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Autore: Juliet88    13/05/2016    2 recensioni
Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano -già- passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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vhgj "I signori passeggeri sono invitati ad allacciare le cinture di sicurezza. Il pilota è pronto per la fase di atterraggio" fu la frase pronunciata dall'hostess, che suonò come meccanica a causa del microfono.
Non ci potevo davvero credere. Ero così felice di poter tornare a casa, così felice di respirare di nuovo l'aria di casa mia. Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano già passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Non mi pentivo affatto della scelta che avevo preso, trasferirmi in America era stata una scelta eccellente per la mia carriera, me l'aveva sempre detto anche Rei... anche se non si potesse dire lo stesso per i miei affetti.
Ero talmente legata a casa mia che riusciva a mancarmi persino la signora Shimura.
E adesso che finalmente ero sulla strada del ritorno, sentivo come se ogni terminazione nervosa del mio corpo stesse per collassare.
Era una sensazione così piacevole, e anche così destabilizzante. Avevo timore, timore che io fossi rimasta così legata alla mia vita precedente, ma che la mia vita precedente non fosse più legata a me. Avevo timore di capire quante cose fossero cambiate, rendermi consapevole del tempo che passava. Paura di sapere come i miei amici avessero continuato le loro vite.
Avevamo continuato a telefonarci l'un l'altro, eppure non era così semplice continuare a mantenere i contatti e l'amicizia immutata con tutta quella lontananza, ce ne eravamo resi conto autonomamente.
Nonostante tutto, il mio affetto era sempre rimasto immutato. Aya e Fuka avevano persino organizzato una piccola vacanza a mia insaputa un anno prima, e per me fu una meravigliosa visita inaspettata. Sorrisi al ricordo delle mie due folli amiche davanti la porta di casa mia con una decina di valigie e dei sorrisi che mi scaldarono il cuore.
L'aereo posò le ruote sulla pista d'atterraggio e finalmente la trepidazione lasciò che il timore passasse in secondo piano, i miei occhi erano più luminosi ad ogni piccolo centimetro che mi portasse verso l'aeroporto.
Casa. Ero a casa.

"Rei? Rei!" dissi, con il telefono contro il mio padiglione auricolare.
"Sana? Oh, Sana, finalmente sei arrivata! Dove sei?" domandò, con una sfumatura di preoccupazione.
"Beh, sto aspettando che arrivi la mia valigia al ritiro bagagli. Ci vediamo all'uscita?"
"Niente affatto. Sono praticamente davanti l'aeroporto, ti sto aspettando da un'ora. Vengo subito e ti aiuto con tutte quelle valigie" pronucniò, come se fosse già a conoscenza del reale numero di valigie che avevo fatto imbarcare.
Mi conosceva.
"Grazie, Rei" fu ciò che dissi, anche se non riuscì a sentirmi dato che aveva già riattaccato.
Il solito iperattivo, pensai.
La mia valigia sembrava non volesse arrivare, ed io ero già pronta a dosare i miei decibel per inveire contro quel pover'uomo all'assistenza su cui avrei riversato la mia rabbia.
Picchiettai ancora la punta del mio piede sul pavimento.
Pazienza, una virtù che probabilmente non sarà mai mia, riflettei.
Stavo proprio per dirigermi verso l'uomo in cravatta blu, quando sentii urlare il mio nome.
"Sana! Oh, Sana! Non sai quanto sono felice di vederti!" gridò, Rei, dietro di me, con gli occhi probabilmente commossi e celati dietro i suoi occhiali da sole.
"Rei! Sono felice anche io, non immagini quanto, ma..."
La sua espressione divenne interrogativa.
Si distese quando capii a cosa potessi riferirmi. Non avrebbe dovuto gridare così il mio nome, subito fummo circondati da persone, in cerca di una foto o una semplice firma sulla maglia.
Lo guardai in cagnesco, anche se poi gli sorrisi immediatamente, non riuscivo ad essergli arrabbiata, e quando portò la sua mano dietro la testa, per mimare un debole "scusa" mi sembrò addirittura impossibile.
Subito cercai di sorridere, cercando di accontentare quelle persone che volevano dimostrarmi il loro affetto.
Inutile dire che perdemmo più tempo del previsto in aeroporto, e che le mie valigie, finalmente arrivate, girarono a vuoto per non meno di un'ora.
Quando finalmente fummo liberi lo abbracciai talmente forte da poter notare il suo viso divenire più cianotico, e subito gli chiesi informazioni su mia madre, sulla signora Shimura, su lui ed Asako, che sapevo essersi sposati.
Lui fu orgoglioso di ripeterlo, e di raccontare quanto sapeva su tutte le persone che gli avevo nominato.
Trascorremmo così tutto il viaggio in macchina, con un Rei che cercava di aggiornarmi su qualsiasi novità potesse riguardarmi, o che potesse interessarmi, ed io che ascoltavo attenta le sue parole, consapevole che anche il suo timbro vocale mi fosse mancato, seppure talvolta mi venisse straordinariamente semplice distrarmi e guardare le luci della splendida città che mi aveva visto germogliare.
Mi voltai verso Rei, e lo guardai con più attenzione. I capelli ai lati sembravano voler abbandonare quel castano a cui i miei occhi erano abituati, sostituendolo con un leggera ombra di grigio. Un velo di barba sul suo volto, qualche ruga che faceva capolino. Il tempo era trascorso, ma gli donava.
Dovrò dirgli di quei capelli grigi. Rei è invecchiato, mi divertirò a prendermi un po' gioco di lui, pensai, con un sorriso malizioso.
E se Rei cominciava ad avere qualche segno del tempo, Sana, Sana seppur con qualche dato di registrazione di maturazione avrebbe continuato a conservare quel suo carattere tutto pepe, inarrestabile, testardo e adorabile al medesimo tempo. Ne era consapevole.
"E comunque, Sana...hanno ripreso a girare "Il giocattolo dei bambini". Lo sapevi?" continuò, riprendendomi dalla distrazione che rappresentarono i miei pensieri.
"Sul serio, Rei? Oh, dovrò sicuramente passare a fare un saluto, quanti ricordi ho tra quelle mura..." sospirai, improvvisamente malinconica.
"A volte ho desiderato che potessi tornare ad avere undici anni, con quelle codine ramate e quell'aggeggio rosa odioso con cui facevi della musica ogni tanto" disse, ridendo.
Lo guardò socchiudendo gli occhi.
"Anche io, mi mancano quei giorni. Ho avuto un'infanzia stupenda."
"E Rei..." continuai, io.
"Si?" fu la sua risposta, ancora un sorriso di nostalgia.
"Quell'aggeggio rosa...ce l'ho ancora, è proprio nella valigia rossa" dissi, avvicinandomi al suo orecchio.
E ridemmo insieme.

"Perfetto. Credo di aver chiamato tutti i nostri amici informandoli di vederci al parco, vicino al nuovo bar. "Sand and breeze" credo dica l'insegna."
"Finalmente ci siamo, Aya! Non riesco a non contare i minuti che mancano prima di poter riabbracciare di nuovo quella testolina color ciliegia" quasi urlò, Fuka.
"Nemmeno io, Fuka! Mi è davvero mancato aver quel piccolo terremoto che gira intorno"
Risero entrambe.
"Sono le 15.30...dovrebbe essere già atterrata" verificò Aya, con le sopracciglia che si irrigidirono lievemente.
"Beh, forse l'aereo non è stato proprio puntuale...e poi, la conosci Sana! Avrà dimenticato di inviare un messaggio quando sarebbe giunta all'aeroporto come le avevamo chiesto" rispose Fuka, senza riprendere ossigeno.
Aya fece un borbottio di risposta, poco convinta, e un po' preoccupata.
"Sempre con la tua iperprotettività! Dai, mammina, sono sicura scriverà tra poco" la prese in giro Fuka, con quell'accento così irritante e allo stesso tempo meraviglioso ancora presente.
Un piccolo suono, arrrivato dalle borse di entrambe, si arrogò la loro attenzione. Era arrivato un messaggio ad entrambe. Si guardarono consapevoli di aver compreso chi fosse il mittente.
"Visto?" domandò con finta presunzione, Fuka, mentre Aya si affrettò a leggerne il testo.
"Aya, Fuka! Scusate se non vi ho scritto immediatamente, ma sono stata bloccata da alcuni fan. Sono in macchina con Rei, direzione casa. Ho bisogno di rinfrescarmi. Ci vediamo nel pomeriggio?"
Fuka sorrise con malizia.
"Oh, vedrai se ci vedremo e quello che abbiamo in serbo per te, Sana!"

Rei scese di marcia, e sentii la macchina scendere di velocità fino a fermarsi completamente, e anche se un po' assonnata aprii immediatamente gli occhi per verificare se ci trovassimo esattamente nell'unico posto in cui in quel momento sarei voluta andare. E fu così. I miei occhi videro dopo ben sei anni il cancello di casa mia. Il cancello della casa dove ero cresciuta, e che sapevo bene, dava su un vialetto in pietra, con un meraviglioso prato, sempre curato con fiori e piante di cui mia madre stessa si occupava. Eccolo lì il cancello che aveva visto partire la Sana quindicenne, e tornare una donna ventunenne, certo, la mia personale versione di "donna", ma pur sempre una donna.
Presi le chiavi di casa, felice di aprire di nuovo quella serratura, e subito davanti a me vidi mia madre correre verso l'entrata per regalarmi un abbraccio unico, di queli che solo una madre può donarti e che mi era mancato ogni minuto di ogni giorno trascorso lontano.
"Mamma, credo di non riuscire a respirare..."
"Hai ancora la cassa toracica fragile, cara? Mi sei mancata" rispose, con il suo solito modo strambo, ma materno.
Le alzai un sopracciglio.
"Fragile la mia cassa toracica? Guarda come è resistente" le feci notare, stringendo le nocche e battendo due colpi sul petto.
Lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
"Ciao, Sana. Sono così contenta di vederti!" esclamò una voce più bassa, meno squillante rispetto il timbro vocale di mia madre.
"Signora Shimura! Oh, che bello potervi rivedere tutti nuovamente. Soprattutto lei, signora Shimura...saranno almeno cinque le volte in cui sono finita in ospedale per una lavanda gastrica dopo aver tentato di cucinare i suoi piatti!" le pronunciai, abbracciandola e provocando i sorrisi di mia madre e Rei.
"Su, andiamo. La signora Shimura sarà felice di poter prepararti di nuovo quel tè al ginseng che tanto adori" sospirò, mama.
Annuii, seguendola verso il divano.
Era tutto così uguale, niente sembrava essere cambiato. La disposizione dei mobili, l'odore di rosa e zenzero che poteva avvertirsi appena entrati in casa, persino i cappelli eccentrici di mama erano i medesimi.
Non potei che essere contenta, adoravo la mia strana famiglia, e per niente avrei voluto che cambiasse di un solo punto.
Mentre la signora Shimura entrava in salotto con un vassoio decorato, biscotti e thè, sentii il mio cellulare produrre un suono. Un messaggio.
Aya.
"Certo, Sana. Io e Fuka siamo impazienti di vederti. Al parco hanno appena aperto un nuovo bar "Sand and breeze", ti va se ci incontriamo in questo posto?"
Sorridendo, risposi positivamente, mentre lasciavo che lo schermo si scurisse.
Passai qualche ora a raccontare tutto ciò che avevo fatto negli Stati Uniti. Dai film, al teatro, ai primi tappeti rossi, alle collaborazioni con Kamura, di cui mia madre chiese notizie.
Fra me e Kamura durante i sei anni che avevo vissuto si instaurò una fantastica amicizia, seppure sapessi che lui continuasse a sperare di riuscire a trasformarla in qualcosa di differente. Io fui sempre chiara con lui, che capì immediatamente accettando di starmi comunque vicino, seppure in modo fraterno. Gli volevo bene davvero.
"Scusa mama, adesso vorrei proprio farmi una doccia, dopo devo vedermi con Aya e Fuka."
"Va' pure, cara. Rei porterà le tue valigie in camera in modo da sistemarle" disse lei, con tono elegante.
Rei la guardò con le labbra schiuse, e gli occhi che, riuscivo quasi a vedere dagli occhiali, sorpresi e sconvolti.
"Ma...ma signora, saranno almeno cinque valigie. Ha idea di quante cose Sana abbia messo all'interno?" domandò, nel tentativo di trovare una mano di sostegno.
"Beh? Sono sicura che Asako non ti avrebbe sposato se sapesse che razza di femminuccia tu sia! Su, sfodera quei muscoli" quasi urlò, alzandosi in piedi, con le mani all'altezza della testa chiuse in un pugno, e una luce strana negli occhi.
Risi, mentre Rei andò verso la macchina con andatura lenta e di rassegnazione.

Salendo al piano di sopra non potei fare a meno di venir investita da ricordi. Ricordi di ogni tipo, positivi o negativi, che divennero più intensi quando oltrepassai la porta della mia stanza.
Sembrava fosse tutto esattamente come sei anni prima, sembrava nessuno fosse entrato in quella stanza da quel giorno. Forse era la realtà.
Aprii le finestre, e subito la luce rese la stanza più chiara, più reale. Alle pareti e sopra la scrivania cornici con foto dei miei amici, foto di splendidi momenti trascorsi nella mia città natale. Riconobbi anche un'immagine che mi fu regalata da Zenjiro al momento in cui lo show "Il giocattolo dei bambini" sembrò volesse spegnere i riflettori. Sorrisi al pensiero di quell'uomo che riusciva a tollerare la mia indisponenza, e ciò che mi aveva detto Rei in macchina. Chissà se ci sarebbe stato anche quello strampalato.
I miei occhi andarono però su una cornice, una cornice bianca, sistemata vicino il portatile, che ritraeva me insieme a tutti i miei amici. Passai l'unghia su ognuno dei volti che quella foto mi aveva permesso di rivedere. Aya, Hisae, Tsuyoshi, Fuka, Gomi.
Indugiai con quel mio leggero sfiorare quando i miei occhi passarono alla Sana undicenne, con quelle terribili codine, e la mia gonna preferita, seduta accanto un viso familiare e dei capelli color dell'oro. Il mio braccio intorno ad Akito Hayama, mentre lo stringevo a me per costringerlo a farsi ritrarre dall'obiettivo. Il mio solito sorriso infantile, ma allegro, e i suoi occhi fermi in un punto in alto, l'espressione lievemente contrariata e le labbra chiuse, come se volesse fischiettare.
Mi ricordai di averlo colpito lievemente dopo per la sua scelta d'espressione, intestardita dal fatto che volessi vederlo sorridere.
"Io non sorrido spesso, Kurata" era stata la sua risposta, indifferente come al solito.
Eppure i miei occhi non si erano spenti, al contrario, cominciarono a diventare più sottili, e lui capì che probabilmente stavo per mettere in atto un piano.
"Ah sì? Hayama, ne sei sicuro?" chiesi, con fare sospettoso.
Lui mi guardò, senza dire nulla, un espressione tra l'interrogativo, e la certezza di doversi aspettare qualcosa di folle da parte mia.
"Beh, allora..." dissi, mentre gli diedi le spalle.
Indossai in qualche secondo il naso finto che ricordai fosse l'unica mia imitazione che lo divertisse davvero, mentre cominciai ad urlare "Mi chiamo Tony! E vengo dal Far West, di mestiere faccio il cowboy, adoro i cavalli e il mio piatto preferito è la zuppa di fagioli!".
Lo vidi piegarsi per le risate, sotto il mio sguardo che brillava per il trionfo, e lo shock di tutti i nostri amici.
Sorrisi a quel meraviglioso ricordo. Gli anni successivi furono complicati dai nostri sentimenti, e dalla nostra mancanza di capacità di confessarli. Era uno scappare e un inseguirsi perpetuo, come se fossimo stati consapevoli di non poter stare vicini, e neppure lontani.
Ma crescendo tutto sembrò essere più complesso, ricordai Fuka, il mio lavoro, anche Naozumi, tutti ostacoli che ci mettevamo davanti pur di non esporre le nostre debolezze. Continuavamo ad esserci l'uno per l'altra, ma non riuscivamo a dirci ciò che eravamo, o che volevamo essere. Tutto ciò fino ai quindici anni, quando sia io che lui capimmo di essere diversi, troppo amici per poter stare insieme. Fu questa la spiegazione che utilizzammo per cercare di non mettere a rischio la nostra relazione. L'America fu solo la ciliegina, la prova che il destino non ci volesse insieme, ma che volesse allontanarci, che si divertisse a prendersi gioco di noi.
Un bacio rubato all'aeroporto fu l'ultimo ricordo che lui decise di regalarmi, e farmi portare con me negli Stati Uniti.
Il ricordo di Akito sembrò seguirmi ovunque andassi per i due anni che seguirono da quell'ultimo contatto, consapevole di provare dei sentimenti per lui così nuovi e antichi allo stesso tempo. Mi mancava averlo accanto a me, e questo fu impossibile da negare. Sapere cosa gli passasse per la mente, leggere dietro quegli occhi color ambra, la nostra capacità di darci una mano e sostenerci l'un l'altro. Non era soltanto per via di ciò che provavamo, persino non poter essere più così amici mi provocava sofferenza.
Eppure feci ciò in cui da sempre ero stata bravissima, ciò che lui non perdeva occasione di rimproverarmi, senza che io potessi cercare di oppormi perchè sapevo avesse ragione. Scappai, e mi buttai sul campo del lavoro.
E così, il tempo, quel tempo che prima sembrava essere avverso si rivelò mio amico, mio alleato attenuando quel dolore provocato dalla sua assenza. Attraverso la mia carriera avevo conosciuto molte persone, molti ragazzi, eppure nessuno ebbe mai il potere di sostituirlo, e subentrò la ressegnazione, la rassegnazione di non poter più scorgere dei capelli dorati accanto a me. Qualche piccolo flirt, qualche piccola storia fu quel che riuscì a concedermi, anche se sapevo nessuno si sarebbe mai fatto posto nel mio cuore così come era riuscito Akito.
Ma adesso ero cresciuta, adesso ero una donna, lui un uomo. La situazione era cambiata, noi eravamo cambiati. So che ne conserverò sempre il ricordo, ma da tempo avevo preso la decisione di andare avanti.
Scelsi di regalarmi un bella doccia d'acqua calda, mentre mi preparavo per rivedere le mie due amiche Aya e Fuka.
Canticchiando un ritornello mi vestii, e indossai una camicetta chiara, in viscosa, ecrù, con delle applicazioni sulla manica, e una gonna a ruota blu. Completai l'abbigliamento con delle scarpe decollète, lasciando i capelli sciolti sulla schiena.

"Ciao mama, ci vediamo a cena!" dissi, urlando, per permetterle di ascoltare le mie parole.
"A dopo, tesoro. Fa' attenzione" fu la sua risposta.
Ricalpestare quella strade, quelle vie, era una sensazione che mi provocaca emozioni ad ogni passo, ogni passo che mi conduceva verso il parco. Mi resi conto d'aver sentito la nostalgia di casas mia ogni attimo trascorso in California.
Fortunatamente per me, il cielo chiaro, senza nuvole, ebbe la capacità di rassicurarmi, di rendermi più tranquilla, avevo sempre adorato il calore e la vitalità che il sole riusciva a infondere nelle persone.
Quando arrivai all'ingresso cominciai a girarmi intorno, in cerca di visi familiari, gli occhiali da sole come protezione allo scopo di non essere vista dai fan.
"Sana! Eccola lì, Aya!" urlò una voce alle mie spalle che riconobbi come Fuka.
Subito andai verso la loro direzione.
"Oh, amica mia. Ancora non riesco a credere che tu sia davvero tornata!" sussurrò Aya, mentre ci stringevamo in abbraccio.
"Nemmeno io, Aya! Sono così, così...ah, mi siete mancate da morire!" dissi, con le lacrime agli occhi.
Sia Aya che Fuka risposero dicendomi quanto io fossi mancata a loro e atutti i nostri amici, mentre mi resi conto quanto dall'esterno questa scenetta apparisse quasi stucchevole. Decisi di non curarmene.
"Beh? Dove si trova questo nuovo posto di cui mi avete parlato?" domandai, sciogliendo il nostro abbraccio, con ancora gli occhi bagnati.
Loro risero, mentre mi mimarono di seguirle.
Il verde del prato del parco ebbe la capacità di potenziare l'effetto di cui prima avevo goduto osservando il cielo sereno, il periodo primaverile non fece altro che dare la giusta cornice a quello spettacolo mozzafiato.
Il locale era effettivamente una nuova costruzione, in stile occidentale, con l'arredamento sui toni del beige e del marrone, mi sembrò davvero carino.
Ordinammo tre caffè, e trascorremmo il pomeriggio discutendo di qualsiasi argomento. Dalla mia carriera, ai film che avevo girato, agli attori che avevo conosciuto, alle loro vite e come erano cambiate dalla mia partenza.
Fuka stava studiando giurisprudenza, e mi sembrò che avesse scelto la professione davvero perfetta per la sua personalità. Era una ragazza sveglia, con un porfondo senso della giustizia, e di certo possedeva anche una bella e spigliata loquacità. Sarebbe stata un bravissimo avvocato.
Aya, invece, aveva studiato per diventare mestra di scuola media, e insegnava proprio nella scuola che avevamo frequentato quando eravamo delle piccole adolescenti.
"Beh, Aya...non riesco a immaginare un lavoro più adatto per te! Insomma...non ho mai conosciuto una persona con senso materno già a 11 anni?" dissi, ridendo.
Lei rise con me.
"Allora è tutto pronto per quel giorno?" domandai maliziosamente, conferendole delle piccole gomitate al braccio.
Lei abbassò poco il capo, cercando di mascherare le guance rosse.
Io e Fuka ci guardammo, con un sorriso d'intesa.
"Beh, sì...Abbiamo già spedito le partecipazioni, e fatto la prenotazione alla chiesa" bisbigliò, portandosi un gruppo di capelli biondo cenere dietro l'orecchio.
Sia io che Fuka rispondemmo con un "uuh" insinuante, con gli occhi che brillavano, al solo scopo di farla arrossire.
"Siete due sciocche...Sana non sei cambiata di una virgola!" asserì Aya, mentre io annuivo, consapevole che fosse davvero così.
E la realtà era che ne ero felice. Ero felice di non aver mutato personalità durante gli anni della crescita, sebbene in America fossi sempre un po' meno allegra.
"E...ci sarebbe un'ultima cosa. Io, ecco...io..." annaspò Aya.
Poggiai il mio viso sul dorso delle mie mani, mentre la incalzavo a continuare con la mia conoscita delicatezza. "Tu cosa, Aya? Non vorrei dover cominciare ad avere i capelli bianchi"
Lei alzò gli occhi al cielo, mentre cominciò a parlare. "Io vorrei che voi foste le mie testimoni! Certo, sempre che voi ne abbiate vogl..."
"Davvero?" urlai, interrompendo la mia amica.
"Certo che ci va, Aya! Oh...sarà il matrimonio più bello del Giappone!" continuai, con le dita strette, saltando da un momento all'altro in piedi, e poggiandone uno sulla sedia.
Ridemmo tutte e tre insieme, e sembrò come se non fossi mai partita.

Il cielo cominciò a divenire più blu, e la sera cominciò a calare, così dissi alle mie amiche che era giunto il momento di tornare a casa. Feci per prendere la borsa, ma si scambiarono un veloce sguardo e tentarono di convincermi a restare per qualche minuto.
Io accettai, anche se non ne capii la ragione, ci saremmo viste anche il giorno successivo.
"Aya, Fuka...che avete in mente? Sembra che mi stiate celando qualcosa..." informai, un po' sospettosa.
"Cosa? Oh, no...non c'è nulla, Sana!"
Io sollevai le sopracciglia.
Vidi i loro sguardi posarsi non più sui i miei occhi ma su qualcosa alle mie spalle. Mentre il mio sguardo si fece interrogativo.
"Sana? Girati" dissero le due mie amcihe allo stesso tempo.
Quello che si presentò dietro di me fu totalmente imprevedibile per me.
Tutti i miei amici erano lì, con dei sorrisi che abbero il potere di far arrivare veloce la commozione, e sentire una morsa al petto.
C'erano proprio tutti. Tsuyoshi, Hisae, Gomi, Mami, tutta la classe con cui avevo condiviso le elementari.
Mi girai verso quelle due folli di Aya e Fuka, mimando un "siete incredibili!", apprestandomi poi ad abbracciare i vecchi amici che avevano reso qui la mia vita felice.
Mi meravigliai di come fosse fisicamente cambiato Tsuyoshi. Mantenne la montatura che portava sin da bambino, era come se fosse il suo tratto unico, ma la mascella divenne più delineata, le spalle più mascoline, la barbetta che non immaginavo potesse crescere sul quel visetto innocente che avevo portato con me nei miei pensieri. Adesso era un uomo.
Lo abbracciai con una forza tale da soffocarlo, e lui ricambiò, con gli occhi anch'egli commossi. Nonostante quel corpo cambiato aveva mantenuto la sua fantastica sensibilità e non potei che essere allegra per ciò.
"Mi stavo cominciando a chiedere se saresti più tornata, Sana!" pronunciò, la voce che rimarcava quanto il tempo fosse trascorso.
"Avrei potuto mancare ad un evento così bello per i due miei amici?" dissi, retorica.
Lui sorrise.
"E sai, Aya mi ha chiesto di farle da testimone!" urlai, sempre sprovvista dell'abilità di mantenere un segreto.
Salutai tutti, scambiando qualche parola, qualche frase. Fu quando terminai di abbracciare Gomi, che mi resi conto anche di un altra persona, rimasta poco in disparte, con le braccia incorociate, e un piede poggiato sul muro.
Anche lui, come tutti gli altri mostrò d'essere cresciuto nei tratti. Era più alto, forse più alto di tutti i nostri amici, le labbra sempre carnose, mentre dalla maglia blu che indossava si riuscivano a notare dei muscoli ottenuti con evidente costanza ed esercizio. Solo due aspetti notai rimasero immutati, il color miele dei suoci capelli, portati con lo stesso taglio di sei anni prima, e gli occhi. Quegli occhi ambrati, talmente intensi da perdersi.
Nonostante parlassi con Gomi, non potei non lanciargli qualche sguardo, mentre pensavo come fosse meglio che ci salutassimo. Avrei dovuto abbracciarlo? O sarebbe stato meglio salutarlo con un gesto? E cosa più importante, perchè mi creavo tutte queste domande su come fosse più consono che lo salutassi? Io sono Sana Kurata, mi comporto sempre come l'istinto mi comunica di comportarmi! Lui durante la breve conversazione con Gomi non tolse mai gli occhi dai miei.
Quando anche Gomi andò a parlare con Hisae, vidi tutti intenti a parlare con qualcuno. Chi del matrimonio tra Aya e Tsuyoshi, chi di semplici e banali argomenti di circostanza.
Io mi avvicinai a lui e sembrò irrigidirsi, nonostante parve che si fosse preparato nei minuti precedenti.
Sciolse le mani intrecciate sul petto, e spostò la gamba poggiata sul muretto, portandola accanto all'altra.
"Hayama" fu ciò che riuscii a pronunciare.
"Kurata..." scelse di rispondermi, e se avessi puntato dei soldi su quali sarebbero state le prime parole che mi avrebbe dedicato avrei certamente trionfato.
Gli sorrisi poco, mentre fui travolta da un velo di imbarazzo che non era mai stato presente tra me e lui.
Non capivo davvero perchè dovesse esserci adesso. Eppure sapevo che, seguendo l'Akito Hayama che ricordavo, e che sembrò essere rimasto il medesimo, quel pronunciare il mio nome sarebbe stato l'unica parola che mi avrebbe dedicato in quell'occasione. L'avevo conosciuto a quel che bastava per prevedere i suoi comportamenti.
Ma forse lui non riuscì a prevedere ciò che invece fu il mio gesto.
Lo abbracciai, così come avevo abbracciato tutti i miei amici, e lui lo era...non avrei stabilito un'eccezione. Mi resi conto di averlo stretto con un po' più con forza rispetto gli altri, ma non me ne curai. Seppure non potessi vedere il suo viso, riuscì a sentire quel lieve "Oh" che fuggì alle sue labbra, e passò qualche secondo prima che le sue mani si portassero alle mie spalle. Proprio in quel momento scelsi di sciogliere l'intreccio, eliminando le lacrime che avevano preso la fuga dai miei occhi, inidonea a trattenerle. Fu un abbraccio breve, eppure riuscì a sembrarmi come assordante.

"Hey, Sana!" urlò Fuka, per avere la mia attenzione.
"Sì?" Mi girai verso lei, offrendo le spalle ad Hayama.
"Comunque, sappi che questo è l'antipasto...ci siamo già accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di bentornato a casa tua per domani!" pronunciò, entusiasta.
"Dici sul serio? Fuka, Aya, non avresto dovuto darvi tutto questo disturbo..."
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai!".


  
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