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Autore: nikita82roma    11/05/2016    1 recensioni
Missing Moments nei pensieri di Bones & Booth nel periodo che va dalla fine della 7x13 quando Bones scappa con Christine per non farsi arrestare, a quando Booth la ritrova nella 8x01. I dubbi, la tristezza e le paure che affiorano nel trovarsi improvvisamente separati e dover far fronte a questa situazione totalmente nuova, senza poter comunicare, dovendo fare forza solo sulla fiducia che hanno uno per l'altra e sul loro amore, nella speranza di potersi ritrovare così come si erano lasciati.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Bones'
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Booth correva, impotente, appena si accorse di quell’auto che sfrecciava via con Bones dentro che furtiva faceva manovra. Non gli volle molto a capire, raccogliere i pensieri e correre lì dove aveva lasciato la sua donna con sua figlia. Le vide allontanarsi senza porter fare nulla. Si fermò solo, in mezzo alla strada qualche istante a guardarle allontanarsi. Fu la voce di Max a farlo smuovere a spingerlo ad avventarsi contro di lui. Era colpa sua, era lui che l’aveva convinta ad andare via, era colpa sua se erano separati. In quel momento non gli importava se era giusto o sbagliato, in quel momento aveva realizzato che Bones e Christine se ne erano appena andate e Max aveva organizzato tutto.

Non gli avrebbe detto niente, lui doveva continuare a lavorare da dentro, non poteva renderlo complice. Lui era bravo a fuggire, lo aveva fatto per anni. Era bravo a dividere le famiglie, a far crescere i figli senza un padre, senza i genitori. Non poteva permettere che fosse così anche per sua figlia, Christine sarebbe cresciuta con sua madre e suo padre. Seduto sulle scale della chiesa dove aveva appena battezzato sua figlia tutti questi pensieri affollavano la sua mente. Avrebbe voluto picchiare quell’uomo ma lasciò perdere e lui sparì, lasciandolo solo. Totalmente solo. 

Il seggiolino vuoto di Christine su quelle scale, vicino a lui, era il simbolo del suo dolore, della sua famiglia separata. Guardò in alto verso il cielo, verso quell’edificio che era la casa di quel Dio in cui tanta fede riponeva ma che lo stava mettendo davanti ad una prova che in quel momento non sapeva come riuscire a superare. In cosa doveva aver fede? Si sentì solo, abbandonato da tutte le persone che amava ed anche dal suo Dio. Si pentì per quel pensiero, doveva trovare la forza di aggrapparsi a qualcosa e, forse, la fede poteva essere un appiglio, anche se gli sembrò solo un sasso liscio e scivoloso sul quale le sue dita non riuscivano a fare presa. Decise di entrare di nuovo in Chiesa, si segnò la fronte con l’acqua benedetta e andò a sedersi in una delle prime panche, vicino al Crocefisso. Fino a pochi minuti prima erano lì, tutti e tre. Chiuse gli occhi e gli sembrava di sentire ancora le risate di sua figlia ed il profumo di Bones che si mischiava con quello dell’incenso. Pregò a lungo cercando di non farsi sopraffare dalle lacrime. Pregò di avere la forza di sopportare questa situazione ma soprattutto pregò che le due donne della sua vita stessero bene, che fossero al sicuro, ovunque si trovassero, quella era la cosa più importante. Lui se la sarebbe cavata, in qualche modo, lui si sapeva proteggere, ma loro avevano bisogno di protezione, di una protezione dall’alto visto che lui non poteva essere lì con loro a tenerle al sicuro.

L’unica sicurezza che aveva era la fiducia totale che riponeva nella donna che amava. Sapeva che lei non avrebbe mai messo in pericolo la loro bambina per niente al mondo, che era sempre lucida e razionale, che analizzava a fondo ogni situazione. Christine sarebbe stata al sicuro con sua madre, Bones non avrebbe fatto nulla di avventato con sua figlia, nessun colpo di testa dei suoi, non con la loro bambina che dipendeva totalmente da lei. Di questo ne era certo.

Si alzò e gli sembrò quasi di non riuscire a rimanere in equilibrio. Si sentiva spossato. Fece un respiro profondo e si chinò a raccogliere il seggiolino di Christine, poteva sentire ancora il suo profumo nell’imbottitura. Avrebbe dovuto sistemare la sua auto, ma non ne aveva voglia. Avrebbe chiamato il giorno successivo un meccanico per farla riparare, ora voleva solo non pensare, se fosse possibile in qualche modo. Fermò un taxi e si fece portare a casa, tenendo in mano quel seggiolino vuoto. Notava lo sguardo del conducente indugiare su di lui un po’ più del normale dallo specchietto retrovisore. Il suo animo di agente gli avrebbe voluto intimare di farsi i fatti propri e non indagare su di lui, glielo avrebbe detto anche a brutto muso in un altro momento, ma non in quel giorno, non ne aveva voglia. Sperò ardentemente che il tizio non facesse nessuna domanda e non avesse voglia di fare conversazione e per sua fortuna così fu. Aveva capito il tassista che nel suo sguardo c’era un disagio troppo profondo e non aveva detto nulla, in cuor suo pensava ad una qualche tragedia e provò pena per Booth. Si fermò ad osservarlo anche mentre percorreva ciondolando il vialetto che lo portava a casa, portandosi dietro quell’oggetto così carico di significati. Scosse la testa prima di mettere via i soldi e ripartire, Booth sarebbe stato solo una delle tante anime che trasportava con la sua storia che non avrebbe conosciuto mai, ma che poteva immaginare nella sua mente.

Quando andò ad aprire la porta di casa si accorse che le sue mani tremavano. Non era freddo era solo nervoso. Entrò, appoggiò il seggiolino in un angolo, si chiuse la porta alle spalle ed in quel momento avvertì tutta la potenza della solitudine opprimerlo. Se prima di entrare a casa il senso di abbandono faceva male, lì nella loro casa il dolore era feroce e da dolore dell’anima si trasformava in qualcosa di quasi fisico. Buttò la giacca sul divano e si appoggiò con entrambe le mani alla spalliera piegato in avanti come se stesse cercando di respirare meglio. Si trovò a stringere la stoffa più di quanto credeva possibile, tanto che sentiva le sue dita indolenzite. Tutto lì gli parlava di loro. Sentiva il profumo di Bones nell’aria, vedeva i suoi oggetti e pensava a lei, alle discussioni che avevano avuto per portare lì un pezzo piuttosto che un altro delle sue collezioni etniche. I giochi di Christine sul divano, la scatola di latte in polvere sul mobile della cucina, il baby monitor con la quale controllavano era ancora sul tavolo davanti a lui e gli parve quasi di poter sentire il suo pianto metallico che quell’aggeggio riportava sempre nelle situazioni meno opportune. Sua figlia aveva sempre avuto un sesto senso per svegliarsi quando non doveva. Quel pensiero gli strappò un sorriso pensando alle volte che lui e Bones erano stati interrotti da Christine che reclamava le loro attenzioni e invidiava la capacità della sua donna di ricomporsi e di passare dal ruolo di amante a quello di madre premurosa in un attimo, sottraendosi dalle sue braccia, per accogliere nelle proprie la figlia e a lui non veniva in mente visione più bella di quella, solo l’immagine di quando aveva adagiato Christine per la prima volta tra le braccia di Bones appena nata, perchè non aveva mai visto gli occhi di Temperance brillare in quel modo e ridere e piangere contemporaneamente mentre vedeva il miracolo della vita tra le sue braccia. Respirò profondamente e si tirò su. Sbottonò i bottoni rimanenti della camicia, come se fosse quella leggera stoffa ad opprimere il suo petto, ma non ne trovò sollievo. Prese un bicchiere e lo riempì quasi completamente di scotch. Lo bevve tutto d’un fiato. Sentì il liquido bruciare mentre scendeva nel suo esofago. Voleva stordirsi ma non ottenne nessun risultato, se non un forte bruciore allo stomaco.

Si buttò sul divano e chiuse gli occhi. Le immagini di Bones e Christine occupavano tutta la sua mente, da quando erano entrati a casa per la prima volta con tutti i loro amici pronti a festeggiarli. In quel momento gli sembrava che nulla avrebbe mai distrutto la sua felicità, che nulla avrebbe mai toccato la sua famiglia. Non poteva immaginare in quei giorni dove tutto era perfetto quanto si sarebbe sbagliato. Ora non aveva più niente. Era solo. Come da tanto tempo non gli capitava. Ma non era più nel suo appartamento da single, era nella casa dove avrebbe voluto crescere sua figlia con la donna che amava e tutto parlava di loro.

Aveva desiderato una famiglia per tutta la vita, una donna che lo amasse come lui la amava, crescere i loro figli e l’aveva trovata in Bones, certo non nel modo convenzionale che si sarebbe aspettato, ma aveva con lei tutto quello che aveva sempre voluto, con la donna che aveva sempre voluto, da quando l’aveva conosciuta ed aveva capito che lei non era come le altre, era quella giusta, doveva solo farglielo capire e c’era riuscito. Ora gli mancava solo di fargli capire quanto lui desiderasse sposarla, che diventasse sua moglie, anche se lei diceva che non voleva, che non era un contratto che avrebbe cambiato le cose tra loro. Ma Booth sapeva che tutte le bambine sognano di sposarsi e lui doveva solo ricordarlo anche a Bones, perchè lui sapeva che in qualche parte del suo cuore lo voleva anche lei, anche se il cuore per Bones era solo un muscolo.

Erano passate ore, fuori era buio. Si chiedeva dove fossero in quel momento, se erano al sicuro, se stavano bene, se avevano un posto dove dormire. Si sarebbe fatto tutte quelle domande ogni giorno, ogni ora, ogni istante fino a quando non sarebbero state di nuovo con lui. L’impossibilità di sapere quanto tempo dovevano stare separati lo straziava: qualunque lasso temporale fosse era sempre troppo. Dipendeva anche da lui, si diceva, doveva combattere da dentro il sistema, come gli aveva detto Max. Ma quella sera non aveva la forza di pensare anche a questo, quella sera era solo per il suo dolore e la sua solitudine.

Andò verso la camera da letto, passò davanti alla camera di Christine e si fermò ad osservare il lettino vuoto, strinse i denti, chiuse la porta e passò oltre. Arrivò nella loro camera. Si sedette dalla sua parte di letto si spogliò mettendo una delle sue tshirt dei Flyers, accarezzò la coperta lì dove doveva esserci Bones, ma non riuscì nemmeno a sdraiarsi. Prese un’altra coperta dall’armadio e tornò sul divano, lasciando in quella stanza ricordi troppo grandi per sopportarli quella sera e, infine, pianse.

   
 
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