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Autore: Momoko The Butterfly    10/05/2016    1 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Into the Madness


Capitolo 7
L'ombra oscura prigioniera della memoria



Allen aveva ascoltato in silenzio e con grande attenzione il racconto di Gwen sino alla fine, e quando quest'ultima ebbe finito di narrare del suo primo incontro con Cari, della squisita colazione di Jeryy non ne era rimasta nemmeno una briciola.
Inutile dire che l'albino volle sapere di più, ma la sua ospite non sembrava più incline a continuare: le informazioni che era stato in grado di ricavare costituivano già di per sé una concessione straordinaria e irripetibile da parte della Noah, e una decisione più dolorosa di quanto si potesse pensare: riportare alla luce memorie tanto sbiadite dall'accumularsi di sempre più amari trascorsi davanti ad esse, le aveva fatto capire ancora una volta quanto quella bambina fosse stata un angelo custode, per lei. E allo stesso modo, quanto difficile fosse stato vivere all'ombra di quella colpa orrenda, offuscata dal tempo, che continuava a tormentare la sua anima da quel giorno maledetto.
Una piccola lacrima scese lungo il suo viso chiaro, ora non più contaminato dall'influenza del Noah. Non avrebbe proferito più una sola parola al riguardo, non in quel momento.
- Vi chiedo perdono - asserì Allen, tutto ad un tratto, con voce mesta.
Gwen strabuzzò appena gli occhi, pur senza scomporsi troppo.
- Per cosa? - domandò, mentre si asciugava la guancia col dorso della mano - Non hai fatto nulla di male.
- No, ecco... Vi ho costretto a parlare di qualcosa di triste e lontano. Dovevate volere molto bene a Cari - spiegò il giovane esorcista, che mai avrebbe volutamente agito in modo tale da intristire una giovane fanciulla, chiunque ella fosse.
Più di tutto, però, non voleva mettere la sua interlocutrice sotto pressione: non sapeva cosa le sarebbe potuto accadere in quel caso, e non voleva certo scatenare la sua terribile furia proprio in quel luogo solo per aver osato domandarle più del dovuto.
Tuttavia, la Follia si dimostrò inaspettatamente più calma del previsto. Qualcosa di lei gli suggerì che la rabbia e la frenesia mostrate senza riguardo nella precedente battaglia fossero svanite, o per lo meno, sotto controllo.
- Gliene volevo tanto, sì - si sentì infatti rispondere, con voce guidata da una dolce nostalgia - Ma è normale, ogni tanto, avvertire un senso di tristezza e vuoto pensando al passato; è anche così che ci si sente umani. E non devi scusarti per questo, Allen Walker.
Dopotutto, parlarne era stata una sua scelta. Se non avesse ritenuto di doverne condividere i particolari, avrebbe potuto benissimo non dire una parola sul suo passato. Qualcosa del ragazzo che aveva davanti, però, le aveva fornito il coraggio necessario. Qualcosa che non sapeva spiegarsi, ma che le aveva infuso una rassicurante sensazione di famigliarità. Che fosse a causa del loro primo breve, fugace incontro di pochi anni prima?
Allen si sentì più leggero dopo quell'affermazione; ripensò a Mana, scoprendo di provare la medesima malinconia della sua ospite. Eppure, ancora gli risultava difficile considerarla "umana". Benché il suo occhio non mentisse al riguardo, proiettandogli l'immagine di una donna alta, esile, circondata dalla luce soffusa proveniente dalla finestra e null'altro, dentro di sé non poteva dimenticare le parole di Road Kamelot. Non poteva permettere che una sola conversazione riducesse in brandelli quel che lui aveva vissuto sull'Arca, o che vanificasse gli sforzi e i sacrifici dei suoi compagni. Certo, Gwen era diversa, e probabilmente avrebbe dovuto figurarla come un'eccezione, un caso isolato, ma non avrebbe ceduto le sue convizioni nemmeno in cambio di una prova di fiducia da parte sua. Gli sarebbe però piaciuto tanto poter scorgere, nel mare di tenebre che avvolgevano il suo mondo devastato, un piccolo raggio di luce; un frammento di innocenza, o il battito d'un cuore sincero, pronto a ergersi nella notte dell'umanità. E forse, pensava, Gwen Grey avrebbe potuto sorprenderlo. Non convincerlo, ma solo sorprenderlo.
Tra i due s'instaurò presto un rapporto fatto di cordialità e momenti di quiete preziosi, durante i quali entrambi appresero di più l'uno dell'altra, in un equo scambio d'informazioni che nulla aveva a che vedere con la guerra. Era come se fossero stati due vecchi compagni che, ritrovatisi dopo tanto tempo, parlavano serenamente delle esperienze vissute dal loro ultimo incontro, pur senza trascendere le barriere loro imposte dalla fazione per cui ufficialmente lottavano.
Questo naturalmente preoccupava sia Linalee che Komui, ma la cinese in qualche modo non poteva fare a meno di provare anche una sorta di muto astio nei confronti della donna loro protetta; una linea di sottile accanimento che esternava sottoforma di sguardi e gesti fuori dall'ordinario, per nulla appartenenti alla sua persona e di cui lei stessa nemmeno si capacitava. Linalee non era mai stata una ragazza in grado di esaurirsi in comportamenti vili e scontrosi; ma fin da subito aveva posto tra lei e la Noah una barriera invalicabile di gelide premure che non avevano altro scopo se non quello di ottemperare a un compito che le era stato assegnato, senza cercare nei gentili occhi d'ambra della prigioniera alcuna spiegazione per le sue azioni; ed era sua speranza che Allen facesse lo stesso, senza compromettere ulteriormente la propria delicata posizione.
Lei sapeva fin troppo bene qual'era lo scopo di quella missione, la cui importanza era proporzionale alla quantità di persone che ne erano a conoscenza. Dopotutto, avevano accolto nella loro base uno dei nemici peggiori possibili solo sulla base di un presentimento, di una sensazione. Avrebbero perciò fatto bene a rimanere tutti molto cauti; e pensare al più presto a un espediente che permettesse loro di studiare la Noah senza tuttavia tenere costantemente a rischio tutto l'Ordine.



- Scusate se vi ho fatto venire con tanta rapidità. Credo sappiate già quello di cui sto per parlarvi - ammise Komui Lee, non appena la porta dell'ufficio fu chiusa con un lento cigolio - E' il momento di sbrogliare questa situazione.
Allen e Linalee erano seduti sul divanetto di velluto color salvia, in pose che non tradirono una gerta agitazione; erano settimane che si trascinavano dietro quel segreto, una presenza opprimente e sinistra alle loro spalle. Persino Allen, che più di tutti aveva trovato piacevole la compagnia di Gwen, era ansioso di porre un freno a quel continuo e infinito labirinto di sotterfugi.
- Prima che diciate qualsiasi cosa, debbo informarvi che ho ragionato a lungo in queste settimane su quale fosse la sorte migliore cui destinare Gwen Grey. Quando la portaste qui, decisi che se ne avessi avuto la possibilità l'avrei usata come mezzo per mettere in ginocchio le forze del Conte del Millennio. Usare la sua stessa forza contro di lui, per essere schietti. Ma ho prima bisogno di capire se tutto questo sia attuabile. Se quella Noah non sia un pericolo troppo grande per noi. Allen, tu sei il solo con il quale abbia condiviso qualche informazione rilevante: vorrei che mi riferissi senza esitare tutto quello che hai scoperto.
Allen si alzò dal divanetto, prendendo a girovagare a vuoto per la stanza con fare riflessivo. Poco dopo, espose le sue conclusioni, serio in volto.
- Signor Komui, Linalee... Io... Vi chiedo scusa. Non avevo riflettuto sulle conseguenze che il mio gesto avrebbe portato, e perciò ho tratto in salvo la signorina Gwen, pur conoscendo la sua natura. Ora, in tutta onestà, vorrei che le cose fossero andate diversamente.
Di certo, non era sua intenzione desiderare tutto ad un tratto di aver lasciato morire Gwen Grey nella foresta. Mai simili pensieri avrebbero sfiorato la sua mente.
Ciò che lo angustiava così tanto era un pensiero comune, un ragionamento pieno di sconforto dettato dall'imprevista piega degli eventi: se avesse saputo che tipo di persona era la Noah della follia, avrebbe certamente agito in maniera differente. Non l'avrebbe attaccata, non l'avrebbe ferita al punto tale da farle perdere un braccio. E soprattutto, non l'avrebbe condotta all'Ordine, un luogo più pericoloso per lei più che per chiunque altro.
- Abbiamo trattenuto una persona innocente - continuò, lo sguardo basso, le braccia senza forze stese lungo i fianchi - Gwen non sa nulla del Conte, degli Akuma, della battaglia che sosteniamo contro di loro. Vi è completamente estranea.
- Eppure è una dei suoi migliori alleati! - esclamò sorpreso Komui, il quale successivamente pensò che la donna avesse spudoratamente preso in giro il giovane esorcista.
- In realtà, è stata raccolta dalle strade di Londra appena un paio di giorni prima del nostro incontro. Non era consapevole di essere un membro della famiglia Noah, o di cosa questo significasse per lei.
- Sei sicuro che non ti abbia mentito, Allen? - domandò Linalee, congiungendo le mani in un gesto di preoccupazione e stupore. Il compagno si rivolse a lei e, sorridendo, rispose:
- Non è capace di mentire.
La ragazza gli lanciò uno sguardo perplesso, non del tutto certa di riuscire a crederlo. Una creatura come quella, incapace di mentire? Che sciocchezza!
- Ed è sotto controllo? - chiese Komui, che in cuor suo condivideva i pensieri della sorella.
Il giovane albino annuì senza pensarci.
Gwen Grey era la persona più mite della terra. Ne aveva avuto la conferma a poco a poco, durante i momenti trascorsi insieme. Aveva scoperto tante cose su quella donna soltanto parlandoci, che quasi trovava ridicole le domande del Supervisore e rabbrividiva ai provvedimenti che, in ambiti differenti da quello, avrebbero certamente preso per estorcere notizie e informazioni dalla loro prigioniera.
Ogni pomeriggio, o quando ne aveva la forza, la Noah gli raccontava della propria infanzia, con tono rassicurante e gentile, come se stesse narrando una fiaba. Aveva parlato della volta in cui lei e Cari avevano fronteggiato i bulletti dell'istituto, rimediando lividi e tagli ovunque; e della volta in cui una di loro era stata lasciata senza cena, e l'altra gliel'aveva portata di nascosto. Gli aveva persino raccontato dei loro innumerevoli discorsi, sussurrati alla debole luce della luna, quando tutti gli altri dormivano e loro potevano esprimersi senza timore.
- Ma allora, cosa l'ha spinta ad attaccarti quella volta? - domandò Linalee, senza mascherare il proprio sospetto.
Allen si voltò verso di lei, intristendosi appena - La sua metà Noah. Ha preso il controllo del suo corpo, della sua mente, e l'ha direzionata contro la prima fonte di Innocence che ha saputo trovare, ovvero me. Non ho capito quanto stava succedendo finché non l'ho guardata in volto. Aveva le lacrime agli occhi mentre mi attaccava. Non era quello che voleva davvero, ho pensato, ma prima che potessi provare a farla ragionare, è esploso l'ordigno del signor Albin - spiegò.
- Quindi ti avrebbe aggredito contro la sua volontà? - concluse Linalee, abbassando lo sguardo e impensierendosi.
Komui prese nuovamente posto sulla propria poltrona, dopo aver percorso avanti e indietro l'ufficio ascoltando le parole del giovane Allen.
La questione era ben più complicata di quanto avessero predetto: ciò che aveva sentito era decisamente l'opposto di quanto inizialmente gli fosse stato riferito. Aveva letto accuratamente il rapporto dei due Esorcisti riguardo la missione del nord e l'incontro con la Noah, e tutto quello che poteva affermare adesso era assai labile, una ridicola barzeletta. Pensare che Gwen Grey non fosse realmente dalla parte del Conte, ma si fosse trovata nel mezzo dello scontro senza averlo deciso, in un certo senso lo allietava, perché si trattava comunque di un nemico mortale in meno cui pensare. Tuttavia, le parole di Allen gli avevano lasciato anche una buona dose di dubbio: se la loro protetta avesse nuovamente perso il controllo? Non c'erano garanzie che mantenesse quiete le proprie emozioni, che tenesse a bada il mostro che giaceva dentro di lei. Prima o poi avrebbe scatenato la sua potenza, volente o nolente, e nessuno sarebbe stato capace di fermarla prima di vederla uccidere membri del personale, Esorcisti o altri innocenti. Ma peggio ancora, se anche fossero riusciti ad abbatterla, lui, Allen, Linalee e persino la vecchia capoinfermiera sarebbero stati inquisiti da Sua Santità in persona per quanto avevano osato architettare alle spalle dell'Ordine. Non poteva permettere che una simile catastrofe si verificasse. Che la tranquillità appena ritrovata fosse nuovamente spezzata da altri morti e grida disperate, o dalla macabra visione della sorella al patibolo.
- Allen - disse all'improvviso, uscendo dal silenzio dei suoi pensieri - Ti ringrazio per quanto hai fatto in queste settimane. E anche tu, Linalee, che hai saputo pazientare così tanto.
Pareva che la sorella gli avesse confidato i suoi ripensamenti a proposito della Noah.
- Ma a sentire queste conclusioni, non posso che avvertire maggiormente la gravità del peso che ci siamo caricati sulle spalle. Non possiamo più nascondere Gwen Grey all'interno dell'Ordine, è troppo pericolosa. Quindi, sulla base delle vostre informazioni, ho deciso di allontanarla quanto prima dalla sede, in un luogo in cui potrà essere controllata senza costituire una minaccia per tutti noi.
Allen si avvicinò lentamente alla scrivania del Supervisore.
- Veramente? - domandò, senza sapere se essere esterrefatto o felice. Non avrebbe mai creduto che Komui si fidasse di lui a tal punto. Non lo avrebbe ascoltato, altrimenti, quando gli aveva portato la Noah in fin di vita chiedendogli di aiutarla. Ma ora aveva capito quanto contassero per lui le sue affermazioni, e come volesse appoggiarvisi senza tuttavia mostrarsi diffidente o intenzionato a manipolarne i nobili intenti. Rimanevano ora solo poche questioni da porre al superiore - Dove avevate intenzione di condurla? E quando?
Komui si lasciò scappare un piccolo sorriso - Per ora non ho scelto una destinazione. Dovrò fare alcune ricerche, e organizzare il trasferimento senza che nessuno lo sappia. Ci servirà l'Arca. Vedrò di procurarmi un permesso. Vi farò sapere il prima possibile, ma per il momento, continuate con le vostre normali attività.
- Vi ringrazio, signor Komui - Allen esibì un breve inchino, in segno di rispetto.
Komui ricambiò il gesto dalla scrivania - Mi raccomando, fate attenzione - sussurrò, mentre congedava con gentilezza i due Esorcisti.
Questi annuirono all'unisono. Salutarono il Supervisore e uscirono con calma dall'ufficio. Una volta che se lo furono lasciato alle spalle, diretti verso la mensa, Linalee si rivolse ad Allen con tono severo, bloccandosi con lui su un lato del corridoio.
- Pensi davvero che quella donna stia facendo sul serio? Io non riesco a crederci.
L'albino si mostrò stupito da come l'amica avesse improvvisamente cambiato atteggiamento. Se c'era qualcuno a cui quella situazione non era mai piaciuta, si trattava proprio di Linalee, ed era naturale che serbasse nei confronti della Noah un silenzioso e gelido rancore. In fondo, era proprio a causa dei Noah e degli Akuma che lei aveva perso i genitori, e nonostante apparisse forte e sicura di sé, nel suo animo infuriava una tempesta.
- Voglio darle una possibilità. L'ho già incontrata in passato, ricordi? - rispose comunque Allen, con tono rassicurante. Per quanto le cose potessero andare storte, in lui non mancava mai la speranza.
- Ricordo, sì. E ricordo molto bene anche quello che ha cercato di fare. Quello che il Conte e i Noah hanno cercato di fare. Forse dovresti ricordartelo anche tu.
- Linalee, ti prego...
- Portarla qui è stata una scelta impulsiva, Allen. Lì per lì non ci abbiamo pensato, ma ora è il momento di rendersi conto dell'evidenza - pronunciò la cinese con voce fredda, quasi meccanica - Avresti dovuto lasciarla laggiù.
- Smettila, Linalee!
In una frazione di secondo, Linalee si sentì afferrare per le spalle dal compagno, il quale le rivolse uno sguardo furente; e per un attimo, fu come se avesse smesso di veder riflessa la limpida anima al suo interno. Avvertì il pizzicorio delle lacrime, ma le scacciò violentemente, ritirandosi dalla presa dell'albino con gesti indignati.
- Sei tu che devi smetterla, Allen! Non hai a cuore la Home?! Se le succedesse qualcosa a causa di quella Noah, cosa faresti?
Certo, lui non poteva capire; non aveva visto le sue stesse cose. La visione di morte e solitudine che tormentava da qualche tempo i suoi sogni tornò prepotentemente al centro di dubbi e pensieri; un peso terribile per il suo cuore, che rischiò di farle perdere la forza di reggersi in piedi. Tuttavia, non cedette.
Sapeva bene che il compagno non avrebbe mai fatto nulla che potesse metterli in pericolo, ma a volte... era come se fosse un'altra persona. Non l'Allen che era stato quasi fatto a fette da Kanda davanti ai cancelli dell'Ordine, con la valigia consumata, da vagabondo, ma qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Una figura di luce annichilita da strane ombre che, silenziosamente, ne stavano divorando le membra.
Si rivolse nuovamente all'albino, supplicandolo mentalmente di tornare in sé - Allen... noi siamo compagni. Credevo significasse qualcosa, per te - sussurrò quasi, rapita da un vago senso di avvilimento - No, non è vero. Voglio credere che significhi qualcosa. Per questo non posso stare a guardare mentre metti da parte l'Ordine per una nemica di cui non sai nulla...
Il silenzio calò tra i due Esorcisti, come un velo gelido e pesante. Ne smorzò i sentimenti fino a ridurli cumuli di polvere danzanti nel vuoto, senza meta; senza scopo. Allen chinò il capo, sconfitto, provando un indefinibile senso di colpa. Non avrebbe mai immaginato che, dentro di sé, Linalee covasse simili pensieri. Che occupasse una posizione così diametralmente opposta alla sua.
Uno strano calore gli invase le guance, le quali avvamparono in pochi istanti. Si stupì di se stesso. Stava forse... provando vergogna?
Un piccolo sorriso fiorì sulle sue labbra, prima di lasciare il posto a un'espressione che Linalee conosceva molto bene, e che nel lungo tempo in cui aveva combattuto al suo fianco, aveva imparato a odiare. Il viso di un uomo che rinnega se stesso, e volge le spalle alla luce per impedire che le tenebre la intacchino... Il viso di un uomo solo.
- L'Ordine - pronunciò improvvisamente, abbozzando un sorriso vago, quasi trasognato - è anche la mia casa. La mia famiglia. Preferirei morire piuttosto che farle del male. Perciò, Linalee... Quando dici che non ho a cuore la Home, sbagli. E' la sola cosa che voglia realmente proteggere.
Linalee abbassò lo sguardo, indecisa su quale fosse la cosa migliore da dire. Quella Noah l'aveva fuorviata. Non era più padrona delle sue azioni, dei suoi pensieri. Non aveva riflettuto attentamente sulla faccenda; non aveva pensato che proprio Allen, che più di tutti era coinvolto in quella missione segreta, fosse anche il primo e forse l'unico a soffrirne davvero.
- Perdonami Allen... Ma tutta questa situazione è...
- Pesante, lo so - concluse per lei l'albino - Ma presto finirà. Mi dispiace di averti coinvolta, Linalee.
- No, non ti scusare. L'unica cosa che puoi fare ora è assistere mio fratello nel trasferimento della Noah - replicò la cinese con aria severa, mentre guardava negli occhi il compagno - Assieme a me.
Allen spalancò appena lo sguardo, mentre la ragazza si allontanava da lui, con passo leggero e sicuro. E ancora una volta, si trovò a ringraziarla dentro il suo cuore; ringraziarla per tutti i sacrifici che, nonostante la trascinassero sempre più giù, continuava a compiere, imperterrita. Aveva molto da imparare da Linalee Lee, pensò, molto più di quanto non avesse visto nel tempo trascorso al suo fianco. Delicatamente sorrise, proseguendo lungo il corridoio, ma nella direzione opposta.



- Dove credi stiano andando? - domandò Cari stringendosi appena nel proprio cappottino logoro. Piccole e tremolanti nuvole di condensa si disperdevano dalle sue labbra rosa pallido, rigide a causa del freddo.
- Non lo so - rispose Gwen con indifferenza, nella medesima condizione. Il gelo l'aveva sempre indispettita.
Cosa poteva saperne, lei, di quegli sconosciuti che, incuranti, scivolavano lungo le strade cittadine senza badarsi l'un l'altro?
Sfregò le mani nude e gelide tra loro, poi si strinse nelle spalle.
-  Faresti meglio a lavorare, invece di sognare a occhi aperti quello che fa la gente - mormorò con voce tremula - Mrs. Ellis potrebbe lasciarci di nuovo senza cena.
Cari si girò verso di lei, mostrandosi scocciata.
- Guarda che lo so! Almeno concedimi di pensare ad altro! - ribatté sollevando la ciotola arrugginita verso una coppia di borghesi che stava passando loro accanto; questi le diedero una rapida occhiata, dopodiché l'uomo attirò a sé la donna e insieme aggirarono le bambine, superandole. Quando ebbero dato loro le spalle, Cari mostrò la lingua.
Gwen abozzò un sorriso, imitandola.
- Qualunque cosa stiano andando a fare, sono sicura che non è importante. Anzi, probabilmente staranno andando in qualche casa dell'oppio. I nobili lo fanno tutti - affermò maligna, indicando di nascosto i due spilorci.
- Non tutti - rispose Cari sedendosi contro il muro di un emporio. Sentì le pietre gelide appiccicarsi alla schiena e bloccarle la circolazione. Si scostò leggermente, poi continuò - Quel signore che viene all'istituto ogni settimana, come si chiama... Ah, sì! Mr. Julius o qualcosa del genere... Lui non si fa di oppio. E' una brava persona.
Gwen prese posto accanto a lei, facendosi passare la ciotola e rivolgendola verso i passanti.
- Quello che viene a portare i soldi? - bofonchiò, cercando di impietosire un vecchio in frac con l'espressione più miserabile che potesse sfoggiare -  A me fa paura.
L'amica non poté fare a meno di trattenere le risa.
- In che senso ti fa paura? - domandò, coprendosi la bocca per frenare la battuta sarcastica che altrmenti avrebbe sguinzagliato; a Gwen non piaceva che la prendessero in giro, ma a volte diceva delle tali assurdità...
- Non so spiegarlo! - sbotto infatti quest'ultima, spintonandola - Quando lo vedo mi fa paura, tutto qui. E' sempre lì, ritto in piedi, che ci guarda e sorride. Non so cosa pensi, forse è semplicemente un po' matto, ma... Non vorrei assolutamente sapere dove va quando esce dal nostro cancello...


Allen esibì uno sguardo perplesso.
- Mr. Julius? - si chiese, mentre ascoltava il nuovo racconto della loro improbabile ospite. Erano seduti su due poltroncine di vimini che davano sulla finestra della camera della Noah, dalla quale s'intrufolava un vento caldo e gentile - Chi è?
Gwen si bloccò improvvisamente, gli occhi dorati fissi su un punto indefinito fuori dal piccolo spazio della stanza.
Bella domanda.
Non ci aveva pensato, prima, mentre raccontava, ma ora l'intervento del giovane esorcista la coglieva impreparata. Provò a pensarci, a ripercorrere con la mente gli attimi trascorsi al St. Francis per individuare, nascosto da qualche parte tra il vociare dei bambini e il clangore delle stoviglie logore, il volto dell'uomo che aveva appena nominato. Ma ad attenderla, solo il vuoto. Come aveva potuto parlare di qualcuno di cui non ricordava il viso, ma di cui permeava una così sgradevole sensazione, tanto forte da intrufolarsi anche nella più banale delle memorie?
Forse poteva riuscirci. Forse poteva riportarlo alla luce. Le bastava solo ripartire da capo, e scavare tanto a fondo da imprimere nella propria mente, una seconda volta, i dettagli che i suoi occhi avevano inconsciamente catturato anni prima in quell'edificio vecchio e cadente.
Immaginò il salone ampio, sfarzoso, come non lo aveva mai visto; rivide il pavimento lucido pieno di macchie, i quadri di paesaggi appesi alle pareti, i decori marmorei sul soffitto a volta dei corridoi ma, soprattutto, si lasciò pervadere dal caotico senso di smarrimento che quel luogo sapeva infondere come nessun'altro. E lei, semplice ragazzina di otto anni, ricca di dolore e speranze, ingenua, curiosa, capricciosa, vi si ritrovò in mezzo...

- La prego, non se ne vada! - Mrs. Ellis raggiunse il nobiluomo che, imbracciati ombrello e tuba, era in procinto di varcare la soglia principale dell'istituto. Lo bloccò un attimo prima che uscisse - La scongiuro, ci ripensi!
- Troppo tardi, Milady - rispose questo con tono duro e severo - Sono tempi duri per tutti. E voi siete la sola istituzione che non ho a cuore di preservare. Con permesso.
Un fugace inchino, e svanì nella pioggia.
La donna rimase lì, di fronte al portone spalancato e con il braccio vanamente teso in avanti - come a richiamare la figura che, ormai, era divenuta un tutt'uno con lo sfondo triste e uggioso della città.
Gwen e Cari avevano osservato la scena dal salone principale, mentre i loro compagni, incuranti di tutto, continuavano a schiamazzare senza tregua. Si erano brevemente guardate negli occhi, comprendendo all'istante ciò che era appena successo. E sui loro volti figurò un'espressione che nessuna delle due avrebbe avuto il bisogno di spiegare.
Si alzarono dal tappeto, scavalcando con maestria gli ostacoli rappresentati da giocattoli rotti e bambini troppo piccoli per rendersi conto di ciò che sarebbe accaduto. Corsero come fulmini fino in fondo all'atrio, addentrandosi su per una scalinata ampia a cui avevano appena dato la cera. Cari rischiò di scivolare un paio di volte, ma Gwen fu sempre lì per sorreggerla. Arrivarono in cima, finendo in un corridoio lungo e vuoto. Lo percorsero un po', dopodiché spalancarono una porta e si fiondarono nella camera. I letti a castello disposti in file ordinate, quattro per lato, erano perfettamente in ordine. Le due bambine riconobbero i loro, sui quali avevano disposto alcune cianfrusaglie recuperate in città: una bambola scucita, probabilmente abbandonata da una facoltosa padroncina, un fermacapelli scheggiato e tanta altra paccottiglia.
Gwen si sedette sconfortata sul materasso bianco e ruvido; Cari ci si buttò sopra senza riguardi, rischiando di rimbalzare per terra.
- Hai sentito? - domandò quindi all'amica - Chiuderanno l'istituto.
- Già, perché a quel dannato spilorcio non frega nulla di noi. Di tutti noi - borbottò questa nascondendo la testa tra le ginocchia - Quindi... Ora cosa succederà? Ci separeranno?
Cari tacque, rivolgendo i propri occhi celesti al letto sopra il suo.
- Non lo so - ammise dopo un attimo di riflessione.
Un piccolo singhiozzo inquinò il silenzio della stanza. Cari si alzò improvvisamente, sedendosi di fianco all'amica, per poi circondarla con le braccia.
- Non piangere - la implorò tiepidamente, adagiando il viso paffuto sulla sua nuca, abbassando delicatamente le paplebre - Non so cosa deciderà la megera, ma qualunque cosa accada, noi non ci sapareremo.
Gwen sollevò appena la testa, incrociando il suo sguardo affettuoso: era lucido di lacrime, come il suo.
- Come fai a dirlo, non puoi saperlo - mormorò appena, la voce incrinata dal pianto. E aveva ragione. Nessuno poteva delineare con certezza le sorti a cui i bambini sarebbero andati incontro. Ora che il loro maggior benefattore aveva deciso di interrompere il sostegno economico garantito fino ad ora, sarebbe successo l'impensabile. I bambini sarebbero stati smistati in altri istituti, senza essere rimessi in strada: erano troppo preziosi perché li si lasciasse vagare con così tanta libertà in giro per Londra. E di darli in adozione, neanche a parlarne! Chi mai avrebbe voluto dei mocciosi capaci solo di strillare e lamentarsi? No, Gwen ne era certa: le avrebbero divise, senza ritegno, e mandate in luoghi il più possibili distanti tra loro, dove la crudeltà e i soprusi non sarebbero cessati.
Se fino a quel momento aveva avuto la forza di andare avanti, era stato grazie a Cari. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza di lei? Senza il suo sorriso, il suo sguardo fiducioso, la sua incrollabile determinazione?
Non avrebbe potuto. Ecco la risposta. Dominata da questo sconfortante pensiero, si rannicchiò ancor più in se stessa, come a isolare il mondo esterno dal suo cuore turbato, già ferito a sufficienza. Non voleva tornare ad essere sola. Non avrebbe sopportato un solo giorno di più in solitudine.
- Invece sì - si sentì rispondere con forza - Lo so perché io non permetterò mai che accada il contrario.
Le sue labbra sottili si posarono dolcemente sulla guancia di Gwen, interrompendone il placido scorrere delle lacrime - Fidati di me.
La minore sorrise appena, rincuorata da quel gesto d'amore puro e sincero, il gesto di un angelo. Si asciugò gli occhi con una mano, tirò sù col naso e infine, si strinse all'amica in un abbraccio forte, deciso, che mai nessuno avrebbe potuto sciogliere se solo una delle due non avesse voluto.
- Io mi fido di te - replicò Gwen, chiudendo gli occhi - E' tutto il resto che mi fa paura.

Un tuono fece improvvisamente tremare i vetri delle finestre. Le due bambine si alzarono dal letto ad una velocità impressionante. Sui loro volti pallidi dallo spavento erano impresse la paura e la fiducia assieme, un connubio contrastante, dal quale non sarebbe potuto uscire nulla di più che una semplice certezza, fredda, apatica. E solo a quel punto, una delle due emozioni avrebbe prevalso, soppiantando la rivale in maniera quasi beffarda, sulle vite delle piccole orfane. Ma fino ad allora, tutto quel che era loro concesso di stringere tra le manine piccole e paffute era un'incerta e mutevole forma, chiamata destino. Una forza che molto spesso getta radici ben più in profondità di quanto si pensi.



Angolo di Momoko

Eeeeed eccomi resuscitata! xD
Allora... che dire... Sono stata un po' assente. Tipo un anno intero. Forse più di un anno...... Ma perché perderci in questi pensieri inutili! xD
No, per essere franchi, il mio ultimo anno da liceale sta diventando qualcosa d'insostenibile. Purtroppo lo studio e cavolate varie mi hanno tenuta lontana da EFP, quindi non ho potuto nemmeno mettere mano ai miei scritti. Questo era già in lavorazione, ho dovuto solo completarlo, rileggerlo, correggerlo ecc...
Però, c'è un però!  U.U Io lo ribadisco sempre, che comunque vada, terminerò tutte le mie storie. E recensirò tutte le storie u.u'' Quindi non preoccupatevi, non sparirò del tutto dalla community.
Riguardo al capitolo, finalmente ecco che comincio a parlare seriamente del passato di Gwen. Il prossimo sarà dedicato a lei e ad alcuni eventi particolari, quindi aspettatevi un bel flashback lungo lungo :3
Presto saprete la verità (mi sento molto Adam Kadmon in questo momento u.u), quindi... Mi dispiace molto per il ritardo, ma anche a costo di metterci un tempo incalcolabile, voglio sempre potervi portare capitoli scritti correttamente e senza errori, come è giusto che sia d'altronde.
Vi ringrazio infinitamente per aver letto il mio ennesimo sclero, e mando un bacione schioccoso a tutte quelle anime impavide che lo recensiranno çAç *Offre biscotti*. Come sempre, vi invito a segnalarmi qualunque errore, svista, o anche solo a darmi il vostro parere, bello e o brutto che sia, io sono sempre contenta di sapere la vostra opinione :)
Ora mi dileguo OuO A prestooooo,

Momoko <3

   
 
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