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Autore: Nuel    09/05/2016    17 recensioni
Cersei e Jaime Lannister hanno diviso tutto nella vita, a partire dal grembo materno, tutto per tornare ad essere una persona sola, ma la morte di Myrcella, figlia prediletta per cui Cersei aveva immaginato una vita lunga e felice, spezza quel legame che sembrava destinato a durare in eterno.
♣ Questa fanfiction si è classificata seconda al contest "Sibling memories - Di sorelle e fratelli" indetto da Angyefp sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cersei Lannister, Jaime Lannister
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Incest
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La colpa del fodero e della spada

§



C’era stato un tempo in cui loro due erano stati uno soltanto.
Poi era venuto il momento della nascita, della divisione, dell’essere due metà incomplete, in perenne ricerca l’una dell’altra.
    Cersei si era chiesta a lungo perché gli dèi agissero in maniera tanto crudele, aveva avuto tutto il tempo di porsi domande senza risposta, tra le noiose ore di preghiera nel tempio e i pomeriggi vuoti a ricamare… se solo un ago avesse potuto diventare una spada.
    Nonostante la sua indole fosse la medesima di Jaime, il lord loro padre aveva disposto diversamente per lui e lei: una spada a Jaime, un ago a lei.
Poiché, però, non ci si può aspettare che l’acciaio divenga lana o che l’oro arrugginisca, mentre Jaime si temprava, Cersei diventava aguzza come il vetro.
    Poi, Cersei aveva scoperto di poter comunque possedere una spada, e fu di nuovo completa.

*

Cersei aveva stretto i denti, mentre Jaime le stringeva la mano; avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto piangere, ma l’unica cosa che aveva fatto era stato digrignare i denti e fissare gli occhi di lui, così uguali ai suoi, ma così spaventati. Era lei la più forte. A quel tempo, già lo sapeva: Jaime non aveva paura di affrontare il nemico con la spada in pugno, ma temeva tutto quando si trattava di lei.
    «Ancora uno sforzo, maestà», l’aveva incitata il vecchio Pycelle mentre la guardava in mezzo alle gambe, «Ancora una spinta: si inizia a vedere la testa».
    Cersei avrebbe voluto vomitargli addosso tutto il fiele che le sue dolci labbra sapevano sputare quando si contorcevano per il disgusto o per il dolore; aveva già messo al mondo un figlio e, mentre quelle pavide oche delle sue ancelle pregavano la Madre, nel tempio di Baelor, lei aveva tratto la sua forza da Jaime, dal padre dei suoi figli, suo fratello, l’altra metà di se stessa.
    Un’altra contrazione, una spinta, anche se il dolore era tale da sembrarle che una spada la stesse tagliando in due, la spada di Jaime, che nove mesi prima aveva infilato dentro di lei quel seme che ora spingeva per uscire. Cersei aveva piantato le unghie nel dorso della mano di lui, si era morsa il labbro per non gridare, ma alla fine l’aveva fatto. Odiava essere una donna.
Aveva gridato fino a lacerarsi la gola e aveva spinto, maledicendo silenziosamente ogni maschio che l’aveva relegata al ruolo di fattrice.
    Maletto il lord suo padre, Tywin Lannister, che l’aveva venduta come una giumenta da monta.
    Maledetto il re suo marito, Robert Baratheon, che si ubriacava e chiavava ogni puttana dei Sette Regni, ma per lei aveva solo disprezzo e umiliazioni.
    A quel tempo aveva provato una sottile soddisfazione nella consapevolezza che i suoi figli fossero figli di Jaime e non di Robert. Solo una volta il seme del cervo aveva attecchito nel suo ventre, ma non era sopravvissuto. Come poteva sopravvivere, un cervo, nel ventre di un leone.
    «È una femmina, maestà!», aveva detto Pycelle, sollevando il corpicino lordo di sangue, la pelle rossa e raggrinzita, un mostriciattolo come ogni neonato, ma era una femmina e questo cambiava tutto. Cersei non avrebbe saputo dire cosa aveva provato, era troppo stanca, sfinita.
    Jaime aveva sorriso, guardandola incantato e commosso, senza poter stringere al petto sua figlia, ma lei aveva trattenuto il fiato fino a quando il Maestro non aveva detto: «È sana, vostra Grazia», solo allora le era parso di tornare a respirare.
    «Una bambina», aveva sussurrato, il volto rigato da lacrime stremate, una bambina, Myrcella.
Tutto quello che lei non aveva avuto, avrebbe fatto in modo che Myrcella lo avesse, una vita libera, in cui essere più che un oggetto. Avrebbe fatto in modo che Myrcella ottenesse il potere per fare e per essere quello che avrebbe voluto.
    Non come lei.
    Non come lei.
    Aveva stretto la mano di Jamie, tra loro uno sguardo che diceva tutto; non avevano bisogno di parole per comprendersi. I loro figli erano l’incarnazione di un miracolo: loro due di nuovo uniti, una cosa sola, e Joffrey ci sarebbe sempre stato per sua sorella come Jaime c’era sempre stato per lei, ma non sarebbe stato come era per loro, perché Myrcella sarebbe stata una persona completa.
    Myrcella che Tyrion aveva venduto a Dorne in nome di un’alleanza politica.
    Myrcella che era tornata a casa privata del futuro.

    Gli occhi di Cersei piangevano ancora una volta lacrime che, in realtà, lei non aveva più, espropriata della sua ragione di vita, del suo riscatto. Spergiura non per propria volontà, ma per volere di dèi crudeli: aveva promesso a Myrcella che sarebbe stata felice, amata, che sarebbe stata madre, e ora giaceva esanime davanti a lei, sotto un sudario dorato.
    Quali dèi la stavano punendo e per quali colpe? In base a cosa decidevano il fato di un essere umano? Non era forse ancora una bambina lei stessa, quando le era stato profetizzato che avrebbe visto morire tutti i suoi figli? Che colpe aveva allora?
    Avrebbe voluto sapere se, se non avesse mai udito quella profezia, essa si sarebbe avverata comunque. Avrebbe voluto avvolgere le mani intorno al collo della strega che l’aveva pronunciata e stringere, stringere. E gridarle di renderle i suoi figli, la sua Myrcella, almeno lei, che era stata la più dolce delle creature, capace di illuminare persino la tenebre del suo cuore.
    Le campane suonavano a lutto, un'eco lugubre che si spandeva sopra la città al tramonto, come erano echeggiati i suoi passi sul pavimento di pietra di Castel Granito, rimbalzando tra le alte pareti, dopo che aveva incontrato la strega di Essos in quella fetida baracca nel bosco.
Cersei era corsa a cercare Jaime, col fiato corto e il cuore in tumulto. Non voleva avere paura, ma ne aveva. Non voleva mostrarsi spaventata, fragile. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere. Nessuno.
    Aveva trovato Jaime nel primo posto in cui l’aveva cercato: la sala d’arme, rifugio, tempio più sacro di quello consacrato, pregava con la spada, suo fratello, tutto in lui era acciaio, punta e filo tagliente. Se solo avesse potuto trascorrere quel giorno a tirar di spada con lui…
    Come era arrivata, Jaime aveva volto lo sguardo verso la porta spalancata, come se avesse saputo che lei era là. I loro occhi si erano incontrati e lei, indifferente agli sguardi del maestro di scherma, gli si era buttata tra le braccia. Jaime l’aveva stretta, ascoltando il suo respiro accelerato, il battito del suo cuore, erano entrambi sudati, le guance accaldate premute una contro l’altra.
    “È successa una cosa”, aveva bisbigliato lei e lui l’aveva stretta più forte, la spada nella sua mano destra frapposta tra loro e le insidie del mondo. Jaime l’ascoltava. “Ho incontrato la strega. Mi ha fatto una profezia...”.
    “Ti difenderò sempre”, le aveva detto Jaime, prima ancora di sapere cosa le avesse detto quella donna orribile.
    “Lo so”, aveva risposto lei, poco prima che la septa irrompesse, la sottana nera che le frusciava intorno ai piedi stanchi e la rimproverasse per essere sgusciata di nascosto fuori dal castello. Aveva minacciato di dirlo a loro padre. L’aveva presa per mano, trascinandola via dall’abbraccio di Jaime, blaterando di lezioni di danza e di preghiere nel tempio, ma finché fossero stati nello stesso castello, nessuno, nemmeno il lord loro padre, avrebbe potuto dividerli, e così, dopo la cena solitaria nella stanza che, per punizione, non poteva lasciare, Jaime aveva trovato il modo di raggiungerla.
    Erano così uguali. Così uguali.
    Se si fossero scambiati ancora le vesti, se si fosse tagliata i capelli, Cersei avrebbe ancora potuto essere scambiata per lui, che con due piccole mele verdi strette al petto e un velo sul capo poteva ancora essere scambiato per lei.
Si erano seduti sul letto, parlando piano perché nessuno potesse sentirli, la zanzariera del baldacchino abbassata, ad avvolgerli, placenta di candida garza che li isolava dal mondo come un tempo aveva fatto il ventre di loro madre.
    Jaime le aveva accarezzato i capelli biondi e le aveva baciato innocentemente le labbra. Era innocente il loro amore. Gli aveva raccontato della corsa nel bosco, della strega e della profezia, e lui le aveva detto che erano sciocchezze, ma che avrebbe ucciso la strega per lei, se avesse voluto.
    “Uccideresti anche gli dèi, se io te lo domandassi?”, gli aveva chiesto con civetteria.
    “Non sfidare gli dèi”, l’aveva avvertita lui, posandole un altro bacio lieve sulle labbra.
    “Vuoi dire, se esistessero!”, aveva riso, adagiandosi sulle coperte. Jaime si era steso accanto a lei, occhi negli occhi, un’immagine riflessa nello specchio.
    “Lo sai cosa fanno gli uomini e le donne stesi sullo stesso giaciglio?”, le aveva chiesto, accarezzando la forma acerba del suo seno, fasciato dal corpetto di velluto rosso ricamato con filo d’oro.
    Era passato molto tempo da quando avevano visto i cani accoppiarsi nel cortile e la lady loro madre li aveva scoperti ad imitarli; Cersei, ormai, sapeva cosa facevano gli armigeri di loro padre con le serve, dietro le porte chiuse, ma lei e Jaime non sarebbero mai stati come loro: “Patetici tentativi di diventare uno soltanto”, rispose mentre Jaime calava su di lei con dolcezza, infilando una mano sotto la sua sottana e respirando dalla sua bocca, un’umida schermaglia di spade snudate tra chiostre di denti spalancate.
    Era stato quello il suo peccato? Amare ed essere amata? Cercare di rimediare all’errore della natura che aveva diviso in due ciò che avrebbe dovuto restare unito? Era arroganza voler rimediare agli errori degli dèi? Perché, se esistevano, era indubbio che avessero sbagliato.
    Quella notte, non per la prima né per l’ultima volta, la spada di Jaime era tornata nel suo fodero e non per lussuria, non era stato peccato, o sarebbe stata peccatrice ogni onda che, dopo essersi infranta sulla spiaggia, faceva ritorno al mare.
    L’ultimo rintocco tacque, il silenzio era nero come il cielo sopra la città.
    Prima dell’alba del nuovo giorno, Cersei si trovò ad invidiare suo padre. «Triste il destino del genitore che sopravvive ai propri figli», mormorò con voce arrochita dal pianto, e quel destino si era abbattuto per la seconda volta su di lei, recidendo più tagliente e più crudele dell’acciaio di Valyria, non solo il legame con Myrcella, ma anche quello che nemmeno il venire alla luce era riuscito a spezzare, perché quello che Cersei aveva capito già da tempo, a differenza di Jaime, era che se fosse stata un uomo, sarebbe stata lui e, pertanto, di lui avrebbe potuto fare a meno.

 
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È la prima volta che mi cimento con il fandom di GoT e spero di averlo fatto in maniera accettabile.
Amo questa coppia, per la verità ho un vero e proprio kink per l'incest!, ma dato il regolamento di EFP mi sono dovuta trattenere. ^^'
Ringrazio tutti coloro che hanno letto questo mio piccolo delirio e che lo vorranno commentare. Se volete, potete seguirmi su FB o pormi qualsiasi (beh, facciamo quasi) domanda su ASK.

E ora veniamo alle note vere e proprie:
♦ L'incontro di Cersei con la strega avviene nella puntata 5x01
♦ La vicenda narrata si colloca, in modo un po' alternativo, durante l'episodio 6x01. L'evolversi del sentimento di Cersi per Jaime è una mia personale interpretazione.
♦ Questa ff si è classificata seconda al contest "Sibling memories - Di sorelle e fratelli" indetto da Angyefp sul forum di EFP.
♦ L'immagine di copertina è di Orpheelin.
   
 
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