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Autore: kinokochan    10/04/2009    9 recensioni
“vuoi ascoltare una storia, Nori-chan?”
Il bimbo annuì, felice, e si accomodò meglio sul tappeto per ascoltare più comodamente la storia del nonno.
“Ecco, c‘era una volta, molto molto tempo fa, una principessa. Lei era bellissima, aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi color del cioccolato che facevano innamorare chiunque la guardasse. Aveva molti spasimanti, tra i principi di ogni regno, ma il suo cuore apparteneva ad un povero ed umile contadino…”

[AoixUruha]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di inizio ficcu *O*
Questa è una piccola ed insignificante... fotocopia riuscita male di un facsimile di una fotografia sfocata e mossa di una storia u.u" Insomma, diciamo che non è proprio da me fare cose a lieto fine ecco >w< non mi piace molto in effetti, proprio per questo motivo, ma la pubblico per una persona importante u.u
E' nata così per caso mentre ascoltavo il duetto al piano del film la sposa cadavere °° mi sono immaginata quella canzone mentre scrivevo, quindi boh, vi consiglio di ascoltarla *annuisce* e poi volevo fare una bella storia con quei due chitarristi da strapazzo, dopo quello che gli avevo fatto passare ç-ç
Non ho immaginato chi dei due protagonisti potesse essere il narratore, quindi è a vostra discrezione u.u
Sempre bene accette le critiche, e come al solito sono sempre disposta ad andare a scavare le patate *annuisce vigorosamente*

I Gazette non mi appartengono, questa storia non vuole raccontare fatti realmente accaduti o che accadranno, e non è stata scritta a fini di lucro.

Detto questo, buona lettura^^


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Il piccolo cofanetto giaceva, immobile ed impolverato, su di un vecchio settimino in legno massiccio.
Il bambino gli si avvicinò, curioso, appoggiò le mani sul ripiano di legno e si alzò sulle punte, per vederlo meglio, la bocca semiaperta in un’espressione di stupore.
Allungò un braccino paffuto, ma l’oggetto del suo momentaneo desiderio era troppo lontano perché lui potesse raggiungerlo, stese la manina più che potè, ma quello restava comunque a debita distanza da lui.
Una mano grande e forte si poggiò sulla sua testa, scompigliandogli dolcemente i capelli castano scuro, il bambino si voltò, con gli occhi lucidi, ed additò il piccolo oggetto con l’indice.
“Nonno… non riesco…”
“vuoi che il nonno lo prenda per te?”
“si… grazie…”
L’uomo prese tra le mani il cofanetto, spolverandolo appena, e delicatamente lo mise nelle mani del suo dolce nipotino.
Il bambino si accovacciò sul tappeto, esaminandolo con cura.
“ti piace, Nori-chan?”

[ti piace, Uruchan?]

Il piccolo si voltò, osservando il nonno sorridergli tristemente, e gli porse l’oggettino, invitandolo a mostrargliene il funzionamento.
L’uomo, paziente, girò la piccola chiavetta dorata posta si un lato del cofanetto.
Una, due, tre volte.
Lo posò sul tavolino, proprio davanti al bambino e lo aprì delicatamente, quasi avesse paura di romperlo e subito una dolce melodia si diffuse in tutta la stanza.
Un’ondata di nostalgia travolse l’uomo, che avvertì come se qualcosa gli si stringesse intorno al cuore, limitandone i battiti.
Una piccola ballerina, vestita di un abito bianco, perfetto in tutte le sue rifiniture, volteggiava silenziosamente al ritmo di quella musica triste, dolce e carica di ricordi.
Nori si portò una mano alla bocca, osservando rapito la piccola figura muoversi in tondo sul vetro sotto di lei.
“vuoi ascoltare una storia, Nori-chan?”
Il bimbo annuì, felice, e si accomodò meglio sul tappeto per ascoltare più comodamente la storia del nonno.
“Ecco, c‘era una volta, molto molto tempo fa, una principessa. Lei era bellissima, aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi color del cioccolato che facevano innamorare chiunque la guardasse. Aveva molti spasimanti, tra i principi di ogni regno, ma il suo cuore apparteneva ad un povero ed umile contadino…”

Avevano sempre amato girare per la città. Natale poi era il periodo più bello dell’anno.
Passeggiare mano nella mano, stretti l’uno all’altro come se il calore dei cappotti non bastasse a proteggerli dal freddo, sotto le migliaia di luci colorate che rallegravano l’atmosfera.
Scambiarsi fuggevoli baci sotto il vischio, dolci effusioni davanti a qualche vecchia bigotta o semplicemente stare abbracciati stretti su una panchina ad osservare il fiume di gente che si affannava lungo le strade.
Era un amore contro natura, un amore che non doveva esistere, ma perché poi?
Chi aveva stabilito che due uomini non potessero amarsi, chi aveva deciso che questo sentimento tanto forte potesse sbocciare soltanto tra un uomo ed una donna?
A volte l’altra metà della nostra mela è molto più simile a noi di quanto pensiamo.
Ed era bello. Lui era bello.
Ed era perfetto. Loro erano perfetti.
“Aoichan guarda, guarda qui!”
“Uru, è la decima volta che ci fermiamo, non sei stanco di guardare le vetrine?”
“No devi vedere questo, è l’ultima te lo giuro, però sbrigati!”
Era il banchetto di un venditore ambulante, sul ripiano traballante c’erano oggetti di tutte le forme, dimensioni e colori, alcuni di gusto davvero discutibile, ma quello che stava indicando Uruha con tanta insistenza era l’unica cosa forse degna di nota tra tutta quella paccottiglia.
“Non è splendido?”
Prese l’oggettino tra le mani, fece un giro di chiave e lo aprì, beandosi del dolce suono che proveniva da esso.
Gli si illuminavano gli occhi ed era bello vederlo così felice.
“Già, è molto bello, ora però torniamo a casa, che fa freddo e ho voglia di coccole?”
Uruha mugolò in risposta, e posò triste il carillon sul banchetto, poi, insieme, si avviarono a casa sua, dove li aspettava un camino acceso ed un letto comodo.

“Oh, quindi il contadino non lo sapeva?”
“In realtà si, ma vedi, non aveva il coraggio di dirle quello che provava. La principessa lo sapeva, per questo non voleva dirgli nulla finchè lui non si fosse deciso”

“Aoi…”
“mh..?”
Uruha strusciava dolcemente la testa contro l’incavo del collo dell’altro. Seduto a cavalcioni sul moro, si comportava come un piccolo gattino in cerca di cibo.
“Aoichan… noi due…”
Il tono del biondino si era fatto improvvisamente più serio, lasciò il posticino che aveva trovato e puntò i suoi occhi in quelli dell’altro
“che c’è Uru?”
“ecco… stiamo insieme da un po’… e mi chiedevo se… insomma…”
Abbassò il capo, imbarazzato, ma due dita sotto il mento lo costrinsero gentilmente a rialzarlo
“coraggio, che vuoi dirmi?”
“tu… non mi hai… mai detto… che mi ami”
Pronunciò le ultime tre parole velocemente e arrossì, non voleva dirglielo, non così, ma non aveva resistito, lui voleva sapere se rappresentasse qualcosa per Aoi o fosse semplicemente un passatempo. Lui era sempre gentile e dolce e non poteva negarlo, ma non gli aveva mai detto “ti amo” nonostante lo dimostrasse ogni giorno.
Il moro taceva, scrutando nei suoi occhi, con le mani poggiate delicatamente sui suoi fianchi.
“Aoi… rispondi…” ti prego, aggiunse mentalmente, rattristandosi del suo silenzio, lui non parlava, era semplicemente immobile nella stessa posizione di prima e lo guardava, non aveva nemmeno cambiato espressione.
“va bene… ho capito…” sussurrò, alzandosi e rinchiudendosi in camera, a chiave, così che non potesse entrare. Si gettò sul letto ed affondò il viso nel cuscino, per quanto ci provasse a dare una giustificazione al comportamento di Aoi, restava il dolore provocatogli dal suo silenzio.

“Il contadino non aveva avuto il coraggio, si era dimostrato debole, sapeva che così facendo avrebbe perso per sempre la sua principessa, ma non era stato capace di confessarle tutto, lasciando che lei si voltasse e se ne andasse, arrabbiata e triste”
“Ma se la amava, doveva riuscire a dirle tutto, la mamma dice che l’amore è così forte che supera qualunque cosa…”
“infatti, il povero contadino cominciava a pensare che, forse, quello che provava non era poi così forte, e i dubbi cominciarono a roderlo dentro, impedendogli il sonno”

Perché, perché diavolo era stato così debole, perché non gli aveva detto “Si, Uruha, ti amo, più di qualunque altra cosa al mondo” perché non gli aveva spiegato quanto fosse indispensabile per lui, perché?
Si sentiva così stupido a non avergli risposto. Le parole ce le aveva, doveva soltanto dirgliele, invece era rimasto zitto e muto, a guardarlo. Nemmeno aveva tentato di fermarlo quando si era alzato ed era andato via, non aveva provato a calmarlo quando aveva sentito dei singhiozzi dalla porta. Non aveva fatto assolutamente nulla, ma per quanto si sentisse in colpa, c’era comunque qualcosa che non gli tornava.
Era davvero amore, quello che provava per Uruha? Era qualcosa di più del semplice affetto, oppure lo aveva fatto solo per assecondare quel dolce angelo, che lo aveva baciato timidamente una mattina di gennaio, e lui gli aveva risposto che si, potevano provarci a stare insieme.
Forse all’inizio, non era amore, ma poi, lui si era reso lentamente indispensabile.
Si stese supino sul divano, fissando il soffitto, poco dopo si diede dello stupido per averlo solo pensato. Amava il suo angelo, ne era certo, non poteva resistere un giorno senza di lui, che era la sua luce, la sua acqua, la sua vita.
Avrebbe fatto di tutto pur di vedere il sorriso comparire su quelle magnifiche labbra, ed avrebbe fatto di tutto pur di farsi perdonare da lui.
Pur di non perderlo, di averlo ancora accanto.
Il mattino dopo, quando Uruha si svegliò, poteva dire di sentirsi meglio. Il pianto notturno l’aveva fatto sfogare, permettendogli di pensare razionalmente quando si fosse svegliato.
Si stropicciò gli occhi, liberando le palpebre incollate tra di loro, si stiracchiò e scese dal letto, in effetti era abbastanza tardi. Aprì la porta e si diresse in soggiorno, di Aoi nessuna traccia, solo un invitante profumo di caffè che lo guidò in cucina.
Evidentemente lui aveva programmato la macchina per quell’ora, ben consapevole dell’orario a cui si sarebbe svegliato.
Sorrise, a quel pensiero, e si avvicinò al ripiano, notando un piccolo bigliettino accanto alla caraffa del caffè ormai piena.
C’era scritto il suo nome, con una grafia curata e inconfondibile, lo voltò e prese a leggerlo
“Caro Uruchan, se ora stai leggendo questo biglietto devono essere le undici, minuto più minuto meno, contando che ci metti più di una donna a prepararti, ti aspetto all’una alla panchina sotto la quercia, nel parco qui dietro. Non tardare
Aoi.”

“Il giovane contadino voleva fare di tutto, per riconquistare la fiducia della sua amata, si sarebbe gettato nelle fiamme per saperla felice”
“e allora, cos’ha fatto? Dai nonno, dimmelo!”
“un attimo di pazienza, Nori-chan, ci sto arrivando… voi giovani, sempre così impazienti…”
“Nonno!”
“si, si… allora, cosa dicevo? Ah, si…”

L’una e dieci minuti.
Uruha sedeva sulla panchina di pietra, sotto la quercia come gli aveva detto Aoi. Era fredda, ma per lui era un posto speciale, era lì che aveva dato il suo primo bacio ad Aoi, se lo ricordava benissimo.
Muoveva nervosamente una gamba, si stringeva nel cappotto e guardava prima a destra, poi a sinistra, insistentemente, poi dava un’occhiata all’orologio.
L’una e quindici, ma di Aoi nessuna traccia.
Basta, aveva deciso, se entro cinque minuti non fosse arrivato, sarebbe tornato a casa e tanti saluti.
Una coppia di genitori gli passò davanti, spingendo una carrozzina, degli anziani passeggiavano nonostante l’aria fredda.
Niente Aoi.
Scosse la testa, i capelli biondo miele infilati in un morbido cappello di lana grigia.
Si alzò, spolverandosi un po’, ma prima che potesse allontanarsi sentì qualcuno tirargli un lembo del cappotto.
Si voltò, ma non vide nessuno e non si accorse, finchè una dolce vocina non lo avvisò della sua presenza, di un bambino avvolto in una grossa sciarpa rossa, il cappello ben calato sul viso e il cappotto stretto.
Si abbassò, e vide che reggeva qualcosa tra le manine coperte dai guanti
“mi scusi signorina, quel signore laggiù mi ha dato 500yen per consegnarle questo!”
Stese le braccia e gli mostrò un’orchidea, viola, e accanto ad essa… no, non ci poteva credere.

Il trillo del campanello interruppe la storia, l’uomo si alzò stancamente dalla poltrona e andò ad aprire.
Poco dopo fece il suo ingresso nella stanza accompagnato da una donna dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri
“Nori-chan, la mamma è qui”
“Oh, di già? Volevo finire di ascoltare la storia del nonno!”
“L’ascolterai la prossima volta, tesoro, ma ora andiamo a casa”
“Uff… va bene”
Il bambino si avvicinò alla madre, e lasciò che lei gli infilasse il cappotto
“papà, grazie di averlo tenuto, non sapevo proprio a chi lasciarlo”
“figurati tesoro, è stato un piacere… ci vediamo domani Nori-chan”
Il bambino salutò con un cenno della mano e un grosso sorriso, prima di scomparire giù per le scale.
L’uomo chiuse la porta, e tornò a sedersi sulla poltrona, rigirandosi il carillon tra le mani.
Già, non aveva finito la sua storia…

Non ci poteva credere. Recuperò gli oggetti dalle mani del bambino e lo salutò con un sorriso, vedendolo allontanarsi felice e saltellante.
Si abbandonò sulla panchina, rimirando il piccolo oggetto nelle sue mani.
“è bello, vero?”
Sobbalzò, sentendo una voce alle sue spalle, una voce familiare però.
“tu Aoi… hai…”
Il moro accostò il proprio viso al suo, gli cinse le spalle con le braccia, da dietro, intrappolandolo in un tenero abbraccio.
“esatto. Ti piace, Uruchan?”
“è meraviglioso ma… come… perché?”
“diciamo che, ho dovuto supplicare una vecchietta, e diciamo anche che l’ho pagato il doppio…”
“scemo, ho detto che mi piaceva, non che lo volevo…”
“I tuoi occhi dicevano il contrario e… e il perché… c’è scritto qui…”
Portò le mani al carillon, girandolo.

Chissà, se ancora c’era?
Girò il carillon dal lato della chiavetta e la sfiorò con un pollice.
Sorrise e lo avvicinò, per vedere meglio.
Si, c’era ancora, non si era cancellato, non poteva.

“Leggi, Uruchan”
Due parole, incise sul metallo della chiavetta di accensione, due parole che lo fecero singhiozzare di commozione.
“baka, anche io… tanto…”

[ti amo]
   
 
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