AMORE & INCANTESIMI
Salve a tutti! Come
forse qualcuno avrà capito dal titolo, mi sono ispirata all’omonimo
film, con Sandra Bullock e Nicole Kidman.
Premetto che è un
puro esperimento, ma spero possa essere venuta fuori una cosa
carina. Se non vi mettete a vomitare sul monitor, forse posso
già considerarmi soddisfatta…
All’inizio
forse è un po’ noioso, ma dovevo introdurre in qualche modo
i nuovi personaggi.
Vi auguro buona
lettura!
CAPITOLO 1: UN INCANTESIMO SBAGLIATO
Fuori pioveva forte e ciò non contribuiva
per niente a risollevare il mio umore.
Non sopportavo quell’insulso ticchettio
che continuava a persistere sopra le tegole del tetto; se c’era
una cosa che odiavo, quella era proprio la pioggia.
Mi alzai dal letto, su cui ero stata
sdraiata tutto il pomeriggio, incapace di prendere decisioni o di
darmi da fare.
Mi portai svogliatamente fino alla finestra
della mia camera e guardai il paesaggio sottostante.
Per la strada non c’era nessuno, né a
piedi né in macchina, ma anche se ci fosse stato, sapevo bene
che non si sarebbe mai avvicinato troppo a casa Olsen, a casa mia.
All’improvviso, da sinistra vidi un
uomo con un grande e malconcio ombrello nero che affrontava con
notevole coraggio il temporale; bastò che riconoscesse il cupo
cancello di casa Olsen per far sgonfiare come un palloncino tutta
la sua temerarietà. Veloce come i lampi che sfilavano vanitosi
in cielo, l’uomo attraversò la strada, fiondandosi sul
marciapiede opposto.
Trattenei a stento un ghigno, ma poi
scoppiai a ridere. Troppo divertenti quei mortali, davvero, quasi
più di mio zio Alfred.
-Ora non esagerare.
“Ciao, Joseph.” salutai
distrattamente il mio gatto, grigio come quelle stupide nuvole
che si stagliavano alte sopra di noi. “Però, quante volte t’ho
detto che non devi interrompere i miei pensieri, eh, inutile
palla di pelo?!”
-Me ne frego altamente.
“Lo vedo. E poi, cos’è questo
silenzio, il gatto ti ha mangiato la lingua? Anzi, te la sei
mangiata da solo? Di’ la verità.”
Stuzzicarlo era il mio passatempo preferito.
Dopo fare i dispetti a Jessica, è chiaro.
“Oggi sei più rompiscatole del solito,
Isabella.” replicò lui, decidendosi finalmente a
sollecitare le sue corde vocali. “Vieni giù, è pronto da
mangiare.”
Joseph, senza nemmeno aspettarmi, uscì
dalla stanza e prese la via delle scale.
Lo seguii poco dopo, con la lentezza di una
lumaca.
“Bellaaaaaaaaaa!” gridò mia
sorella Mary, dal piano di sotto “Stiamo tutte aspettando te,
per tutti i malocchi! MUOVITI, o ti vengo a prendere con la forza!”
E poi era io la rompiscatole di famiglia…
Feci il mio ingresso nella sala da pranzo
come uno zombie e sapevo bene che a nessuna delle mie familiari
sarebbe sfuggito.
“Che hai, Isy, stai male?”
Come previsto, mia zia Clarisse si
preoccupò all’istante.
“No, sono semplicemente annoiata da
morire.”
Mia zia mi osservò bene e capì che c’era
qualcosa di cui non volevo parlare: come se niente fosse, riprese
in mano il cucchiaio e continuò a mangiare la sua zuppa.
-Dopo parliamo. Mi disse nel pensiero,
dandomi un’occhiatina per essere sicura che le avessi
prestato attenzione.
Non risposi nulla. Non che ce ne fosse
bisogno, con mia zia Clarisse: quando decideva una cosa, era
quella e basta.
Occupai l’ultima sedia disponibile. Ora,
il nostro speciale tavolo pentagonale era al completo.
“Allora, com’è andata oggi a
scuola?” chiese zia Louise, rivolgendosi a tutte e a nessuno
in particolare.
“Benissimo!” saltò su mia sorella
minore, Sophia, sempre esaltata per qualsiasi cosa succedesse
“Ho fatto quindici canestri per la mia squadra, durante
ginnastica! Quindici! Praticamente abbiamo vinto grazie a me.”
“Grazie tante, Sophy, hai barato!”
esclamai indignata. A questo punto, ero capace anch’io!
“Oh, Sophy, hai usato la magia?!”
sbottò zia Clarisse, con uno sguardo di rimprovero. “E se
qualcuno se ne fosse accorto?!”
“Sono stata attenta.”
Sophia abbassò lo sguardo sul suo piatto,
rossissima in volto, ma ciò non le impedì di dirmi nel pensiero:
“Spia, spia, spia, spiona!”
Cavolo, non l’avevo fatto apposta, ma
mi capitava spesso di parlare senza alcun freno non pensando alle
conseguenze che sarebbero potute scaturire.
-Scusa, Sophy, lo sai che non lo faccio
per cattiveria.
-Tranquilla. Ma neanch’io lo sto per
fare per cattiveria.
-Che cos…?
“E Bella” riprese mia sorella, con un’espressione che non mi piaceva per niente “ha rigettato il malocchio sulla signorina Hope.”
Chiusi gli occhi di scatto, inorridita.
Sentii distintamente i cucchiai delle mie zie cadere con un tonfo
nel loro piatto. Presto sarebbe seguito un interrogatorio
pazzesco e io sarei finita in punizione. Senz’ombra di
dubbio.
“E perché mai, Isabella?” chiese
Clarisse, incrociandosi le mani davanti al viso.
“Beh, ecco…”
-Sophy, sei proprio una figlia di…
-Attenta: siamo figlie della stessa madre!
“Beh, vedete…”
“Ma cose le hai fatto? Niente di grave,
spero!” Questa era zia Louise.
“No, solo un piccolo raffreddore.”
Le sentii rilassarsi, ma sapevo che si
sarebbero agitate di nuovo se avessero saputo il motivo che mi
spingeva a torturare la segretaria della mia scuola.
“E perché l’avresti fatto?”
Ecco, avevo cinque secondi per inventarmi
una scusa credibile.
“Vedete…”
“Ma nulla, zie, è che è stata un po’
sgarbata con noi, tutto qui.” venne in mio soccorso Mary, la
mia sorella maggiore, più vecchia di me di un anno, anche se
sembrava già una ventenne piuttosto che una diciottenne.
-Mary… Grazie.
-Figurati. Domani sistemiamo questa
faccenda una volta per tutte.
Sophia sembrava un po’ delusa, forse
perché ero riuscita a cavarmela, cosa che a lei non capitava mai.
“Non importa, Bella, qualsiasi cosa sia
successa tra voi, non ricorrere più alla magia. Ricorda, se l’incantesimo
fosse fatto con poca attenzione, si ritorcerebbe su di te…”
“Tre volte più forte, lo so, zia
Clarisse.”
“Bene.” Clarisse sembrava
soddisfatta, forse perché era certa che avessi imparato la
lezione.
Continuammo a mangiare in religioso silenzio
fino a che la scopa appoggiata allo stipite della cucina cadde
per terra.
La osservammo con attenzione maniacale, per
poi ricavarne le ovvie (almeno per noi) conclusioni.
“Sta arrivando qualcuno.”
bisbigliò zia Louise, con un tono di voce tetro e misterioso.
“Di non gradito.” continuò
Clarisse.
“Ma non ostile.” chiarì Mary,
prestando attenzione alla direzione del manico.
“E non a casa nostra, ma in città in
generale.” Ero sicura della mia “diagnosi”.
“E ci sono anche dei ragazzi.”
concluse Sophy, dopo un attimo di esitazione.
Tutte ci voltammo a guardarla, stupite e
incredule.
“E come diavolo hai fatto a capirlo?!”
quasi gridò Louise, probabilmente arrabbiata perché non era
riuscito a capirlo lei stessa.
Sophia si fece piccola piccola, e prima che
si decidesse ad aprir bocca, io avevo già capito. Non so come,
riuscii a non scoppiare a ridere.
“Beh, dal momento che avevate detto
tutte qualcosa, mi sentivo esclusa e così…”
“Hai improvvisato.” finì per lei
Mary, evitando accuratamente di guardarmi, altrimenti sia lei che
io, come ben sapevamo, non avremmo resistito a darci alle risate.
Le zie si lanciarono un’occhiata
esasperata, ma gli angoli delle loro bocche, traditori, erano
rivolti all’insù.
Dopo che finimmo di sparecchiare, ci sedemmo
tutte e cinque al tavolo e ci prendemmo per mano, pronte per l’ennesima
delusione, anche se un barlume di speranza rimaneva sempre.
Chiudemmo gli occhi, provammo a concentrarci
e a isolarci dal resto del mondo.
Dopo cinque minuti in quella posizione, zia
Clarisse iniziò la seduta: “Oh, Julie Olsen, nostra ava,
noi ti invochiamo…”
“E vedi di fare in fretta perché ho
sonno…”
“Mary!”
“Ho capito, ho capito: serietà.”
Risi piano, incapace di trattenermi.
Clarisse sospirò e, dopo qualche istante,
riattaccò, ma con un tono di voce più forte.
“Julie Olsen, nostra ava, noi ti
invochiamo, possiedi una di noi e svelaci…”
“Ma non me, per favore.”
“Isabella!”
“Sì, lo so: serietà.”
Seguirono tre secondi di silenzio, poi io,
Mary e Sophia ci spalmammo sul tavolo dalle risate. E’
sempre così: quando sai che non bisogna ridere, trovi divertente
anche il fatto più insignificante.
Udivo a malapena le voci delle zie che ci
riportavano all’attenzione, ma non m’importava. Prima
che riuscissimo a calmarci ci sarebbero voluti dieci minuti. Come
al solito in quelle occasioni, ci alzammo tutte e tre in piedi e
ognuna andò in una camera diversa; io mi recai in cucina, ancora
scossa da leggeri risolini. Joseph, il mio gatto, mi saltò in
braccio, bisognoso di coccole.
Mi sedetti sul pavimento e me lo posai sulla gambe.
“Voi tre siete impossibili.”
dichiarò Joseph, tra le fusa.
“Forse.”
“Niente forse. Poveri gli uomini che vi
avranno per mogli.”
Feci una smorfia di disgusto e, alla
richiesta di spiegazioni di Joseph, come se stessi ammettendo un
grave peccato in confessionario, sussurrai: “Io non mi
sposerò mai.”
Joseph si drizzò e mi guardò bene negli
occhi, con il suo unico occhio sano.
L’altro, quello sinistro, non avrebbe
mai visto nulla a causa di un incantesimo andato male.
Per solidarietà, chiusi anch’io un
occhio, ma quello destro.
“Perché no, Isabella?”
“Perché non mi innamorerò mai.”
Joseph scoppiò a ridere, divertito da
quella che, secondo lui, era una decisione irrealizzabile già in
partenza.
“Non dire sciocchezze! Tutti si
innamorano, prima o poi! Dai, vuoi farmi credere che in
diciassette anni non ti sei mai presa una cotta per nessuno?!”
“Mai!” Sorrisi orgogliosa.
“Impossibile.”
“Certo, ma dimentichi che sono una
strega.”
Joseph spalancò la bocca, mettendo in
risalto i suoi dentini affilati.
“No.” sussurrò, raccapricciato.
“Invece sì. Ho fatto un incantesimo,
quando avevo sei anni.”
In quel momento, col corpo, ero nella cucina
con Joseph, ma, con la mente, ero tornata indietro di undici anni.
“Ma come hai fatto, Bella?! Non esiste alcun incantesimo per eliminare l’amore!”
“Lo so perfettamente.”
“E quindi?”
Sospirai, un po’ seccata dalla sua
curiosità, ma anche un po’ divertita.
“Semplice: ho fatto una magia per cui
mi sarei innamorata di un uomo solo nel caso avesse avuto
determinate caratteristiche…”
La voce di mia zia Clarisse, che mi chiamava
affinché concludessimo la seduta spiritica, interruppe la nostra
conversazione.
“E che caratteristiche deve avere?”
volle sapere Joseph, saltando giù dalle mie gambe per
permettermi di alzarmi.
Si aspettava davvero che mi ricordassi?
“Boh, non ricordo… Devo avere
messo il foglietto con l’incantesimo da qualche parte nella
mia cassapanca, di fronte al letto, ma non ne sono sicura…”
Joseph, ignorando bellamente la mia
insicurezza, inserì la quinta e si lanciò all’arrembaggio
al piano superiore. Ovvio, voleva sapere quali qualità dovesse
avere il mio principe azzurro.
Mi veniva da ridere di nuovo, ma mi imposi
un certo contegno; non appena ci fummo sedute tutte, ci
riprendemmo per mano e mia zia Clarisse continuò l’invocazione.
“Oh, Julie Olsen, nostra ava, noi, tue
discendenti, ti …”
“Bellissime e intelligentissime
discendenti, oserei aggiungere.”
Questa volta, anche le zie si lasciarono
andare alla battuta di Mary.
La serietà albergava così lontana da casa
nostra che non sapevo proprio come avremmo fatto a metterci in
contatto con Julie, ma la cosa non mi importava più di tanto.
Chissà, magari, nell’Aldilà, aveva comunque da fare…
Mary e Sophia dormivano già da un pezzo.
Ogni tanto sentivo che dicevano qualcosa,
immerse nei sogni.
Mary era la più divertente, senza dubbio.
“Pezzo di idiota!” aveva appena
finito di sbraitare, chissà contro chi, poi.
-Isabella?
-Joseph? Cosa c’è?
-Beh, ho trovato il foglietto su cui
avevi scritto l’incantesimo. La cassapanca era aperta, così
ci sono saltato dentro e… eccolo qui..
-Mmm…
Stavo iniziando ad addormentarmi e facevo fatica a mantenere ancora l’attenzione sulle parole del mio gatto.
-Vorrei parlarne con te, se non ti
dispiace.
-Mmm…
Non ero molto sicura che quel ronzio fastidioso fosse la voce di Joseph… Forse era una zanzara… Ma ogni tanto distinguevo qualche parola. E le zanzare non parlavano, mi sembrava. Mi sembrava…
-Isabella, l’unico uomo di cui ti
potresti mai innamorare, in base all’incantesimo che hai
scritto, dovrebbe avere gli occhi che cambiano colore, essere
freddo come il ghiaccio, ma in grado di farti accendere di
passione, essere duro come la pietra, saper correre più veloce
di un treno ed avere la meglio anche contro un puma
inferocito! Non solo, dovrebbe pure saper cantare come un angelo,
esprimere i suoi sentimenti come melodie e non invecchiare mai!
Isabella! Non esiste NESSUNO con queste caratteristiche! Isabella?
Bella, stai dormendo?
Qualcuno mi stava leccando il naso.
Mi riscossi dal dormiveglia in cui ero caduta, mettendomi seduta con uno scatto e facendo cadere giù dal letto Joseph.
-Joseph! Cavolo, stavo per
addormentarmi!
-Hai sentito cosa ti ho detto?
-Ho sentito i tuoi pensieri, ma non me ne ricordo uno.
Joseph soffiò, come faceva sempre quando era frustrato o seccato.
-Ti ho detto che nessun uomo può
avere le caratteristiche che hai scritto!
Mugugnai indispettita, non ricordando cosa avessi scritto nell’incantesimo, ma sapendo perfettamente in base a cosa avessi scelto doti che nessuno poteva avere.
-Infatti! Così non mi innamorerò mai, perché l’unico che mi possa far innamorare non esiste!
Joseph stette in silenzio per un bel po’.
-E’ atroce, Bella. E’ veramente atroce.
Joseph continuò con i suoi commenti, ma io mi ero già addormentata.
Arrivate alla scuola di Forks, era chiaro
che tutti gli alunni erano in fermento.
“Che diavolo sta succedendo?”
chiesi a Mary.
Tyler e Mike, due galletti talmente pieni di
sè che mi stupivo riuscissero a camminare, si stavano
controllando i capelli negli specchietti delle loro rispettive
auto, mentre Jessica e Lauren si truccavano e controllavano che
il vestito fosse impeccabile.
“Credo sia perché oggi arrivano cinque
ragazzi nuovi.” ci spiegò Sophia, alzando gli occhi al
cielo.
Io e Mary la guardammo stralunate.
“Che c’è?” Sophia si mise
sulla difensiva non appena notò come la fissavamo.
“E questa cosa non potevi dircela ieri,
quando è caduta la scopa?! Avresti risolto un bel pezzo di
mistero, imbecille!”
“Beh, Mary” intervenni io, prima che la situazione degenerasse “Per lo meno ci ha azzeccato: ci sono anche dei ragazzi.”
“Ecco!” Sophia si erse in tutta la
sua statura e raddrizzò le spalle, ma il suo orgoglio finì
presto, non appena incrociò la mia espressione scettica ed
esasperata.
“Vabbè, non capisco comunque cosa sia
tutto ‘sto casino!” borbottò Mary.
Anch’io non capivo.
Avremmo potuto leggere nella mente altrui,
ma era molto difficile quando non si aveva un rapporto di nessun
tipo con la persona in questione. A scuola, quasi tutti ci
evitavano e non era neanche tanto difficile capire il perché.
Tutti lo pensavano, anche se nessuno lo diceva: le Olsen sono
streghe. Alcuni potevano giurare di averci viste cavalcare la
scopa o danzare nel bosco invocando spiriti maligni.
Andasse pure per la prima, ma la seconda mi
accendeva di indignazione.
L’arrivo di una macchina fece scorrere
un’ondata di eccitazione, ma durò poco, giusto il tempo di
accorgersi che non erano i nuovi studenti, ma Angela, l’unica
mia vera amica.
“Angela!” le corsi incontro,
rischiando di inciampare due volte lungo il tragitto. Io e la mia
maledetta mancanza di equilibrio!
“Ciao, Bella! Come stai?”
“Benissimo. Tu?”
“Il solito.” Prese i libri dal
sedile posteriore e chiuse la macchina con un pulsante del
telecomando.
“Senti, come mai sono tutti in
fibrillazione per l’arrivo dei nuovi?”
Angela rise.
“Ti spiego: ieri Jessica li ha visti al
supermercato, e ha detto che sono, parole testuali, degli
strafighi da paura. A suo modestissimo avviso, anche le ragazze
sono carine, e tu sai che nel suo gergo ‘carina’ vuol
dire bellissima.”
“Quindi Jessica ha fatto un paio di
telefonate e tutti ne sono al corrente.”
“Esattamente!”
Ci prendemmo per braccetto e ci avviammo all’entrata.
La voce di Mary, nella mia testa, mi
ricordò che avevamo una missione: Missione-Hope, l’avevamo
chiamata.
“Scusami, Angela, devo parlare con la signorina Hope… Ci vediamo dopo.”
Mi allontanai da lei e raggiunsi Mary, ferma davanti alla segreteria.
“Ok, Bella. Ricordati: ti voglio cattiva.”
“Come no.” bofonchiai, ben sapendo
come in passato fossero naufragati miseramente tutti i miei
tentativi di risultare “cattiva”.
Entrammo in segreteria con il passo di due
donne in carriera, le spalle dritte e il petto infuori.
La signorina Hope alzò lo sguardo dalle sue
scartoffie e ci rivolse un’occhiata di puro disgusto.
“Ancora voi?! Cosa volete, ‘sta
volta?!”
Feci un bel respiro, pronta a scagliarmi
contro quella ladra, ma Mary fu più veloce di me.
“Signorina Hope, lei ci deve consegnare
il braccialetto di mia sorella.”
La signorina Hope strabuzzò gli occhi e
diventò rossa come un peperone dalla rabbia.
“Basta con questa storia! Vi ho già
detto che non ho trovato alcun braccialetto!”
-Bella, cattiva adesso! Fammi vedere!
Ok, ora dovevo solo intimorirla…
“Vede, quel braccialetto, come le ho
già spiegato, è molto importante per me e…”
-E questo tu lo chiami essere cattiva?! La stai praticamente supplicando! E una Olsen non supplica MAI!
“Ti ho già detto ieri che mi dispiace
molto che tu l’abbia perso, ma io non ne so niente!”
Si soffiò il naso. Bene, almeno il
raffreddore le era rimasto.
“Noi sappiamo che ce l’ha lei.”
continuai, sicura della mia affermazione. Le mie visioni, rare ma
utili, non sbagliavano mai. L’avevo vista trovare il mio
braccialetto per il corridoio e metterselo in tasca, proprio tre
giorni prima.
Era molto antico, se ne sarebbe accorto
anche un cretino, e ovviamente la cara signorina Hope aveva
giusto pensato che non sarebbe stata una cattiva idea venderlo
per aggiustare la lavatrice con il ricavato.
“Mi dispiace, carissime, dovete aver
preso un granchio! E poi io…”
Si bloccò all’improvviso, il suo
sguardo fermo su qualcosa alle nostre spalle. Qualcosa, o
qualcuno.
-Oh, mio Dio, quanto sono belli!
Mi stupii di sentire i pensieri della
signorina Hope, dal momento che non eravamo così in armonia, ma
evidentemente qualcosa doveva aver sciolto le sue misere
protezioni da umana.
-Cazzo, Bella! Siamo nei guai!
Il pensiero di Mary fu così assordante che
quasi caddi per terra.
Mi girai di scatto e mi trovai di fronte
cinque persone, tre ragazzi e due ragazze, belli come degli dei
caduti per sbaglio su questa terra dall’Olimpo.
Molto belli, troppo belli per essere umani…
Vampiri, pensai esasperata.
E io non avevo il mio braccialetto. Il mio
braccialetto di protezione.
-Cazzo. pensai.
-Cazzo. mi fece eco Mary
-Cazzo.
“Cazzissimo!” esclamammo in coro,
volgendoci di nuovo verso la signorina Hope, ora animate da una
fretta disperata.
“La pagheremo!” gridai io, nello
sconforto più assurdo.
“Eccome! Quanto vuole? Cinquecento dollari?!”
La signorina Hope spalancò gli occhi,
stupita da un tale mutamento.
“Ma anche mille!!!”
“Bella, non esagerare, però…”
“Va bene, vada per mille.”
concesse la signorina Hope, con gli occhi che brillavano per l’affare
appena concluso.
Tre secondi dopo mi resi conto che noi non
li avevamo mille dollari, a meno che non si chiedesse aiuto alle
zie, il che voleva dire ammettere di aver perso il braccialetto
protettivo della mia ava Kate.
Presa da un attacco di rabbia, provai a
farla cadere dalla sedia, ma non successe nulla: cavolo, quindi
stava indossando il mio braccialetto, a differenza del
giorno prima.
Non passarono neanche cinque secondi che mi
ritrovai per terra: il malocchio, respinto dal mio braccialetto,
si era ripercosso contro di me tre volte più forte, eccome, a
giudicare dal male che sentivo al fianco su cui ero rovinata.
“Bella!” esclamò Mary, inginocchiandosi per accertarsi delle mie condizioni.
-Ce l’ha addosso, giusto?
-Tu che dici?
Mary mi aiutò ad alzarmi. Nel farlo, mi
accorsi che tremava un po’: era preoccupata per me a causa
dei vampiri dietro di noi. Se avessero attaccato, io sarei stata
molto vulnerabile.
“Ok, ora lei ci dà il braccialetto e
domani le diamo i soldi.”
“Neanche per idea. Prima i soldi, poi
il braccialetto.”
Parlavamo piano, ma sapevamo benissimo che i
vampiri, con il loro udito sopraffino, avrebbero sentito tutto.
“Signorina Hope, per favore…”
pregai io, con gli occhi lucidi.
“A domani, ragazze. Voi!” sorrise
ai nuovi arrivati, cercando di mettere una nota di seduzione
nella sua voce “Venite avanti, cari!”
Io e mia sorella ci gelammo sul posto. Si
stavano avvicinando.
Mary mi prese per mano, si frappose fra me e
i cinque vampiri e, quasi di corsa, mi spinse fuori dall’ufficio.
“Ok, Bella.” proclamò “Siamo
ufficialmente ed inequivocabilmente fottute.”
Qualcuno è
riuscito ad arrivare fino a qui?
Spero di sì…
Credo sia il caso
di dare alcuni chiarimenti: chiedo scusa per le descrizioni
inesistenti, ma le sorelle di Bella, le zie e casa Olsen verranno
descritte più avanti, dal momento che non volevo interrompere la
narrazione e volevo creare un’atmosfera di quotidianità,
non so se mi sono spiegata…
Bene, vedete quella
scritta “Vuoi inserire una recensione”? Ecco, che ne
dite di cliccarci sopra e di dirmi che ne pensate? Please?
Per favore, è
molto importante per me sapere come scrivo o se vale la pena
continuare questa storia!!!
Un’altra cosa,
chiedo umilmente venia anche per tutti gli errori di battitura
che sicuramente ci saranno, ma sono talmente imbranata con la
tastiera del computer e talmente distratta che quando rileggo non
me ne accorgo! Ecco perché preferisco scrivere a mano… ;)
Un bacione a tutti!
Maschera Blu