Ciao!
Ultimamente pensavo che non avrei più
scritto, dopo l’ultima fan fiction, pensavo che ogni ispirazione fosse stata
spazzata via. Ho letto molto, nell’ultimo mese ho letto tre libri, ma…
questi ragazzi ci hanno messo di nuovo lo zampino e non solo loro.
Diciamo
che Aoi ha fatto il 50% del lavoro per convincermi a scrivere, ma l’altro 50%
lo ha fatto la mia amata Doriana, che mi ha messo la
pulce nell’orecchio e io sono partita a duemila; ma avevo resistito a scrivere
fino ad oggi, poi mi sono arresa e ho passato tre ore e mezza buone a scrivere
questa cosa.
Non
ci sono molte note da fare, ho messo un raiting arancione
solo per una o due parolacce che ci sono in tutto il testo e per il loro
rapporto, insomma, c’è qualcosa di Hot ma non dettagliato.
Come
al solito, in questa storia si tratta un tema omosessuale, se non piace non leggere,
la storia è frutto della mia immaginazione, ho preso spunto dalla realtà, ma
poi non so come siano andate le cose in realtà, resta il fatto che spero sia
andata proprio così u.u
Vi
do qualche indizio, così potete immaginare da subito in quale ambito è
ambientata la fan fiction:
ü
Los Angeles
ü
Aoi e le bottiglie di vino
Detto
questo, per chi avrà voglia di continuare a leggere, buona lettura, spero che
sia di vostro gradimento e se vorrete lasciare un commento, ne sarò felice ed
onorata.
P.S.
alla fine della FF ci saranno le traduzioni e i link delle canzoni che ho
usato.
La città degli Angeli
Takanori si sentiva stanchissimo,
avevano passato, non avrebbe saputo dire nemmeno più quante ore, sopra un bus
di linea per raggiungere Los Angeles. Le date della prima fase del tour
mondiale, le Americhe, era quasi
giunto al termine. Era spossante spostarsi nelle grandi distanze, i vari fusi
orari che lo mettevano fuori combattimento, ma incontrare tutti quei volti
sorridenti e felici, lo rimetteva al mondo, come poche cose al mondo riuscivano
a fare. Erano rimasti tutti piacevolmente sorpresi della quantità di fan che si
trovavano in America, aveva avuto il timore di esibirsi di fronte ad un
pubblico striminzito, ma si era dovuto ricredere.
Sospirò, abbassando gli occhi sulla
strada deserta che carezzava placidamente quel lato dell’albergo, la luna era
alta nel cielo, il suo alone argenteo donava un aspetto magico a quella notte;
si chiese se fosse sempre così lì, nella città degli angeli. La temperatura era
tiepida nonostante fosse notte fonda, l’aria era leggera ed era piacevole
restarsene lì fuori, seduto sulla sdraia a fumare la seconda sigaretta degli
ultimi venti minuti.
Avrebbe dovuto entrare in stanza,
preparare gli indumenti per la notte, farsi una doccia e poi dormire; la
mezzanotte era passata da un paio di ore buone e quello stesso giorno,
avrebbero dovuto affrontare un nuovo concerto. Sospirò di nuovo, lasciando
alzare nell’aria una piccola e delicata nube di fumo, la guardò salire verso la
luna, fino a che non fu più distinguibile.
Dall’interno della stanza proveniva
una melodia che conosceva benissimo, amava quel gruppo e non fu molto sorpreso
di sentirli, in fin dei conti si trovavano a Los Angeles e quel gruppo aveva
fatto la sua storia. Chiuse gli occhi, sorridendo iniziò a cantare a voce così
fievole che era difficile udirla, l’udito rivolto alla tv accesa nella stanza
dell’albergo, da cui arrivava quella canzone « She’s got eyes of the bluest skies,
as if they thought of
rain. I
hate to look into those eyes
and see an ounce of
pain »* amava quel brano, i Guns
n’ Roses li amava da tempo immemore, aveva imparato a
memoria tutta la loro discografia; almeno fino a che non si erano sciolti e
avevano perso tutta la loro magia. La Voce di Axl,
senza la chitarra di Slash ad accompagnarla, non riusciva più a dargli quelle
meravigliose sensazioni; era come un canto di un usignolo sotto la neve.
Erano
indubbiamente bravi, forse anche troppo sopra le righe, non avevano saputo
gestire tutto quel successo esploso all’improvviso? Probabilmente sì. Gli
metteva tristezza pensare a quanti gruppi si erano sciolti nel corso degli
anni, cose che capitavano, ma gruppi così promettenti non avrebbero dovuto
strapparsi le ali da soli. Lui non lo avrebbe mai permesso, no, non erano tempi
belli quelli che stavano passando, molti gruppi Visual
Key si stavano sciogliendo, ma loro avrebbero resistito, non avrebbe permesso
ai GazettE di eclissarsi; si sarebbero reinventati, sarebbero andati avanti per
la loro strada, ma non avrebbero gettato la spugna.
Spense la
sigaretta, si strofinò gli occhi e si alzò in piedi portando le braccia verso
l’alto per stirarsi la schiena; un’ultima occhiata di sfuggita a quella luna, a
quel bellissimo paesaggio che incantava gli occhi dei fortunati che si recavano
in quella città, prima di rientrare in stanza. Chiuse i vetri della finestra,
la leggera brezza scomparve e le candide tende si quietarono tornando al loro
posto. Arrestò i suoi passi portando la sua attenzione alla televisione, i suoi
occhi osservavano attenti le scene che si susseguivano sullo schermo piatto:
uomini in rivoluzione, missili sparati da una portaerei, la caduta di Saddam
Hussein (ora il mondo aveva altri diavoli da combattere), quello era il
Vietnam? Ghiacci che si sciolgono, una rosa che si schiude, una radiografia di
un feto dentro il grembo materno, una nuova vita, i primi passi di un bambino
(grande conquista), droga, la rosa si richiude e appassisce; vita, morte,
distruzione, ribellione, forse l’uomo non capirà mai, forse il bello della vita
è proprio lì, o forse no. Le sue labbra si erano mosse accompagnando il
cantante, gli piaceva quel gruppo, era forte e trattava molti temi: What I've Done, I'll face myself, to cross out what I've become, erase myself,
and let go of what I've done... For what I've done,
I start again, and whatever
pain may come, Today this ends,
I'm forgiving what I've done...**
Spense la
televisione e vide riflesso nello schermo nero la sua ombra, non era ora di perdersi
a pensare al mondo e alle sue sventure; era tardi, doveva riposare per
affrontare il live.
Lasciò i
vestiti sul letto, piegati accuratamente e posizionati sull’angolo in fondo in
modo che non gli avrebbero dato fastidio durante la notte, li avrebbe sistemati
in valigia il giorno seguente, non ne aveva voglia in quel momento. Nudo
raggiunse il bagno e si posizionò direttamente nel box doccia dove aprì il
getto dell’acqua e ne regolò la temperatura, concedendosi una lunga doccia che
portò via con sé, lungo il tubo di scarico, la fatica e la spossatezza di
quella giornata di viaggio. Ne uscì solo quando si sentì pronto, tamponò il
proprio corpo con l’asciugamano ricamato con lo stemma dell’albergo, lo stesso
fece con i capelli prima di tornare vicino al letto ed indossare il sotto di
una tuta nera e una maglia a mezze maniche bianca; avrebbe affrontato così la
notte.
Lo
schermo dell’I-Phone si accese catturando la sua
attenzione, raggiunse il ripiano dove lo aveva lasciato e sbloccò lo schermo
trovando molte notifiche ad attenderlo, le ignorò quasi tutte, tranne quelle
che riguardavano un membro della propria band. Aggrottò le sopracciglia,
vedendo che si trattava di vari post del Twitter di
Yuu, l’orario riportava le due passate del mattino; dunque anche lui era
sveglio, beveva a quanto sembrava. Un sorriso gli si allargò sul volto, quando
vide la foto di una bottiglia di vino rosso “Vina
Alberd”
riportava l’etichetta, o così gli sembrava di leggere, con il tappo di
sughero spezzato; non lo avrebbe più tirato fuori. Era proprio sciocco a volte.
Sorrise di nuovo sedendosi sul bordo del letto e con più foga invece, quando
vide che l’amico non si era perso d’animo e ne aveva aperte altre due “ Bourgogne- Chardonnay ” , almeno con queste bottiglie,
non aveva rotto il tappo.
Alcuni
gli stavano dicendo che era maldestro, in fin dei conti era lui che aveva rotto
anche la linguetta della lattina, o no?
La
risatina che gli uscì dalle labbra interruppe il silenzio della stanza, lasciò
il telefono sul letto osservando il soffitto « Non riuscirò a prendere sonno »
disse a sé stesso. Pensando nel frattempo se fosse una buona idea raggiungere
l’amico, probabilmente sì, lo avrebbe demorso dal continuare a bere e magari
non si sarebbe presentato al concerto ubriaco e barcollante.
Si alzò
di scatto, afferrando il telefono e raggiungendo la borsa sulla poltrona, da
dove estrasse il caricabatterie; tornando sui propri passi invece raggiunse il
comodino e lo mise in carica e silenziandolo. Lo osservò per qualche secondo indeciso
sul da farsi, forse avrebbe dovuto mettersi a letto e basta. Si picchiettò
l’indice sulle labbra piene un paio di volte, pensando a ciò che doveva fare,
ma la verità era che aveva voglia di recarsi da Yuu. Voleva
vederlo, voleva sentirlo parlare con quella strana cadenza che prendeva
la sua voce quando era brillo, voleva osservare i suoi occhi lucidi
sempre a causa del vino. Chiuse gli occhi allontanando da sé tutte quelle
immagini, sentiva un formicolio molto familiare nel basso ventre. Si sarebbe assicurato
che smettesse di bere, che si mettesse a letto e che dormisse almeno qualche
ora, tutto lì.
Ma mentre
chiudeva la porta della propria stanza, facendo attenzione che non lo vedesse
nessuno mentre a passo felpato raggiungeva quella di Yuu, due porte più giù
della sua e di fronte a quella di Akira, sapeva che stava solamente mentendo a
sé stesso.
Sussultò
sentendo bussare alla sua porta, non erano stati colpi forti, ma così lievi che
si chiese se li avesse sentiti davvero oppure se li fosse solo immaginati.
Aveva il telefono in mano e scorreva i messaggi che i fan gli stavano lasciando
sotto le foto, lo stavano prendendo in giro e lui si stava divertendo da matti.
Era stata una lunga giornata, aveva sonnecchiato cullato dal movimento delicato
del bus, nel lungo viaggio che li aveva condotti a Los Angeles, quella città
era favolosa, aveva immortalato l’alba e si era sentito felice, vivo, come non
gli capitava da tempo. Era stata una sensazione diversa da quella provata sul
palco, quella mattina si era sentito come parte integrante di un mondo vasto e
senza confini. Tutti i confini, le restrizioni che l’uomo vedeva, erano solo
nelle loro teste e quella mattina, li aveva sentiti scivolare lontani dal
proprio corpo; lui era un essere vivente e aveva tutto il mondo da vedere ed
esplorare ai suoi piedi.
Di nuovo
un colpo alla porta, questa volta più deciso che lo fece sussultare e mettere
subito in piedi; guardò colpevole le bottiglie sul tavolo e il bicchiere mezzo
pieno; molto meglio guardare il lato mezzo pieno che quello mezzo vuoto. Si
decise a muoversi per dirigersi verso la porta, si chiedeva chi potesse essere a
quell’ora tarda; dovevano essere tutti a letto a dormire.
Aprendo
la porta, vide il volto di Takanori, sorrideva. Aveva i pantaloni di una tuta
dell’Adidas neri a strisce bianche, i piedi nudi e una maglietta bianca di
cotone, lo stava osservando con entrambi i sopraccigli alzati.
« Oh,
scusa, entra » si fece da parte per
permettere all’amico di entrare nella stanza, ormai era troppo tardi per
togliere il vino dal tavolo.
Seguì
Takanori restando in silenzio, cercando una qualsiasi motivazione per la quale
si trovasse lì nel cuore della notte « Devi dirmi qualcosa? » chiese, erano
arrivati vicino al letto e Takanori si sedette sulla poltrona che occupava lui
fino a qualche secondo prima.
Il
ragazzo non aprì bocca, si limitò ad indicare il vino ed il telefono, sorrise
appena guardando probabilmente l’espressione che aveva assunto.
« Hai
visto i tweet? » chiese di nuovo, si sentiva in
qualche modo sciocco e un’altra parte di sé, si sentiva come al cospetto del
proprio padre, pronto a fare una ramanzina.
Lo vide
annuire, aveva la bocca stretta, come se cercasse di non scoppiare a ridere,
quel pensiero gli faceva venire da ridere a sua volta, ma con l’alcool a
circolargli nelle vene, non era sicuro di riuscire a non farlo « Non sono ubriaco » continuò il monologo, ma
questa volta Takanori gli rispose.
« Non
ancora » dovendo parlare, gli angoli delle labbra si erano alzati, difficile
mantenerli al loro posto senza serrare le labbra. Scoppiò a ridere. E la risata
inconfondibile di Takanori si unì alla sua, era bello sentirla. Ultimamente
stavano passando parecchio tempo insieme, anche in quel tour, gli era capitato
spesso di uscire a passeggiare insieme, con altri membri dello staff.
« Sei un
demente! Come hai fatto a rompere il tappo? » Takanori si era allungato e aveva
afferrato la bottiglia di vino rosso, quella che non aveva potuto degustare.
« Non è
colpa mia! Il tappo è secco! Deve essere una bottiglia vecchissima » rispose
risoluto e mezzo indignato, di certo non era la prima volta che apriva una
bottiglia di vino e non gli era mai capitato prima di allora.
« Come la
lattina? » Takanori si stava sganasciando, rideva e si teneva la pancia mentre
dondolava, sorrise a sua volta ma non era pronto a mollare.
« Aveva
la linguetta difettosa! » rise di gusto a sua volta.
« Allora
sei proprio sfortunato! » Takanori continuava a ridere, anche se si stava
quietando, vedeva agli angoli degli occhi delle lacrime brillare; non si
sentiva poi così sfortunato in quel momento.
Era
sempre stato attratto da Kouyou, dalla prima volta che lo aveva visto non aveva
saputo resistere al suo fascino; silenzioso, discreto, talentuoso e anche
bellissimo, un mix devastante per lui. Non era stato lo stesso per Kouyou, lui
sì che invece aveva saputo resistere al suo di fascino, aveva sofferto molto,
fino a che le cose erano cambiate. Non avrebbe saputo dire come e quando con
esattezza, ma un giorno non si era più sentito attratto da Kouyou e ne era
stato immensamente felice; gli uomini erano passati dal suo letto, ma nessuno
c’era restato, tutti fallivano al confronto con il suo primo chitarrista.
Era stato
Takanori a fargli capire che si stava distruggendo, continuando ad impuntarsi
con Kouyou, non si stava dando le giuste possibilità con altre persone, non si
guardava intorno gli aveva detto; invece poi, si era guardato intorno.
« Ci sei?
» Takanori gli stava sventolando una mano di fronte al volto, il sorriso sempre
stampato in viso.
« Ci sono
» rispose, ma non sapeva quale espressione avesse, cosa trasmettesse in quel
momento all’amico « Vuoi un goccio? » disse, prendendo il bicchiere e alzandolo
verso Takanori.
« Sono
astemio »la risposta che ricevette da quest’ultimo.
« Non
proprio, la birra la bevi a volte » sorrise « Ma se non lo vuoi, bevo io
»continuò dando un’alzata di spalle.
« Ah!
Dammi qua! » Takanori gli aveva tolto il bicchiere di mano mentre lo stava
portando alle labbra, per poco non glielo aveva versato addosso e scoppiarono a
ridere entrambi « Tu hai bevuto abbastanza e domani abbiamo il concerto » gli
sentì dire, mentre portava il bicchiere alle labbra e ne assaporava un po’ il
contenuto.
Avrebbe
voluto dirgli che non era ubriaco, che era bellissimo, che era felice di stare
con lui, soli nella sua stanza, che aveva voglia di lui.
Restò
zitto ad osservarlo.
« È
buono, un po’ aspro forse » Takanori guardava il vino contenuto nel bicchiere
mentre lo faceva girare al suo interno, un leggero movimento del polso lo
faceva roteare all’interno della coppa.
Annuì,
improvvisamente sentiva la gola secca e se non fosse stato maleducato, si
sarebbe attaccato alla bottiglia.
Gli occhi
di Takanori si posarono su di lui, indagatori « Ti ha per caso mangiato la
lingua il gatto? » quella era una domanda sciocca, avrebbe dovuto ridere o
almeno sorridere, invece era serio.
« No »
riuscì a dire, per poi continuare « Pensavo che forse ti sarebbe piaciuto più
quello rosso, ma non si può aprire » indicò con l’indice, la bottiglia con il
tappo rotto.
Nessuno
dei due aggiunse altro, vide solo Takanori mandare giù il resto del vino contenuto
nel bicchiere e poi versarsene un altro; quel ragazzo non era abituato a bere,
probabilmente finito quel bicchiere avrebbe sentito girargli la testa, era
quello che desiderava Takanori? Che gli girasse la testa? Forse dimenticare
qualcosa di spiacevole?
A volte
faticava a capirlo, Takanori era un ragazzo forte e deciso, ma delicato e
fragile al tempo stesso, non era facile far comprendere ad una persona che non
lo conosceva, come fosse lui in realtà. Era complicato e intricato, un puzzle
difficile da sbrigliare ma che una volta risolto, cavolo, si poteva vedere la
luce filtrare dalla sua pelle.
Cazzo,
era fottuto.
Takanori
lo stava fissando, il bicchiere era di nuovo vuoto e si chiese quanto tempo
fosse passato, ma non doveva esserne passato poi molto, o almeno, non gli era
sembrato che così fosse.
« Devi
stare attento Taka, sembra leggero ma tu non sei abituato a bere e potresti
sentirti male » posò il gomito sul bracciolo della poltrona e il volto sulle
proprie dita, il viso sorridente rivolto verso l’amico.
« Sei
molto premuroso Yuu » il modo in cui lo stava guardando, lo metteva in
agitazione, era strano. Si fermò ad osservarlo, scese dal volto per esaminare
il busto magro nella maglia troppo grande per lui, da dove uscivano le braccia
nude adornate dai tatuaggi; solo qualche tempo prima non avrebbe mai pensato
che ne avrebbe fatti così tanti, o che mai ne avrebbe fatto uno. Le gambe
snelle accavallate e i piedi nudi, uno dondolava lentamente avanti e indietro,
come a tenere conto dei secondi che trascorrevano.
Istintivamente
distolse lo sguardo, senza passare di nuovo per il viso dell’altro, sentiva i
suoi occhi addosso, quella sensazione come se gli formicolasse la pelle e non
voleva vedere davvero la sua espressione; probabilmente era solo frutto della
sua immaginazione, stava vaneggiando e Takanori non stava facendo nulla di
tutto ciò che pensava. Prese il pacchetto di Marlboro portandone una alle
labbra e accendendola subito dopo, ne prese due boccate e la nicotina gli
rilassò i nervi, era una stanza per fumatori e non si doveva preoccupare di
andare fuori in balcone per mettere a tacere la sua sete di nicotina.
Eppure,
alcuni degli atteggiamenti di Takanori gli facevano pensare che non si era
recato da lui per il vino, sapeva che due o tre bottiglie non lo avrebbero
messo proprio fuori combattimento, gli sarebbero bastate alcune ore di sonno
per rimettersi in carreggiata. Non era un novellino, ne aveva passate di serate
al bar, in compagnia di ragazzi apparsi dal nulla e i messaggi riusciva a
coglierli, come quello sguardo insistente che sentiva su di sé, anche in quel
preciso istante.
« Sei
nervoso » non era una domanda, quella posta da Takanori, ma un’affermazione.
Probabilmente
non era difficile capire che lo fosse davvero, improvvisamente avrebbe voluto
bere tutto il resto del vino in un solo sorso; anche se non ne era rimasto
molto, perché mentre lui si accendeva la sigaretta, Takanori si era versato un
altro bicchiere e lo stava sorseggiando.
Lo vide
muoversi, staccare le spalle dalla pelle della poltrona che per tutta risposta
crepitò leggermente di disapprovazione, non si alzò come si era immaginato, un
altro sorso di vino bianco scese nello stomaco del ragazzo, che aveva già le
gote più rosee di quando era entrato; sorrise.
« Che c’è
da ridere? » chiese Takanori sorridendo a sua volta, probabilmente il vino
stava dando i suoi effetti.
Allungò una
mano verso di lui, ebbe paura che si ritrasse da quel tocco, invece lo vide
seguire il suo gesto con le iridi scure; per poi socchiudere le palpebre quando
il proprio palmo si era posato sulla gota calda.
« Sei
caldo » disse « Stai bevendo troppo » la voce era poco più di un sussurro, ma
nessun rumore li stava disturbando, la tv era spenta, la finestra aperta
lasciava entrare ogni tanto il rumore di una macchina che transitava nella
strada; il lieve fruscio del vento tra le fronde delle palme che adornavano la
strada, che faceva ondulare le tende a strisce marroni, bianche e nere. Tolse la
mano e fissò il lento ondeggiare della tenda, era ipnotizzante.
« Cause trying not to love you,
only makes me love you more, only makes me love you more. And this kind of
pain, only time takes away.
That’s why it’s harder to
let you go and nothing I can do, without thinking of you.
That’s why it’s harder to
let you go. But if there’s
a pill to help me forget,
God knows I haven’t found it
yet, But I’m dying to, God
I’m trying to. Cause trying not to
love you, only goes so far, trying not to need
you, is tearing
me apart. Can’t see the
silver lining, from down here on the floor. And I just keep on trying, but I don’t know what for. ‘Cause trying not to
love you, Only makes me love you more. So I sit here divided, just talking to myself
»*** la voce di Takanori si era diffusa per la stanza, quieta e delicata, lo
aveva lasciato cantare quella canzone, la conosceva, non ricordava chi la
cantasse ma l’aveva già ascoltata qualche volta.
Gli occhi
di Takanori si spostarono dalla finestra ai suoi occhi, sorrise e posò il
bicchiere ormai vuoto sul tavolo in legno. Tutto quello che stava accadendo
sembrava svanito nel nulla, come se lo avesse solo immaginato. Lo seguì con lo
sguardo mentre si avvicinava alla finestra e la chiudeva, tirando poi le tende
per non permettere all’esterno di entrare nella stanza, pensò che se ne stesse
per andare a letto, magari portandosi via la terza bottiglia per sicurezza. Invece
lo vide voltarsi verso di sé, sul volto un’espressione strana; spense la
sigaretta nel posacenere e si alzò a sua volta, portandosi di fronte a
Takanori. Non voleva che parlasse, che iniziasse di nuovo a cantare, quel
silenzio era rassicurante e gli donava forse un coraggio, che gli sarebbe mancato
ascoltando la sua voce.
Ormai si
era arreso alla consapevolezza di provare un sentimento più forte dell’amicizia
per Takanori, ma questa volta non aveva sbagliato, fino a quel momento almeno;
lo aveva ben nascosto dentro di sé e non lo aveva dato a vedere, per non
commettere lo stesso errore due volte, la prima volta con Kouyou.
Si era
fermato tutto intorno a loro, con la finestra che aveva appena chiuso, nemmeno
più i rumori dell’esterno riuscivano a penetrare nell’ampolla che si erano
creati. Yuu si era alzato e lo aveva raggiunto, lo aveva di fronte e lo
osservava con vivida attenzione, stava cercando di carpirgli qualcosa solo con
il potere della vista. Non sapeva se ci sarebbe riuscito, in quel momento
sembrava che tutte le sue difese fossero crollate, non era male averlo
permesso, in fin dei conti era stanco di nascondere quel sentimento che provava
per lui.
Si era
stancato di combattere contro quel sentimento, di osservare di nascosto le
reazioni di Yuu quando si trovava vicino a Kouyou, voleva sapere se ancora
provava qualcosa per lui.
« Provi
ancora qualcosa per Kouyou? » era una domanda secca, forse invasiva e sgarbata.
Vide gli
occhi di Yuu spalancarsi, sicuramente colpito da quella domanda improvvisa e
personale « No » una pausa in cui cadde il silenzio più totale « Non più, da
molto tempo ormai. Non stavo bevendo per quello. Insomma, mi andava di
festeggiare » stava farfugliando, si era spostato, si trovava vicino al bordo
del letto, non lo stava guardando in faccia, ma sapeva che non stava mentendo;
non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma era certo che non stesse mentendo.
Si mosse
a sua volta raggiungendolo alle spalle e posandogli una mano, dalle unghie
smaltate, su una spalla facendolo voltare verso di sé.
Sorrise «
Calmati Yuu » era cosciente di essere vicinissimo al ragazzo, la maglietta di
cotone si alzava e abbassava abbastanza veloce, aveva accelerato il respiro e
immaginava che con esso anche il battito del suo cuore lo avesse fatto. Senza pensarci
sopra troppo tempo, scivolò con la mano dalla spalla muscolosa, al petto fino
ad arrivare al punto in cui il costato custodiva il cuore del ragazzo, il tutto
senza staccare la mano dal corpo dell’amico che emanava calore. Abbassò lo
sguardo sulla propria mano che sentiva il frenetico pulsare del muscolo vitale,
per poi tornare agli occhi neri del
ragazzo «Lo sai vero? Lo hai capito Yuu… ».
Non lo
reputava stupido ed era cosciente di aver inviato dei segnali abbastanza
chiari, non esattamente di sua volontà, ma lo aveva fatto.
« Credo
di sì » sorrise di nuovo a quelle parole, conosceva Yuu abbastanza bene da
sapere che non si comportava in quel modo con tutti, anzi tutt’altro, un altro ragazzo
al posto suo si sarebbe già trovato sotto le lenzuola a fare le fusa.
« Hai
paura di me Yuu? » chiese, tutto sommato si stava divertendo. Avvicinandosi a
lui, così tanto che i loro bacini si sfioravano, sentì che Yuu aveva capito
tutto. Socchiuse lascivamente gli occhi, era tempo che non faceva sesso e
sentire quella protuberanza già pronta, gli concesse una piacevole scarica
elettrica.
« No »
quasi Yuu non riusciva a parlare, ma era colpa sua e lo sapeva; non poteva
chiedere a Yuu di parlare normalmente, mentre lui si strusciava sul suo membro
già eccitato.
Schiuse le
labbra osservando gli occhi di Yuu, i quali si spostavano dai suoi occhi alle
labbra e viceversa, stava scoppiando e lui adorava vederlo in quello stato, era
paradisiaco, eccitante e non avrebbe retto oltre, lo voleva.
La mano
destra era posata ancora sul suo cuore, piano la lasciò scivolare e vide il
pomo d’Adamo del ragazzo salire e scendere per tornare al suo posto. Fermò la
mano solo una volta arrivato al suo fianco.
Stava esplodendo,
era in trepida attesa ma non voleva compiere il primo passo, anche se di passi
in sua direzione ne aveva fatti e anche tanti; ma voleva che fosse Yuu a
baciarlo, voleva scorgere nei suoi occhi tutta la voglia che aveva di lui. Finalmente
lo vide decidersi e muovere il volto verso il proprio, fece scivolare la mano
sinistra sulla sua nuca percependo il leggero pizzicore donato dai capelli
tagliati più corti, sensazione che lo estasiò. Le labbra si incontrarono nel
loro primo bacio, un lieve tocco di labbra, leggero e delicato, saggiarono la
sensazione della carne morbida delle labbra, poi una volta sazi di quelle
sensazioni, andarono oltre. Takanori leccò leggermente il labbro superiore di
Yuu, sentendolo arrestare il respiro per un istante e subito dopo la lingua di Yuu
stava cercando la sua, gliela negò per qualche momento, giocando con lui. Non durò
a lungo, perché anche lui aveva la spasmodica voglia di percepire il tocco
umido della lingua dell’altro, quindi gliela concesse iniziando a vagare nella
bocca di Yuu. Si erano avvinghiati l’uno al’altro, il fiato già corto e l’eccitazione
crescente man mano che i secondi passavano, le mani di entrambi si erano
spostate sotto le magliette, saggiando con i polpastrelli la pelle levigata e
calda del busto. Si sentì spingere indietro, accettò di buon grado quel gesto
da parte di Yuu e lo assecondò volentieri. Si sedette sul letto quando l’interno
del ginocchio poggiò sul bordo del letto e scese con la schiena sul materasso
aspettando che l’altro lo raggiungesse. Yuu non lo fece attendere molto, si
portò sopra di lui, negli occhi accesi di passione vi lesse tutto il desiderio
che aveva cercato a lungo.
Sorrise,
felice di come le cose erano andate e di aver preso la decisione di recarsi
nella sua stanza da letto. Yuu rispose a quel sorriso, sorridendo a sua volta,
prima di leccare di nuovo le sue labbra, togliendogli il sorriso e accendendolo
ancor di più di passione; Takanori lo attirò a sé.
Il mondo
chiuso fuori, il paradiso in quella stanza.
Fine
Bhe insomma, penso che ognuno di noi abbia pensato a
chi ci fosse con Aoi, se fosse da solo o no, che cosa abbia combinato quando se
ne sia andato a dormire. Se non lo avete fatto, non siete normali fan dei
GazettE che disagiano sempre e comunque.
Forse mi
dovrò arrendere al fatto che ormai nella mia testa, questa coppia vince sulla UruhaxAoi U__U
Se siete
arrivati fin qui, vi ringrazio di cuore, come al solito sono contenta se le
cose che scrivo vi regalino qualche sentimento.
*Ha occhi dei
cieli più azzurri, Come se pensassero alla pioggia.. Odio guardare in quegli occhie vederci un briciolo di dolore. [Sweet
Child o’ Mine – Guns n’ Roses]
https://www.youtube.com/watch?v=1w7OgIMMRc4
**Quello che
ho fatto, affronterò me stesso per eliminare quello che sono diventato, mi
cancellerò e lascerò andare quello che ho fatto... Per quello che ho fatto, io
ricomincio, e qualsiasi male arriverà, oggi questo finisce, mi sto perdonando
per quello che ho fatto... [WHAT I'VE DONE – Linkin Park]
https://www.youtube.com/watch?v=8sgycukafqQ
***Perché tentare di non
amarti, mi porta solo ad amarti di più, Mi porta solo ad amarti di più. E questo tipo
di dolore, solo il tempo lo porta via. Ecco perché è più difficile lasciarti andare e non riesco a fare niente senza pensare a te,
ecco perché è più difficile lasciarti andare.
Perché tentare di non amarti, arriva solo fino a
un certo punto. Tentare di non
aver bisogno di te, mi sta facendo a pezzi. Non riesco a vedere un motivo di speranza da quaggiù,
sul pavimento. E continuo a
tentare, ma non so per quale ragione. Perché tentare di non amarti, mi porta solo ad amarti di più. Così mi siedo qui, indeciso, a parlare con me stesso. [Nickelback – Trying Not To Love You]
https://www.youtube.com/watch?v=-aYDMV8DcMc