggendomi il gioco.
«Ma milady mi sembra il minimo. Sono un galantuomo, io», e si sofferma a posare un casto bacio sul dorso della mia mano, pausando un po’ più del previsto e incatenando i suoi scuri occhi nei miei come se stesse indagando alla ricerca di qualche segreto. Quel gesto così intimo e fuori dal normale mi fa rabbrividire e arrossire in sincro ed io odio entrambe queste reazioni dettate da un qualcosa di a me sconosciuto.
«Un galantuomo? Certo, come no... l’unica cosa che hai fatto di galante stasera è stata impedirmi un’ubriacatura, per il resto rischio un’infezione da tetano, un assideramento precoce ed un esaurimento nervoso».
«Ti ho anche detto che sei una brava persona. Un complimento, ti ho fatto un complimento!»
I suoi occhi si illuminano di una strana luce che gli dona quasi un aspetto più... bonario, più gentile e non sembra neanche star facendo un grande sforzo, al che viene da domandarmi come mai sia così meschino nella vita di tutti i giorni, come mai indossi ogni giorno una maschera nuova, sempre più impenetrabile.
«Ti sei sprecato, mio galantuomo».
«Di Alice, non tuo. Di Alice», precisa serafico e sospetto che lo abbia fatto solo per scatenare una qualche reazione. Magari di gelosia. Tuttavia non avrà un bel niente perché questa uscita insolente non mi tocca minimamente, non in quel senso almeno.
«Ah, come sei spocchioso e...presuntuoso, Price. E poi mi è parso di capire – tra una sfuriata e l’altra – che tra te e Alice sia finita», commento storcendo il naso in una smorfia e arcuando di scatto un sopracciglio. Stranamente non ribatte nulla e questa cosa mi fa comprendere che mi sta dando implicitamente ragione e che si è reso conto di essere stato fregato.
Restiamo in silenzio per il restante tempo, finché non decide di farsi di colpo serio e aprire la bocca.
«Posso chiederti una cosa, Sarah?»
«L’hai già fatto e comunque... non mi sembri il tipo che chiede il permesso per fare qualcosa. Tu sei Nathan Price, prendi tutto senza chiedere. Comunque, spara, dai», lo incito curiosa strofinando le mani una con l’altra per guadagnare un po’ di calore, soffiandoci dentro all’ultimo.
Inizia nuovamente a torturarsi le dita e non mi guarda ed io comprendo che è di nuovo in imbarazzo. A Nathan Price assocerei la parola “dedalo di misteri” perché è proprio quello che si percepisce stando in sua compagnia. È imprevedibile il più delle volte ma sa sempre, non si sa come, trova sempre il modo di stupirti.
Forse è addirittura arrossito, difficile dirlo dato che siamo a qualche grado sotto zero ed il vento ci investe in faccia imperturbabile. È esilarante questa visione.
«Perché mi odi?», chiede, serrando la mascella e fissandomi intensamente. Merda.
È solo una domanda. Cazzo. Sono tre parole. Quelle tre parole e quella fottuta domanda a cui non posso e non devo rispondere. È arrivato il momento, come per Cenerentola a mezzanotte, di darsi alla fuga sperando di non perdere niente nell’impresa.
«Uhm, perché... perché sì». Ottima risposta, non c’è che dire. Avrai sicuramente soddisfatto ogni suo dubbio adesso.
Mi mordo il labbro inferiore. «Senti, è tardi, dovrei andare adesso, Valerie mi starà cercando... eh sì, infatti. Ora metto un piede qui, un altro qui», e così dicendo mi alzo per tornare sul terrazzo, stringendo le palpebre una volta uscita dalla sua visuale. Ed è lì che succede l’inaspettato: non calcolando una tegola rotta nella mia impresa - e neanche i suoi continui richiami, a dire il vero - ci poggio tutto il peso; questa, come di conseguenza si spacca facendomi sbilanciare e scivolare di due embrici più giù finché non mi ritrovo a toccare il cornicione con il sedere e le gambe penzoloni. A quel punto urlo con quanto fiato ho nel corpo.
«Sarah!», grida di rimando Nathan, il terrore nella voce.
Se guardo giù adesso morirò di vertigini perché sono ad un passo dal fare la fine della bottiglia.
Nathan si volta ed è un attimo prima di leggergli il panico anche negli occhi; svelto si pianta per bene in modo da risultare stabile e mi tende una mano per aiutarmi a tirarmi su. C’è solo un problema: sono bloccata, terrorizzata, scioccata e... immobilitata. Sento le sue imprecazioni di sottofondo nel frattempo.
«Sarah, porca puttana. Afferra la mia mano», ringhia alla fine per richiamarmi. Non riesco a muovermi. Che cazzo faccio? Cerco di regolare il respiro ma il cuore sembra che voglia esplodermi nel petto tanto galoppa veloce.
Morirò. Me lo sento. Morirò. E non ho neanche salutato i miei genitori, non ho chiarito con Valerie che al momento presubilmente mi odia, non ho neanche detto a Nathan che io non l’ho mai odiato sul serio e che era tutta una farsa per proteggermi.
«N-Nat-han», mormoro, le lacrime appena sgorgate agli occhi, la panico nella voce e i muscoli ancora bloccati.
«Sarah, cazzo, stai ferma. Non muoverti, per favore. Per favore, dammi la mano», ripete e sento, percepisco che è più impaurito di me. È quasi disperato. E mi chiedo se in fondo lui mi abbia davvero odiata in questi anni o era solo, anche per lui, una messa in scena o se si tratta solo di un’eccessiva reazione dettata dalla paura. E poi mi rendo conto che non dovrei fare supposizioni in un momento simile ma pensare a salvarmi la pelle.
«Sarah, se non mi dai quella cazzo di mano ti giuro che ti ammazzo con le mie mani. Se ti permetti a scivolare giù, ti giuro su chi vuoi che ti seguirò e non sto scherzando. Mi hai capito?!».
Le stille ormai scendono copiose sulle mie guancie e non riesco a impedire loro la discesa. Cerco di voltarmi e fare come mi dice e appena incrocio il suo sguardo riacquisto un po’ di coraggio e ricorsa a tutte le mie ultime forze allungo più che posso la mia mano per raggiungere la sua.
«Brava, così... ci sei quasi», mi incita allungandosi di conseguenza, tutto pur di facilitarmi la presa. Appena riesce a stringermi nella sua stretta decisa e allo stesso tempo sicura inizio a sentirmi meglio. In quest’istante voglio solo che mi tiri via da qui.
«Na-Nathan, asc-ascoltami, non mi lasciare, okay? Ti spiegherò tutto ma non... non lasciarmi, ti prego», singhiozzo con la voce spezzata ed il fiato corto.
«Sei matta?! Ora ti tiro su ma devi collaborare», mi istruisce tirandomi leggermente ed io ricorro a tutta la buona volontà per facilitargli il lavoro finché non siamo entrambi al sicuro, sebbene gli sforzi eccessivi esercitati, sulla terrazza. Gli piombo addosso inevitabilmente e lui non mi sposta, anzi, fa qualcosa di inaspettato. Mi abbraccia. Mi tiene stretta forte, mi accarezza i capelli e mi bacia la fronte. Sta tremando. E anche io. Lo stringo di conseguenza e piango tutte le lacrime rimaste mentre lo ringrazio sommessamente.
«Ti odio, Davies, ti odio per avermi fatto morire di paura così. Cosa ti dice il cervello, eh? E se fossi caduta? Io... come avrei fatto? Valerie come avrebbe fatto! Ci hai pensato a questo quando hai deciso di romperti l’osso del collo?»
È stremato, ansante, gli occhi fuori dalle orbite e la stretta sempre più forte sui miei fianchi. Non sembra voler lasciarmi ed io inizio a sentirmi a disagio qui sopra.
«Sei proprio un idiota, Price! Ma ti pare che fosse mia intenzione ammazzarmi? Sono scivolata, può capitare...», mi giustifico immediatamente, la sua stessa espressione.
«Oh, certo, qualcosa che può capitare solo a te. Sei una... combina guai, ecco cosa sei!», esclama gesticolando ed io faccio per tirarmi su e togliere entrambi da questa posizione scomoda e equivoca.
«Ma sentitelo... eri spaventato a morte. Credi che non l’abbia notato? Ammetti solo che ti sarei mancata troppo», scherzo cercando di smorzare la tensione venutasi a creare e al contempo lo punzecchio su un fianco.
«Certo che ero spaventato! Cosa avrei detto alla polizia, ai tuoi genitori! Avrebbero pensato che ti avessi spinta io e...»
Nathan lascia la frase in sospeso ed io riduco gli occhi a due fessure tentando di estorcergli le dovute informazioni ma invano.
«E...?»
«E... nulla. Nulla. L’importante è che non è successo niente, giusto? Voglio dire... sei scossa ma sembri stare bene, tutto sommato».
Annuisco più volte anche se non me la racconta giusta; ancora misteri su misteri. È un circolo vizioso per lui. Mi alzo in piedi e pongo le giuste distanze tra noi due sperando che non noti il mio palese rossore diffuso sulle gote o che comunque lo attribuisca al freddo. Credo sia arrivato il momento di scendere da lì, cercare Valerie e darsela a gambe, infilarsi il pigiama e mettersi a dormire provando a smaltire quanto successo con la speranza di non subire un qualche stress post traumatico. Per il resto so bene che da domani tornerà tutto alla normalità tra di noi.
«Be’ credo sia arrivato il momento di andare – stavolta davvero – sì insomma, salutarsi», mormoro impacciata. Nathan è irrequieto, si tortura il labbro inferiore e a distanza mi lancia un’ultima, eloquente, occhiata. Nessuno dei due dice più niente quindi alzo una mano per salutarlo mentre apro la botola per scendere al piano inferiore. Con la coda dell’occhio noto che schiude le labbra pronto a dire qualcosa ma poi ci ripensa perché stringe gli occhi scrollando il capo chino a terra. E la serata ha ufficialmente termine, con tutte le sue dolci e a volte aspre sfumature, una serata carica di parole non dette e sentimenti malcelati, un mix di momenti limitati solo ad unica e irrepetibile notte, che sarebbe stata, da quel momento in poi solo un lontano ricordo.

* * *

Una settimana dopo la situazione è più o meno questa: io e Valerie non ci parliamo poi molto, il nostro rapporto dopo quella sera si è sfasciato irrimediabilmente. Lei non vuole capire che avessi interrotto il loro appassionato bacio shakespeariano in virtù del suo bene e neppure mi avrebbe mai perdonato per aver perso l’unica occasione della sua vita di vivere felice insieme al suo amato Wes. Io ero e sono del parere che la loro è stata semplicemente una fantasia; non possono sfuggire ai problemi, sorvolarli e passare direttamente alla fase in cui sono felici e contenti. Il loro ostacolo principale è, ora come ora, Marissa Prior che a loro piaccia oppure no la quale ha tutte le intenzioni di tenersi stretta il suo fidanzato sebbene abbianp avuto qualche discussione, talvolta accesa, durante le pause pranzo in questi giorni.
Valerie ha evitato tatticamente tutti i posti nei quali avremmo potuto incontrarci anche per caso e a mensa si siede sempre insieme al gruppo di Cooper e Price senza degnarmi di uno sguardo. Continua ad atteggiarsi a Miss Mondo, titolo al quale ha sempre aspirato anche quando era una semplice e anonima ragazza evitata da tutti. Ora pare che i ruoli si siano invertiti: io sono quella ragazza che non ha amici, siede da sola a pranzo e viene ignorata persino dalla sua storica migliore amica per un qualcosa da niente, facilmente risolvibile nel giro di qualche giorno. Mi è capitato, in questi giorni tristi, di incrociare per caso gli occhi scuri di Price il quale, con mia grande sorpresa, ha smesso di recarmi fastidio, di punzecchiarmi o rivolgermi la parola. Ogni volta che è con Coop, poi, sembra che insieme riescano a lanciarmi un concentrato di occhiate infuocate. Presumo che il primo sia ancora arrabbiato per lo stesso motivo della mia amica ma non posso farci niente se quei due continuano a ignorarmi e a snobbarmi come se fossi la feccia peggiore dell’umanità. Come volevasi dimostrare quella notte è stata l’eccezione alla regola ed è stata accuratamente chiusa in un cassetto senza possibilità di revoca. L’unica persona che sembra non avercela con me è Marissa con la quale ho sempre avuto un buon rapporto e che, ignara di tutto, continua ad essere cordiale con me. Spesso, vedendomi sola, si è offerta di farmi compagnia al tavolo anche se io ho sempre rifiutato. Ci sono volte in cui sento il bisogno di tradire Valerie e spifferare la verità alla sua rivale in amore ma so che mi abbasserei al suo livello perciò faccio finta di niente lasciando al tempo ogni decisione.
Questa mattina la scuola è semideserta, le lezioni come al solito noiose e lente e la mia vita è una tabula rasa. Mi è capitato già tre volte di bloccarmi in mezzo al corridoio presa d’assalto da uno di quei ricordi legati al tempo passato con Valerie e mi rendo amaramente conto che con lei la mia vita era molto più allegra e che, nonostante lo neghi a me stessa, mi manca.
Ciononostante complice l’orgoglio io non mi scuserò affatto per prima. La campanella della secondo ora trilla entusiasta mentre io mi affretto a infilare i libri nella borsa con più violenza del previsto. Emery Jefferson mi fissa accigliata ed io mi trattengo dal mandarla a quel paese. Oggi che sono più intrattabile del solito sembra che il mondo si sia ricordato della mia esistenza.
«Sarah, che piacere vederti. Pensavo avessi bigiato anche tu la scuola insieme a quel gruppo di presuntuosi arroganti e invece... be’, tra te e Valerie suppongo che...», lascia la frase in sospeso arricciando le labbra ma so dove vuole andare a parare.
«...sistemeremo tutto, come al solito», completo serafica senza scompormi, raggiungendo l’uscio con Emery ancora alle calcagna.
«Ti va di andare a pranzo insieme oggi?», mi chiede d’un colpo, con troppa enfasi che mi fa sussultare sul posto.
Aggrotto la fronte. «Perché?»
Si stringe nelle spalle. «Non c’è un motivo in particolare. Mi va e poi, uhm, siamo entrambe da sole e...», si tortura le mani nervosamente. Dunque dico cordialmente che va bene e lei mi sorride, esclamando un semplice ed enfatico “Fantastico!” per poi sgattaiolare via lasciandomi basita. Alla fine decido di non dare molto peso alla sua stranezza e con un sospiro mi avvio alle macchinette.
Non mi stupisco affatto quando scorgo Price appoggiato su un fianco ad una di queste che ci prova spudoratamente con una matricola. Sembra quasi essere tornati alla normalità; lui che fa il piacione con tutte, per lo meno da quando non è più vincolato ad Alice. Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa. Com’è che si dice? Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Mi schiarisco la gola per farmi notare e chiedergli di spostarsi e di andare a conquistare altrove. Sarei stata meglio se non lo avessi incontrato ma, si sa, il destino è bastardo quando ci mette lo zampino. Price si accorge di me e alza le sopracciglia sorpreso, poi esclama: «Davies, qual buon vento!», il tutto seguito dal solito ghigno. In tutto ciò la matricola, irretita dal fascino di Price, probabilmente, mi sta lanciando maledizioni in tutte le lingue del mondo.
«Già», fingo un sorriso, «sai, ti sarei immensamente grata se spostassi il tuo fondoschiena da qui dal momento che, non so se l’hai notato, ho bisogno di usufruire della macchinetta e ti pregherei di andare a fare il cascamorto in cortile o anche in bagno se preferisci».
«Dammi una buona ragione per cui io non dovrei stare qui, luogo pubblico», ammicca con aria strafottente ed io, contrariamente alla mia etica pacifista, sono tentata di tirargli uno schiaffo, complice il nervoso accumulato in questi giorni. Tuttavia non sono dell’umore di risse – che siano verbali o meno – e quindi alzo le mani in segno di resa e faccio una smorfia.
«Sai che c’è? Non ho voglia di discutere con te perciò me ne vado io e spero che ti ci affoghi con la sua lingua».
Price sorride vittorioso. «Gelosa, Davies?»
Mi allontano camminando all’indietro e mi acciglio. «Di te? Nah, provo pena per lei quando arriverà il momento in cui la scaricherai. E comunque, riguardo un certo discorso, volevo dirti che avevi torto: su tutti i fronti; e che forse avresti dovuto lasciarmi cadere da quel tetto. A quest’ora non mi toccherebbe vedere la tua faccia di culo», affermo sprezzante e nel momento in cui termino il discorso mi mordo automaticamente la lingua perché forse non avrei dovuto portare alla memoria proprio quel ricordo. E tanti saluti al cassetto e ai segreti lasciati alle spalle. Il suo sorrisetto ora è sparito lasciando spazio a qualcos’altro, non riesco a capire se sia ferimento o rabbia repressa. Lo sapevo, dovevo starmi zitta! Sta stringendo i pugni lungo i fianchi e la mascella tanto che temo gli si possa rompere, segni che ho toccato un nervo scoperto. A volte lo è anche per me. Intendo che rivivo quella stessa scena ogni notte da sette giorni e non credo sia una reazione normale perché al posto di essere “salvata” perdo la presa e scivolo completamente fino a spaccarmi la testa contro il cemento. E l’ultima cosa che vedo sono i suoi occhi così vuoti e inespressivi seguiti da un ghigno perfido come se avesse voluto spingermi di proposito per togliermi, una volta per tutte, di mezzo. Ecco perché ho queste terribili occhiaie da così tanti giorni, non c’entra nulla Valerie anche se ho lasciato credere fosse per quello che passassi le notti insonni.
Inclina la testa da un lato ed inizia ad agitarsi facendo qualche passo fino a fronteggiarmi, seppur ad una debita distanza.
«Non...lo sai che non te lo avrei permesso, Sarah. Sei una stupida se pensi questo», asserisce glaciale ed io mi trattengo dal piangere. Non devo farlo. Non devo farlo. Non devo farlo.
Scrollo le spalle e mi volto senza guardarlo ulteriormente in faccia mettendo altro divario tra i nostri corpi. Quando mi trovo abbastanza lontana sento chiamarmi a gran voce.
«Sarah!»
Non mi volto ma la sua voce, il suo tono velato di una profonda decisione mi fa arrestare sul posto.
«Non prenderti colpe che non hai. Lei ha fatto le sue scelte, tu non c’entri e lo sai».
E una parte di me vorrebbe credergli. Sul serio.

Avete presente i bagni scolastici? Ecco sono di quanto più schifoso possibile sulla faccia della terra; quasi quasi preferisco l’odore di vomito di venerdì scorso. È incredibile come, nonostante i mie vani sforzi, tutto riesca a ricondurmi a quella serata. Ho cercato in tutti i modi di togliermela dalla testa ma è sempre presente, quasi una costante nella mia vita. Forse dovrei trovare delle distrazioni, flirtare di più – come suggerisce Valerie; sì, probabilmente un ragazzo è la soluzione a tutti i miei drammi che sto vivendo in quest’ultimo periodo. Tornando ai bagni... credo che rispecchino la mia situazione attuale: oltre alle occhiaie evidenti, ho anche dei residui di mascara causa lo strofinio improvviso degli occhi che ad un certo punto hanno iniziato a pizzicare senza aver ricevuto comandi dal mio cervello. Ed ho scelto i bagni perché qui non ci viene mai nessuno e avrei potuto sfogarmi in assoluta libertà senza preoccuparmi delle domande o degli sguardi curiosi della gente. In effetti dopo il pugno dato alla porta dell’aula – che a proposito, oltre ad avermi recato un livido violaceo sul dorso della mano, ho anche una freschissima punizione da scontare dopo le lezioni le quali sono finite da circa mezz’ora. Ho anche dato buca a Emery in tutto ciò. Devo ammettere che un po’ mi dispiace essere stata così scorretta nei suoi confronti, avrei potuto inviarle un messaggio ma dopo l’incontro-scontro con Nathan Price non volevo vedere nessuno se non il mio volto disastrato riflesso allo specchio.
Dopo averlo contemplato a lungo ed aver decretato che sì, sto diventando un vegetale a furia di commiserarmi, decido di sciacquarmi lo squallore tetro che mi ricopre le guancie e di presentarmi in detenzione.
Non ho ancora avvisato i miei poiché prevedo già la loro reazione: “Sarah, sei una tale delusione nella vita di tutti i giorni. Ora anche una punizione che sicuramente ti rovinerà la media?!” e considerato il mio morale devastato vorrei proprio evitare.
Ho posato i miei libri insieme alla borsa nell’armadietto così da restare più leggera quindi getto l’ultima salvietta nel cestino e mi immetto nel corridoio principale per raggiungere l’aula.
Busso due, tre volte aspettando la relativa risposta che non tarda ad arrivare. Sono sorpresa di trovare davanti a me la professoressa Mallory. Questo significa che la docente di sostegno è in congedo e di conseguenza mi costa una bella umiliazione di fronte a colei che sembra avere una grande stima di me. Difatti questa sgrana gli occhi alla mia vista e inclina il capo, curiosa.
«Sarah, è... strano averti qui. Che hai combinato per farti sbattere dentro?». Detta così sembra che mi abbiano messa dietro le sbarre e in tutta sincerità potrebbe anche essere dato che non ho la minima idea di cosa si faccia qui dentro. Scorgo con gli occhi qualche altro studente – almeno non morirò di solitudine – anche se non avendo le lentine vedo poco e niente.
«Oh, ehm... niente di grave o almeno credo», mormoro a voce bassa per non rovinare l’alone di silenzio che occupa la stanza. Di istinto chiudo la mano inferma e la nascondo nella giacca. Non vorrei passare per una teppista.
La Mallory annuisce come se avesse capito l’antifona anche se non è molto convinta e facendomi un cenno con la mano mi indica di sedermi in uno dei posti liberi. Afferro il labbro tra i denti e chinato il capo in evidente imbarazzo prendo posto nell’ultima fila nascondendomi sotto la massa di capelli biondi. Mi pento di non aver portato dietro l’album da disegno almeno avrei potuto occupare il mio tempo in qualcosa di utile. Invece mi accascio sul banco percependo le palpebre pesanti e prima che possa rendermene conto chiudo gli occhi recuperando qualcosa delle precedenti notti.

Quindici minuti dopo, sebbene siano stati pochi per una che non dorme da giorni, mi alzo di scatto sentendo non solo dei rumori insoliti ma anche qualcosa che mi sfiora la guancia. Non riesco ad attribuire la natura di quel gesto e mi convinco di essermelo semplicemente immaginato.
Mi accorgo che qualcosa è cambiato, l’aula sembra più gremita e rumorosa finché non noto i riccioli inconfondibili di Valerie che ridacchia probabilmente per qualche battuta di Cooper, seduto al suo fianco. Sicuramente sono qui per aver bigiato la scuola stamattina; be’, ben gli sta. La mia amica – o forse dovrei dire ex – si blocca a mezzo busto dopo aver incrociato i miei occhi ed il suo sorriso scompare lasciando spazio ad un’espressione confusa ma anche curiosa. Mi stringo nelle spalle e mi lascio andare contro lo schienale scomodo della sedia, senza degnarla di attenzione.
Subito dopo anche Coop si accorge della mia presenza e mette un braccio sulla spalla di Valerie come ad infonderle coraggio. A me riserva solo un cenno svogliato del mento.
«Davies», bisbiglia qualcuno al mio orecchio facendomi sobbalzare per lo spavento e portami di scatto una mano sul cuore. Il mio attentatore sorride ed io sbuffo irritata dopo averlo messo a fuoco.
«Sembri una gattina quando sbuffi così. Te lo hanno mai detto?», mi canzona beffardo impossessandosi di una ciocca dei miei capelli e arrotolandola al dito. Non capisco se sia colpa del destino avverso, della mia solita e consueta sfortuna o sia semplicemente una sfortunata coincidenza ma Nathan Price ed il suo sorrisetto derisorio stanno diventando una costante nella mia monotona vita.
Prendo un respiro profondo riprendendomi i miei capelli e spostando il banco dal suo.
«E dai! Mi annoio. Perché non parliamo un po’?», chiede passandosi una mano tra i suoi capelli chiari spettinandoli. Da come parla sembra tranquillo, senza nessuno losco scopo celato dietro quelle semplici parole. Sembra quasi un ragazzo normale che ha voglia di conversare con la sottoscritta, sinceramente annoiato. E non so perché ci sto pensando, a dirla tutta. Dovrei ignorarlo e basta.
«Ti annoi? Be’, trovati un passatempo che non implichi me e vedrai come staremo tutti bene».
«Come siamo scontrose... dovresti rilassarti, Davies, sul serio. Lo dico per il tuo bene», incalza senza togliersi quello stupido sorriso e unendo le mani, con i palmi aperti, le porta dietro la testa e allunga le gambe in una posa scombinata. Mi domando se crede di essere a scuola o a casa propria.
Sospiro ed incrocio le dita sul banco. «Perché sei qui, Price?»
«Mi mancavi», risponde ironico ed io roteo gli occhi e lo guardo male.
«Non sei credibile».
Ridacchia e devo ammettere che non credo alle mie orecchie. Sta ridacchiando?!
«Ci ho provato, okay. La verità? È per lo stesso tuo motivo. Semplice».
Aggrotto le sopracciglia confusa. «Hai... rotto anche tu una porta?»
Storce naso e bocca in una smorfia. «Mh, una cosa del genere. Ma ehi, andava cambiata. Ho fatto solo un favore»
«Price, lei ha lasciato l’impronta di un gancio destro sul muro!», lo corregge una voce fuori campo ed io spalanco la bocca. È matto?
«Nathan!», esclamo allibita senza accorgermi di averlo chiamato per nome. È la prima volta da...
A lui non sembra essere sfuggito questo particolare perché assottiglia lo sguardo come se stesse cercando di capire se è un bluff, una semplice gaffe o la pura realtà. Arrossisco visibilmente e abbasso gli occhi.
«Ehm, Price. Volevo dire Price. Un muro? Hai fatto a botte con un muro?», ripeto più convinta. Nonostante lui mi chiami spesso con il mio nome di battesimo – certo, quei rari casi in cui non utilizza ‘gattina’, ‘piccola’ e quant’altro – io proprio non ci riesco. Mi dà quasi un senso di confidenza che noi non dovremmo avere.
In risposta si stringe nelle spalle con noncuranza e prima che possa replicare viene sovrastato dalla voce di Valerie che, indisponente, si immette nel discorso.
«Scusa? Ma a te da quando importa quello che fa lui? Non mi sembri sua madre. Sbaglio?».
Respira, Sarah. Respira e sii diplomatica, non lasciarti sopraffare dalla rabbia e dall’impulso di saltarle al collo per strangolarla.
«Oh, che buffo... e così è finito il periodo di silenzio convulsivo?», domando retorica alzando una mano con il palmo aperto.
«Spiritosa! Ti ricordo, mia cara, che è colpa tua e della tua... invidia se siamo finite in questa situazione». Prende ad attorcigliarsi la solita ciocca di capelli con quell’espressione tronfia di chi ha ragione.
«I-invidia? Ma ti ascolti quando spari queste stronzate, Val? vuoi metterti in testa che l’ho fatto solo a fin di bene – tra le altre cose non mi sembra una cosa così grave dato che da quel giorno tu e lui state sempre appiccicati. Dunque dimmi, qual è veramente il tuo problema?». Incrocio le braccia sotto al seno e prendo a fissarla.
La Mallory non sembra essersi accorta di questo nostro scambio di parole ma io presumo stia facendo finta di nulla lasciandoci ai nostri screzi.
«Io non ho nessun problema!», borbotta risentita dalle mie parole.
Marissa, che nel frattempo sta facendo oscillare lo sguardo dalla mia amica al suo ragazzo, fa per aprire la bocca ma, di nuovo, viene stroncata dalle nostre voci.
«Bene! Allora spiegami, una volta per tutte, perché ce l’hai così tanto con me».
Valerie fa un respiro profondo tanto che credo possa discutere con me una buona volta come persone civili e magari risolvere ma poi scuote la testa e capisco che non avrò niente più di quello. Come ha già detto, Valerie è una bambina.
«Ehm, qualcuno mi spiega perché voi due avete litigato o magari perché Price ha distrutto il calcio del muro?», riesce a chiedere Marissa e vedo che Valerie mi lancia un’occhiata eloquente, vale a dire: “Sta’ zitta, me la vedrò io con lei”. Price, invece, che ha assistito all’ultima scena stranamente silenzioso, si esibisce nel solito ghigno e risponde: «Non so, credo sia stata una reazione impulsiva e...»
«Eccessiva?», propongo intromettendomi al discorso. Dopo ciò mi fissa accigliato ma annuisce.
«Già», conviene. «E poi aveva davvero bisogno di essere buttato giù».
«Lei è in punizione per tutta la settimana, Price. Di questo almeno ne è cosciente?», lo interroga nuovamente la Mallory che sembra avere una propensione a punzecchiare solo lui.
«Oh, davvero? E mi dica, Barbara, l’allegra troupe qui presente mi farà compagnia? Altrimenti, lo sa che mi annoierò a morte».
Un attimo. Barbara?! Sapevo che Price fosse il tipo che fa il cascamorto con tutto ciò che respira, ma arrivare a entrare in confidenza con la Mallory mi sembra esagerato.
La mia faccia schifata deve aver fatto trapelare la mia opinione perché, essendosi avvicinato di nuovo al mio banco, mi dà un colpetto con la spalla seguito da un sorriso sornione.
«Signor Price mi dispiace deluderla ma sconterà la punizione da solo e continuo a pregarla, non mi dia del tu».
«Ho sentito dire da Toby che lo ha detto a Renee che a sua volta l’ha sentito da Tracy e Laurel che spettegolavano in bagno che Price se la fa con la Mallory», sento bisbigliare da qualcuno nei posti avanti anche se non ci credo. Price  è tutto ma non così stupido da trasgredire le regole fino a quel punto. L’attimo dopo mi interrogo sul perché io stia prendendo delle ipotetiche difese nei suoi confronti quando lui non avrebbe esitato, se fossi stata al posto suo, a dar loro man forte per screditarmi.
«Coglioni», parlotta tra sé scrollando il capo. Figurarsi se non l’avrebbe detto.
«Cosa? Solo perché stavano insinuando qualcosa che...»
«Non è non sarà mai vero, Sarah. Ma ti pare? Potrebbe essere mia madre, che schifo», mi precede serio corrugando gli occhi.
«Price dovresti sapere una cosa: non mi importa un accidenti».
E prima che possa dire altro suona la campanella che segna la fine della punizione e mi alzo rapidamente. Devo assolutamente parlare con Valerie e risolvere prima che mi venga una crisi di nervi.
«Sarah, aspetta», mi blocca Price sbarrandomi il passaggio alla velocità della luce tanto che mi chiedo se sia normale questo spostamento. Magari ho a che fare con un essere soprannaturale e non me ne sono accorta. Ah, devo smettere di guardare Supernatural.
«Price, non è il momento, davvero».
«Ti... ti va di... sì insomma, ti va di vederci una di queste sere? Possiamo... vederci un film o qualcosa del genere». Si tortura il labbro con i denti e i capelli con una mano ed io rimango senza parole. Mi ha davvero... be’, mi ha chiesto davvero un appuntamento?
«Sì, sai... mi devi delle risposte, giusto? E ti prometto una serata tranquilla, solo noi», continua imperterrito indicandoci.
Guardo attraverso le sue spalle e con altro mio stupore vedo Valerie ferma sulla porta ad aspettarmi mentre ha stampato in faccia un sorriso furbo.
«Price, sicuro di stare bene? Insomma, mi hai appena chiesto di uscire. Wow, tu non fai mai niente del genere con le ragazze», preciso con un’alzata di sopracciglio. Cos’è, un nuovo modo per tirarmi qualche inganno? Sì, prima fa tutto il carino e il dolce e l’attimo dopo si trasforma. Lui è imprevedibile, come il suo invito.
Oscillo con gli occhi a Valerie che alza due pollici in su e mima con le labbra di accettare la proposta.
«Uhm, be’... dovrei controllare l’agenda... io, mi vedo con qualcuno», mento all’ultimo momento per nessun motivo in particolare. Scorgo delle nuove emozioni sul suo volto; sembra quasi... ferito, amareggiato, spento. Già, non c’è più traccia di quella luce che lo caratterizza nei suoi profondi e intensi occhi blu.
«Oh, io... non ne avevo idea. Mi... mi dispiace. Fa’ finta di nulla, ‘kay?», conclude inforcandosi gli occhiali da sole e indietreggiando verso l’uscio. A cosa gli serviranno mai in un ambiente chiuso?!
Escludo a priori che sia geloso. Di me, poi.
È geloso, Esse. Lo è eccome.
«Ehi», lo chiamo. «Domani sera sono libera se è solo per chiarire i tuoi dubbi».
Inarca le sopracciglia, scettico. «Al tuo ragazzo non dà fastidio saperti sola con me?»
«Per te è un problema?»
Fa cenno di no.
«Allora è perfetto. Ci vediamo a casa mia alle sette, intesi? Per quell’ora i miei dovrebbero uscire così non ci disturberanno».
«Voglia di rimanere sola con me, Davies?», mi punzecchia malizioso.
Contro ogni aspettativa sorrido e poi gli faccio una linguaccia.
«Perfetto. A domani!».
«Sì, vedi di non gioire troppo, Price».
«Basti tu per quello, Davies». Mi strizza l’occhio e dopo avermi dato un buffetto – è un vizio, mh? – sulla guancia va via.
Strizzo gli occhi, incredula.
Cosa.è.successo?! Ho appena flirtato con il nemico? Impossibile.

* * *
Io e Valerie abbiamo chiarito alla fine. Lei mi ha confidato di non avercela avuta con me per aver interrotto la loro appassionante limonata – come l’ha definita lei – ma per aver pensato che fossi in un qualche modo invidiosa della sua felicità, pensiero dettato dalla stizza del momento. Successivamente per l’eccessivo orgoglio non è riuscita a chiarire con me, probabilmente per paura che le tirassi qualcosa addosso per la sua stupidità.
Adesso siamo di nuovo sulla giusta linea d’onda e per l’occasione è piombata in camera mia affermando di essere la mia fata madrina solo per quella sera, vale a dire dell’incontro con Price. Come se dovessi seriamente mettermi in ghingheri per lui e il suo sorrisetto del cazzo.
La mia camera, prima che arrivasse l’uragano Valerie, era immacolata; adesso ci sono vestiti sparsi per tutto il pavimento e letto compreso, l’armadio non ne parliamo proprio.
«Val, hai trasformato questa camera in un campo minato. Hai idea di che significa?», sbotto al limite della pazienza mentre raccolgo l’ennesimo capo da terra.
«Che prima o poi troveremo qualcosa di appropriato che non ti faccia sembrare una racchia? Uhm, be’, ne ho vagamente idea», commenta ironica alzando più volte le sopracciglia ed io alzo gli occhi al cielo.
«Ecco, appunto. Senti, non mi importa di far colpo su Price. Price, Valerie! Comprendi? Occhi blu, aspetto diabolico e sorriso antipatico?»
Valerie ridacchia allegra e si alza dal groviglio di vestiti nel quale è sotterrata e mi raggiunge congiungendo adorante le mani.
«Quel ragazzo che tu stai dipingendo come Lucifero, stravede per te dall’asilo. Come fai a non accorgertene? Gli hai anche inventato la storia del finto fidanzato, cosa che io disapprovo in pieno. Sono sicura che, sotto sotto, tu sia più cotta di lui», mi confida psicanalizzandomi. C’è da dire che a lei non ho raccontato della mia cotta preistorica che l’anno seguente è stata abilmente soffocata. E neppure deve saperlo altrimenti inizierà a farsi i viaggi mentali come al suo solito e non posso permetterlo.
«Valerie, lo sai che sei visionaria? Non esiste un mondo in cui Nathan Price e Sarah Davies provano qualcosa l’uno per l’altra, perciò dimenticatelo. Piuttosto con il tuo Romeo come va?». Meglio spostare il discorso su altri fronti. Parlare di me o Price mi fa venire il mal di testa. Sospira afflitta e si accascia sul letto.
«Dice che non può far soffrire Marissa in questo modo. Che tra noi non potrebbe mai funzionare e bla, bla, bla, quindi abbiamo concordato di non dirle niente per ora. A proposito, grazie per non aver fatto la spia l’altro giorno», mi confessa riconoscente.
Alzo le spalle e le sorrido.
«Come hai capito di amare Wes?»
«Semplicemente sentivo qualcosa di più della semplice amicizia. In sua compagnia provavo sempre l’impulso di sbatterlo al muro e baciarlo; volevo che mi guardasse con i miei stessi occhi, che riservasse le attenzioni per Marissa a me e che fossi la ragione dei suoi sorrisi. Tuttavia la vita non è rose e fiori per nessuno, eh».
Annuisco complice.
«Val, mi metterò una semplice tuta, fattene una ragione. Ed ora aiutami a sistemare questo casino».
Valerie fa per ribattere ma poi la freddo con un’occhiata e dopo aver sbuffato ed avermi dato dalla noiosa, inizia a piegare i vestiti.
Sarah 1, Valerie 0.

Valerie torna a casa per le sei ed io mi metto a cercare nella bacheca dei DVD qualcosa di interessante, che non sia strappalacrime. Non credo sia il genere di Price anche se ho imparato che con lui tutto è possibile.
Pesco sotto quelli di Fast&Furious, un film d’azione che non ho mai visto e che sicuramente appartiene alla collezione di mio padre. Si intitola Mission: Impossibile ed è con quel figo di Tom Cruise. Poso il disco sulla mensola e vado a cucinare i pop corn; solo per me, ovviamente.
Dopodiché mi metto a leggere un libro nell’attesa; i miei genitori sono ancora rispettivamente uno al lavoro e l’altra dall’estetista.
È stranamente tutto silenzioso ed io inizio ad essere assuefatta dalla noia. Nel giro di pochi minuti ho cambiato posizione ben dieci volte sul divano finché non ho deciso di sistemare casa non sapendo cosa fare.

Il campanello si mette a suonare proprio quando sono intenta a spolverare in salotto, ballando a ritmo di Dynamite di Tajo Cruz e quindi non nelle migliori condizioni, cosa dimostrata dai miei capelli scombinati. Sobbalzo e sgrano gli occhi, il panno mi cade a terra. Merda. È in anticipo.
«Un attimo!», urlo con foga mentre salgo le scale che conducono al piano di sopra a due a due rischiando anche di rompermi una gamba. Mi fiondo in bagno strisciando sul pavimento e cerco di rimediare alla ben’e meglio il disastro che sono i miei capelli.
Nel frattempo continua a suonare. Faccio una smorfia e lascio perdere. Com’è poi che mi sto mettendo in tiro per lui?
Perché è pur sempre un ragazzo e tu sei una ragazza, ed è nell’indole delle ragazze far di tutto per piacere a qualcuno del sesso opposto, anche se questo in particolare è uno stronzo di prima categoria.
Piombo sulla porta, poi prendo un respiro profondo e apro.
«Ehm, ciao», faccio agitando la mano in cenno di saluto come una perfetta idiota.
«Era ora, Davies! Non so se tu l’hai notato ma sta diluviando alla grande», borbotta Price, battendo i denti dal freddo e solo allora noto che è fradicio come un pulcino. Trattengo una risata portandomi una mano davanti alla bocca.
«Oh mio Dio, mi dispiace tanto. Entra, ti porto degli asciugamani puliti e dovrei avere qualcosa di mio padre di quando era giovane. Uhm, prego, siediti», lo istruisco indicandogli il divano ancora vittima delle risate.
«Non ridermi in faccia, per piacere. Sarebbe umiliante persino per me», mi redarguisce puntandomi contro l’indice.
Torno sotto con l’occorrente e glielo porgo indicandogli il bagno di servizio dove può cambiarsi. Mi ringrazia con un cenno e scompare dalla mia visuale cosicché io possa passarmi le mani sulla faccia e ridere.
Non posso crederci. Nathan Price bagnato dalla testa ai piedi è esilarante. Molto esilarante. Gli dona quasi un tocco diverso, vulnerabile.
«Sarah, dove posso trovare un phon?», mi giunge alle orecchie la sua richiesta e mi volto automaticamente tanto che per poco non mi casca a terra la mascella. Spalanco gli occhi e la bocca per lo stupore. Nathan Price se ne sta a ridosso della porta del bagno con solo un telo attorno alla vita ed il petto abbronzato e degno di solidi esercizi fisici completamente scoperto. I capelli poi, non ne parliamo... ancora umidi e scompigliati.
«Terra chiama Sarah?», mi riporta all’attenzione ridacchiando. Dannazione, mi ha beccata!
«Ehm... sì... certo, secondo...», mi umetto le labbra divenute improvvisamente secche e poi batto le palpebre. «Secondo scomparto in basso a destra».
«Farò finta che tu sia rimasta indifferente di fronte a tanta bellezza. Tranquilla, la tua reputazione è ancora al sicuro con me», mi strizza l’occhio ed io arrossisco visibilmente.
Maledetto.
«Sta’ zitto, Price. Non.una.parola», lo freddo con un’occhiata.
Ho come l’impressione che sarà una lunga serata.

Siamo entrambi seduti sul divano, io con i miei pop corn sulle gambe e lui che mi guarda male perché non voglio offrirgliene, il film è partito da mezz’ora circa anche se non lo sto seguendo molto, causa Price che trova sempre il modo di interrompermi la visione. Prima ha iniziato a punzecchiarmi con un dito per attirare la mia attenzione, poi si è dato semplicemente alle provocazioni, infine ha preso la via per il discorso tanto temuto.
Dunque adesso il film non è altro che un’inutile sottofondo.
«Comincia a spiegarmi perché siamo qui, innanzitutto», incalzo io curiosa mettendomi più comoda sul divano, le gambe piegate.
Price guarda prima il soffitto e poi me e sorride genuino.
«È semplice: sono solo curioso di sapere il motivo per il quale mi odi».
«Stai scherzando, vero? Cioè, mi sembra più che logico: per lo stesso motivo tuo», eludo alzando i palmi verso l’alto.
Si acciglia e poi scuote la testa ridacchiando. «Io ti odio? No, non mi risulta».
Okay, lui non mi odia. Questo sì che è destabilizzante. Scelgo di andarci comunque cauta.
«No?», mi accerto confusa torturandomi l’unghia del pollice. A questo punto... dovrei forse confessargli che per me è lo stesso?
Batte le palpebre e sospira. «No, Sarah. Non ti odio ma tu sì, a quanto pare».
«Ma allora... insomma, mi hai sempre presa in giro, mi hai sempre screditata. Mi hai fatto del male in questi anni. E molto. Perché?».
Si afferra il labbro inferiore nervosamente. «Sul serio? Sei stata... male a causa mia?»
Annuisco più volte. «Ma certo, Nathan! Notizia dell’ultima ora: sono una persona, con dei sentimenti, certo non mi sono fatta una risata!».
Ecco qui come escono fuori i segreti, segreti che ho tenuto celati per molto, molto tempo.
«Non... ne avevo idea. Credo fosse l’unico modo per comunicare con te. Sei sempre stata sulla difensiva!», si giustifica scompigliandosi i capelli per l’ennesima volta.
«Oh, che bello. Quindi hai pensato bene di farmi passare l’inferno. Grande, Price, sei proprio il re dei grandi», esclamo dandogli uno schiaffo sul braccio. È un idiota! Della peggior specie, per giunta.
Tu non sei certo migliore, Esse, dato che hai fatto la stessa cosa.
«È per questo che mi odi? Perché ti ho fatto del male?», mormora sottovoce posando la testa contro la spalliera del divano.
Ora siamo occhi negli occhi. Ed i suoi mai stati tanto indagatori come oggi.
«In parte. Diciamo che non è odio il mio. Fidati, ci ho provato ma non ti odio. Non si avvicina neppure all’odio il sentimento», confesso giocando con un filo della felpa.
«Ah no? E cos’è? Allergia al sottoscritto?», propone con una vena amara nella voce.
Lo guardo di traverso e ridacchio. «Sono qui con te, giusto? E sono sorpresa delle sorprese, sono viva! L’avresti mai detto?»
Storce il naso e arriccia sensualmente le labbra.
Sensualmente?! Siamo sicuri di non aver mangiato pop corn allucinogeni?
«È venerdì sera e tu sei qui con me invece che con il tuo ragazzo. È...strano», osserva incredulo guardando dritto davanti a sé. Nella foga del momento mi infilo un’altra manciata di pop corn in bocca, scioccando per la sua domanda e accorgendomi che son quasi finiti.
«Un po’ lo è – convengo alla fine – «Solo che lui aveva degli impegni per stasera e quindi... eccoci qui».
«Ed è tranquillo a saperti con me?», rincara dandomi un colpetto di gomito seguito da un sorriso sornione.
Le mie labbra si increspano un po’ in quello che sembra un sorriso; devo ammettere che, disguidi a parte, non mi dispiacciono questi momenti di calma piatta con Price. Certo, continuo a pensare che sia una persona imprevedibile e tendo comunque a porre una distanza sia fisica che psicologica tra di noi tuttavia sembra che io venga sconfitta miseramente in ogni buon proposito.
«Certo che non è tranquillo ma si fida di me e questo basta», continuo a mentire con una disinvoltura che non credevo possibile. Devo aver affinato le tecniche del mentire in questi anni, altrimenti non si spiega la mia attuale bravura.
Annuisce lentamente ed io temo che stia iniziando a capire che sono una patetica bugiarda che ha deciso di pararsi il culo dietro la solita balla de ‘Ho il ragazzo’.
«Io non ti lascerei mai con un altro ragazzo ma non perché non mi fidi di te. È del genere maschile, in quanto tale, che non mi fido».
Ma sentitelo, sembra mio padre con questi discorsi! A lui non devo dare conto di nulla, alla fine.
«Fammi capire, Price, mi hai chiesto questa... cosa - incalzo indicandoci con una smorfia involontaria - per parlare del mio ragazzo? Lascia perdere la mia vita amorosa e concentriamoci sul discorso principe».
«Hm, non hai tutti i torti ma questa è l'ultima domanda, giuro. Conosco questo pezz... - e qui si schiarisce subito la voce, sbattendo le palpebre più volte, facendomi quindi intendere che è reduce da una gaffe - ehm... lo conosco?». Si passa la lingua sulle labbra e poi, spinto da un moto nervoso probabilmente, si alza dal divano sul quale eravamo seduti, dopo avermi mollato una pacca sul ginocchio e si dirige in cucina.
Che diavolo vuole fare?
«Non sono affari tuoi, Price. Seriamente. E... mi spieghi perché stai mettendo sottosopra la mia cucina?!», sbotto raggiungendolo, le mani sui fianchi e l’espressione guardinga e minacciosa.
Mi offre un gran sorriso e dopo aver trovato ciò che, a quanto pare, gli serve, lo poggia sul ripiano in marmo accanto ai fornelli. Non vorrà mica...
«Ti preparerò una cena... al bacio», afferma schioccando le labbra sulle sue dita per farmi intendere meglio. Le mie sopracciglia hanno un sobbalzo. Nessuno ha mai fatto per me una cosa così... intima. E proprio per questo deve concludersi prima che possa diventare una cosa seria. Adesso!
«Price», esordisco, massaggiandomi la nuca in evidente imbarazzo. «Non serve. Davvero. Possiamo ordinare... qualcosa dal cinese qui accanto oppure una pizza, se ti fa schifo il cinese. Guarda, su quella lavagnetta ci sono una serie di numeri, anche del ristorante messicano. Così... non sporchiamo niente».
Uh, che discorso convincente! Sarah, per favore, dovrai impegnarti molto di più.
«Ma io voglio farlo. Sul serio. Non è un problema, cucino sempre io a casa, è quasi un hobby... e ti prometto che per stasera non ti avvelenerò, se è ciò che temi», si impunta continuando nella sua impresa, pescando dal frigo pomodorini e altre pietanze.
Fosse solo quello il problema...
Sospiro e mi accascio sul ripiano, indecisa sul da farsi. È che quando si mette in testa una cosa, è difficile fargli cambiare idea. Uff, lo detesto!
«Suvvia, Davies, togliti quel faccino da cane bastonato perché non mi smuoverò di qui neppure per chiamare Frankie, che prepara i migliori tacos dell’universo, e adesso... ti va di aiutarmi o stai lì a guardare nella speranza che mi tranci un dito solo grazie al tuo sguardo omicida?»
Sembra incredibile che un ragazzo con così poco QI, possa fare questi discorsi soltando usando il carisma che gli è stato concesso in dono alla nascita, vero? Ma ad ognuno il proprio talento, giusto? Provo a pensare a cosa farebbe o direbbe Valerie in una situazione del genere. Sicuramente mi consiglierebbe di lasciarmi andare per una sera e assecondarlo per vedere dove vuole arrivare ma, ehi, stiamo pur sempre parlando di un consiglio alla Valerie alias niente di buono. E questo l’ho imparato a mie spese.
«L’hai fatto altre volte?», domando ad un certo punto mentre lui spadella a destra e a sinistra e fa cuocere delle costolette di maiale, destreggiandosi come se fosse abituato ad utilizzare quella cucina e conoscesse i suoi meandri meglio di mia madre. E non posso fare a meno di notare quanto sia bello così concentrato e minuzioso in tutto ciò che fa. Il modo in cui arriccia le labbra ogni tanto accorgendosi che manca il sale, dopo aver assaggiato; il modo in cui con dei gesti cadenzati macina il pepe e continua a mescolare come se fosse una cosa così importante e degna di essere omaggiata.
Ora sta, infatti, preparando una salsa, a detta sua, ‘speciale’. Ha anche dato ad essa un nome: Sprice Sauce. Originale, non è vero?
«Cosa?», dice accigliandosi e alzando gli occhi solo per un momento. Continua a mescolare degli ingredienti dentro una ciotola con una mano mentre con l’altra fa abbrustolire la carne davanti e dietro.
«Questo», rispondo facendo un cenno verso la cena che sta preparando. «Cucinare per una ragazza, intendo. Mi era giunta voce che tu fossi un tipo spietato e senza cuore con chiunque fosse del sesso opposto ma forse erano solo...chiacchiere».
«Sarah, sono sempre chiacchiere che dir si voglia. Io potrei anche essere uno spietato senza cuore che ha cucinato per una ragazza solo una volta nella vita ma le loro rimarranno sempre e comunque parole al vento», chiarisce chinandosi per prendere dei piatti, rigorosamente bianchi, appositi per mettere la carne.
Cerco di regolare i battiti del mio cuore dopo le sue parole. Diamine, sbaglio o ha appena detto che è la prima volta che fa qualcosa del genere?! Giuro che sto per sentirmi male. Non può essere... non esiste che Nathan Price faccia il carino con me per i suoi loschi scopi!
Boccheggio più volte senza sapere realmente cosa replicare dato che lo sconvolgimento per la notizia non aiuta affatto.
«Facciamo un patto, Davies», asserisce all’improvviso squadrandomi per un lungo tempo e appoggiandosi con gli avambracci sulla penisola cosicché ci troviamo uno di fronte all’altra.
Ripenso a quando è stata Valerie a dirmi queste stesse parole ed io ho accettato sebbene la coscienza mi consigliasse di non farlo; e successivamente ci aveva pensato il karma a darmi una lezione la sera stessa. Quindi no, non farò un patto con nessuno. Men che meno con Lucifero qui presente.
Scocco la lingua sul palato e volgo lo sguardo altrove. «Toglitelo dalla testa, Price. Non farò niente del genere».
«Oh, ma dai! Non sai neanche che genere di patto sia...», si lamenta chiudendo gli occhi e sbuffando l'attimo dopo.
«Non ti chiederò niente che si ricolleghi ad atti sessuali o simili. È qualcosa di prettamente innocuo, te lo giuro».
«Ehi, non fare promesse o giuramenti che sai di non poter mantenere. Non mi fido di te, che sia ben chiaro, e non credo riuscirò mai a farlo. Ascolterò comunque la tua proposta, per rispetto al fatto che, almeno per stasera, ti sei comportato egregiamente ma ciò non significa che acconsentirò», lo redarguisco mettendomi sulla difensiva e quindi incrociando le braccia sotto il seno, l’espressione risoluta. Mettermi sulla difensiva è da sempre e sempre sarà una priorità per me.
Nathan nel frattempo ha preso ad ‘addobbare’ i piatti neanche fossimo a Masterchef USA. Ha fatto scivolare due costolette su ogni piatto, una sovrapposta all’altra e ha colato un po’ di salsa speciale per poi fare un ghirigoro simpatico con dell’aceto balsamico nella parte restante del piatto. Infine ha posizionato una foglia di basilico per renderlo più elegante. Non c’è dubbio, è un portento, almeno in questo. Io, per esempio, avrei ammassato la carne alla rinfusa e l’avrei servita senza salsa e magari anche senza sale.
Inutile dire che ho l’acquolina in bocca di fronte a tanto ben di Dio anche se non lo ammetterei mai ad alta voce per via dell’orgoglio.
«Price, ma è magnifico!», penso ed è troppo tardi quando mi accorgo che l’ho detto veramente e che lui se la sta ridendo sotto ai baffi e capisco che oltre ad essere compiaciuto è anche divertito dalle mie continue gaffe.
Alza le mani in alto euforico e fa uno strano balletto, con un movimento strano del bacino, che mi fa ridacchiare di gusto.
«Sono riuscito a stupire la frigida Sarah Davies! Sì!», esclama stringendo il pugno vittorioso. E non me la prendo neppure per avermi dato della ‘frigida’, dato che so di esserlo, in fondo.
«Davies, questa è una conquista, bisogna festeggiare», dice dirigendosi verso il frigorifero e tirando fuori due bottiglie di birra, stappandole in contemporanea e porgendomene una. Infine le facciamo tintinnare una contro l’altra e le alziamo in un brindisi.
«Brindiamo alla mia conquista e al bottino che in questo caso è quel sorriso», annuncia indicando il suddetto con un dito.
Prendiamo un lungo sorso, sebbene i miei non mi concedano mai di bere alcolici.
«A due nemici che son riusciti a raggiungere un compromesso», propongo  allora io mettendomi comoda sullo sgabello ed iniziando a tagliare le costolette. So bene che è un piatto che va mangiato esclusivamente con le mani e di norma lo farei ma in presenza di ospiti non ci riesco proprio. Mi sa di maleducazione.
«Oh mio Dio, Davies. Tu hai appena fatto un affronto a tutta la tradizione americana con la sua cucina compresa! Stai osando profanare quella carne con delle posate?! Non posso crederci...»
«Che problema c’è, scusa? Mangia e sta’ zitto visto che non hai ancora toccato neanche il basilico».
«Mi dispiace ma devo prima aspettare la tua opinione. Su, assaggia, farò finta di non pensare a ciò che di nefasto stai commettendo».
Porto il boccone appena tagliato lentamente e con circospezione alla bocca dopo averlo intinto nella salsa che separa i nostri piatti e mastico altrettanto lentamente. È una vera esplosione di gusto tanto che se le papille gustative avessero un’anima a quest’ora sarebbe incendiata; la carne è croccante e cotta al punto giusto, né troppo rossa ma neanche troppo bruciata; la salsa, poi, è qualcosa di indescrivibile. Non posso fare a meno di pensare che sia davvero speciale, e di salse ne ho mangiate a bizzeffe e di tutti i tipi nella mia giovane vita. C’è un mix aromatico che non riesco a decifrare singolarmente ma che concentrato in un unico piatto crea qualcosa di veramente... orgasmante, si può dire? Mi trattengo dall’emettere un gemito di apprezzamento perché risulterebbe troppo esplicito e lui si nutre di doppi sensi. A proposito, Price sta in attesa, mi fissa profondamente, le dita intrecciate ed il mento nell’incavo di queste. Decido di deliberare il verdetto senza, tuttavia, sbilanciarmi troppo altrimenti si monterebbe peggio di quanto già non lo sia.
«È... buono. Veramente buono. No, credo di non aver mai mangiato delle BBQ Ribs così. Dove hai imparato e soprattutto, cosa c’è in questa meravigliosa salsa?».
Ops, mi è scappato. Lo giuro. Ma è stato più forte di me.
Dalla sua faccia gongolante devo dedurre che si aspettava un commento del genere e che è oltremodo compiaciuto dai miei complimenti.
«Ehi, ehi, non così tanti complimenti o potrei imbarazzarmi ed ho una reputazione da difendere», ironizza sorridendo. «Riguardo alle tue domande... ho imparato quando mi son trasferito in Texas dai nonni paterni, Gina e Eustace, ricordi? Ti adorano a proposito, e gli manchi molto. E no, è un segreto della famiglia Price ciò di cui è composta e se te lo dicessi poi dovrei ucciderti. Ti sembrerà strano e incredibile ma non voglio – e non posso –  macchiarmi la fedina penale se voglio entrare in polizia di stato, un giorno».
Okay, adesso sono davvero, davvero ai limiti dell’incredulità. Per poco non gli scoppio a ridere in faccia. La forchetta mi cade dalle mani.
«Tu?! Poliziotto?! Non dici sul serio...», chiedo cercando di trattenere le risate e osservandolo per capire se stia scherzando o meno.
«Ehi», borbotta sinceramente offeso, «Perché ti risulta così assurdo pensare che io voglia aiutare la gente?»
«Be’, quand’eri piccolo lo dicevi sempre, è vero, ma pensavo scherzassi! Eri solo un bambino con dei sogni troppo grandi, non pensavo che avresti voluto applicare, un giorno, quei sogni!»
«Sarah, i sogni son fatti per questo, per essere realizzati e comunque... caspita, non credevo ti ricordassi una cosa del genere», mormora colpito e allo stesso tempo confuso. Ecco, questa è stata un’altra cosa che non sarebbe dovuta sfuggirmi. In fondo non è l’unico particolare che mi ricordo di lui e della nostra tragicomica infanzia fatta di schiaffi e dispetti. Se chiudo gli occhi riesco a vedere un piccolo Price con la sua zazzera di capelli piuttosto folta in quanto non voleva tagliarli, una felpa più grande di lui di almeno tre taglie, un cappello da poliziotto e una pistola giocattolo bloccata nella cintura. Poi c’è una me bambina che lo guarda con un’espressione a metà tra il divertito e il disperato.
Ed è anche un segreto che la foto che ritrae questa scena sia conservata gelosamente nel mio portafoglio da che ne ho memoria. Ho sempre pensato fosse l’unico mezzo che mi tenesse in qualche modo legata a lui, al di là dei battibecchi e dei litigi che si sono prodigati fino ad oggi.
«Sai, a volte sono geloso dei tuoi pensieri. Ti ci perdi dentro e non si sa mai dove vadano a parare o cosa ritraggano. E questo tuo esternarti dalla realtà ti ha sempre caratterizzata, anche quando eri una nanerottola tutto pepe...», replica all’improvviso distogliendo la mia attenzione dal flusso di memorie.
«Ma ti ricordi quando tua madre ti obbligò a venire a casa mia perché stavo male? Eri devastata e... incazzata con il mondo. Avevi l’espressione di chi sta per essere mandato al patibolo, te lo giuro. Te ne stavi lì, seduta sul puff, imbronciata, e con un cuscino stretto tra le braccia e mi lanciavi, di tanto in tanto, occhiatacce. E nessuno dei due parlava. Poi, ad un certo punto hai gettato la testa all’indietro e mi hai rifilato testuali parole: “Sei un idiota. E anche noioso...”.
«E tu sei stretto nelle spalle e hai risposto che ero io ad essere una bambina banale ed io ti ho lanciato il cuscino in faccia perché offesa. Quindi?», intervengo cercando di far finta che questo racconto non mi abbia stupito o scioccata più del necessario. Sembra che non sia solo io ad aver tenuto inchiodati nella mente gli episodi che ci ritraggono.
Mi fissa perplesso. «Non posso crederci... pensavo di avere in testa una versione sbagliata e invece è andata proprio così!»
«Guarda che non è stato molto carino quel commento», gli faccio notare mentre mi alzo ed inizio a svuotare i piatti per metterli nella lavastoviglie. Lui mi imita ed io gli faccio cenno di tornare a sedersi.
«Ah-ah, tu hai cucinato, io pulisco. Forza, inizia ad illustrarmi il patto, senza cambiare discorso».
«È semplice: il patto era che se avessi apprezzato la mia cucina stasera tu mi avresti lasciato invitarti di nuovo... tipo, domani sera. Ed è con piacere che ti comunico che è andata proprio come volevo e che tu domani indosserai qualcosa di carino perché si va a ballare e non in discoteca ma ad un vero e proprio gala di beneficenza».
Quando finisce di parlare, il sorriso e l’espressione soddisfatti, per poco non mi cadono le stoviglie per terra con un possibile conseguente effetto di una sfuriata da parte di mia madre. Innanzitutto non c’è più traccia di divertimento e serenità sul mio volto ma solo... rabbia e fastidio. Non posso credere che mi abbia fatto un tale tiro mancino. E soprattutto non riesco a decifrarne il perché. Perché tutto ad un tratto per lui è così importante che io gli conceda e gli riservi del tempo se fino ad ora non abbiamo fatto altro che evitarci come la peste? Che poi, un ballo di gala? Non ho neanche un vestito per un ballo di gala, figuriamoci la voglia di prendervi parte. Se non avessi lo stesso complicato e ampio sogno di questo idiota gli rifilerei un coltello dritto alla gola. Sì, la mia fedina deve restare pulita esattamente per lo stesso suo motivo. Capite perché io per poco prima non mi sono strozzata quando ho sentito che lui in tutti questi anni non ha abbandonato l’aspirazione che aveva da bambino? È un incubo! Immaginate se un giorno ci trovassimo ad essere, per qualche strano e bizzarro caso, come partner al NYPD. Un.terribile.incubo.
«E sentiamo, avresti organizzato tutto questo nel breve lasso di tempo che ci hai messo a cucinare o è solo uno dei tuoi stupidi trucchetti per portarmi a letto?»
Si incupisce all’improvviso. «Ma io pensavo... sì, insomma, credevo che le cose tra noi due stessero andando bene, no? Ti chiedo solo un’ultima serata, poi sarai libera di fare ciò che vuoi, anche continuare a snobbarmi come hai sempre fatto».
Io? Io lo snobberei?! Ma per favore...
«Cosa?! Quale parte del: “Ho un fottuto ragazzo” non ti è chiara, Price? Cos’è, ti sei svegliato all’improvviso e ti sei accorto che adesso esisto?», blatero senza freni, ormai sull’orlo di una crisi isterica. Non calcolo neppure il tempo che ci mette a raggiungermi e incastrarmi tra la lavastoviglie ed il suo ampio e solido petto, le mani strette e ancorate alle mie braccia, occhi negli occhi.
«Oh, andiamo, la vuoi smettere per una buona volta di sputare sentenze a vanvera e ascoltare ciò che ho da dirti? Sai qual è il tuo problema, Sarah? Sei tu quella che non vuole avere un rapporto civile con il sottoscritto. Sono sempre stato io – ansima, sbattendosi una mano sul petto –  io, a tentare un approccio con te in un modo o nell’altro. E tu sei sempre stata quella distante, da quando avevi sei anni e sei venuta a casa mia perché costretta da tua madre. Non hai mai mandato giù il fatto che qualcuno volesse esserti amico perché troppo sulle tue per aprirti con qualcuno e questa cosa, mia cara, ti ha caratterizzata sempre. Sembra tu voglia distruggere ogni cosa bella che si viene a creare tra noi! – ci indica, gli occhi spiritati e l’espressione a tratti ferita e a tratti incazzata.
Il fatto è che adesso non so cosa dire o fare. La verità è che Nathan è sempre stato l’unico a spiattellarmi in faccia la realtà – che fosse dolce o brutale – e nessun altro ragazzo è stato mai schietto come lui; molti tendevano ad assecondarmi sperando che quella fosse la mossa giusta e che io non li allontanassi se mi remavano contro e mi rendo conto che forse è proprio per questo che non sono riuscita a trovare la persona giusta in tutto questo tempo. Non posso crederci che ce l’avessi sotto gli occhi per tutto questo tempo e l’abbia nascosto persino a me stessa. Forse ho sempre provato qualcosa di molto forte per Price, qualcosa che va sicuramente oltre l’amicizia o, in questo caso l’inimicizia, ma ero troppo spaventata per ammetterlo e così ho celato il tutto tramutando quel sentimento in disprezzo, agevolata anche dal suo comportamento da stronzo. E tutto per del semplice timore.
Abbasso lo sguardo a corto di parole, gli occhi umidi e il pavimento diventato all’improvviso un soggetto interessante.
«Va bene, Price», sfiato ormai sfinita, traendo un sospiro.
Scuote impercettibilmente il capo, perplesso. «Cosa?»
«Va bene, Price, verrò con te a questo stupido ballo ma se scopro che è solo uno dei tuoi giochetti o hai un secondo fine ti giuro che metterò sul serio la parola ‘fine’ e sarà per sempre. Chiaro?!», esclamo alzando il mento con aria ostile.
Annuisce flebilmente ma noto che l’attimo dopo sgrana gli occhi e mi sembra trasmettano un senso di... tristezza, quasi di impotenza, come se volesse fare o dire qualcosa ma si stia trattenendo. Ed è maledettamente inquieto e il dubbio che stia succedendo qualcosa di devastante si infiltra insolente nella mia mente e non m’abbandona.

* * *

«E così, ricapitolando, ti ha preparato delle BBQ Ribs a detta tua sensazionali, però poi non ti ha spalmata sul tavolo ma vi siete limitati a dibattere come vostro solito? Scusami se te lo dico, amica mia, ma più che un passo avanti sembra non sia cambiato un bel niente».
Questa, l’opinione di Valerie al termine del mio apocalittico racconto. Senza contare, ovviamente, che si è messa ad urlare eccitata quando ha sentito della parte in cui mi ha inchiodata alla lavastoviglie, aggiungendo: “Secondo me se gli avessi risposto a tono, ti avrebbe senz’altro divorata di baci”. Come ho già detto, questa ragazza è visionaria come tutti in questa scuola. Oggi a mensa, per esempio, quando sono passata per ritirare il cibo, il gruppetto di Coop mi ha lanciato delle strane quanto eloquenti occhiate, chi di sufficienza chi di incoraggiamento, chi addirittura cariche d’odio ed io mi son ritrovata a ricambiare con un’espressione perplessa. È come se tutti sapessero qualcosa che io non sappia ed io odio non sapere. Forse sono una maniaca del controllo ma...c’est la vie.
«Pss», mi richiama Valerie con un colpetto di gomito, le mani ancorate al vassoio del pranzo mentre fa un cenno verso un tavolo libero. Lo raggiungiamo senza intoppi e vi prendiamo posto in silenzio.
«Val, secondo te perché tutti mi fissano in modo strano? Ho qualcosa in faccia, per caso?», indago curiosa cacciandomi in bocca un pezzo di insalata.
«Ma no, tranquilla, è che sono tutti febbrilmente eccitati per il ballo di gala che si terrà a casa Hopkins» – si ferma di fronte alla mia fronte aggrottata e specifica, annuendo: «Proprio così, il ballo a cui tu sei stata gentilmente invitata da sir Nathan Price. Ti dico solo che doveva andarci con Alice la quale pare stia cercando il vestito perfetto dall’inizio della stagione e be’, la voce che lui abbia invitato te al suo posto si è diffusa a macchia d’olio, diciamo causando il malcontento dei sostenitori della coppia ‘Nathlice’. Speravano che tornassero insieme prima di questo ballo e invece... sei venuta fuori tu, quindi, ad occhio e croce... sì, devono odiarti  parecchio».
I privilegi dell’avere un’amica legata ai gossip sono proprio questi. Sapere che lo scoop riguarda me, tuttavia, mi inquieta alquanto; il liceo può diventare un covo di vipere quando succedono queste cose e tu sei costretta a stare all’erta costantemente.
«Caspita, Val, tu sì che sai come confortare un’amica», ironizzo, spostando il piatto più in là. D’un tratto la fame mi è passata e viene automatico lanciare un’occhiata al suddetto tavolo di vipere. Marissa sembra l’unica che mi invia occhiate d’intesa e che sembra essere dalla mia modesta parte. Cavolo, ci mancava solo questa.
«Figurati, tesoro, sono qui per questo. Informarti mi sembrava il minimo, così almeno puoi difenderti conoscendo la minaccia».
«Ehi, hai visto Alice oggi? Non sta con il suo solito gruppo e questo è molto strano e sospetto. E quando manca la iena madre, ti puoi aspettare di tutto».
«Be’, se i miei calcoli sono esatti, starà macchinando la sua vendetta e quindi la tua morte. Se può farti stare meglio, per quel che vale, io sono dalla tua», mi confida sorridendo e posandomi una mano sulla spalla, come a confortarmi.
«Grazie, Val, menomale che esisti tu», continuo risultando sarcastica ma anche un po’ rincuorata. Si sta rivelando tutto un incubo. Il problema è che non riesco a svegliarmi.

«Troppo corto, troppo sportivo, troppo scollato, troppo orrendo, troppo tutto e troppo niente! Cazzo, urge una sessione di shopping, Esse e no, stavolta non ci perderemo in chiacchiere né in spuntini. Il ballo si terrà stasera e tu devi risultare al meglio. Hai qualche idea di vestito elegante? In queste occasioni si indossa generalmente qualcosa di molto lungo e molto raffinato e sei fortunata, perché se ti piace, in cabina armadio ho qualcosa che fa per te», mi strizza l’occhio complice e si dilegua.
Valerie come suo solito sta facendo su e giù per la camera, pensando più volte ad alta voce e degnandomi di attenzione a stento. Ancora mi chiedo perché abbia chiesto aiuto a lei.
La seguo nella sua enorme cabina armadio che io non potrei mai permettermi, causa il poco spazio a disposizione. Sebbene ci abbia messo piede mille volte, resto meravigliata sempre come la prima. Ha uno scaffale intero solo dedicato alle scarpe, delle marche più importanti e più costose. E anche se è tutto molto... rosa, non si può negare che abbia un certo stile.
«Uhm, ma dove è finito? Quando Genevieve mette ordine qui dentro scompare misteriosamente tutto, chissà perché! Se te lo stai chiedendo, sì, sto cercando un costosissimo Gucci ultimo modello e non ho ancora avuto modo di indossarlo ma lo presto volentieri a te. Serve qualcosa per fare il culo ad Alice una buona volta per tutte».
«Alice verrà alla festa? Wow, che bella sorpresa! Non sto nella pelle dalla felicità».
Valerie ridacchia mentre sfodera un capo d’alta moda dalla custodia protettiva e credo proprio sia ciò che penso e mi si illuminano gli occhi.
«Sì, tesoro, è proprio lui. È lo stesso Gucci indossato da Blake Lively al Met Gala. Meraviglioso, non trovi?»
L’abito presenta una silhouette a sirena di seta ed è interamente ricamato da micro pailletes con un lungo strascico di chiffon rosa cipria. Inutile dire che è qualcosa che non potrei mai indossare, è troppo...persino per me.
Scuoto meccanicamente la testa in senso di diniego. «Oh, no, Val... non posso proprio. Non sono la Lively, non riuscirò mai a valorizzarlo a tal punto ed è...troppo prezioso solo da guardare, figuriamoci da indossare...»
«Secondo me è perfetto. Fidati di me. Almeno provatelo, intanto cerco le scarpe da abbinare. Con l’accessorio giusto ti starà d’incanto!», dice battendo le mani entusiasta e lasciandomi con il vestito in mano. Caspita, se è bello!
Decido di non provarlo per il momento ma di prenderlo semplicemente in considerazione. Valerie torna poco dopo con due paia di scarpe diverse.
«Queste sono delle Jimmy Choo, le mie adorate» – me le mostra dopo aver scoccato loro un esagerato bacio – Mentre queste sono delle preziose Louboutin che starebbero molto ben... ehi, perché sei ancora con questi straccetti addosso? Tic, toc, svelta! Il tempo stringe e dobbiamo ancora passare da Sally», mi avverte indicandomi un orologio immaginario sul suo polso.
«Sally? Chi diavolo sarebbe Sally?», domando confusa.
«Ma Sally Herschberger, naturalmente. Hai presente Paris Hilton? Si tratta della sua hair stylist che è da sempre amica intima di mia madre. Ah, adoro essere ricca!»
«Wow, e che bisogno ci sarebbe di spendere 600 dollari per una semplice piega? Posso benissimo chiamare Vivian, la mia parrucchiera di fiducia dato che ho da scontare un’acconciatura gratis».
Valerie sbianca e fa una smorfia. «Ehi, ehi, ehi. Non mi farò cotonare i capelli da una stracciona qualunque della plebaglia, andremo da Sally e pagherò tutto io. Consideralo il mio regalo di compleanno anticipato», afferma perentoria scoccandomi un bacio volante. Quanto a me decido di non replicare ulteriormente e acconsento. In quel preciso istante il mio telefono squilla e noto con piacere che è mia madre. Mi ha avvisato solo ieri sera tardi che ha preso un aereo last minute ed è volata a Miami per lavoro.
- Ehi, mamma. Tutto bene?
- Ciao, tesoro. Volevo dirti che dovrò restare qui a Miami per altri due giorni. È un problema per te? So che il lavoro non ci permette di stare unite come un tempo ma tu ormai sei abbastanza grande per badare a te stessa, giusto?
Non fa una piega. - Ehm, sì, non preoccuparti. Sicura che non sia successo nulla? Magari... con papà?
- Uhm, no, perché me lo chiedi? – domanda, assumendo un tono strano e sospetto. Mi stringo nelle spalle anche se lei non può vedermi.
- È che non è tornato neanche lui ieri sera e be’, il suo telefono risulta staccato.
- Oh, tesoro, mi dispiace così tanto... sai che neanche lui ti ignora di proposito ma è molto preso dal lavoro. Anzi, più tardi proverò a rintracciarlo io, promesso. A scuola come va?
- Bene, dai, non ci sono esami per questo mese. Ehi, ma stasera non dovresti prendere parte anche tu alla cena dagli Hopkins? Pensavo di sì, dato che ho trovato l’invito nella cassetta della posta.
Protesta qualcosa in risposta che non riesco a decifrare e poi risponde:  - Oh. Purtroppo dovrò assentarmi. Potresti fare le mie veci, però. Ti dispiacebbe indossare qualcosa di carino e presentarti lì a mio nome?
- Hm, no, sta’ tranquilla. Terrò alto il nome della famiglia - scherzo, sperando di strapparle un sorriso visto che quella frase è il motto della famiglia.
- Sei un angelo, cara. Adesso devo andare, Robin ha bisogno di me. A dopo! Baci.
E così riattacca ed io sospiro, il telefono pressato contro il petto. Devo ammettere che non è proprio tra le madri dell’anno. Quale razza di madre lascia andare da sola la propria figlia ad una cena così importante? È assurdo. Come è assurdo il fatto che mio padre si sia dileguato senza avvisare, né farsi vivo. Sono ancora minorenne, in fondo, sono sotto la loro responsabilità anche se sembra che debba occuparmi io di tutto. È così strano pensare che forse stiano facendo di tutto per non tornare a casa? Come se stessero... scappando? Ma sì, la fuga improvvisa ed il comportamento strano di mia madre, mio padre che scompare senza nemmeno un biglietto, sono tutti fattori che mi inducono a pensare ad una cosa del genere sebbene sia avventato come giudizio e soprattutto... incredibile.
«Esse, tutto bene? Ti sto aspettando da una decina di minuti in macchina», mi richiama Valerie a gran voce dal piano di sotto.
Cerco di non pensare alle azioni senza senso dei miei genitori e la raggiungo in auto.
Sally, alla fine, ha insistito tanto per fare dei miei capelli una Boho Braids; ha quindi intrecciato i capelli in modo da formare una corona intorno alla testa. Infine ha deciso di farmi un trucco semplice, ovvero dell’ombretto chiaro sulle palpebre, coperte da un filo sottile di eyeliner e un po' di mascara sulle ciglia; una pennellata di blush abbinato al vestito ed un lucidalabbra ciliegia.
Ho scoperto che il tutto mi sarebbe venuto a costare 650* dollari; fortuna che avrebbe pagato Valerie. Appena finiamo con le rispettive acconciature, decidiamo di tornare a casa perché in ritardo nei preparativi. Price sarebbe venuto a prendemi a casa tra meno di mezz’ora; per questo motivo avrei dovuto proprio sbrigarmi ad indossare il vestito e a completare la missione di Valerie: “Agghindiamo come un albero di Natale la nostra Esse”. Quanto alla mia amica ha deciso che ci saremmo viste direttamente lì e mi ha suggerito di restare con i piedi per terra e soprattutto con gli occhi aperti visto che Alice combinerà sicuramente qualcosa. Proprio dopo essermi spruzzata del profumo sul collo, sento suonare il campanello e con un tacco a spillo in mano e l’altro già al piede, saltellando, tento di raggiungere la porta.
Prendo un profondo respiro per poi espirare e mi liscio il capo di seta.
«Price», mormoro in evidente imbarazzo.
«Inizio a pensare che sia un vizio quello di... Cazzo!», esclama con meraviglia nel tono di voce quando si rende conto che gli sono davanti. Mi esprimo in un sorriso lievemente accennato non riuscendo a guardarlo negli occhi.
Cazzo. Anche lui è bellissimo fasciato in un completo nero. La camicia è sbottonata fino ad un certo punto e lascia intravedere un anfratto di pelle abbronzata e lucida. I suoi capelli non sono, neppure in questa circostanza, ordinati e neanche intrisi di gel. È semplicemente... mozzafiato. Senza contare che apre e chiude la bocca simultaneamente e addirittura boccheggia, senza proferire parola. Fa ondeggiare lo sgardo da me al mio vestito con una strana espressione.
«Ehm...giuro che se continui a guardarmi in quel modo penserò che questo vestito sia fuori luogo e appariscente e andrò a cambiarmi alla velocità della luce», lo avverto giusto per smorzare la tensione venutasi a creare.
«Cosa? No, no. È che sei... ti sta d’incanto, ecco. Dico davvero, sei... splendida».
Arrossisco immediatamente e distolgo lo sguardo altrove. Ha il potere di far vacillare tutte le mie certezze questo maledetto ragazzo. Dannazione, non mi ha mai fatto un complimento. Questa cosa va aggiunta alle altre seimila cose fatte in questo periodo che il Price di un tempo non avrebbe mai avuto il coraggio di fare o dire.
«Anche tu stai bene. Dico davvero», aggiungo per risultare più credibile e sicura di me. Rimaniamo immobili ad alternare sgardi per almeno una decina di minuti finché non decide di rompere il silenzio.
«I tuoi non sono in casa?»
«No. Sono fuori... per lavoro».
Cerco di convincere anche me stessa con queste parole.
«Oh, bene. Ehm, ti va se... andiamo?»
Mi porge il braccio affinché io mi agganci e dopo aver chiuso a chiave la casa lo seguo in macchina. Da gentiluomo mi apre anche la portiera della sua macchina ed io ringrazio con un sorriso.
«Allora, Davies, ripropongo la domanda: non devo aspettarmi che il tuo ragazzo geloso da un momento all’altro irrompi alla festa e mi gonfi di botte, vero? No, perché, vestita in quel modo sarò io a dover prendere a botte chiunque ti guardi. Giusto per fartelo sapere». Mi fa l’occhiolino e sorride spavaldo, mettendo in moto.
«Guarda, Price, che so difendermi da sola e no comunque, Grant non verrà. È dovuto partire con urgenza per Boston ieri sera e prima che tu possa uscirtene con le tue sparate, sa già di questa uscita e della precedente. Ribadisco la risposta: si fida di me. Non ha niente da temere».
Ebbene sì, durante la notte insonne passata a cercare di mandar via dalla mente l’immagine di un Price nudo con solo un grembiule addosso, ho inventato anche il nome del mio presunto ragazzo, con una storia convincente che spiegasse la sua assenza.
«Ed io ti ripeto che è di me che non può fidarsi. Non ti prometto che terrò le mani a posto, Davies. Ed è solo colpa tua che ti sei vestita in questo modo», mi comunica con un’occhiata allusiva.
«Ah sì?», decido di stare al suo gioco. «E sentiamo... in che modo mi sarei vestita?»
Price sorride, continuando a tenere d’occhio la strada.
«In modo sexy, Davies. In un modo che mi fa venire voglia di strapparti quella seta di dosso e sbatterti sul cofano dell’auto fino a farti urlare il mio nome», confessa ed io per poco non mi strozzo con la saliva. Per non parlare delle guance che si sono abbrustolite tanto che sono andate a fuoco. Non può dire sul serio. Lo sapevo io che c’era sicuramente qualcos’altro dietro questa storia, ovvero il suo volersi infilare nelle mie mutande. Che stupida... come ho potuto credere, anche solo per un istante che fosse sincero?!
«Sì, nei tuoi sogni, forse. Non sei il mio tipo, Price. È inutile. Tu ed io siamo troppo diversi».
«Non è questo che dicono degli opposti? Che sono destinati a stare insieme, a fare scintille. Secondo me funzionerebbe», ammicca, svoltando a destra ed immettendosi nel parcheggio.
«Price... il destino, metà corpo studentesco ed una deliziosa cheerleader, tua ex a quanto pare, ci sono avversi. Come potrebbe funzionare, mh?», domando retorica, tentando di tenere un profilo basso anche se sono sulla buona strada per incazzarmi al massimo. È possibile che noi due finiamo sempre a discutere?
«Cosa c’entra Alice adesso?», mi chiede confuso, aiutandomi a scendere dalla macchina. Ignoro il suo ausilio e scaccio la sua mano con la mia.
«Nulla, Price, nulla. Ho parlato a vanvera. Senti, facciamo finta che questa cosa mi vada realmente bene ed entriamo lì dentro fingendo di essere strafelici, così poi ognuno può ritornare alla propria vita e chi si è visto, si è visto», propongo battagliera, la deliziosa crocchia da 600 dollari già sul punto di sfarsi.
«Ma qual è il tuo problema, Sarah?! Un attimo sei carina e adorabile, l’attimo dopo diventi una iena isterica ed insopportabile. Spiegami perché hai accettato questa cosa allora se ti senti così obbligata?!»
«Non mi hai dato scelta, okay? Ho accettato perché altrimenti non mi avresti dato tregua ma non ha funzionato evidentemente perché sei.costantemente.nella.mia.testa. – urlo, indicandomi la tempia –
E questa cosa, te lo giuro, mi fa davvero ammattire perché io non posso, non voglio e non devo pensare a te in quel senso perché è sbagliato! Fottutamente sbagliato! D’accordo?! Sei contento, adesso? Comunque lascia perdere tutto quanto ed entriamo, devo fare un favore a mia madre prima di tutto». Lo sorpasso a passo spedito senza visualizzare la sua reazione finché non mi raggiunge bloccandomi per un polso e costringendomi a voltarmi e attirandomi verso di sé. Sussulto. Posso sentire il suo respiro tanto siamo vicini e lo sguardo si posa istintivamente sulle sue labbra.
«Come puoi affrontare quella gente se non riesci ad affrontare neppure i tuoi sentimenti?! Sei patetica, Davies. Patetica!», e dopo avermi dato un ultimo strattone facendomi anche male, sia dentro che fuori, si allontana calpestando con furia il briccio, lasciandomi da sola alla mia pateticità, perché anche questa volta, inesorabilmente, ha ragione.
La sala è gremita di persone. Gli immensi lampadari illuminano l’ambiente a giorno ed il chiacchiericcio non è spiacevole. Qualcuno suona il pianoforte in un angolo, deliziando gli ospiti; qualcun altro li intrattiene con simpatiche storielle e barzellette. Gli Hopkins sono una delle famiglie più importanti e generose di New York; organizzano spesso queste aste di beneficenza a cui vi partecipano molti uomini e donne dell’alta ma anche della bassa società. Mentre mi aggiro in questa immensa villa, che sembra più un castello per lo stile con cui è stata costruita e le stanze ampie di cui è composta, cerco con lo sguardo Valerie per dirle che probabilmente la mia stupidità è riuscita a rovinare qualcosa di bello e che ho praticamente servito Price ad Alice su un piatto d’argento. Non nego a me stessa che, sotto sotto, stia cercando anche lui dal momento che mi sento oltremodo spaesata. Dopo aver salutato gli Hopkins, anche a nome di mia madre, ho pescato un drink dal vassoio di un cameriere e l’ho scolato tutto in una volta. Mi sono accorta solo dopo che fosse champagne e anche molto forte. Forse questa è la serata giusta per fare chiarezza nella mia vita, la serata giusta per provare ad accettare i sentimenti di cui parlava Price invece di reprimerli come mio solito. Fino ad ora ho riconosciuto solo Savannah Matthews, del corso di biologia, Marissa Prior fasciata di un’incantevole Chanel bianco candido accanto a Wesley Cooper. Sono stata tentata di chiedere a lui che fine avesse fatto la mia amica ma poi ho pensato che avrei potuto trovarla da sola senza problemi e senza contare l’ampiezza di quel luogo.
Un Gucci davvero sprecato, non c’è che dire.
Sbuffo per l’ennesima volta quando mi imbatto nei soliti uomini di affari che ho visto pochi minuti prima accorgendomi di star girando in tondo.
«Hai sentito della scommessa tra Coop e Price sulla Davies?», sento dire da qualcuno alle mie spalle e per poco non inciampo nel mio stesso vestito.
Sento ridacchiare. «Sì, avrà pensato subito fosse interessato a lei perché faceva tutto il carino. Sicuramente le avrà cucinato qualcosa per colpirla e convincerla. Geniale, no?»
Oh mio Dio. Ora tutto ha un senso. Le reazioni quando sono entrata in mensa del suo gruppetto, l’espressione di dispiacere e impotenza di Marissa, lo sguardo carico di emozioni contrastanti di Price a casa mia l’altra sera dopo che ho accettato il suo invito.
Devo impedire alle lacrime di sgorgare qui davanti a tutti. Non posso crederci. Avevo ragione! Stupida, stupida, stupida.
Ci deve essere una spiegazione, Esse. C’è sempre una spiegazione. Sta’ calma, rilassati. Ora lo troverai e gli chiederai di chiarire i tuoi dubbi, lui negherà e vivrete felici e contenti.
Stavolta, con la vista appannata e l’orgoglio ferito, vado a finire addosso ad un cameriere facendogli rovesciare il contenuto del vassoio. Mi scuso più volte, aiutandolo ad alzarsi perché troppo in imbarazzo per fare altro. Riesco ad adocchiare Valerie in mezzo alla pista da ballo insieme a qualcuno che non conosco. Oh, al diavolo!
Mi metto in mezzo per attirare la sua attenzione e manca poco che qualcuno mi pesti un piede. Senza dire una parola la trascino via dalla folla per parlarle con più calma in uno spazio più tranquillo.
«Ehi, ehi, ehi, Esse. Sapevo che ti sarebbe stato d’incanto questo vestito! Sei meravigliosa. Aspetta... ma dov’è il tuo bel cavaliere?», domanda confusa guardandosi attorno.
«Val, mi ha mentito! Quell’idiota mi ha teso una trappola! Era tutto un gioco per lui, io ero uno stupido passatempo. Non ero nient’altro che questo. Una scommessa! Perché l’ha fatto, perché?!», urlo come una forsennata, gesticolando. Ed io odio gesticolare.
«Esse, sta’ calma!», mi interrompe Valerie bloccandomi le mani lungo i fianchi.
«Adesso troviamo insieme quello stronzo e cerchiamo di capirci di più su questa storia. Ma devi calmarti, okay?! Ci sono anche dei bambini qui, li spaventerai fuori di testa come sei adesso».
Respiro più volte, cercando di calmare i battiti accelerati del mio cuore. Capite perché tendo a nascondere tutti i miei sentimenti? Non portano niente di buono se non delusioni. Ti oscurano la lucidità, non ti permettono di agire con logica. Ti devastano.
«Perché tu non sei stupita, Val? Tu lo sapevi, non è così?!», sbraito ancora stizzita, le mani incrociate al petto.
«Certo che no. Cielo, Sarah, non ti avrei mai permesso di avvicinarti a lui se avessi saputo questa cosa. Sono tua amica, capisci? Anche se a volte mi comporto da stronza io ti voglio bene e ti giuro che appena entra nel mio raggio visivo gli apro in due il culo. E poi riservo lo stesso trattamento a Coop».
E quindi Valerie mi abbraccia ed è la prima volta da quando la conosco che fa una cosa del genere. Lei odia le smancerie. Mi stringe forte e mi sussurra di rilassarmi mentre qualche lacrima sfugge al mio controllo.
«Ci sono cascata, Val, è questo che mi fa più male. Lui... sembrava così sincero...», mormoro con la voce rotta dal pianto.
Qualcuno irrompe nell’atmosfera, brandendo un microfono ed annunciando che l’asta sta per avere inizio. Decidiamo di spostarci da lì e di metterci a cercare l’infame.
Forse è questa la vendetta di Alice. In fondo, il gruppo delle sue sostenitrici è molto ampio, forse hanno addirittura mentito riguardo la scommessa, sapendo che io potessi ascoltare essendo loro dinanzi. E così mi viene un’illuminazione. E poi trasalgo.
Merda.
«Val, so dove si trova Price. Vieni con me!», esclamo tirandola per una mano facendomi largo in mezzo alla bolgia.
Raggiungiamo in fretta le scale ed io sono tentata di togliermi i fastidiosi tacchi ma poi ricordo che sono Louboutin e soprattutto che sono di Valerie e potrei rovinarle o perderle e continuo la salita con lei al mio fianco.
«Dove stiamo andando? Le stanze solitamente qui su sono sempre chiuse!»
Scuoto la testa, decisa. «No, fidati, qualcuna deve per forza essere aperta. Price non può essere scomparso nel nulla da un momento all’altro. Mi gioco queste scarpe che è con Alice». Parlo troppo in fretta senza rendermi conto di quello che dico riguardo le sue scarpe.
«Sarah, ti giuro che se non hai ragione ti infilzo con il tacco delle mie scarpe».
Le sorrido bonaria e prendo a forzare ogni porta. Le prime tre risultano chiuse, come da programma. Ad un certo punto Val mi chiama dicendo di averne trovata una aperta e marcio verso di lei a grandi falcate.
Spalanco la porta senza sé e senza ma e come mi aspettavo vedo due sagome rotolarsi nel letto e baciarsi piuttosto appassionatamente, con tanto di lingua. Bleah, che schifo. Sembra si stiano succhiando via  i denti. Non so per cosa sono più disgustata, per il fatto che non si siano accorti di avere spettatori e continuano alla grande, senza pudore, o per il fatto che il mio, e sottolineo mio, Price si stia facendo la sua ex, dopo aver usato me alla stregua di una futile scommessa.
Ci pensa Valerie a spostarmi dall’uscio con uno strattone e a chiudere la porta alle nostre spalle. Vorrei accasciarmi a terra e piangere ma questo parquet sembra troppo prezioso per essere sporcato del mio mascara e quindi mi trattengo più che posso. Mi limito a sospirare stancamente e ad appoggiarmi alla ringhiera per riflesso, per non cadere. Forse ho fatto bene a non approfondire il rapporto più del dovuto con Price. Sono ancora in tempo per cancellare ogni sentimento, ogni cosa bella che abbiamo fatto insieme prima che mi venga in mente di dire: “Sono innamorata di lui”. Cazzo, forse lo sono già. Incubo. Voglio svegliarmi adesso.
«Ci deve essere una spiegazione, Esse. Per forza. Quel sedere non mi sembrava di Price, fidati quando vedo un sedere come il suo, sebbene fasciato da jeans, non lo dimentico facilmente», prova a sdrammatizzare Valerie ed io scoppio a ridere.
«Dio, le feste a cui metto piede sono maledette. Non c’è altra spiegazione», commento con una vena triste ma convinta alzando gli occhi al soffitto dipinto a mosaico.
«Ma no, è che qui non servono tequila. La tequila ti rende migliore la vita, è un dato di fatto. Lo dice NYMagazine, non io», si stringe nelle spalle ed io scuoto la testa divertita, ringraziandola mentalmente per ciò che sta facendo.
«Peccato, quella testa di cazzo mi piaceva. Sei sempre stata con dei coglioni con poco cervello e quasi tutti pervertiti, ti meriti qualcuno di buono per una volta, che ti voglia bene e che ti rispetti soprattutto. Siamo due ragazze meravigliose e siamo giovani, cazzo, dovremmo divertirci a questa festa di ricconi, bere, ballare, sborsare altri migliaia di dollari dal conto di paparino per quest’asta per fare qualche azione giusta e gratificante! Che ne dici, amica, ci stai?»
Mi sfugge un sorriso alle sue parole e accetto la sua mano per alzarmi. E insieme ci dirigiamo dove si sta svolgendo l’asta allorché Valerie fa proprio ciò che ha detto, offre qualche migliaio di dollari, direttamente scalati dal conto del suo patrigno ed io non riesco a trattenere una risata liberatoria quando tutti i presenti si voltano scioccati verso l’adolescente folle con un patrimonio del genere.
«Sento l’adrenalina scorrere nelle vene, Esse. È una bella cifra e mi sento... una persona migliore. Dovresti provare, sai?»
Annuisco distrattamente perché la mia attenzione è stata catturata da Price in cima alle scale, in perfetto ordine che mi sta fissando profondamente. Più distante con la coda dell’occhio scorgo, vicino a Roy Hopkins, Alice che mi lancia un’occhiata soddisfatta, seguita da un ampio sorriso. Stronza.
Decido di ignorare entrambi perché è ciò che si meritano ma Valerie non è del mio avviso perché, intercettata la mia traiettoria e l’oggetto della mia distrazione, ringhia qualcosa tra i denti come: “Lo ammazzo, quel bastardo”.
«Apprezzo il gesto nobile, Val, ma è una cosa che devo risolvere io. Al massimo gli trancio il cazzo con delle cesoie. E poi potrai pestarlo a sangue, se ti va».
«Con piacere...», conclude lanciando a Price uno sguardo carico d’odio e raggiungendo Marissa e Coop che stanno chiacchierando ai divanetti con altri ragazzi.
«Chi ha voglia di un po’ di Scotch, ragazzi?», la sento esclamare come una matta alzando le braccia e pescando la fiaschetta segreta dalla borsetta.
Quanto a me faccio cenno con il capo a Price di raggiungermi in un posto più appartato, ovvero l’ampia terrazza che ho adocchiato prima nel lato est della casa.
La tensione è chiaramente palpabile. Nessuno dei due fiata. Si odono solo i respiri di entrambi, il mio stranamente calmo e rilassato, il suo più agitato.
«Senti... mi dispiace averti lasciata da sola prima. Ero solo nervoso. E lo capisco se non vuoi più vedermi, sentirmi, parlarmi, mi merito ognuna di queste cose ma... volevo che sapessi che sono stato uno stronzo. Detto da me credo faccia più effetto».
Annuisco a quest’ultima cosa, convenendo a pieno con lui. Ho deciso di non guardarlo in faccia per niente al mondo, la città vista di qui è spettacolare.
«Sarah...», continua imperterrito, alzando una mano, probabilmente per posarla sul mio braccio nudo.
«Smettila di chiamarmi così. Sono Davies per te», lo correggo puntigliosa con una vena irosa nella voce, scostandomi di proposito. Non voglio le sue mani addosso dopo ciò che ho visto e sentito. Aveva invitato me, in fondo, e anche con l’inganno. Almeno poteva portare a conclusione la scommessa, di qualsiasi scommessa si tratti.
«Ti sto chiedendo scusa», ribatte in tono grave spalancando gli occhi.
«A parte che hai detto che ti dispiace, che è ben diverso da uno scusa, non mi importa affatto. Eri, sei e rimarrai un bastardo, Price. Ogni tanto, prova a farti un esame di coscienza e ricorda che ad ogni causa corrisponde un effetto», dico atona.
Alza gli occhi al cielo e fa un gemito esasperato. «Ricominciamo da capo. Sul serio?»
Mi mordo il labbro inferiore e scrollo il capo. «No, ti levo la fatica. Ci ho provato, ho voluto darti una possibilità ma tu mi hai deluso irrimediabilmente e profondamente perciò da domani riprendiamo tranquillamente le nostre vite, senza ulteriori intoppi».
E questo è quanto. Mi volto su me stessa decisa ad andarmene per sempre e quando entrerò in casa mi lascerò dietro un fardello di ricordi oltre che lo stesso Price. I miei tentativi, ciononostante, non vanno a buon fine perché nuovamente mi cinge un braccio facendomi tornare di fronte a lui e sbattendo le palpebre più confuso che mai, continua a parlarmi.
«Che diamine stai dicendo? Ehi, aspetta, riavvolgi, cosa è successo stasera nel tempo in cui non ero con te? Mi sembra che tu sia incazzata per altro. Qualcosa che non ha niente a che fare con la mia sfuriata di inizio serata. Quindi, ora mi spieghi, che ti piaccia o no, altrimenti non ci muoveremo di qui».
«Sei una testa di cazzo, ecco cosa è successo! Vuoi davvero saperlo, eh? Ti accontento con piacere, Mister Price: ma davvero pensavi che fossi così stupida e che non sarei venuta a saperlo prima o poi? La cosa buffa è che io sono andata contro ragione, ho deciso di fidarmi di te nonostante conoscessi i tuoi trucchetti da dongiovanni qualificato. Eppure credevo fosse rimasto in te qualche piccolo barlume del piccolo Price, quello che segretamente mi faceva ridere sebbene le battute non fossero delle migliori. Mi sbagliavo, pazienza. Vengo qui, scopro che quello stesso ragazzo che ha fatto tanto il carino con me l’altra sera a cena mi ha teso un inganno. Spietato anche per te, credimi. Una scommessa, Price, davvero?! Era tutto una menzogna, una presa per il culo, tutto un gioco per te, non è vero?! Be’, ho un messaggio per te, per Alice, per Coop, per chiunque abbia partecipato a: “Umiliamo allegramente la povera Sarah”; Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!», mi sfogo tempestandolo di pugni sul petto ad ogni parola, le guance rigate dalle lacrime ormai copiose, il cuore ridotto ad un macigno insopportabile. Quanto a lui, ad ogni mia lenta parola scuote la testa come per negare il tutto, cerca di interrompermi e intervenire e adesso ha un’espressione ferita ma anche colpevole. Impreca una, due, volte. Maledice Alice, Coop, la scommessa e chi più ne ha più ne metta. Inizia anche a farmi paura.
«No, Sarah... lasciami spiegare, ti prego», interviene con la voce tremante, insicura, quasi spezzata. Tenta anche di fermare i miei colpi ma lo precedo scostandomi di scatto.
«Non mi importa più niente, lo capisci? Mi hai fatto male per l’ennesima volta e hai tradito la mia fiducia e sì...ti odio. Ti odio, hai capito?! Complimenti, hai vinto, stavo per accettare i miei sentimenti ma adesso... mi fai schifo, ecco cosa. Stammi alla larga, chiaro? Non voglio più vederti!»
«Sarah...», una dolorosa supplica che per un attimo, complice il muscolo posto in alto a sinistra, mi fa vacillare. I suoi occhi sono spenti, privi di ogni sicurezza; tenta anche di abbracciarmi mentre io cerco di reprimere continuamente i singhiozzi. Se sono troppo vulnerabile potrebbe approfittarne per indorare la pillola.
«Non... non... non puoi essere così ingiusta. Devi lasciarmi spiegare, me lo devi», mi sussurra all’orecchio provocandomi una scarica di brividi dopo essere riuscito ad afferrarmi e a stringermi a sé anche senza mia consenso e contro ogni mia volontà.
«Lasciami, Price. Non ti devo un bel niente. Lasciami. Mi fai schifo», singhiozzo sfinita, abbandonando completamente ogni vano tentativo e sforzo e appoggiandomi a lui solo per non cadere, causa il tremolio delle mie gambe. Quasi mi soffoca tanto mi stringe ed io non mi sono mai sentita così piccola e indifesa come adesso; posa il mento sulla mia testa e mi accarezza i capelli lentamente. Non so neanche perché ma rimaniamo in quella posizione per molto tempo.
«Ssh, Sarah, ti prego, non piangere. Calmati, adesso, mh? Ti giuro che c’è una valida spiegazione ma ti prego, te lo chiedo con il cuore in mano, non allontanarmi da te. Non posso perderti, non adesso. Ho bisogno di te, capisci? Non lasciarmi...», mormora con le iridi luccicanti di stille, facendo incastrare i nostri occhi e poggiando la sua fronte contro la mia. Annuisco, tirando su con il naso,  iniziando a sentire le palpebre pesanti. Poggia le labbra su una mia tempia e vi lascia un lungo, significativo bacio.
Strano come la vita, il destino, quello in cui credete, qualsiasi forza che muove le nostre patetiche ed umane esistenze, talvolta si combinino in una sola essenza, rendendo tutto così imprevedibile, un po’ con un retrogusto amaro, un po’ con uno dolce; a loro non importa di nulla e di nessuno, agiscono comunque perché questo è il loro compito, come il nostro è quello di alzarsi dopo ogni caduta, che sia molto dolorosa o meno, e riprendere a credere in tutte queste cose nonostante si siano ritorte contro il più delle volte. È così che funziona qui, che ci piaccia o no, e questo e tante altre cose non cambieranno. Mai.

* * *

Se ve lo state chiedendo, no, io e Price non abbiamo avuto proprio quello che considererei lieto fine, anzi... tutt’altro. Alla fine sia Valerie che Marissa, dopo un pigiama party organizzato a casa di quest’ultima, analizzando tutti i vari fattori, mi hanno incitata a sentire le ragioni di Price, sebbene mi abbia causato del male. Quanto a me anche se ancora molto confusa su tutto il fronte, ho deciso, probabilmente in un momento di masochismo cronico, di affrontarlo una volta per tutte. Dopo l’episodio sulla terrazza di casa Hopkins l’ho bellamente evitato, tentando di toglierlo dalla mente con degli scarsi e meschini risultati. Lui ha provato a contattarmi, a cercarmi anche attraverso Valerie che ancora cova la sua spietata vendetta, a tal proposito, sebbene creda, in maniera ridotta, nella sua innocenza. Tuttavia la sua vita ha preso una svolta anche se non molto bella sul fronte “Coop” dalla cena di gala. Anche lei ha pensato di affrontare il suo migliore amico, Wesley Cooper, ribadendogli che oltre ad essere stato un pessimo amico ha avuto anche una pessima idea e che causa i suoi sentimenti sempre più vivi nei suoi confronti avrebbe dovuto allontanarsi per un po’ ma di non prenderla sul personale. Questo ha fatto sì che lei rafforzasse il legame con Marissa la quale è venuta a sapere del famoso bacio in quella famosa notte in cui tutti noi abbiamo fatto le nostre esperienze, prendendo la cosa con filosofia, passando oltre perché, a detta sua, “È questo che fanno le amiche: perdonano sempre e l’amicizia viene sempre prima di qualsiasi ragazzo”. Lei e Coop sono rimasti buoni amici, però. Quanto a lui le notizie sono abbastanza scarse e confuse; c’è chi dice si sia trasferito in Texas, nella sua città natale, in fattoria con i nonni; qualcun altro pensa si sia semplicemente preso una pausa dalla scuola conducendo la vita del nullafacente. Eh sì, è stato perdonato dalla sottoscritta per l’idea idiota che è riuscita a rovinare quel poco di buono che si era venuto a creare tra me e Price. E in un certo senso, mentalmente, ancora lo ringrazio. A rigor di logica se non ci fosse stata la scommessa, io non avrei aperto gli occhi una buona volta e continuerei a fingere di detestare mentre provo qualcosa per Nathan Price. Alice Hopkins – ehi, non si era capito che quella era casa sua? Non preoccupatevi, è stato uno shock anche per me – è riuscita ad ottenere la sua vendetta, alla fine, ed è stata l’unica che non si è scusata, né dispiaciuta anche se ho saputo che è stata ingaggiata in uno stage di teatro ad Hollywood. Ecco, forse lei è la prima persona al mondo che nonostante sia stata stronza non è stata colpita dal karma. Comunque son venuta a sapere dalle stesse due ragazze che hanno fatto circolare la storia della scommessa affinché giungesse alle mie orecchie che Alice ha solo voluto farmi credere che era in quella stanza da letto con Price. Invece era con un suo amico di famiglia, tale Grant Jenner. Assurdo, non trovate? Avete visto che ha combinato il karma a me per aver mentito spudoratamente? Se ci penso adesso mi viene semplicemente da ridere a crepapelle. Ed è così che arriviamo alla causa del mio attuale mal di cuore. Dopo settimane di kleenex fradici, sono giunta alla conclusione che – no, non prendetemi per una frignona, sono solo umana – quella testa di cazzo, quell’idiota e anche noioso di Nathan Price, giochetti a parte, con quel suo semplice sorriso strafottente è riuscito a conquistarmi. Ebbene sì, ho raggiunto – cori entusiasti –  la verità assoluta ovvero che...
sono fottutamente innamorata di Nathan Price. Dei suoi profondi, luminosi occhi blu, del suo modo di passarsi la mano tra i capelli per spettinarli, del suo sorriso sarcastico e/o spesso malizioso, della sua roca risata, del suo modo di punzecchiarmi e del suo modo di farmi uscire fuori di testa anche con una semplice parola, dei suoi abbracci stritolanti, della sua dolcezza celata dietro anni e anni di conquiste, del modo in cui mi dà colpetti sul naso e poi sorride dopo un mio sorriso; eh sì, sono innamorata anche della sua strabiliante cucina. E poi, be’, potrei stare qui ad elencare milioni di difetti e pregi che mi hanno condotta ad amarlo ma non vorrei annoiarvi perché so che morite dalla voglia di scoprire come sono andate le cose tra di noi e forse qualcuno già se lo immagina ma ve l’ho già detto che insieme creiamo il binomio perfetto dell’imprevedibilità?
Abbiamo scelto, di comune accordo, di vederci a casa sua, che non dista molto dalla mia. Non so cosa succederà, sapete, perché non ci parlo dalla sera del ballo di gala, quando mi sono espressa con milioni di insulti alla sua persona, picchiandolo anche. Non so come se la stia passando; mi è capitato qualche volta di incontrarlo per i corridoi scolastici ma prontamente, svoltavo dal lato opposto pur di non avere un confronto diretto con lui. Molte volte mi sono ritrovata ad arrossire come una bambina alla sua prima cotta alla sua vista dei suoi pettorali nudi baciati dal sole caldo primaverile mentre si allenava in palestra. Ehi, non sono una guardona, chiaro? Lui era lì, io anche e l’occhio è andato per i fatti suoi.
Non sono mai stata così in ansia o nervosa come oggi, nemmeno si avvicina a quando la volta in cui l’ho aspettato a casa mia la prima sera che ci siamo visti, il mio attuale disagio.
Ho avanzato e ritratto il dito per suonare una decina di volte in due minuti; alla fine mi son fatta forza e l’ho fatto trillare.
Poi ho pensato di battermela finché fossi stata in tempo ma ho un tempismo che fa schifo e mentre sto indietreggiando la porta viene spalancata di scatto facendomi sobbalzare dallo spavento. Price se ne sta lì, le braccia muscolose e toniche conserte, una T-shirt bianca attillata e un po’ macchiata, dei pantaloni della tuta grigia e la guancia sporca di grasso, i capelli naturalmente lo immaginate, no? Oh, e di diverso dall’ultima volta che ci siamo realmente guardati negli occhi ha della barbetta incolta ma comunque capace di donargli un aspetto impeccabile.
«Davies!», esclama chiaramente stupito di vedermi. Pensava davvero che non sarei andata? Ma per chi mi ha presa?
Serro le labbra, dondolando sui piedi e facendo un cenno nella sua direzione.
«Ehi, Price... ti vedo bene. Un po’ impresentabile ma, fidati, ho visto di peggio», scherzo arricciando leggermente il naso.
«Vieni, entra. C’è del disordine ma mamma è in Texas da Gina e Eustace e papà... be’, lo sai come siamo noi uomini, no?», mi spiega alzando in quel suo modo sexy il sopracciglio, invitandomi quindi ad entrare.
Non c’è proprio niente da fare. Risulterò sempre una patetca imbranata con lui, qualsiasi sia la circostanza che ci ritrae. Ecco, in questo caso per poco non mi sono sfracellata contro il pavimento nell’intento di superare il gradino che separa il pianerottolo e l’uscio di casa. Fortuna che mi abbia presa in tempo, scuotendo simultaneamente e teatralmente la testa per il mio essere così impedita.
«Ce la farai prima o poi a non cadere in mia presenza, Davies? So di farti un certo effetto ma... contieniti», mi canzona ilare scompigliandomi i capelli con un rapido gesto.
«E tu ce la farai a non mettermi in disordine i capelli? Mi va bene che lo fai ai tuoi, sebbene sia snervante a volte, ma i miei non si toccano a prescindere», replico, tentando di risistemarli.
Nathan, che è rimasto appoggiato al muro nella stessa posizione di prima mi osserva divertito.
«A te piace quando lo faccio, non negarlo, piccola», mi contraddice, per il gusto di farlo, immagino.
Ecco. Lo sapevo! A cuccia, farfalline del cazzo, non è il momento. Dovrei essere incazzata e non con l’espressione innamorata per ogni sua mossa.
«Sei impossibile», commento dando un’occhiata veloce agli interni. Non vi entravo da quando eravamo piccoli e non è cambiata di una virgola, se non per qualche quadro nuovo, probabilmente dipinti da sua madre.
«Mi sei mancata, sai?», mi confessa stroncando il silenzio venutosi a creare. Guarda il pavimento e si morde il labbro, a disagio.
«Già, anche a me», gli confido, strizzandogli l’occhio. Non voglio che si crei imbarazzo tra di noi. Non adesso, almeno.
«Se non ti dispiace mi farei una doccia prima. È che stavo cercando di mettere a nuovo la...» – si incupisce, poi sospira –  «...la Mustang del nonno».
Mi si illuminano gli occhi all’improvviso.
«Chris! Dio, se mi manca quel vecchio. Ti ricordi che odiava che tu lo chiamassi nonno? Ti ripeteva sempre: “Giovanotto, io sono signore per te”, cerco di modulare la sua voce facendolo scoppiare a ridere.
«Caspita, è vero! E no, non mi sembra parlasse così, nonno Chris. Era molto più burbero di come si intende dalla tua imitazione».
«Ma che dici? Mi adorava, ero la sua preferita. Mi diceva segretamente che solo io potevo chiamarlo nonno, che sarei stata l’unica a metterti la testa a posto. E in più si schierava dalla mia parte quando mamma voleva che restassi qui contro la mia voglia, quando desideravo giocare con Denise piuttosto che te. E tu ti arrabbiavi, sempre».
Spalanca gli occhi. «Certo che mi arrabbiavo! Tutti preferivano te a me. Persino io. Ma tu preferivi Denise e Tommy e quindi fingevo di avercela con te».
«Lo so, Nathan. Chi credi mi abbia fatto cambiare idea nei tuoi riguardi alle medie? Tu, testa di cazzo, proprio tu. A quel punto eri tu a non accorgerti di me e quindi facevo lo stesso, ti ignoravo».
Scoppia a ridere di gusto. «Tu... tu mi ignoravi di proposito? Sul serio? Abbiamo un innato senso dell’arguzia, non c’è che dire».
«Già. Ora le cose sono come alle medie, vedi? Tu sei la testa di cazzo, io quella che soffre come un cane tentando di
ignorarti. E sai cosa succede quando ci provo? Tu ti insinui nei miei pensieri, mi appari nei sogni e non mi dai un attimo di tregua, così ho provato ad accettarti nella mia vita seppur come pensiero involontario. Carino, non trovi?», chiedo retorica.
«Facciamo così, Blake Lively, dammi solo cinque minuti e sono tutto tuo. Raggiungimi sul tetto», mi istruisce salendo le scale a due, a due senza lasciarmi tempo di replicare alcunché.
Aspettate... avete capito anche voi, giusto? Ha detto... tetto? È uno scherzo o cosa? Alzo gli occhi al cielo decidendo di assecondarlo solo per vedere cosa ha in mente. Vedete? Imprevedibile! Proprio come vi dicevo.
Sembra di essere tornati alle origini. Ha scelto il tetto proprio perché lì è iniziata la nostra, seppur breve, ‘avventura’, ovvero si è accorto che esisto? Chi lo sa...
Stavolta manca la vodka, il vestito perfetto e l’atmosfera invernale. La primavera è alle porte.
Price arriva dopo cinque minuti esatti di orologio, pulito e profumato con una nuova tuta. Mi sorride sedendosi accanto a me, piegando le gambe e poggiandovi sopra gli avambracci.
«Bene, Davies, siamo di nuovo qui. Su un tetto. Non lo stesso, peccato, ma pur sempre un tetto. Qui è dove tutto è iniziato no? Quindi è un buon punto per ricominciare con il piede giusto», afferma saggiamente compiendo con le mani dei gesti. Ho notato che gesticola molto.
«Parliamo della famosa scommessa e del perché tu ti sia avvicinato realmente a me», incalzo io arrivando subito al dunque.
«Okay, bene», conviene annuendo e passandosi la lingua tra le labbra.
«Ehi, aspetta, dobbiamo fare una cosa prima», lo fermo alzando una mano e lui mi fissa perplesso.
«Copia me, dai. Io, Sarah Davies, giuro solennemente di dire la verità e  nient'altro che la verità qualora mi venisse chiesto qualcosa», cito solennemente, un palmo rivolto verso di lui. Lui che si sta trattenendo dallo scoppiare a ridere. Gli do uno schiaffo sul braccio.
«Fingi di prendere sul serio questa cosa, almeno. Ti prego», mormoro, sporgendo in fuori in labbro. Si passa una mano sul viso e geme disperato.
«Se fai così risvegli in me i normali istinti degli adolescenti. Evita».
«Dai, per favore».
«Okay», chiude gli occhi e mi imita. «Io, Nathan Price, sotto ordine di Sarah Davies, giuro solennemente di dire la verità e nient’altro che la verità qualora mi venisse chiesto qualcosa. Sono andato bene, signor giudice?»
«Oh, sì, egregiamente. Forza, sono tutta orecchie», lo incito sorridendo. Lui inizia a torturarsi le mani, evidentemente nervoso.
«Dannazione, da dove comincio?», borbotta tra sé scuotendo la testa.
«Proverò dal principio, d’accordo?». Gli faccio un cenno del mento per incitarlo a continuare.
«Il fatto è che... mi serviva un incentivo. Ti spiego meglio: la sera in cui ti ho trovata da sola sul tetto di casa di Coop ero un po’ schizzato per via del tradimento di Alice e così ho riversato tutta la mia ira su di te, in un modo o nell’altro. Poi, è successo l’inaspettato. È stata colpa mia forse se tu hai perso l’equilibrio e sei scivolata, era il mio compito proteggerti! L’ho promesso a nonno Chris in punto di morte, è stata la sua ultima richiesta. Per tutto questo tempo non ho fatto altro che vegliare su di te. Sì, ho iniziato a seguirti quando uscivi con i ragazzi ed intervenivo facendoli andare via mentre tu con una scusa ti rifugiavi in bagno. Senza offesa, ma te li sei scelti proprio tutti vermi pervertiti».
«Che cosa?! Tu mi hai spiato? Hai idea di quanto sia da stalker questa cosa?», scatto schiudendo le labbra per la sorpresa.
«Lo so, Sarah ma era l’unico modo e poi... avanti, ti ho fatto solo un favore».
Alzo gli occhi al cielo, sebbene questa confessione mi abbia lasciata allibita. Chiudo gli occhi e agito una mano. «Okay, lasciamo perdere. Continua».
«Dicevo... è vero, a scuola ti ho reso la vita un inferno e di questo me ne dispiace un casino ma dovevo trovare il modo di continuare a proteggerti senza che tu lo venissi a sapere, come se fossi una presenza costante ma invisibile. Non potevo permetterti di avvicinarti a me, avrei mancato fede ad un’altra promessa, forse quella più importante, ovvero quella di non innamorarmi di te. Più passava il tempo, più ti tenevo d’occhio, più capivo che fossi una ragazza splendida sotto ogni punto di vista. Avevo bisogno di distrarmi in qualche modo da te e così mi sono messo con Alice. Con il tempo ho imparato ad apprezzarla, a volerle bene nonostante le sue manie di protagonismo e una volta scoperto che se la faceva con Jake, mi è crollato sul serio il mondo addosso. Poi  ho visto te lì sopra, sul cornicione ed ho pensato volessi ammazzarti in un primo tempo; senza contare che non ti avevo neanche riconosciuta subito. Quando entrambi ci siamo accorti l’uno dell’altra tu hai iniziato a metterti sulla difensiva, come tuo solito, a sbraitarmi contro e nell’attimo in cui sei scivolata ed eri ad un passo dalla morte, si è acceso qualcosa in me, qualcosa che ero riuscito a sopprimere fino a quel momento. Ho temuto di perderti per sempre, Sarah... è stato il momento più brutto della mia vita quando ho visto il terrore nei tuoi occhi e quando sei caduta tra le mie braccia non ho resistito a stringerti forte desiderando di non lasciarti mai più. Tuttavia non potevo avvicinarmi a te come se niente fosse, dopotutto ti avevo trattato come se non contassi niente per tutta la vita. Era tutto fottutamente sbagliato. Era stato un errore.
E così, da perfetto codardo, ho accettato quando Coop mi ha proposto quella che è passata come una ‘scommessa’ ma che in realtà era solo questo: un incentivo; un qualcosa che mi spingesse a portare a termine il mio scopo, sebbene causarti del male mi logorava dentro. Il piano era che tu ti saresti dovuta innamorare di me alla fine così tanto che appena avessi scoperto della scommessa avresti preso ad odiarmi e ad allontanarmi perché io da solo non riuscivo a trovare il coraggio di starti a distanza.
Ma ha sortito l’effetto opposto. Ogni momento che passavo con te desideravo non fosse l’ultimo; ho dovuto ricorrere ad ogni mezzo per poter passare del tempo insieme. E poi... quando mi sono accorto di essere fregato ho deciso di cambiare tutto e di trovare il momento opportuno per parlarti di questa cosa ma Alice si è messa in mezzo ed è... andato tutto a puttane. Mi dispiace così tanto, Sarah. Ho fallito. Tu hai finito per odiarmi come speravo all’inizio ma mi sono reso conto, quando ormai era troppo tardi, che non avrei potuto sopportare una cosa del genere perché ero... mi sono innamorato, come un idiota e anche un po’ noioso, di te».
Quando termina il racconto, ho le lacrime agli occhi e non ci vuole un genio per capire perché. Sebbene non sia la migliore delle dichiarazioni, Nathan è stato sincero. E questo mi basta. Tutti i tasselli vanno, in questo modo, al loro posto, creando su per giù un bel puzzle, o per meglio dire... un enigma proprio come quel cretino che mi sta accanto. Se sono ancora arrabbiata? Certo! Voi non lo sareste dopo una confessione del genere? Si è talmente incasinato che ha reso tutto più difficile, per me, per lui, per noi. Se c’è una cosa su cui sbaglia, però, è che io non lo odio, non l’ho mai fatto e mai lo farò e anche se inizialmente mi ha fatto male sapere che il nostro avvicinamento era frutto di un gioco per lui sono arrivata alla conclusione che non ne vale la pena; sforzarsi di odiare qualcuno? È molto più complicato di sforzarsi di amarlo.
Gli cingo la schiena con un braccio e appoggio la testa sulla sua spalla.
«Dio, Price, sei proprio un coglione!», sussurro tra le lacrime, il volto spalmato contro di lui.
«Mi odi, non è vero?»
«Forse. Chi può dirlo?», mormoro sarcastica, per poi specificare: «Idiota! Ma se ti odiassi starei qui abbarbicata contro di te a questo modo?»
Scorgo un mezzo sorriso storcergli le labbra. Poi lo sento sospirare e chiedere: «Sarah... quindi... sono perdonato?»
«Ti avevo già perdonato quella sera!», rispondo scoppiando a ridere per la sua reazione.
Sbianca visibilmente e mi fissa confuso, costringendomi a spostarmi da quella posizione. «Cazzo, ma sei proprio una stronza! Ed io... perché mi hai fatto dire tutte queste cose allora?»
Mi stringo con nonchalance nelle spalle. «Dovevo vendicarmi in qualche modo, no? Ci sono stata molto male, in fondo».
Serra immediatamente la mascella ed il mio cuore ha un sussulto. Dio, mi sto rincretinendo. È solo un muscolo che è guizzato sulla sua guancia. In modo stramaledettamente sexy, ma pur sempre un semplice muscolo di cui siamo dotati tutti. Penso che sia arrivato il momento, anche per me, di essere sincera con lui.
«Ehm... Nathan?», bisbiglio nervosa, mordendomi con forza il labbro. Cosa posso dirgli? “Sai, anche io non sono una santa perché ti ho detto un mucchio di balle continue. Oh, a proposito, sai che non esiste nessun Grant? Non so perché abbia mentito, non lo so proprio”.
«Cosa?». Si volta quanto basta per fissarmi e solo ora mi accorgo che siamo troppo vicini, sopra il metro convenzionale della distanza di un bacio e... lui mi sta deconcentrando oscillando dai miei occhi alle mie labbra. Deglutisco.
«Io...uhm... be’... abbiamo fatto quella sottospecie di giuramento quindi mi tocca», lo avviso, balbettando a tratti, sbattendo le palpebre come se mi fosse entrato qualcosa dentro agli occhi.
Mi gratto la nuca, socchiudendo un occhio e storcendo le labbra in una smorfia. Ciò fa insospettire Price che aggrotta la fronte, il volto imperscrutabile.
«Ti... ti ricordi di Grant, il mio ragazzo?», domando giocherellando con le dita ed evitando tatticamente di fissargli quelle pozze profonde blu.
Annuisce serio dopo aver roteato gli occhi.
«Ehm... ecco vedi, in un attimo di black-out, la mia mente potrebbe averlo semplicemente... inventato». Strizzo gli occhi aspettandomi la sua imminente incazzatura invece sorride. Ed intendo, a trentadue candidi denti e poi si mette a ridere piegandosi in due.
«Perché... come... perché diavolo stai ridendo?», boccheggio a corto di parole e confusa al massimo.
«Ma ti pare che non l’avessi capito? Senza offesa, Esse, ma sei una pessima bugiarda», afferma gongolante mentre mi rifila il solito buffetto sulla guancia.
«Oh, be’, e perché allora non mi hai smascherata subito?», ribatto alzando il mento indispettita.
«Perché eri troppo divertente quando ti innervosivi per le mie continue domande, semplice».
Mi passo le mani sul volto, scuotendo la testa, un po’ divertita. Incredibile. Ed io che pensavo di essere diventata un’attrice nata. Metto il broncio e mi lascio andare di nuovo con la testa su di lui e dopo questo scambio di battute rimaniamo in silenzio per un tempo che sembra infinito, in sottofondo solo i nostri respiri tranquilli ed il mio orecchio all’altezza del suo cuore che batte frenetico.
«Sarah?», mi richiama dolcemente, carezzandomi i capelli.
«Mh?»
«Ricordi quella sera sul tetto di Coop?»
«Come dimenticarla... mi sono quasi ammazzata».
Sorride. «Già. Ricordi che ti ho chiesto un bacio come pegno per averti dato il cappotto? Ho deciso di reclamarlo adesso».
Ridacchio ilare. «Ah, sì?»
«Eh sì».
«Be’, se è così...», mi alzo quanto basta per posare le mie labbra sulla sua guancia stampandogli un lungo bacio, poi sorrido angelicamente tornando nella posizione di prima.
«Cosa? Stai scherzando? Neanche i bambini baciano così! Andiamo, Davies...»
«Non vuoi sapere cosa segna quel bacio, Price?»
Fa su e giù con le sopracciglia. «Fammi indovinare... la tua infantilità e a tratti ingenuità?»
Lo guardo di traverso per l’ultima volta. «Un inizio, Price, è un inizio».

The End
A Tessa’s Tale


  
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