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Autore: Margaret24    09/05/2016    4 recensioni
"Dov'è Ninfadora?" chiese preoccupata. [...]
L'uomo trasse un profondo respiro, sentendo le lacrime salirgli di nuovo agli occhi. Guardò Andromeda, le labbra contratte, e scosse il capo.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Tonks, Famiglia Weasley, Remus Lupin, Teddy Lupin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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“Finché tutto brucia, mentre tutti gridano,
Le loro bugie prendono fuoco, così come i miei sogni,
Tutto questo odio, tutto questo dolore
Io li abbatterò tra le fiamme, finché la mia rabbia regna sovrana.”
(Everything Burns – Anastacia feat. Ben Moody)
 
 
 
Novembre 1998
 
L’enorme atrio del Ministero della Magia sembrava rimasto quasi lo stesso, nonostante gli eventi. Un viavai di mantelli e cappelli a punta, promemoria interuffici, l’odore agrodolce delle fiamme verdi crepitanti di Metropolvere, il suono metallico degli ascensori che si chiudevano e schizzavano in ogni direzione. Solo quella statua gigantesca e sfarzosa era una sinistra novità, abbinata tristemente alla perfezione con il resto dell’arredamento, a ricordare che la strada per risalire era lunga e faticosa: i Babbani al loro posto, insieme ai Folletti e al resto delle Creature, a leccare i piedi dei veri Maghi. Vi era un’amara soddisfazione nella gola di Remus mentre fissava con un cipiglio sprezzante quello che avrebbe dovuto essere il suo posto nel mondo, assolutamente indisturbato in un luogo che fino a qualche mese prima pullulava di Mangiamorte bramosi di ucciderlo. Dopo circa un minuto, Remus cominciò a camminare nella direzione opposta, e si fece strada in uno scomodo ascensore trattenendo ansioso il respiro, mentre nervosamente cercò di coprire con il mantello la targhetta che aveva appuntato al petto. Tuttavia, nessuna delle persone sbatacchiate insieme a lui in quella scatola ondeggiante sembrava voler girarsi a fatica e strizzare gli occhi per leggere Remus Lupin, Registrazione Controllo delle Creature Magiche. Per l’ennesima volta benedisse mentalmente la frenesia di una grande città come Londra, dove sia sopra che sotto l’asfalto ognuno era troppo indaffarato per occuparsi degli affari altrui, cosa di cui lui non si lamentava di certo.
Era stato Kingsley ad incitarlo perché fosse uno dei primi a registrarsi al nuovo elenco dei Lupi Mannari del Ministero. La sua speranza era che l’amico facesse da esempio alla sua specie per incentivare i propri sottoposti ministeriali ad occuparsi della povertà di alcune fasce della popolazione, tra cui i malati di Licantropia. Non aveva usato esattamente il termine “specie” dal momento che Kingsley odiava certe parole discriminatorie, ma alla sua accusa di scarsa autostima Remus aveva risposto con un biasimo di eccessivo utopismo. Ciononostante eccolo lì, a pregare di passare inosservato come sempre, mentre la voce femminile annunciava l’arrivo al Quarto Livello e lui sgusciava fuori dalle griglie dorate senza guardarsi indietro.
Era un semplice corridoio con le pareti grigio chiaro, le luci al neon inutilizzate grazie alle finestre incantate e alcune panche ospedaliere affiancate al muro. Sembrava un ambiente babbano spartano da cui spuntavano qua e là espedienti magici, come la scopa incantata che puliva da sé poco più avanti o quei promemoria volanti che Remus trovava più fastidiosi dei gufi. Fece un respiro profondo e si sedette su una panca asciugandosi le mani sudate sui pantaloni. Da quando era diventato così ansioso? E dire che aveva perso il conto delle sale d’attesa in cui aveva aspettato tranquillamente qualcosa di più importante di una registrazione al Ministero, come un impiego o carte false.
Maledicendosi per essere arrivato in anticipo di ben sette minuti, alle undici esatte si alzò per andarsene, quando una voce tranquilla lo chiamò dalla prima stanza verso destra. Col cuore pesante, Remus bussò alla porta ed entrò.
Era un normale ufficio con i muri bianchi e alte pile pericolanti di scartoffie, che evidentemente non entravano nella modesta libreria sulla sinistra, vicino ad una finestra da cui filtrava una calda luce solare. Una grande girandola colorata vorticava in un angolo producendo una piacevole aria calda con l’odore del mare. Alla scrivania al centro era seduta una giovane strega sulla trentina, con i capelli neri legati in una coda di cavallo e un paio di occhiali dello stesso colore sul naso lentigginoso e leggermente aquilino. Remus si sorprese del proprio repentino cambio d’umore. Le sue spalle si abbassarono, le mani smisero di massaggiarsi distrattamente e all’improvviso si sentì malinconico. Si ricordò non solo del perché era lì, ma anche del perché poteva stare lì, grazie a chi poteva tenere la bacchetta nella cintura senza temere un attacco, e pensò a chi avrebbe dovuto esserci in quel momento a stringergli la mano tremante. In circostanze diverse avrebbe salutato educatamente la signorina alla scrivania, invece avanzò verso di lei e si sedette lentamente sulla sedia cigolante, osservando sconsolato gli oggetti sul ripiano. La strega era impegnata a scrivere qualcosa in fretta su una nuova pergamena e alzò lo sguardo per un fugace sorriso, prima di riabbassare gli occhi castani. Remus notò il retro di una cornice posta al lato della scrivania, un fermacarte decorato con una graziosa sirenetta in miniatura che gli faceva l’occhiolino e parecchi calamai pieni di inchiostro di diversi colori. Finalmente la donna alzò la testa e sorrise leggermente, come se fosse indecisa sull’atteggiamento da assumere con la Creatura che aveva di fronte.
“Buongiorno, signor Lupin” lo salutò tendendo una mano delicata che lui strinse con poca convinzione. Aveva una voce sottile e pacata, sembrava sussurrare come se avesse mal di gola.  “Io sono Gea Spinster, della Divisione Bestie di questo ufficio”. Si risedette, mentre Remus ignorò la solita morsa allo stomaco nel sentirsi definire come una “bestia”. Più che un lupo, il termine gli faceva venire in mente un povero somaro malnutrito e preso a bastonate.
“Credo che lei sia il primo ad essere inserito in questo registro da molti anni” continuò la signorina Spinster sfogliando altre pergamene tenute insieme da uno spago come un libro sottile. Remus continuò a tacere: qualsiasi cosa gli venisse in mente, gli suonava troppo tagliente per essere pronunciata, così semplicemente annuì senza energia.
“Cominciamo allora” riprese la signorina Spinster, incoraggiata dal suo silenzio. Tirò di nuovo fuori il foglio su cui stava scrivendo poco prima e intinse la piuma d’oca nel calamaio.
“Nome completo?” chiese guardandolo.
“Remus John Lupin” rispose quest’ultimo. La Spinster cominciò a prendere appunti.
“Luogo e data di nascita?” domandò mentre ancora muoveva la piuma.
“Londra, il 10 marzo 1960”.
“Residenza?”
“Elsdale Street, a Stepney, Londra”. Per ovvi motivi di sicurezza, non cambiava il suo indirizzo ufficiale da anni. Segretezza era il termine più appropriato.
“Ha titoli di studio?”
“Ho conseguito sette M.A.G.O. ad Hogwarts nel 1977”.
“Esperienza professionale?”
“Vuole anche le occupazioni in nero o solo quelle con un contratto regolare?” sbottò improvvisamente Remus. Non sapeva cosa gli stesse succedendo. O forse sì. Era semplicemente stanco. Stanco e arrabbiato, sì, era arrabbiato col mondo intero.
La strega sbatté più volte le ciglia e distolse lo sguardo, quasi a riflettere su come dovesse comportarsi con lui.
“Mi dica tranquillamente quello che desidera, signor Lupin” disse infine con lo stesso tono di voce. “Questo interrogatorio è pura formalità, finirà presto”
Remus rimase spiazzato dalla sua tranquilla schiettezza, e ciò lo spinse ad un forzato tono gentile.
“Mi dispiace, signorina” disse piano, gli occhi bassi e le labbra strette, “non so cosa mi sia preso”. Rialzò lo sguardo. “Può scrivere che ultimamente ho lavorato ad Hogwarts in veste di insegnante dal ‘93 al ‘94. Occupavo la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure”
La donna rimase a fissarlo con sguardo impassibile per oltre cinque secondi. Remus si chiese se pensasse che la sua era una spudorata bugia. Riprese a scrivere.
“D’accordo” disse, posando di nuovo gli occhi su di lui. “Sa dirmi” cominciò molto lentamente, “quando le è stata diagnosticata la Licantropia?”
Remus non esitò. La voce non gli si incrinò, non si umettò le labbra e non strinse i braccioli della sedia. Avrebbe dovuto? Magari il fatto di essere lì per quello specifico motivo aveva reso tutto così pragmatico. O magari era perché gli era stato già chiesto da persone a cui interessava davvero, come i membri dell’Ordine... Il pensiero non lo fece stare meglio.
“Febbraio 1965”
Ora sì che la Spinster aveva sgranato gli occhi. Remus riuscì quasi a percepire gli ingranaggi frenetici nel suo cervello. Come poteva un Lupo Mannaro che non ricordava nemmeno cosa fosse una vita sana, innocente e indolore, essersi diplomato nella scuola di magia più rinomata in Europa e avervi addirittura insegnato? In un’altra vita, Lupin avrebbe dovuto trattenere un sorrisetto sarcastico. Ora però non aveva tanta voglia di ridere.
La strega si schiarì nervosamente la gola, poi alzò le sopracciglia e chiese nel tono più educato possibile:
“Quindi mi sta dicendo... che lei ha frequentato la Scuola di Hogwarts indisturbato nonostante fosse malato di Licantropia e che poi ci è tornato in veste di professore?”
“Già” rispose Remus con un sospiro teatrale. “Sono un individuo a dir poco irresponsabile, vero?”
L’altra sollevò un sopracciglio con le labbra dischiuse, a metà tra l’incredulo e l’interrogativo.
“Non ho mai ucciso nessuno, glielo posso assicurare” disse Remus facendo spallucce come gli avesse chiesto se preferiva il tè zuccherato. “Fu il professor Silente ad escogitare un modo perché potessi trasformarmi senza mettere in pericolo gli abitanti del castello. Ha presente la Stamberga Strillante? Ecco, mi rinchiudevo lì dentro durante la luna piena”
La Spinster alzò entrambi gli indici e ruotò il capo guardandolo in tralice.
“Aspetti, questo vuol dire” disse con una preoccupante nota isterica nella voce e sbattendo rapidamente le palpebre, “che io ho messo piede ad Hogwarts per la prima volta a undici anni mentre Lei si trasformava in quella catapecchia già da tre anni?”
“Se lei è classe ‘63, direi di sì” annuì Remus serio.
“E il Preside aveva pianificato ogni cosa?” esclamò l’impiegata con voce acuta.
“Aveva tutto sotto controllo, sì” disse Remus. O quasi, pensò ironico.
“E mi dica un po’” riprese la Spinster, questa volta ridacchiando nervosamente, “anche da insegnante si trasformava lì senza che nessuno se ne accorgesse?”
“Non sia ridicola, signorina” la prese in giro Remus, corrucciato. “Quando sono tornato ad insegnare, prendevo la Pozione Antilupo. E comunque sì, gli studenti l’hanno scoperto, alla fine. E mi sono dimesso” concluse semplicemente.
La Spinster si passò stancamente i palmi delle mani sul viso, poi appoggiò la fronte alle dita.
“Lei si rende conto” disse con gli occhi fissi sulla scrivania, “che qui non risulta essere registrato fino ad oggi? Che ha svolto una professione illegalmente agli occhi della legge, dal momento che la Licantropia va dichiarata al Ministero entro un massimo di venti giorni dalla diagnosi e qualsiasi ammissione in un istituto pubblico dev’essere approvata dal responsabile? Oltre a dover informare qualsiasi datore di lavoro prima dell’assunzione?”
“Me ne rendo conto, ma mi permetta di ricordarle che il mio dirigente scolastico, nonché futuro datore di lavoro, era perfettamente al corrente della mia condizione, e nessuno ha mai formulato una legge che impedisse ad un Lupo Mannaro di studiare o di insegnare” ribatté il mago con fare saccente. “Se poi vuole puntarsi sulla mia mancata tempestività a comunicare al Ministero del mio contagio, le faccio notare che sicuramente non sarà questo atteggiamento ad incentivare i Licantropi a registrarsi legalmente”.
La Spinster tacque, la testa ancora sulla punta delle dita.
“Bene” esclamò all’improvviso, e riacquistata la padronanza di sé, rilassò le braccia e riprese in mano la piuma d’oca. “Ora le chiedo solo di dirmi il suo stato familiare e abbiamo finito”.
“Vedovo” sputò Remus freddamente. “Con un bambino a carico”
Questa volta la strega non lo guardò. Inspirò profondamente e a testa bassa disse:
“Posso chiederle se il bambino è suo?”
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Lo sa?” chiese Remus alzandosi di scatto. “Non mi sorprende che non ci sia nessuno su quel registro. Così come non c’è da meravigliarsi se questo posto non ha niente, niente, che funzioni”. Si accorse che aveva cominciato a fremere di rabbia, il cuore che gli martellava nel petto. Ricordò con dolore le parole di una frustrata, sprezzante Tonks, forse pronunciate a Grimmauld Place o all’aperto sotto le stelle, e le ripeté senza inibizioni: “Anzi, è quasi normale che sia stato il primo pilastro a cadere nelle mani di Lord Voldemort nel momento in cui la comunità magica aveva bisogno come mai prima di allora che restasse in piedi. Basta che restiate chini col naso incollato alle vostre maledette scrivanie, con le vostre misere piccole certezze del vostro angolino di mondo, e al diavolo le vite degli altri. Sì, sono un Lupo Mannaro che ha studiato, ha lavorato, si è sposato e ha un figlio suo: e le dirò di più, si è anche schierato dalla parte del Ministero, mentre voi stavate qui a lasciarvi scorrere impassibili gli orrori sotto gli occhi!”
SBAM!
Remus si accorse del violento pugno che calò sulla scrivania solo quando caddero dei fogli a terra.
“Non osi!” strillò la strega respirando pesantemente. Si era alzata anche lei, il volto arrossato e gli occhi che brillavano furenti, la mano chiusa ancora sul tavolo. Non aveva mosso un muscolo al nome del defunto Signore Oscuro, ma il volume della sua voce si era alzato in modo sorprendente. “Non si azzardi mai più ad insinuare una cosa simile! E’ la prima volta che mette piede qui dentro, lei non ha la minima idea di come sia stato combattere da qui, da dietro questi patetici banchetti che lei denigra tanto. Lei non ha il diritto di giudicare chicchessia solo perché pensa di essere l’unico ad aver sofferto, l’unico ad aver visto l’orrore. Lei non sa niente di niente!”
Si risedette lentamente, guardandolo con astio.
“Il colloquio è concluso” sibilò. “Se ne vada”
Remus restò imbambolato per qualche secondo, senza parole. Poi uscì nervosamente dalla stanza con passi rapidi.
 
 
***
 
 
Harry mosse la bacchetta rapidamente, e la pila di piatti di porcellana che fino ad allora era rimasta coraggiosamente in bilico si riversò sul pavimento in un fiume di frammenti bianchi. Ginny ridacchiò e, con un abile colpetto con la propria bacchetta, riaggiustò le stoviglie fino all’ultimo pezzo, come se non si fossero mosse. Ormai era maggiorenne da diversi mesi e, com’era successo a tutti, ogni scusa era buona per usare la magia. Anche prendere in giro il proprio ragazzo.
“Ci penso io ad aiutare la mamma” disse dandogli un bacio sulla guancia. “Tu riposati, che hai già ripulito il giardino”
“I tuoi fratelli mi hanno aiutato” cercò di obiettare lui.
“Allora ti affido il compito di andare ad intrattenere gli ospiti” rispose lei alzando il mento verso il giardino, dove un gruppo di persone stava chiacchierando allegramente attorno ad un lungo tavolo di legno illuminato da lanterne sospese a mezz’aria. Harry sospirò e annuì, avviandosi verso gli amici. La verità è che aveva bisogno di qualcosa di pratico da fare, qualcosa che gli tenesse la mente occupata. Era così da... beh, dalla sconfitta di Voldemort. Capiva perfettamente perché la signora Weasley non si riposava un attimo, non si fermava mai, sempre affaccendata. In quel momento stava posizionando due vasi di glicine sul tavolo, con scherzoso disappunto dei presenti. La sentì brontolare che non andava mai bene niente a nessuno e la vide mettere un solo vaso al centro, mentre l’altro lo portò con sé in cucina. Incrociò Harry, e gli diede un buffetto sui capelli corvini, scompigliandoli più di quanto non fossero già. Gli era grata, come lo erano molte persone, anche se lui non riusciva a concepire appieno il dono che aveva fatto loro. Se n’erano andate tante persone, in fondo. Ed era ancora ossessionato dal pensiero che gli sarebbe bastato accelerare un po’ le cose, avrebbe potuto avere un briciolo di coraggio in più, un qualche maledetto lampo d’intuito, per consegnarsi a Lord Voldemort e accogliere la Morte un poco prima che Fred, Tonks e tutti gli altri sacrificassero la propria vita al posto della sua. Hermione lo rimproverava per i suoi sensi di colpa, e sosteneva ostinata che, più che un colpo di fortuna, ci sarebbe voluto un miracolo; cosa in cui lei non credeva ormai, almeno non nel modo in cui ci credevano gli altri. Era tornata qualche settimana prima da un lungo viaggio in Australia, in cui aveva cercato i suoi genitori per l’intero continente, in modo da restituire loro la propria identità, la loro vita e i loro affetti. Aveva temuto per il peggio, quando dopo il contro-incantesimo erano rimasti in stato catatonico per diversi giorni. Solo quando avevano varcato la porta di casa loro in Inghilterra, la loro memoria era risbocciata forte e intatta, come se avessero sempre saputo cos’era successo nello strano mondo della loro amata, unica figlia. Lei e Ron stavano finalmente vivendo una relazione normale, lontana dal pericolo imminente, con i normali battibecchi quotidiani e gli ordinari giorni romantici passati assieme, alternati ai periodi in cui si occupavano delle rispettive famiglie. Ron era rimasto più o meno lo stesso, con piacevole constatazione di Harry. Forse era maturato un po’, forse si era fatto più pensieroso, più preoccupato, ma amava sollevare il morale degli amici e dei familiari con qualche battuta pronta, soprattutto dei suoi genitori. Proprio come quella sera, che stava aiutando suo fratello George a fabbricare i fuochi d’artificio che avrebbero regalato ai Babbani per la festa paesana di Ottery St. Catchpole. Per questo la famiglia si era riunita a cena insieme agli ex-membri dell’Ordine della Fenice, con cui Harry stava ridendo e scherzando finalmente spensierato. Di tanto in tanto, tuttavia, osservava malinconico questo o quel compagno, notando distrattamente quanto di ciascuno fosse cambiato e quanto fosse ancora rimasto.
C’erano Bill e Fleur, che stavano discutendo allegramente con Kingsley sul dilemma se fosse nato prima l’uovo o il drago. I due sembravano in armonia come il giorno del loro matrimonio, e  il Ministro non sembrava affatto un ministro mentre ammiccava ridacchiando contro le loro obiezioni filosofiche e aiutava la signora Weasley nelle consuete faccende domestiche. Percy, accanto alla cognata, giocherellava facendo tintinnare la forchetta sul piatto con aria assente e annoiata: in realtà era costantemente così distante, come se vivesse in un mondo suo. Le poche volte in cui mostrava interesse in qualcosa, era irritato o molto arrabbiato, mentre per il resto del tempo lo si vedeva raramente insieme agli altri. C’era anche Hagrid, che stava scuotendo il capo e agitando le manone, mentre Lyall Lupin insisteva per versargli altro vino nel bicchiere. Anche Andromeda Tonks, di fronte a loro, scuoteva la testa, ma con un cipiglio di disapprovazione che a Harry ricordava tanto la professoressa McGranitt. Accanto a lei c’era Remus, che dondolava ritmicamente il piccolo Teddy sulle gambe, mentre quest’ultimo fissava il gigante con occhioni curiosi e il naso sempre più simile a quello di Hagrid. Remus, dal canto suo, aveva conservato molte cose in quella guerra: aveva sempre quello sguardo attento e sagace, a differenza di Percy, e parlava a tutti con il suo tono affabile e tranquillo. Non poche persone si erano rivolte a lui per delle rassicurazioni o timide confidenze, perfino George era riuscito dolorosamente ad aprirsi con lui, ed Harry stesso vedeva in Remus il fratello di suo padre, lo zio che avrebbe voluto avere. Eppure, nessuno aveva più rivisto il suo sorriso dalla Battaglia di Hogwarts. Nessuno aveva più sentito la sua risata, non avevano più notato un lampo divertito nei suoi occhi, o uno sbuffo sarcastico come quando Sirius lo prendeva bonariamente in giro nella cucina di Grimmauld Place. C’era sempre qualcosa di forzato nella smorfia educata che si limitava a concedere rare volte, e gli unici istanti in cui curvava spontaneamente le labbra verso l’alto, aveva lo sguardo triste rivolto verso Teddy. Quella sera era particolarmente taciturno, come se stesse riflettendo continuamente.
Harry si avvicinò a quella piccola nuova famigliola. Batté una pacca sulla schiena di Hagrid e si sedette sulla sedia vuota vicino a Lyall, indicando il naso sproporzionato del figlioccio.
“Devi farlo diventare più rosso, Teddy, se vuoi che sia uguale” gli disse sovrastando il chiacchiericcio, consapevole che a otto mesi probabilmente non avrebbe capito nemmeno la metà della frase. Al suono del suo nome, però, il bambino si voltò verso di lui e sorrise sgambettando, mentre i capelli cambiavano dal castano al nero. Harry sogghignò a sua volta e gli diede un gentile pizzicotto sulla guancia. Gli piacevano i bambini, ma non sapeva come comportarsi con loro, soprattutto quando si sentiva osservato. Si poteva dire che era più timido di loro.
“Fa progressi con le Metamorfosi?” chiese a Remus, che lo raddrizzò meglio sulle proprie gambe.
“No, è ancora troppo presto” rispose pacato lui. Approfittando dell’attenzione del padrino, Teddy prese in mano il suo giochino posato sul tavolo, un pupazzo a forma di lepricano, e tese il braccino dietro la testa. Remus lo bloccò con delicatezza e gli sfilò il pupazzo di mano, mentre il bambino si lamentava con una smorfia sofferente.
“No, Teddy, non lo lancerai per la diciottesima volta” disse il padre con voce dolce ma ferma.
“Iniziano a rendersi conto di poter cambiare aspetto poco dopo che si manifestano i primi poteri magici” spiegò Andromeda sapiente ed entusiasta. Remus sosteneva che le facesse bene stare in compagnia, e a quanto pare aveva ragione. “Nei primi anni imitano istintivamente ciò che li attrae” continuò, “come gli altri bambini copiano chi sorride o chi batte le mani, eccetera”
“Per questo aveva il naso di Hagrid e i capelli di Remus fino a un minuto fa” annuì Lyall allegramente. “E poi sei arrivato tu e adesso ha i capelli neri neri”.
Guarda!
Ginny era corsa a chiamarlo, e adesso gli agitava il braccio indicando il cielo notturno, improvvisamente illuminato dai fuochi artificiali. Ci furono alcuni scoppi, alcuni si coprirono le orecchie con le mani, mentre delle girandole dorate vorticavano scintillanti e i colori esplodevano nel buio. C’erano molte espressioni serie tra le persone radunate attorno al tavolo: quegli enormi nastri verdi e rossi riportavano alla loro mente il fragore della battaglia. Alcuni si erano aggrappati ai braccioli delle sedie o artigliavano ansiosi la tovaglia. Nessuno parlò. E poi...
Qualcuno rise sonoramente. Era il signor Weasley. Rideva e abbracciava la signora Weasley, che guardava scioccata l’enorme sagoma luminosa di un drago sputafuoco che divorava il villaggio in lontananza, per poi svanire in una nuvola di stelle cadenti. I fuochi presero vita in altre pazze forme seguite da altri scoppi, mentre dal villaggio si udivano le grida gioiose dei suoi abitanti e dei loro bambini. Un’esplosione mostrò una gigantesca W e qualcuno gridò “I fratelli Weasley non si smentiscono mai!”. Harry vide la lettera riflessa negli occhi commossi di Ginny, che gli aveva messo un braccio attorno alla vita, e resistette all’impulso di gridare quanto l’amava. Invece posò teneramente la testa sulla sua e diede un bacio ai suoi capelli rossi, accarezzandole la schiena.
“A Fred sarebbe piaciuto” le sussurrò all’orecchio, e la sentì annuire con la testa. Con la coda dell’occhio vide Remus che si era alzato in piedi, cullando un meravigliato Teddy che si aggrappava agli abiti del padre con gli occhi sgranati e la bocca un po’ aperta. Remus prese la sua manina e vi posò le labbra, poi aprì le dita del bambino in direzione delle luci e vi soffiò sopra, guardando il cielo. Non sorrideva, ma Harry poté udire le sue parole affettuose:
“Se soffi, i baci le arrivano prima, piccolo”.
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice
Ciaoooo, boys and girls. Quanto tempo! (Lo so, scusate, meglio sorvolare)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :) Ci ho messo tanta buona volontà, sul serio, odiavo l’idea di lasciare una storia incompiuta, e dovevo trovare il modo di sbloccarmi. Infatti ho in mente molti episodi, capitoli e argomenti di questa FF, ma non essendo una raccolta, mi sento spesso con le mani legate nel tentativo di seguire una logica più dettagliata.
Spero, come sempre, in una qualche recensione da parte dei miei amatissimi lettori, soprattutto dai più affezionati e accaniti <3  
Alla prossima, ragazzi, e grazie veramente per la lettura, per la perseveranza e per il sostegno ;)
Meg
  
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