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Autore: SilviAngel    12/05/2016    4 recensioni
One shot sequel di “Di un altro gatto, scelte affrettate e fughe mattutine”
Tratto dalla OS: “Visualizzi, ascolti e non rispondi? Alexander Lightwood lo sai che non si fa?” Magnus aveva visto le fantomatiche e pericolosissime spunte blu e non aveva resistito a scrivere l’ennesimo messaggio, inducendo Alec a rispondere.
“Sono vivo e sto bene. Sono in Istituto”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di gatti e un mucchio di piccole e grandi cose...'
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One shot sequel di “Di un altro gatto, scelte affrettate e fughe mattutine”
C'è un pizzico di angst... ma solo un pizzico...
 
Di nessun gatto, qualche confessione e molte scuse.

 
Alec si muoveva per l’Istituto come un’anima in pena, spingendo tutti a evitarlo per quanto possibile e quando Jace comparve nella sala principale, vide il suo parabatai in armeria intento a lucidare arco e frecce con meno forza e zelo di quella utilizzata solitamente.
“Ehi, Izzy, che ha?” mormorò per non farsi udire da orecchie indiscrete.
“Anche se te lo dicessi non mi crederesti” sospirò la ragazza, soffiando via dal viso una ciocca sfuggita dalla coda di cavallo altrimenti perfetta.
“Stupiscimi” la pungolò il fratellastro, mostrando una viscerale curiosità.
“Si tratta di Magnus”
“Bipede stregone o quadrupede miagolante? Devi essere più precisa” puntualizzò Jace raggiungendo il tavolo della stanza e curiosando tra le carte sparse senza grande interesse.
“Tu sai!” sgranò gli occhi Isabelle.
“L’ho visto spuntare ieri sera dal letto di Alec”
“Bipede o quadrupede?” a chiedere questa volta fu la bella cacciatrice.
Le guance di Jace, nonostante il carattere spavaldo del ragazzo, si colorarono impercettibilmente a seguito dell’alternativa offerta dalle parole appena udite, affrettandosi a dire “Quadrupede, ovvio, ma non capisco quale sia il problema. Maryse l’ha per caso scoperto?”
“No. Semplicemente il nostro furbo gattino è scappato”
Isabelle non disse nulla riguardo alla vera natura del micio, consapevole dell’incapacità di Jace di tenere la bocca chiusa.
“Scappato?”
“Sì, ecco, mentre tornavo dalla ronda-”
“Ronda? Si dice così ora?” la interruppe Jace ridendo.
“Comunque, mentre rientravo, Magnus si è infilato in uno spiraglio del portone d’ingresso e poi è scappato via, più veloce del vento”
“Mi spiace per Alec, sembrava così felice ieri sera mentre cenavamo in camera”
“Avete cenato in camera?” gli occhi di Isabelle si assottigliarono pericolosamente “Avevi detto che sareste usciti e che per quel motivo non avreste mangiato con me”
“Ecco, vedi, dovevamo uscire ma poi…”
“Me la pagherete” disse puntandogli contro un dito “Ora voglio fare qualcosa per il mio fratellone triste, poi penserò alla vostra giusta punizione”
“Ieri sera ricordo che, alla fine, aveva deciso che oggi avrebbe portato il gatto da Magnus. Ho un dubbio quindi” Jace si intromise nei pensieri della mora “secondo te, è triste perché il cucciolo è fuggito oppure perché, non potendo più affidarlo allo stregone, non avrà una scusa per andare a trovare quest’ultimo?”
I due shadowhunters rimasero in silenzio a fissarsi negli occhi.
L’incertezza che si infilava nelle loro menti.
Fu Isabelle la prima a riprendere a parlare “Qualunque sia il motivo, dobbiamo fare qualcosa”
 
Intanto in armeria, Alec sospirava infelice con in mano lo straccio usato per lucidare l’arco. Sapeva che avrebbe dovuto separarsi dal micio, ma al tempo stesso era preoccupato che si fosse cacciato nei guai, oramai sicuro che non lo avrebbe mai più rivisto.
Fu quindi con qualche attimo di ritardo che si rese conto della vibrazione insistente proveniente dalla tasca dei jeans.
Quando ebbe in mano il cellulare, vide che a chiamarlo non era altri che Magnus e, senza pensarci su, accettò la chiamata.
“Ciao Alexander”
“Magnus” il nephilim rispose a quel saluto suadente con una voce quasi da funerale.
“Fiorellino!” incalzò allarmato lo stregone, anche se un piccolo senso di colpa iniziava già a germogliare al centro del suo petto “che cosa hai?”
“Niente” glissò “Piuttosto, ti serviva qualcosa?”
“Non posso chiamare il mio shadowhunters preferito senza avere necessariamente bisogno di qualcosa?”
Alec rimase silenzioso.
“Ok, dato che di solito siete voi ad avere sempre necessità dei miei servigi, penso di avere guadagnato punti a sufficienza per poter usare un jolly e richiedere il mio premio”
“P-premio? E cosa vorresti?”
“Te”
“Me?” chiese incredulo il figlio dell’angelo.
“No, voglio del tè” ribatté Magnus trattenendosi a stento dal ridere, prendendolo in giro.
“Vuoi che vada a farti la spesa?”
“No, fiorellino. Ti va un caffè?” si decise di parlare chiaro o almeno così credeva.
“Ma non volevi del tè? Oh… oh, intendi che vuoi che venga a prendere un caffè da te” comprese infine Alec.
“La tua innocenza è adorabile” disse ridendo dolcemente “Sempre bollente immagino?”
“Co-cosa?” quasi strillò il cacciatore al telefono, inducendo i pochi presenti a voltarsi verso di lui.
“Il caffè lo preferisci sempre nero e bollente, giusto?”
“Oh, sì” mormorò voltando le spalle ai curiosi che aveva intorno.
“Perfetto allora sbrigati, non amo aspettare. Anche se per te potrei addirittura arrivare a fare un’eccezione”
Senza attendere ulteriore risposta, lo stregone interruppe la telefonata proprio nell’attimo in cui Jace e Isabelle giungevano accanto al maggiore dei Lightwood.
“Ehi, che succede? Stai bene?”
Alec si girò veloce.
“Fratellone sei tutto rosso” e ghignando riprese “Con chi stavi parlando?”
“Con nessuno”
“Dubito fosse un Signor Nessuno” lo punzecchiò ancora la sorella “Forza… racconta”
“Io, io devo andare” Alec cercò di tirarsi fuori da quella situazione e, non ascoltando i due che ancora continuavano a tentare di scoprire cosa fosse successo – anche se sospettava che Izzy lo avesse capito immediatamente – senza neppure passare per la propria camera, lasciò l’Istituto.
 
Non amava muoversi da solo per le strade di Brooklyn, si sentiva scoperto e vulnerabile, ma non aveva alternative.
Solo quando raggiunse l’edificio in cui abitava Magnus, si rese conto di non avere con sé la chiave dell’appartamento e, sospirando, ripiegò sul suonare il campanello.
Il portoncino sulla strada si aprì quasi all’istante permettendo al nephilim di imboccare le scale e raggiungere il loft.
A metà dell’ultima rampa, Alec sollevò lo sguardo, vedendo lo stregone attenderlo sulla porta.
“Pensavo di averti dato la chiave di casa mia dicendoti di usarla tranquillamente”
“È che l’avevo lasciata in camera e non ho avuto modo di recuperarla” si giustificò l’ospite mentre raggiungeva l’eterno.
“Queste tuo parole stanno a significare che sei corso da me? La cosa mi lusinga alquanto”
“In realtà era necessario per evitare Jace e Isabelle” spiegò Alec guadagnandosi un cenno di noncuranza da parte di Magnus.
“Non fa nulla, l’importante è che tu sia qui. Io e il caffè ti stavamo aspettando”
 
Magnus seduto quasi al centro del divano – deluso dalla scelta di Alec di accomodarsi sulla poltrona lì accanto – stava osservando il ragazzo sorseggiare silenzioso la sua bevanda e, dopo alcuni minuti di silenzio, non resistette oltre.
“Cosa ti intristisce?”
“Niente” rispose secco il nephilim.
“Alexander”
“Pensavo che oggi sarei venuto da te a chiederti un favore e invece” iniziò a confidarsi lo shadowhunter.
“Un favore?”
“Sì. Ieri pomeriggio un gattino si è intrufolato nell’Istituto e dopo averlo salvato da Church l’ho tenuto per un po’ con me. Sapendo che non avrei potuto farlo rimanere, mi ero convinto a portarlo qui. Ti avrei chiesto di prendertene cura al posto mio e invece questa mattina ho scoperto che era scappato”
Magnus guardava il nephilim affranto e deluso senza sapere cosa dire o come cercare di risollevargli il morale.
“Forse è semplicemente tornato a casa”
“Ma era così piccolo! E appena fuori la cattedrale le strada sono così trafficate e… sono inutile. Non sono in grado neppure di prendermi cura di un gatto e spero davvero un giorno di essere in grado di guidare l’Istituto?”
Gli occhi di Alec si erano fatti lucidi e Magnus non sopportò un secondo di più quella tortura pur sapendo che stava per rischiare tutto.
Si alzò lentamente per poi inginocchiarsi davanti ai piedi del cacciatore e, posategli le mani sulle ginocchia, lo convinse a sollevare su di lui lo sguardo abbassato poco prima.
“Alexander, ascoltami. Non avresti potuto fare nulla per trattenere quel gatto”
“Come fai a saperlo?” il viso di Alec era un insieme di sentimenti vivi e forti, circostanza così strana dato che il più delle volte si atteggiava a freddo e insensibile, nascondendo ogni suo sentimento dietro una corazza.
Dopo un calmo sospiro Magnus ricominciò a parlare.
“Non avresti potuto fare nulla semplicemente perché quel gattino non è mai esistito”
“Cosa stai dicendo?”
“Ero io. Ho preso quelle sembianze con un incantesimo. Volevo solo passare un poco di tempo con te e così ho pensato” Magnus gettò la maschera, desideroso di raccontare tutto.
“E così hai pensato di prendermi in giro?”
“Prenderti in giro? No, certo che no, io-”
Alec spinse lo stregone lontano da sé, alzandosi in piedi e mettendo tra loro distanza “Ti sei introdotto con un sortilegio nell’Istituto, mi hai fatto credere di essere un dannato gattino sperduto e” la voce del ragazzo si spezzò per un attimo “Oh per l’angelo! Hai sentito tutto ciò che ho detto”
“Alexander”
“Non avresti dovuto ascoltare quelle cose!” il giovane si fermò un attimo e indurendo lo sguardo e i lineamenti del viso riprese “Avevo iniziato a fidarmi di te. Avevo iniziato a pensare che tutti i pregiudizi dei miei genitori sui nascosti fossero eccessive generalizzazioni e invece avevano ragione. Siete tutti uguali. Falsi e ingannatori”
“No, Alexander, ti prego” tentò di avvicinarsi ma venne malamente allontanato dalle mani forti e rabbiose del nephilim.
“Non avvicinarti più a me o alla mia famiglia. Non azzardarti a farlo mai più” e voltandosi verso la porta, se ne andò “Da questo momento per me non esisti”
 
Magnus era immobile al centro del grande salone, incapace di riprendere a respirare.
Il cuore gli batteva con la forza di un tamburo al centro del petto, pulsando di rimando nella testa. La gola era secca quanto il deserto, ma non erano quelle le sensazioni più distruttive.
Qualcosa stava attraversando le sue guance solleticandogli poi la pelle accaldata del collo. Quando questo fastidioso formicolio divenne insopportabile, lo stregone si forzò a sollevare una mano, portandosela al viso.
Le dita si discostarono poco dopo e l’eterno le vide umide e lucide.
Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, stava piangendo.
 
Alec si ritrovò a correre per le strade del quartiere, ignaro degli sguardi increduli o divertiti dei passanti, avendo dimenticato di attivare nuovamente la runa che gli avrebbe donato l’invisibilità per i mondani.
Arrabbiato e con i nervi tesi come non mai, era infine rientrato all’Istituto, senza degnare di attenzione la sorella e Jace che vedendolo attraversare il corridoio dell’ingresso avevano invano cercato di fermarlo.
Isabelle si era liberata dell’altro in un paio di minuti e aveva percorso il tragitto che l’avrebbe condotta alla camera del fratello.
Decisa a optare per un approccio delicato, bussò leggera al legno scuro della porta.
Non ottenendo alcuna risposta, ripeté il gesto, questa volta con forza maggiore.
Ancora nessuna risposta, nessun invito a entrate.
La cacciatrice aveva notato il volto scuro e teso del fratello e, mentre la certezza che ciò fosse dovuto a una sola e unica cosa, gettò al vento la gentilezza e senza perdere altro tempo, spalancò la porta.
Alexander stava camminando avanti e indietro tra la finestra e il tavolo, da un lato all’altro della camera, e quasi non si rese conto dell’arrivo della sorella fino a quando questa non parlò.
“Fratellone, che c’è?”
“Io… io non posso credere che… Magnus ha”
“Alec, per favore respira e poi parla. Non sto capendo nulla” cercò di avvicinarsi, consapevole che la sua paura fosse oramai realtà.
Alexander aveva scoperto cosa era avvenuto la notte precedente.
“Il gatto era Magnus. Non era un piccolo cucciolo bisognoso di aiuto ma un subdolo e disgustoso stregone che voleva prendersi gioco di me e” riuscì a spiegarsi il moro qualche attimo dopo, arrestando il proprio andirivieni e sedendosi sul davanzale.
“Subdolo e disgustoso mi sembrano parole eccessive” cercò di addolcire i toni Isabelle, guadagnandosi uno sguardo così duro da non riconoscere quasi il fratello.
“Tu hai un carattere di fuoco, di solito sei istintiva e agisci prima di pensare. Come mai una rivelazione del genere non ti disturba? Come mai non ti fa imbestialire?” indagò Alec, muovendo un passo verso di lei.
“Ecco, alla fine non è successo nulla di male e-”
“Tu lo sapevi” disse freddo e lapidario lo shadowhunter.
Le labbra di Isabelle si strinsero in una linea rosso scuro, non sapendo cosa dire.
“Tu lo sapevi e gli hai permesso di giocare con me, con il caos che ho nella testa” arrivò a urlare Alec, consapevole che quella fosse – in assoluto – la prima volta che usava un tono simile con sua sorella, la sua complice, l’unica che sempre e da sempre lo capiva e lo sosteneva.
Isabelle attese qualche attimo e poi parlò in propria difesa “Quando sei sceso in cucina ieri  l’ho preso in braccio e non so cosa sia scattato nella mia testa. Ho avuto questa intuizione e probabilmente lui se ne è accorto perché mi ha sorriso”
“Il gatto ti ha sorriso? E tu hai pensato bene di non dirmelo?”
“Perché avrei dovuto? Era chiaro che il suo unico intento fosse passare un poco di tempo con te. Forse voleva vedere il vero te, quello che non si fa prendere dal panico, balbetta e poi scappa via? Perché ammettilo una buona volta, quel dannato stregone ti confonde e ti incasina così tanto la mente che la tua razionalità diventa un flipper pieno zeppo di biglie impazzite e farfugli”
“E allora? Quello sono io”
“Lo so, lo sa anche lui e gli sta più che bene, da ciò che mi pare di aver intuito, ma forse voleva osservarti tranquillo, nel tuo ambiente. Da quanto non vi vedevate?”
“Noi non ci vediamo” ci tenne a puntualizzare Alexander senza rispondere alla domanda.
“Alec, ti conosco come le mie fruste”
“Ok, è successo che, alcune volte, io sia passato dal suo appartamento e”
“Da quanto non vi vedevate?” ripeté la richiesta Isabelle.
“Alcuni giorni”
“Allora forse ha solo escogitato un metodo – lo ammetto parecchio scemo – per passare del tempo con te. Ti rendi conto che aveva così tanta voglia di rivederti da rischiare le conseguenze che un gesto del genere avrebbe potuto causargli?”
Il viso di Alec si intristì di colpo e mentre le mani si infilavano nervose tra i capelli, lo shadowhunter si lasciò cadere sul bordo del letto.
La sorella si sedette accanto a lui e, posandogli una mano sulla spalla, attese.
“Le cose che ho detto, Izzy. Per l’Angelo! Le cose che ho detto”
“Non capisco”
“Gli ho praticamente detto che-” Alec si fermò mordendosi le labbra per il timore di dire nuovamente a voce alta le parole pronunciate la sera prima.
“Gli hai detto che ti piace?” sorrise dolcemente la sorella “E allora? Lui te lo ripete praticamente dal primo momento in cui ha posato gli occhi su di te. Devo confessarti che, a volte, è imbarazzante stare in vostra presenza”
“Davvero?”
“Scusa ma tu non c’eri? Ha messo in un angolo Jace e ha guardato te. Quante volte lo ha fatto, eh?”
“Ok, ma gli ho detto praticamente in faccia che mi… che mi fa”
“Venire caldo?”
Le guance di Alec divennero rosse in un baleno mentre il ragazzo voltava il capo verso la sorella.
“Izzy!”
“Non hai negato. Bene! Tu sai cosa prova lui. Lui, finalmente sa cosa c’è nella tua frastornata testolina, penso che da ora in avanti le cose non possano che migliorare”
“Non penso che avrò mai più il coraggio di guardarlo in faccia”
“Qualcosa mi dice che invece tutto sarà più semplice di quanto pensi. Non ti sto dicendo di correre da lui e sbatterlo al muro, anche se, quando succederà – e so che succederà – tu dovrai raccontarmi ogni sordido dettaglio”
“Scordatelo”
“Di nuovo non lo stai negando, è già un passo avanti. Ora tranquillizzati e calma i nervi” Isabelle si alzò e dopo avergli scoccato un bacio sulla guancia lo lasciò solo con i propri pensieri.
 
Alec seguì il consiglio della sorella e, stesosi sul letto, rimase a fissare il soffitto per un bel po’ di tempo.
Quando voci e passi giunsero dal corridoio, il ragazzo quasi si riscosse da un leggero torpore che lo aveva abbracciato e, allungando una mano, raggiunse la sua giacca. Rovistando a tentoni trovò il proprio cellulare e, portatolo davanti al volto ne attivò lo schermo.
L’icona dei messaggi indicava ben quattro sms non letti e quella di whatsapp addirittura venti, per non parlare delle cinque telefonate perse.
Alec intuì chi fosse il mittente, considerando che la sorella o Jace avrebbero potuto raggiungerlo in camera se avessero avuto bisogno di lui.
Sospirando sfiorò il piccolo disegno a forma di busta e il nome di Magnus apparve.
I messaggi erano tranquilli. Lo stregone nel primo si scusava, nel secondo domandava nuovamente perdono, nel terzo supplicava il perdono e nel quarto domandava perché lo shadowhunter fosse così crudele da non aver risposto alle telefonate.
La parte divertente – se quella parola poteva avere senso viste le circostanze – giunse quando venne aperta l’applicazione di whatsapp.
Lì Magnus aveva dato il peggio di sé.
Vi erano sia messaggi scritti sia messaggi vocali.
Alec scorse velocemente i primi – tutti ripetitivi Ti prego, perdonami. So di aver agito male, ma perdonami. Perché non rispondi? Perdonami – prima di prepararsi a sentire la voce dell’altro.
 
“Alec, per l’amore del cielo, dimmi che sei vivo?”
 
“Dammi un segno. Va benissimo anche un selfie con uno sguardo di immensa disapprovazione. Qualunque cosa”
 
Alec sollevò il dito un attimo prima che iniziasse il terzo messaggio vocale. La voce di Magnus era preoccupata e stranamente stridente, non salda e morbida come la conosceva. Forse era davvero preoccupato.
 
Il penultimo vocale era abbastanza lungo e il moro si decise infine ad ascoltarlo.
 
“Alexander” gli occhi del cacciatore si socchiusero istintivamente, amava il modo in cui l’immortale pronunciava il suo nome “so di aver sbagliato. So che se tu avessi potuto scegliere non avresti pronunciato neppure una delle parole che ti sono state estorte dalle mie fusa. Ammettilo sono irresistibile in versione micio, ma non divaghiamo. So che non mi avresti detto nulla, mai, ma sappi che se potessi tornare indietro lo rifarei e sai perché? Perché ho adorato ogni parola uscita dalla tua bocca e mi sono ritrovato, per la prima volta, a vedermi come tu mi vedi e mi è piaciuto. Dannazione se mi è piaciuto, mi hai fatto sentire bene shadowhunter e sappi che non mi capitava da molto molto tempo. Assodato questo, non è detto che ciò che è successo debba necessariamente cambiare le cose. È stata una parentesi e stop, possiamo dimenticarcelo se è quello che vuoi, ma ti prego, non ignorarmi, non sparire dalla mia vita” il nephilim sentì Magnus sospirare “Ti prego, fammi sapere almeno che stai bene”
 
Alec rimase immobile per almeno un minuto a cercare di assorbire quanto appena udito.
Magnus era preoccupato, dispiaciuto e spaventato dall’eventualità che il cacciatore volesse tagliarlo fuori davvero.
Nonostante le parole dello stregone fossero sembrate sincere e genuine, nella testa e nel cuore di Alexander vi era ancora un tornato di emozioni impossibile da distendere e accettare e per questo prese tempo e portò l’indice a sfiorare la piccola freccia, un ultimo messaggio era ancora inascoltato.
“Ultimissima cosa, sai che poco prima ho detto che avrei potuto fingere di non aver udito nulla di quanto detto da te, ecco, hai presente l’ultima parte? Beh, sì, quella a luci rosse, ecco penso proprio che non riuscirò a dimenticarla neppure con un incantesimo. Spero a presto, fiorellino”
Alec si ritrovò a sorridere silenzioso.
Mano a mano che le parole di Magnus gli tornavano in mente, il figlio dell’angelo sentiva la sua rabbia acquietarsi, in un modo che era impossibile da spiegare o comprendere fino in fondo. La collera provata fino a poco prima, ben lontana dall’essere scomparsa del tutto, si lasciava lambire dalle schiette verità che lo stregone aveva confessato e neppure il chiaro richiamo ai pensieri sconci di Alec riuscì a farlo vergognare o nuovamente arrabbiare.
Mentre ancora le labbra erano tese in un docile sorriso, lo schermo del cellulare si illuminò ancora.
 
“Visualizzi, ascolti e non rispondi? Alexander Lightwood lo sai che non si fa?” Magnus aveva visto le fantomatiche e pericolosissime spunte blu e non aveva resistito a scrivere l’ennesimo messaggio, inducendo Alec a rispondere.
“Sono vivo e sto bene. Sono in Istituto”
“Mi hai perdonato?”
“Non tirare troppo la corda” scrisse il nephilim non volendo sembrare né troppo rude né troppo arrendevole.
“Ok, ok… hai ragione ma posso comunque sperare?”
“Ora devo andare” mentì Alec “Ciao”
“Ciao fiorellino, non farmi attendere troppo”
 
Alec, lasciata la camera e abbandonato il telefono sul comodino per evitare possibili altre distrazioni, si diresse a passo svelto verso la palestra, forse un po’ di attività fisica gli avrebbe liberato la mente.
   
 
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