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Autore: Pachiderma Anarchico    09/05/2016    8 recensioni
*Storia partecipante al contest "All the songs makes sense" indetto da Hypnotic Poison sul forum di EFP.*
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“E’ un alieno. E’ il nemico”.
Eppure è così difficile tenerlo a mente quando gli occhi di Ghish sono miele liquido, ardenti nella penombra come metallo fuso e bollente, splendenti nella penombra rischiarata da silenziose comete di passaggio; le belle labbra dell’alieno si schiudono, la sua voce giunge alla ragazza con il sapore di una poesia proibita.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Our love was made for movie screens."
 






Cammina spedita nell’aria umida di Tokyo.
Le strade sono un intrico di rampicanti di asfalto grigio, i grattacieli incombono come mostri al suo passaggio, le nuvole non promettono il sole. Gli stivaletti ticchettano sull’asfalto come una musica regolare e monotona, l’aria viene inghiottita da denso smog nero come l’ebano.

Come se avesse bisogno di presentazione eccola, Tokyo, in tutta la sua sfolgorante bellezza senz’anima.
Come si può odiare una città che brilla di luce propria?
Come può lei, -la romantica ragazza dal lungo cappotto color del corallo e i grandi occhi da cerbiatta- non innamorarsi delle sue strade infinite e del caos vivo dei quartieri popolosi, simili a vermigli fiori pulsanti?
Ma Strawberry non ama Tokyo. Non più.
Le gambe sottili si fermano troppo in fretta quando una figura si frappone fra lei e l’orizzonte.
E’ quella di un uomo.
Alto e armonioso.
Un bellissimo, meraviglioso giovane uomo: i capelli di un nero screziato da riflessi blu come il cielo notturno gli ricadono corti e lisci sulla fronte di caffè-latte; il viso pare una splendida maschera veneziana e, attraverso la camicia bianca, Strawberry vede senza difficoltà le braccia ben definite da sodi muscoli e la vita stretta, segno di un corpo ben allenato.
“E’ un angelo”, pensa la ragazza.
“E’ il tuo angelo”, le rammenta una infima voce all’altezza del suo petto.
Strawberry si scosta la frangia rosso ramato dalle guance e semplicemente attende che il ragazzo la raggiunga.
Perché non le piomberà addosso dall’alto.
-Mark- lo saluta, non appena l’altro si china sulle sue labbra.
E’ un bacio breve, sussurrato.
Mark non la tocca con trasporto, non lascia scorrere le sue mani sul corpo della sua compagna: non lo farebbe mai nel bel mezzo di una delle strade più trafficate della più affollata metropoli del mondo. Si limita a sorriderle, a prenderle la mano, a trasmetterle quel senso di placida, assoluta sicurezza che volteggia nel calore del suo sguardo, nella docile curva della bocca, nella lieve stretta delle sue falangi.
Perché Mark sa di Paradiso.
E perché allora Strawberry, che ha combattuto per il Paradiso, che ha combattuto per una vita in cui lei e Mark potessero essere due ragazzi normali sulla soglia del loro grande amore, vorrebbe tramutare quel sincero sorriso in un ghigno malizioso?
Perché quel sorriso, così incantevole, così… angelico, le sconquassa l’animo nel profondo facendole desiderare di essere in un altro mondo?
Un mondo dove gli occhi non sono blu, come quelli di Mark, ma d’oro, e non sono gentili e prudenti, ma bellicosi e brucianti.
Quasi li può vedere, Strawberry, quegli occhi, quando il ragazzo le si fa più vicino: gli occhi che non ha mai dimenticato.
-Ti va di dormire da me stasera? I miei sono a Dubai.-
-Certo, Mark.-
Strawberry non risponde di “No” a Mark, perché non si risponde di “No” al Paradiso.
 
-No.-
-Come sarebbe a dire no?-
-Quello che hai sentito. Non metterò quel vestito. Mi toccherebbe rianimarlo d’urgenza se mi vedesse con le gambe scoperte a quel modo.-
Lui si era avvicinato. 
Silenzioso e agile, era scivolato dietro Strawberry con la grazia di un alito di vento. 
Strawberry osservò con estrema attenzione il riflesso di lei e Ghish nello specchio, lui alto e magro, vestito in abiti umani che non riuscivano ad occultare il pallore delle sue mani, l’aggraziata forma del suo corpo, la bellezza del suo viso.
-E’ uno spreco- disse.
-Che cosa?- Strawberry guardò il riflesso dell’altro.
-Lasciare quelle meravigliose gambe coperte- e il suo respiro fresco le si infranse sul collo. 
–Micetta.-

 
-Micetta.-
Una voce diversa si insinua prepotente fra le sue palpebre distratte. Non è la voce che avrebbe voluto sentire, ma non lo dice. Sbatte le palpebre, scuote la testa, non ci crede.
Mark non la chiamerebbe mai in quel modo.
-Strawberry, guarda che bella micetta.-
E infatti non l’ha fatto.
Le manca il respiro, più violentemente di altre volte, come se la realtà avesse preso a schiaffeggiarla.
Forte, molto forte.
-Scusami- sussurra al ragazzo dalla pelle di bronzo che le cammina accanto.
-Per cosa?- Mark le lancia un cipiglio allarmato. –Per cosa ti stai scusando Strawberry?-
Perché dovevo dirtelo che i tempi cambiano, l’innocenza muore e il bene non accelera i battiti del cuore.
-Perché ieri non ho risposto al tuo ultimo messaggio. Mi sono addormentata.-
-Scherzi? Non devi preoccuparti di questo, piccola.
No, Mark, Strawberry non deve. Ma lo farà lo stesso.
In cuor suo lo sta facendo anche adesso, con la tua mano forte a riscaldarle il palmo e la tua voce colma di premura che non valica i muri della sua anima.
Perché la tua voce è dolce, e carezzevole, e comprensiva.
Ma non è la sua voce.
-Ci vediamo dopo, d’accordo? Ho promesso a Ryan di incontrarmi con lui e le altre al Caffè.-
-Non c’è problema. Stasera alla solita ora? Volevo parlarti del viaggio di nozze… potremmo andare lontano… ti porto via, Strawberry.
La familiarità di quelle parole le si insinua nel respiro spezzandoglielo in due, recidendo il coraggio di andare avanti.
Ma Mark la bacia con il suo affetto, con l’amore a fior di labbra e un lieve tocco sulla guancia.
Non può immaginare cosa accade nell’animo della ragazza, quale battaglia impari si consumi all’interno delle sue ossa infreddolite.

-Ti porto via, Strawberry. Anche se dovessi aspettare tutta la notte. Anche se dovessi aspettare tutta la vita.-
Le promesse di Ghish non erano promesse d’amore, ma preludi di guerra.
La voleva, in un modo che avrebbe dovuto terrorizzarla, ma Strawberry, con le labbra esangui dell’altro sulla pelle della spalla e la stanza immersa nel buio come sua complice, non riusciva a frenare l’accaldarsi della sua pelle nei punti dove lui passava.
Ghish non era come gli altri. Ghish non era come Mark: non stava mai lontano dal suo corpo, non chiedeva il permesso per entrare dalla finestra aperta della sua stanza, e quando il suo sguardo scivolava lento su di lei, Strawberry poteva giurare che le fiamme dell’Inferno vi ardessero dentro. 
Non come gli occhi calorosi di Mark, con quella piacevole fiammella nel blu delle sue iridi.
L’Inferno.
E Strawberry, la paladina del bene, la protettrice dell’umana stirpe, lo scrigno altruista e coraggioso in cui gli altri riponevano la loro fiducia, la guerriera che gli faceva la guerra il giorno, gemeva al tocco delle sue mani la notte, gli si issava sopra, e le punte dei capelli rossi sfioravano il ventre candido dell’alieno.
Lui si avvicinava e lei glielo lasciava fare. 
Lui la toccava e, Dio, Strawberry si vergognava come una ladra.

Lui le lasciava i segni delle unghie e lei il giorno dopo li copriva con il suo orgoglio.

-Sono passati tre anni Strawberry.-
-Sto bene Ryan.-
-Ti conosco Strawberry, oramai ti conosco.-
-Ho detto che sto bene. Andiamo, cosa potrebbe non andare? Sto studiando per laurearmi nel lavoro dei miei sogni, ho una famiglia strepitosa, delle amiche fantastiche, un fidanzato perfetto che presto sposerò e ho salvato la Terra dalla distruzione.-
-Hai dimenticato una cosa, Strawberry.-
-Sarebbe?-
-Di salvare te stessa da quello che provavi per lui.
-Tu non hai idea di quello che provavo per lui.-

-Ti piace Tokyo Ghish?-
Le stelle erano così vivide quella notte, una spruzzata di gioielli su una distesa nera.
Una mano percorreva il contorno gelido di una tegola, con l’altra Strawberry sfiorava quello affilato del ragazzo sdraiato sul tetto affianco a sé.
“E’ un alieno. E’ il nemico”.
Eppure è così difficile tenerlo a mente quando gli occhi di Ghish sono miele liquido, ardenti nella penombra come metallo fuso e bollente, splendenti nella penombra rischiarata da silenziose comete di passaggio; le belle labbra dell’alieno si schiudono, la sua voce giunge alla ragazza con il sapore di una poesia proibita.
-I miei nonni l’anno vista nascere, i miei genitori l’hanno vista crescere, io la vedrò morire.- si fermò un attimo, le parole come carta di vetro. –Non mi piace Tokyo, Strawberry.-
La ragazza lo guardò, si sporse su di lui, le mani corsero ad aprire un bottone della sottile maglietta che indossava.
-Perché?-
Non si era resa conto di sussurrare fino a quando non lo fece, troppo vicina al volto dell’altro per negare di non scorgere i tratti felini dei suoi occhi infiammarsi.
-Perché non posso affezionarmi a ciò che perisce.-
Le stelle, su in cielo, danzavano al ritmo dei loro respiri.
Era bello, e Strawberry, sdraiata sul suo addome asciutto, con le cosce di Ghish a cingerle i fianchi, non poté fare a meno di ripeterselo, più e più volte, come se questo bastasse a giustificare le sue mani che gli accarezzano impudicamente i muscoli delle braccia, la lingua che si insinuava nella clavicola, i brividi di inebriante piacere che lo strusciarsi dell’alieno le stavano provocando.
-Come se potessimo scegliere di chi innamorarci.- 
Le parole sgusciarono fuori come tempesta, fuggirono via come criminali.
Quando sorrise la pelle del viso di Ghish si tirò sugli zigomi, accentuandone la pienezza.
Michelangelo avrebbe amato i dettagli dell’alieno, pensò Strawberry, con la sua inumana bellezza dalla carnagione bianca come marmo, delle ciglia color del petrolio lunghe e arcuate come nessun mascara umano avrebbe mai potuto rendere.
-Sei innamorata di me, Strawberry?-
Strawberry si irrigidì, ma non si mosse.
Era così facile per lui: era talmente schietto e terribilmente sfrontato e incredibilmente affascinante nel farlo.
“Come posso innamorarmi del cattivo?”
Proprio lei che nei romanzi si scioglieva dinnanzi all’eroe di turno, al principe, al borghese buono e gentile che, con i suoi modi autentici e semplici conquistava il cuore della dama ribelle.
Ma questo era un altro film, un film dove la fanciulla, segretamente, tifava per il cattivo.
E i modi di Ghish non erano buoni, né gentili, né semplici.
Ma Strawberry era una ribelle, e ai cuori ribelli non si comanda.
Proprio lei, che leggeva Jane Eyre e aveva imparato a memoria ogni battuta di Romeo e Giulietta, si sciolse, come allora, come sempre al suono di una parola, una soltanto. 
-Micetta.-
Le loro labbra s’incontrarono ancora una volta, quelle fredde dell’alieno, quelle accaldate della ragazza che, stretta al suo petto, poteva avvertire i forsennati battiti del cuore al di sotto della pelle immacolata, immacolata come il bene a cui era votata, immacolata come la neve del Canada nella quale era affondata quando era piccola, durante un viaggio con i suoi: allora sembrava tutto così semplice, i fili del destino si intrecciavano come scarlatti nastri di velluto a quelli della sua anima, e le certezze di quella bambina dalle labbra a forma di cuore e i capelli di mogano rossastro erano quanto di più puro esisteva al mondo. 
Adesso quella stessa bambina, un po’ più adulta, un po’ meno pura, aveva gli stessi capelli rossi sparsi per il tetto come lunghi tentacoli di rubino, e le sue labbra a forma di cuore recavano i morsi degli appuntiti denti del cattivo bello e dannato.
Strawberry credeva nelle favole, credeva nel vero amore, credeva nei finali felici. Credeva in Mark e nei suoi occhi innamorati; credeva in Ryan e nella sua limpida devozione al bene; credeva nel giuramento in cui aveva riversato tutta se stessa. 
Ma nessuno le aveva detto che sarebbe stato tanto difficile scindere il bene dal male; che il suo cuore avrebbe seguito il ritmo di una canzone sconosciuta, che i suoi vestiti da angelo  sarebbero caduti da qualche parte, che la notte l’avrebbe trovata ansimante fra le fiamme dell’Inferno, e che le sarebbe piaciuto.

 
-Strawberry… sembri una principessa.-
La ragazza lo è davvero, con quel lungo kimono di raso tradizionale che le fascia la vita sottile, un intricato motivo aureo ricamato all’altezza del seno da cui si dirama una gonna morbida, lieve come una cascata di velo e oro. Le sottili dita sollevano un diadema sfavillante da cui scende un lungo velo orlato di rosso, il più bello in circolazione: un regalo di Pam.
La ragazza, lo pone fra i capelli acconciati in uno stretto chignon, pochi sono i boccoli che sfuggono all’acuminata morsa dei fermagli di perle e il volto è truccato con maestria dalle tonalità del rosa cipria, un tocco di malva sulle labbra, una spruzzata di brillantini d’argento sulle guance, ombre nere e avorio sulle palpebre. Si sente bella Strawberry, si vede bella: dopotutto è il giorno del suo matrimonio.
-Grazie Mina.- 
Strawberry le rivolge un sorriso a piene labbra mentre osserva la smorfia emozionata dell’amica nel riflesso raggiante dello specchio.
Mina è splendida nel suo abito da damigella blu cobalto e le sinuose gambe da ballerina, ma i suoi occhi la scrutano con circospezione, come se si aspettasse di vederla strapparsi il velo da un momento all’altro e disfare i capelli attraverso cui non passano le dita.
Lui amava passare le dita nei lunghi fili di rame di Strawberry, lei lo sa. Perché Strawberry aveva rabbrividito nel rivelarglielo, la notte in cui Profondo Blu si portò via il suo cuore.
-Sai che… se ci hai ripensato… Mark è perfetto, lo sai, ma… voglio dire…-
-Le principesse sposano i principi, Mina.- la ragazza si sente sospirare impercettibilmente. Le parole pesano più del previsto sulla lingua. Ma deve dirle, deve dare forma ai diamanti grezzi che le scartavetrano l’anima. –E Mark lo è, un principe. E’ l’eroe della mia storia.-
Solleva l’orlo dell’abito quel tanto che basta per avanzare, sicura nello sguardo fermo, determinata nei raggi di sole che si posano sulle sue braccia bianche quando si ferma sulla soglia del santuario.
Gli occhi di sua madre si stagliano come fari lucenti in un mare in tempesta, suo padre è al suo fianco, la ragazza avverte il tremito del braccio a cui si è appesa, quasi desiderando che accada qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma è una principessa, e le principesse combattono per il bene e vincono il male, non se ne innamorano.
E’ un’eroina, e le eroine si ergono nel celeste del Cielo, dove cantano gli angeli, prive di paura, prive di tentazioni, prive dell’assordante sensazione che, se non fosse successo quel che è successo, non ci sarebbe stato Mark ad attenderla all’altare, oggi.
Il suo promesso sposo è una visione, un dio disceso in terra, con il suo abito giapponese oro e bianco come quello di Strawberry che gli fascia il corpo come una nuvola di seta e sabbia.
Le porge la mano, lei la prende. Pronta, fedele, leale.
Leale alle sue amiche, che sanno cosa transita nei suoi ricordi, un treno che non partirà mai più, ma le lasciano comunque fare l'errore più grande della sua vita, perché rispettano la sua cocciutaggine; leale a MewBerry, che ha sempre saputo che le storie hanno un lieto fine abbastanza grande da obliare tutta l’oscurità del passato; leale alla mano calda di Mark, all’emozione che gli impasticcia la voce quando pronuncia il “Sì”.
Spera di essere un’attrice abbastanza brava da convincere anche se stessa quando toccherà a lei promettere eterno amore al compagno al suo fianco, una galassia di meravigliose stelle danzanti.
Ma non è la sua galassia, e Strawberry lo sa.
La sua galassia è lontana, sconosciuta, dirompente, protagonista di un film che non vede i buoni trionfare.
MewBerry potrà anche non avere dubbi su quale sia il bianco e quanto distante sia dal nero, ma Strawberry solleva gli occhi da cerbiatta sul sacerdote e sa che il lieto fine non cancella l’oscurità, quando l’oscurità è l’unica cosa che hai amato.
In Mark non c’è malizia, ombra, furia, pericolo, imprevedibilità, scricchiolii, sussurri rochi, baci ardenti e mani bramose, no, in Mark vi è solo il bene.
E a Strawberry questo non basta più.
Ma quando giunge il suo momento e le labbra, le labbra che ricordano tutto e ricordano bene, le si schiudono per rispondere al sacerdote e giurare dinnanzi agli dei che questo è tutto ciò che vuole, Strawberry scorge un baluginio dorato da qualche parte, fra la turgida fiammella di una candela e il vetro color del petrolio di una delle finestre e sente una voce infantile al di là della porta aperta del santuario, probabilmente quella di un bambino che gioca con un gatto e che dice “Micetta”, e il “Sì” che prende vita dalla sua bocca si incrina a metà, mozzandosi come se l’avessero pugnalata fra le costole e i polmoni.
Mark attribuisce il moncherino della sua voce all'emozione, i presenti applaudono, cori entusiasti di auguri avvolgono i due sposi, e nessuno sembra notare che Strawberry non è più in quel film. 
 


 
  
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