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Autore: Dea Elisa    13/05/2016    1 recensioni
[Andrea/Cesari]
Andrea non si sentiva oppressa.
Non si sentiva in trappola.
Era solo stanca. E arrabbiata.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stava guardando da qualche minuto, l’intensità del proprio sguardo sul suo viso, a studiarlo in ogni suo lineamento. Quant’era bella. La bocca contratta, in quella smorfia arrabbiata che non era mai così arrabbiata, perché punteggiata di imbarazzo, quella sensazione di disagio che le si intrufolava nel cervello e le impediva di essere qualcos’altro oltre che arrabbiata.

Si allentò il nodo alla cravatta. Quant’era bello. La camicia stirata, ma un po’ più spiegazzata rispetto al mattino. Le mani sui fianchi, l’andatura cadenzata, avanti e indietro, davanti alla scrivania, gli occhi sempre puntati su di lei. La giacca beige sulle spalle, che non toglieva mai. Aspettava che fosse lei a farlo? I capelli tirati indietro, le occhiaie un po’ accennate, la fronte corrugata. Da quando aveva iniziato a catalogare ogni caratteristica del suo volto? Stava passando troppo tempo.

«Ha messo in pericolo la vita di tutti, qua dentro.»

Non faceva nemmeno più domande: metteva per iscritto nell’aria, come leggesse un rapporto.

E lei era stanca, avrebbe voluto togliersi quella divisa di cui avvertiva la pesantezza sulle spalle, rinfrescarsi la pelle e le idee sotto il getto della doccia, buttarsi sul letto e dimenticare per quella notte il casino che era successo.

«Ma ormai sono diventate una sua prerogativa, le adrenaliniche irruzioni a scapito della sicurezza.»

Aveva iniziato un’ora prima, senza mai smettere di ripetere lo stesso ritornello.

«Poi in procura devo risponderne io.» Si passò una mano tra i capelli, e finalmente diede tregua al maresciallo, perché si voltò di spalle, e ci rimase qualche istante.

Andrea ne approfittò per leggere l’ora sul cellulare. Erano le undici passate, e di nuovo si vide in camera sua, lontana da lui, oppure con lui, se solo fosse diverso, se solo la smettesse di rivolgersi a lei come se la dovesse mettere costantemente alla prova.

«È perché sono una donna, vero?»

«Ma che dice!» Si voltò di scatto, raggiungendo la scrivania in un paio di rapidi passi. Appoggiò i palmi sul pianale di legno, chinandosi verso di lei, la cravatta a sfiorare i fogli sparsi.

Andrea non si sentiva oppressa.

Non si sentiva in trappola.

Era solo stanca. E arrabbiata.

«In questo lavoro non è una questione di sesso.»

«Sembra sempre di sì, invece.» Andrea rimase a guardarlo, impassibile.

Cesari invece socchiuse le labbra per ribattere, ma ne uscì solo aria silenziosa.

Entrambi sapevano che era lei ad avere ragione, e ad avere ragione di essere arrabbiata.

Qual è la mia colpa, dottore?

Avrebbe dovuto trascorrere la sua serata libera a leggere un libro, mesi prima, ecco qual era il problema.

«Ci vediamo domani» Cesari sveltì il congedo.

Perché così in fretta?

«Ho ragione allora.»

«Ho forse detto questo?»

«Quando ho ragione finge di avere altro da fare.» Andrea si alzò dalla poltrona e fece il giro della scrivania, percorrendone il bordo con le dita. «Ha paura di parlarne?»

«Sono solo arrabbiato, e non vorrei pentirmi di quello che potrei dirle.»

Io, sono arrabbiata.

Cesari rimase con la mano a mezz’aria, fino a pochi attimi prima pronta ad afferrare la valigetta stesa su una delle poltroncine.

«E io sono stanca, però-»

«Mi spiega cosa vuole?» Questa volta aveva gridato, e automaticamente lo sguardo della Sepi raggiunse la porta, come ad assicurarsi che fosse chiusa. Sapeva che era chiusa. Ma la voce di Cesari si era alzata troppo.

Fece un passo verso di lei, sufficiente a chiuderle la visuale della porta, nel contempo via di fuga e ragione di intrappolamento.

«Vorrei che si rendesse conto che essendo a capo di questa caserma sono in grado di gestire le azioni che organizzo con i miei uomini, e ad assumermi le responsabilità se qualcosa prende una brutta piega.»

«Una brutta piega? Quella gente era armata! Lo sapevate questo, sì?»

«Lo avevamo messo in conto.»

«In conto

Cesari era più alto di lei. Era un dato oggettivo. Tutti potevano osservarlo. Il dottor Cesari supera il maresciallo Sepi di dieci centimetri abbondanti. Da così vicino, però, sembrava molto più alto.

O forse è perché era solo arrabbiato.

Lui però non aveva messo in conto che avrebbe dovuto lavorare con quella donna.

Quella donna che non avrebbe dovuto più rivedere, quella donna la cui pelle l’aveva conosciuta sotto la luce delle candele. Quella donna troppo bella, anche adesso, anche stanca, anche i capelli non più in ordine.

Andrea si appoggiò alla scrivania, le dita contratte ad afferrarne il bordo.

Cesari la seguì, con gli occhi e coi passi.

«La prossima volta mi avverta prima di ripetere una simile sciocchezza.»

«Il cellulare, il cellulare non prendeva» farfugliò lei.

«Il mio o il suo?»

Non lo sapeva più.

«Poteva morire, lo sa, sì?»

«Non siamo in un’aula di tribunale, non sta facendo un controinterrogatorio, la prego, smetta di urlare o sveglieremo tutta la caserma!» alzò la voce anche lei.

«Lei non aiuta in questo senso.» Sorrise.

«Se lei grida alle persone, anche le persone saranno portate ad url-»

Cesari aveva sorriso. Stava ridendo? No, solo… era una smorfia fatta a sorriso, o un sorriso non riuscito, o una mal nascosta intenzione di prenderla in giro.

«Continui.»

«Ad urlare contro di lei.»

«Lei ha imparato presto a farlo.»

«Vorrei non averne le ragioni.»

L’intensità delle voci di entrambi si era chiaramente ridotta.

Andrea si passò una mano sul viso, come a reprimere un’espressione, o solo per trovare qualcosa da fare pur di non guardarlo.

E come riuscirci?

«Se è ancora qui a farlo è solo merito della fortuna.»

«Allora escludiamo a prescindere che possa essere stata la bravura mia o dei miei colleghi.»

«Se non le hanno piantato una pallottola…»

«Lei non vede l’ora che succeda.»

«Ma che dice.»

«Non stiamo parlando d’altro. Di come sarebbe potuta finire se. Ma sono qui, e lei avrà altri mille motivi in futuro per prendersela ancora con me. Ne è felice?»

«Non immagina quanto.»

Avrebbe voluto alzarsi in piedi, ma l’equilibrio precario sul bordo liscio della scrivania e la figura di Cesari di fronte a lei, ad una distanza così… – da quanto tempo erano così vicini? – le impedivano di muoversi. Finì tutto in un attimo, quando occhi braccia e piedi e il tappetto che si attorcigliò e Cesari a sorreggerla dietro la schiena, teso a spostare il peso verso la scrivania su cui si faceva forza con l’altra mano per non lasciarsi trascinare indietro dal tappeto che continuava a scivolare.

E poi piantò i piedi sul pavimento, e Andrea picchiò la schiena alla scrivania, e Cesari il fianco, e fu di nuovo silenzio, Andrea stretta a lui, e Cesari stretto a lei, a sorreggersi a vicenda in equilibrio precario, fisico o di cuore non era lecito saperlo.

«Sta bene?» le chiese Cesari.

«Me lo chiede adesso?»

«Quando avrei-» s’interruppe, e poi ricominciò dal principio. «Come sta, maresciallo?»

«Ho avuto paura» la sua voce tremava, e nessuno dei due voleva muoversi, perché non voleva che a spostarsi fosse l’altro. Paura di adesso, paura prima, paura di avere paura di avvicinarsi di più, o di allontanarsi il meno possibile. «Ma adesso è finita.» Fece per tirarsi su. Non poteva durare per sempre.

«Stava per farsi molto male, lo sa, sì?»

«Mi spiace averla coinvolta.»

«Sono già coinvolto abbastanza, lei che dice?»

Poi accadde una cosa.

Cesari sorrise, questa volta davvero.

Andrea si scostò una ciocca di capelli dalla fronte, anche se non le dava davvero fastidio.

Ciò che le dava davvero fastidio era la voglia di sorridere che aveva con lui.

Appoggiò le mani sulle braccia che la stavano ancora avvolgendo, non sapeva se per indicargli di allontanarsi, o solo per ricordare come fosse toccarlo. Non si erano più sfiorati, da quella notte.

«Buonanotte, maresciallo.»

Andrea osservò e memorizzò gli spostamenti di Cesari, che evitò il bordo arrotolato del tappeto, afferrò la valigetta, e sostò davanti alla porta dandole le spalle. Aspettava un saluto anche da parte sua? O la richiesta di aspettare, ché ancora non si erano chiariti, ma era anche tardi, quindi avrebbero dovuto rimandare al giorno dopo, e quando si sarebbe presentato in caserma? Perché al mattino avrebbe dovuto sistemare tutte quelle scartoffie e quindi forse il pomeriggio sarebbe stato meglio.

«Grazie, dottore.»

L’assenza di ogni rumore le permise di ricevere in risposta un sospiro, o un mugugno. Forse non era più così arrabbiato.

Di certo lei lo era eccome, perché avrebbe voluto esserlo, quando invece l’unico sentimento che in quel momento provava non somigliava proprio per niente alla rabbia.

   
 
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