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Autore: SSONGMAR    09/05/2016    3 recensioni
(Seconda parte de “L’oceano tra noi”) L’oceano e poi noi, rappresenta il seguito de “L’oceano tra noi”, fan fiction ambientata in una Seoul odierna e che narra la vicenda di un amore scelto dal destino, di due persone distanti che si incontrano in quella che reputeranno la loro isola felice.
Riuscirà l’oceano a non essere più un ostacolo ma un punto d’incontro? E soprattutto, riuscirà l’amore a trionfare ancora?
L’oceano… e poi noi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Seungho, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alzai lo sguardo verso l’imponente stabile che sorgeva ai miei piedi e cavai dal petto il respiro necessario a procedere. Osservai ciò che mi circondava con curiosità e ammirazione, inglobando dentro anche il più piccolo dettaglio.
L’immobile si presentava, come tutti gli altri, alto e prestante, dall’intonaco grigio e fondamenta nere.
Un enorme cartellone pubblicitario, in formato pop art, era posto in verticale sullo stesso: “Def Dance Skool” e l’insegna a caratteri cubitali mi fece comprendere che mi trovassi nel posto giusto.
Ero completamente sola nel centro di Gangnam, a cercare di occupare un piccolo spazio in quella nuova ed enorme realtà.
Era ormai trascorsa una settimana dal mio arrivo in Corea, sei giorni dall’incontro casuale con i ragazzi e dalla chiacchierata servita a darmi il coraggio necessario a proseguire secondo i miei piani.
In quei giorni non avevo fatto altro che pensare alle parole di Byunghee, ed in cuor mio avevo cercato di dare loro un significato trasversale a quello che lui realmente aspirava. Sospirai al pensiero che mi carezzò la mente ed infine decisi di avanzare, stringendo al petto il mio portafortuna.
Mi fermai di fronte alla porta in vetro e ricontrollai l’e-mail che mi era stata inviata dal CEO, la stessa che mi aveva completamente colta alla sprovvista, stravolto l’anima, lasciandomi incredula ed emozionata. Avevo conosciuto la scuola per puro caso in un giorno ordinario e, con la stessa casualità, mi ero ritrovata nel gruppo ufficiale dei trainee stranieri, dove una donna dai capelli rosa shocking appuntava di volta in volta i diversi workshop ed audizioni globali in collaborazione con diverse case discografiche.
Avevo sin da subito pensato che quella fosse un’opportunità che non avrei dovuto perdere, che ancora una volta mi sarei potuta mettere in gioco per dimostrare a me stessa, e agli altri, ciò che ero in grado di fare nell’istante in cui la musica ed il ritmo si impossessavano del mio corpo.
Diversi giorni dopo avevo inviato un’e-mail con la mia candidatura in formato video con performance annessa, ed ecco che il CEO era stato ben lieto di invitarmi nella loro struttura per un’audizione.
Avanzai di qualche passo e la porta in vetro si aprì davanti a me. Entrai e fui immediatamente avvolta da un’aura particolare e speciale. Un uomo di media statura mi venne incontro a braccia aperte, avvicinandosi con un sorriso compiaciuto in volto. Indossava degli abiti sportivi, prevalentemente pantaloni e t-shirt nera con qualche disegno qui e lì, un cappello con visiera e la scritta “Dodgers” in bianco che pareva risaltare il tutto «benvenuta» esordì col sorriso «lei deve essere..» continuai io titubante «Yang Sun Kyu» mi interruppe lui «sono il CEO». Mi era capitato di vedere qualche sua foto tramite il suo contatto facebook ma di persona era davvero tutt’altro. Percepii in quel momento il bisogno di supporto morale, di una figura amica che in quel momento non era accanto a me e che, probabilmente, non ci sarebbe stata più.
«Sia io che i coreografi della scuola abbiamo visto la tua performance. Ciò che ci ha maggiormente colpito è stato lo stile particolare che ti caratterizza, in grado di unire la tenacia e la forza del pop alla delicatezza del classico-contemporaneo. La tua audizione avverrà tra un’ora, quindi hai tutto il tempo necessario per prepararti. I camerini sono al piano superiore al settore B, non puoi sbagliare. Ci vediamo dopo e fighting!».
Il signor Yang si allontanò, congedandosi con un semplice inchino che ricambiai tempestivamente. Strinsi appena la tracolla che avevo indosso e feci un respiro profondissimo, osservando quella quotidianità che mi circondava. «Piano superiore settore B» ripetei a me stessa, percorrendo gli enormi corridoi isolati dai rumori prodotti dalle classi nelle quali delle persone stavano provando. Mi fermai davanti ad una di esse e mi trattenni ad osservare dal vetro la coreografia che i ragazzi stavano eseguendo. Rimasi sbalordita dalla loro bravura, coordinazione e dalla tecnica perfetta che traspariva da ogni movimento «non è semplice arrivare a questi livelli» aveva detto una voce femminile. Ritornai in me stessa e girai appena il capo alla mia destra, ritrovandomi degli enormi occhioni azzurri ad osservarmi. Riconobbi immediatamente i suoi capelli rosa e l’immancabile rossetto rosso messo con la speranza di far sembrare le labbra molto più carnose «tu devi essere Mar, ti ho riconosciuta e in un certo senso mi ricordo di te». La ragazza aveva allungato la mano destra verso la mia, salutandomi nel buon e vecchio modo occidentale «anch’io ti ho riconosciuta» di rimando le sorrisi cordiale stringendole la mano «sono davvero felice dell’opportunità che mi è stata concessa» ammisi sincera «mi chiamo Irma» continuò lei «e sono la coreografa per le classi kpop, ma penso che questo tu lo sappia già». Irma era di origini irlandesi, trasferitasi in Corea del Sud per inseguire i suoi sogni e lavorare come coreografa presso la Def Skool. Prima di partire avevo fatto in modo di documentarmi sulle persone con le quali avrei collaborato, nel caso l’audizione fosse andata a buon fine, per evitare equivoci o brutte figure «è un piacere conoscerti Irma». Pensai che a quel punto con G.O e Mir l’ultima volta fossi stata in parte sincera, poiché avevo accennato loro di un’agenzia che mi interessava e la Def Skool poteva essere una buona scusante.
Ad ogni modo il tempo stava scorrendo via velocemente e non mi ero accorta che ormai mancava mezz’ora alla mia audizione. Salutai immediatamente Irma emozionata ed agitata, e mi apprestai a raggiungere i camerini ripetendo ancora mentalmente la loro posizione, quasi come fosse una cantilena.
Mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso tra una calca di persone e per un soffio riuscii ad infilarmi e trovare un posticino libero in cui spogliarmi e magari scaldare qualche muscolo. Gradualmente stavo iniziando a rendermi conto di dove mi trovassi sul serio, e lo capii a causa del mio corpo che iniziò a tremare in una maniera quasi incontrollabile. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, mettendo in atto qualche tecnica imparata durante le lezioni di pilates. Dovevo rinvigorire mente e corpo, concentrarmi e dare il meglio di me stessa.
Poco dopo nella confusione attraversai l’ampio corridoio dalle pareti colorate sulle quali si apriva una serie di porte. Mi feci coraggio e superai alcuni ragazzi in fila con dei numeri appiccicati al petto.
Alla fine del corridoio un’addetta era intenta a rovistare in un armadietto, richiamai la sua attenzione e mi feci affidare il mio numero: il 16. Lo osservai e mi sembrò un piccolo scherzo del destino, o forse un segno che mi avrebbe aiutata a superare anche quell’ostacolo.
Era ormai arrivato il mio turno ma il tempo sembrò fermarsi. Le lancette dell’orologio affisso alla parete smisero di emettere il loro ticchettio e le persone intorno interruppero i chiacchiericci o le preghiere fatte sottovoce.  Superai in parte la paura e, fatto un bel respiro, entrai.
L’aula era ampia e luminosa col pavimento in linoleum ed un’enorme fila di specchi. Nella parte opposta lo stereo e la postazione delle persone che avrebbero presenziato alla mia audizione. Vi erano quattro posti, tutti occupati tranne uno. Mi posi al centro della stanza e feci un enorme inchino, abbassando la testa sino alle ginocchia in segno di rispetto. Il signor Yang con la mano mi indicò lo stereo ed io con un cenno del capo mi avvicinai, notando il mobiletto olivastro sul quale era stipato. Sfilai dalla sacca la mia chiavetta usb e la inserii nello stereo, recuperando un paio di scarpe da carattere che indossai immediatamente. Ritornai nuovamente al centro della stanza e la musica partì riempiendo l’intera aula.
Vidi i giudici sorridere alle prime note accennate e, quando la voce di Janet Jackson partì con Feedback, ecco che cominciai a muovermi anch’io, presentando loro una coreografia heels che avevo studiato e montato appositamente per quell’occasione. Mi persi completamente nella musica, dimenticando dove fossi e lasciando lontane le persone che mi circondavano, comprese quelle che dall’esterno stavano assistendo alla mia audizione.
Prima che la musica terminasse, lasciai che il mio corpo fosse guidato dai sentimenti, ed eseguii un freestyle continuando sulla rotta dell’improvvisazione. Le sensazioni che sentivo al petto erano delle più disparate e in un secondo i miei pensieri furono trasportati indietro nel tempo, al giorno in cui misi piede alla Jtune per la prova che precedeva il mio ingresso come ballerina degli MBLAQ. Quella volta avevo eseguito un pezzo modern, ben diverso da quello che stavo ballando al momento.
La musica d’un tratto si fermò ed io mi lasciai cadere al suolo, col fiato imprigionato nella gabbia toracica. Apparentemente la mia performance sembrava terminata, ma come da coreografia tolsi le scarpe restando a piedi nudi. Mi alzai sulle ginocchia tenendo la testa bassa e gli occhi chiusi, percependo lo sfumare della musica. Udii in quel momento la porta aprirsi ed un leggero bisbiglio accrescerei tra i presenti; immaginavo che il quarto giudice fosse arrivato, quindi continuai a tenere la concentrazione acquisita all’inizio. I secondi sembrarono interminabili e in quello squarcio di tempo sentii il vigoroso strusciare della sedia, poi un silenzio quasi assordante. La musica cambiò e con essa i movimenti del mio corpo che divennero lenti e sinuosi, quasi come fossi mossa dal vento. Cominciai a danzare un pezzo contemporaneo sulle note di Craig Armstrong, Finding Beauty. Danzai ad occhi chiusi, quasi come se fossi l’unica persona presente in quell’aula. Sfioravo con le mani ed i piedi nudi il pavimento sotto di me, rotolavo su di esso quasi come se volessi imprigionarmi al suo interno e divenirne un tutt’uno. I capelli scivolavano sulle mie spalle, e quando la musica divenne più vigorosa, ecco che aprii gli occhi.
Sentii le pupille dilatarsi dalla sorpresa ed il cuore cadere al centro del mio stomaco. I giudici applaudirono alla mia performance e la musica cessò di riempire la stanza, eppure io non riuscivo a sentire o percepire nulla di tutto quello. Solo rimasi pietrificata davanti ai suoi occhi che mi fissavano con altrettanto stupore. Capelli color dell’ebano, pelle chiara e delicata: cosa ci faceva Cheondung seduto tra i presenti?
A stento riuscivo a comprendere se si trattasse di sogno o realtà. Vidi le sue labbra schiudersi come intenzionate ad articolare un qualche suono, ma il signor Yang non tardò a prendere parola e richiamare solo in parte la mia attenzione «era questo quello di cui ti parlavo» iniziò «sei riuscita a creare un mix di stili senza lasciare che creassero tra loro un contrasto, una combo abbastanza difficile ma interessante. Per me, come penso anche per gli altri giudici, sei dei nostri».
La gioia che in quel momento invase i miei sensi era difficile da spiegare, nonostante fossi ancora stupita e confusa. Portai le mani al petto e feci nuovamente un profondo inchino, con gli occhi che divennero immediatamente lucidi offuscandomi la vista. Guardai ancora Cheondung che in quel momento aveva fatto un sorriso e, nonostante vedessi male, notai le sue tenere guance e gli occhi luminosi.
Dovevo lasciare quella stanza, congedarmi e festeggiare il mio ingresso in quella scuola, ma non riuscivo a fare nulla di tutto quello. Nemmeno i pensieri riuscivano a raggiungere tali intenzioni.
Irma mi guardò con interdizione mentre Cheondung si alzò dal suo posto facendo strusciare nuovamente la sedia «la accompagno io fuori, signor Yang» aveva detto, avvicinandosi a me ed afferrandomi per i polsi.
Mi trascinò fuori dall’aula, lontano dagli occhi dei presenti che dall’esterno bisbigliavano tra loro. Notai degli sguardi d’ammirazione nei miei confronti, altri di intesa ed alcuni di disprezzo e gelosia, come naturale che fosse. Ci fermammo ad un distributore e Cheondung prese per me del latte alla fragola «deve esserti seccata la gola» commentò porgendomelo, con una dolcezza disarmante «Cheondung..» mormorai io, stringendo tra le mani la confezione quasi come fosse un piccolo trofeo. Lui sorrise ancora accomodandosi alla poltroncina sistemata contro il muro «cosa ci fai qui?» gli chiesi «io qui ci vivo, tu piuttosto» commentò lui con una risata sarcastica «no, no intendo dire cosa ci fai qui alla Def Skool».
Lo vidi fare spallucce con lo stesso sorriso disegnato in volto «in realtà non sarei dovuto essere qui oggi» cominciò «è stato un vero e proprio caso. La persona che avrebbe dovuto prendere parte alla tua audizione è un mio amico, coreografo della scuola. Questa mattina ha avuto un contrattempo e ha chiesto se potevo sostituirlo, sapendo che avevo il giorno libero» fece ancora spallucce «ero ad Incheon, praticamente a due ore di distanza, quindi per questo motivo sono arrivato in ritardo» si giustificò «non sapevo nulla della tua audizione, né che tu fossi tornata in Corea. Avrai capito che anche per me è stata una vera sorpresa» lo vidi sorridere ancora ed in quel momento la voglia di abbracciarlo e stringerlo forte era tanta, ma mi limitai ad annuire «sono rimasta completamente pietrificata nel vederti» ridacchiai «è stata una sorpresa davvero meravigliosa». Mi accomodai alla poltroncina accanto a lui e cominciai a bere il mio latte alla fragola. Avevo incontrato un altro componente della mia famiglia felice e non potevo che esserne più entusiasta. Lo guardavo, lo osservavo e non potevo fare a meno di notare quanto fosse cambiato. Adoravo il colore dei suoi capelli e lasciai che lo sguardo si posasse sulle sue spalle larghe e forzute, seguite dalle braccia che trasmettevano sicurezza e protezione «ma come mai sei qui?» chiese nuovamente lui, interrompendo i miei pensieri «è semplicemente per l’audizione o c’è qualcos’altro?».
Due anni prima Cheondung, così come gli altri, era stato testimone dell’amore sbocciato tra me e Seungho. Ricordavo perfettamente le volte che mi ero ritrovata a piangere contro il suo petto e stretta nel suo abbraccio, quindi mi sembrò giusto dirgli la verità. Non avevo dubbi sul fatto che potessi ancora fidarmi di lui, o sul fatto che avrei potuto farlo sempre, ma non sapevo come stavano le cose tra loro e se potessi solo pronunciare quel nome.
Cheondung si accorse della mia titubanza e con dolcezza mi accarezzò il braccio infondendomi una sicurezza che mi mancava. Lo guardai e lasciai trasparire la mia necessità e, senza parlare, mi ritrovai nuovamente contro il suo petto, stretta nel calore del suo abbraccio. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare percependo tutto l’amore fraterno che sentivo nei suoi confronti. Avrei voluto dirglielo.. “oh Cheondung, quanto ti voglio bene”, ma preferii tacere. Mi staccai solo poco dopo, quando l’abbraccio aveva dato i suoi frutti e gli sorrisi «ero molto arrabbiata con te» gli dissi semplicemente, notando la sua espressione sorpresa «a cosa ti riferisci?» chiese infatti «a tutto quello che è successo quando sono andata via». Lo vidi sorridere un po’ malinconico «ma col tempo ho compreso ed accettato la tua scelta. Non faccio altro che aspettarti, tutti noi non desideriamo altro che vederti brillare ancora». Cheondung mi abbracciò forte. Lo guardai e questa volta mi sembrò lui quello bisognoso ed affamato d’affetto. Gli circondai il busto con le braccia e percepii come i nostri ruoli erano cambiati in quell’istante, quasi come se avessero passato tra loro una sottospecie di staffetta «non vi deluderò ancora» mormorò sottovoce e quelle parole penetrarono sin dentro la mia anima; che strano effetto stavo avvertendo «tu non ci hai delusi» gli confidai sottovoce, scuotendo la testa ripetutamente a destra e sinistra «ti vogliamo bene, siamo affezionati a te come persona e rispetteremo sempre tutte le tue scelte, anche se quest’ultime a volte fanno male. Il fatto che possiamo ancora vederti, stare in contatto con te, per noi è un vero privilegio».
In quel momento sapevo che stavo parlando a nome di tutti gli A+ che avevano sofferto la divisione degli MBLAQ. Ero arrabbiata con Cheondung perché non avrei mai voluto che prendesse quella decisione, ma col tempo avevo compreso che – probabilmente – i motivi andavano ben oltre a quelli che potevamo solamente immaginare. Avevo pensato che era successo tra loro come succede ad una famiglia unita: si arriva ad un punto in cui i figli crescono e son costretti ad abbandonare il nido, ma nulla impedirà mai loro di farne ritorno e sapevo con certezza che sarebbe successo lo stesso con gli MBLAQ.

Verso sera mi ritrovai seduta sul ruvido tappeto in fibra nel mio appartamento in compagnia di Jun. All’esterno la luna pallida era alta in cielo, illuminando l’intero vicinato in sostituzione al lampione che aveva deciso di smettere di funzionare una volta per tutte.
La musica si liberava nell’aria creando un’atmosfera confortevole, mentre tra le mani stringevo una bevanda analcolica acquistata da Jun per festeggiare il mio inizio da trainee preso la Def Skool.
Sul tavolino basso in legno snack e tartine giacevano per metà consumati. Mi sdraiai a pancia in giù stringendo il cuscino al petto affondandovi il viso ed alzai la testa nell’istante in cui percepii lo sguardo di Jun sulla mia figura «quindi che hai intenzione di fare?» mi chiese.
Prima che salutassi Cheondung , ci eravamo fermati a parlare delle cose più disparate e alla fine avevo raccontato lui di Seungho nello stesso e identico modo avvenuto con i ragazzi. La sua reazione era stata alquanto diversa, nessuna risata innalzata al cielo, nessun velo di preoccupazione od esigenza di nascondermi qualcosa. Si era semplicemente limitato ad annuire e darmi un consiglio.
«Andrò ad Anyang» risposi, seguendo appunto il consiglio datomi «Cheondung..» dissi infatti «mi ha detto che domani ci sarà l’open day alla School of Arts, seguito da una specie di festival aperto a tutti. Mi ha confidato che Seungho è solito andarci e quindi c’è la probabilità di incontrarlo» una su cento in verità «ma sarà sicuramente pieno di studenti e potrebbe anche decidere questa volta di assentarsi» fece presente lui. Mi misi seduta stringendo ancora il cuscino e sospirai «hai ragione ma cosa ho da perdere ancora?» lo guardai con occhi supplichevoli «e poi sei stato tu stesso a dirmi che devo fare di tutto pur di chiarire questa situazione». Jun sospirò a sua volta ed annuì «vuol dire che ti accompagno» aggiunse, allungandosi a pendere un altro snack. Feci un balzo felice dal posto e mi fiondai ad abbracciarlo, lasciando scivolare sul tappeto la tartina che stava quasi per addentare. La stessa cadde dalla parte della salsa sporcando tutto «aish guarda che hai fatto» si lamentò lui ma io lo ignorai, poiché ero grata e felice della sua amicizia e dell’aiuto che era da sempre stato disposto a darmi.

Il giorno seguente la mattinata era calda e luminosa – nonostante fosse Ottobre – come uno scorcio d’estate in un periodo invernale sonnolento e tiepido.
Il treno correva veloce sulle rotaie in direzione della città di Anyang, tra una vegetazione ricca e fascinosa.
Jun dormiva tranquillo accanto a me, con la testa schiacciata contro il vetro che rimbalzava di tanto in tanto contro lo stesso, creando un teatrino alquanto divertente. Per quanto mi riguardava, invece, stavo combattendo contro i miei sentimenti e la paura di fallire nel caso lo avessi avuto davanti ai miei occhi.
Mi sporsi appena con la testa all’esterno e respirai in ogni alito di vento il profumo di lui. Mi sembrava di sentirlo sul serio, quel profumo che – anche a distanza di due anni – non avevo dimenticato.
Quando fummo a destinazione, svegliai Jun con pacatezza ed insieme ci dirigemmo verso la scuola.
Risalii una collina e superai un tratto di strada alquanto isolato, col cuore che cresceva di pulsazioni ad ogni passo compiuto. Eravamo ormai arrivati in vetta, in vista dell’enorme scuola, e quando la intravidi, sembrava quasi luccicare davanti a me nella luce sferzante del mattino. Strattonai Jun per il braccio in preda a diverse emozioni.
Ci avvicinammo all’ingresso e notammo un enorme cartellone di benvenuto posto sul cancello di ferro. Intorno a noi una folla schiamazzante di studenti che si riversavano in strada «siamo qui» mormorai quasi in modo impercettibile al mio amico.
Sentii che quello fosse un momento importante nella mia vita, nella mia intera esistenza. Stavo assaporando in qualche modo una fetta del suo passato e, chissà, forse lo avrei riconosciuto tra quella folla di persone dalle divise nere e marrone scuro.
«Va tutto bene, Mar?» Jun poggiò preoccupato una mano dietro la mia schiena, lo guardai ed annuii immediatamente «va tutto bene» dissi, avanzando e facendomi spazio tra la folla.
Ci inoltrammo all’interno del cortile e tra i diversi stand messi lì con lo scopo di presentare ai visitatori le diverse attività che la scuola offriva: canto, ballo, recitazione.. ma della sua presenza nemmeno l’ombra.
Fino a quando delle urla scalfirono completamente il mio sistema nervoso. La sudorazione aumentò come se nulla fosse, il mio corpo ed il mio cuore avevano già capito.
Un paio di ragazzine avevano formato un cerchio intorno a qualcuno. Jun si girò in quella direzione e lo sentii stringermi la mano come mai osato prima. Io lo sapevo; sapevo si trattasse di lui.
Mandai giù nervosamente della saliva mentre il mio cuore cominciò a correre più veloce della luce. Stavo quasi per sentirmi male. La terra sotto i miei piedi stava iniziando a mancare e nel cielo sembrava essersi formato uno strano squarcio.
Girai lentamente la testa e lo vidi lì, col capo chino a firmare autografi.
Era bello, bello da spezzare il fiato, bello come sarebbe stato bello il sole in una giornata uggiosa.
«Mar devi andare da lui» Jun aveva lasciato la mia mano e mi aveva stretta per le spalle portandomi davanti a lui «io..io non posso» dissi tremante «cosa vuol dire che non puoi? Perché siamo venuti fin qui allora?» il tono autoritario di Jun si palesò a me nuovamente. Guardai ancora verso la figura di Seungho ed il fiato mi si spezzò. Avvertii una forte pressione allo sterno «io non ci riesco, non ce la faccio». La reazione che ebbi sorprese anche me. Scossi la testa ripetutamente e le lacrime minacciarono di uscire «Mar al diavolo tutto non può comportarsi così quando avete mischiato corpo ed anima» il tono della sua voce dovette essere più alto del solito, poiché la folla di ragazzine smise di gridare e si girò verso di noi. In quel momento anche Seungho alzò la testa. Alzai lentamente lo sguardo a mia volta con le lacrime ferme sulle guance e di nuovo i nostri occhi si incontrarono: se la sensazione di essere lì non fosse stata così reale, avrei anche creduto di star sognando.
Le sue labbra si schiusero dallo stupore ed il pennarello che stringeva tra le dita cadde al suolo. Lo vidi compiere un passo verso di me, poi un altro e un altro ancora, sino a quando sentii la forza mancarmi ed il buio incombere sulla mia persona. 
  
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