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Autore: Daleko    15/05/2016    1 recensioni
L'acqua gli scorre addosso mentre il vapore sale a imperlare le mattonelle,​ quasi invisibili nel calore della doccia. Lo scrosciare dell'acqua è l'unica prova del suo essere ancora vivo, perché la pelle è diventata lentamente insensibile al duro picchiettare delle gocce su di sé e soprattutto perché i suoi occhi, serrati quasi ermeticamente, lo avvolgono nelle tenebre senza alcuna infiltrazione di luce a sussurrargli, involontariamente, la sua presenza sulla Terra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhi chiusi
 


Ha gli occhi chiusi.
Sembra una scena da film: l'acqua gli scorre addosso mentre il vapore sale a imperlare le mattonelle,​ quasi invisibili nel calore della doccia. Lo scrosciare dell'acqua è l'unica prova del suo essere ancora vivo, perché la pelle è diventata lentamente insensibile al duro picchiettare delle gocce su di sé e soprattutto perché i suoi occhi, serrati quasi ermeticamente, lo avvolgono nelle tenebre senza alcuna infiltrazione di luce a sussurrargli, involontariamente, la sua presenza sulla Terra.
Impegnato com'è nella descrizione di questi pensieri e nelle solite riflessioni adolescenziali da doccia, che spaziano uniformemente dal senso della vita ai timori per il proprio futuro, quasi non si accorge di uno sbuffo d'aria fredda che gli arriva sul viso. Gli serve un attimo per rendersi conto del perché i peli si sono alzati intimoriti, e un attimo ancora per analizzare quel brivido che lo scuote dal profondo; l'acqua è così calda da poterlo scottare, ma lui trema lo stesso come in una bufera di neve. Si trattiene dal battere i denti e qualcosa, un altro sbuffo lieve e gelido, gli consiglia di riaprire gli occhi.
Le ciglia fremono, le palpebre si rialzano lentamente mentre gli occhi feriti accolgono la luce quasi ignari di averlo già fatto in passato. La luminosità è bassa, nella stanza è acceso solo un lumicino che rischiara poco e nulla, ma gli va bene così. Si sente più a suo agio nella penombra, dove non può scorgerla bene in viso.
 
Eccola: resta immobile davanti a quel corpo nudo e bagnato, lasciando che il vapore riempia i suoi spazi vuoti. Lo sguardo spento penetra attraverso i suoi occhi turbati e allo stesso tempo infastiditi, non abituati a farsi trafiggere dall'ombra di simili occhi antichi. I capelli scuri le ricadono sui lati del viso e la testa è lievemente chinata in avanti, come a scusarsi per qualcosa.
Anche lui resta immobile davanti a lei, senza muovere un muscolo. Dimentico dell'acqua, del calore e del suono, l'unico senso ancora vigile è quello che ammira pigramente il vapore confondersi con il corpo di lei. Si fissano, si ammirano e, quando lei alza lentamente una mano bigia e opaca, lui fa lo stesso.
Si sfiorano, le loro mani s'intersecano per qualche istante e lui non riesce a sentire nulla. Non c'è gelo né calore nel suo tocco, niente che permetta alla sua mente di accettare l'idea di aver toccato qualcosa di reale. I loro occhi continuano a studiarsi, frementi e doloranti ognuno a modo proprio. Non riesce a scorgere le sue estremità e l'intero, sottile corpo si confonde con il denso vapore che li avvolge entrambi: lui non vi fa caso, costringendo i suoi occhi a restare sul viso davanti a sé e di non perdersi, spaventati, nell'innaturale trasparenza del suo corpo.
Quante volte l'aveva cercato, quante volte l'aveva trovato? Nella sua mente la dipinge come un'antica fotografia in bianco e nero, una spenta e sbiadita immagine d'altri tempi, un'immagine senza voce che torna a sfiorarlo come un vecchio ricordo.
Sorride, lei, in un modo triste e vago da donare alla sua figura una dolcezza inconsueta. Le labbra di lui s'incurvano verso l'alto nel tentativo di ricambiare un contatto troppo umano per lui, troppo umano per chiunque abbia ancora labbra da schiudere e mordere con fresca libidine. Si chiede, con un altro immotivato brivido di gelo, cosa potrebbero dirgli quelle labbra se solo fossero in grado di modulare un suono. Si accinge a parlare, ma il dubbio che lei non possa sentirlo gli annoda la lingua; rimane come sempre in silenzio, a guardarla con la mano a mezz'aria finché lei, abbassando la sua, non lo induce a fare lo stesso.
Immagina che questo loro breve, fugace incontro stia per terminare come i precedenti, ma quel sorriso non è l'unico azzardo a cui deve assistere questa volta; quando la vede muovere nuovamente la mano s'inquieta, per un attimo, temendo senza un motivo per sé. Segue con lo sguardo il percorso della mano verso le labbra cineree, ancora incurvate in quel sorriso triste, e trattiene il respiro quando vede la mano avvicinarsi al suo viso. Ora le labbra che sfiora sono quelle rosa e carnose che ha piegato, involontariamente, in un'espressione di inquieto stupore; lei non sembra farci caso, scolpita nella nuova immagine di sé con l'enigma dipinto sulle labbra trasparenti.
 
Non può, non riesce a sentire quel breve e lieve contatto sul suo viso così come sulle sue mani: i loro mondi s'itersecano come i loro corpi, ma non possono avvertire in alcun modo la presenza l'uno dell'altro ché non c'è modo se non, faticosamente, affidandosi alla fallace vista. La mente di lui è ricolma d'interrogativi: come arriva, come va via? Cosa avverte, cosa sente, cos'è che pensa o che vuole o che immagina di me? Perché proprio me?
Mentre queste riflessioni adolescenziali da doccia vengono formulate ripetutamente, con fare ormai meccanico, nella sua mente, quasi non si accorge di aver richiuso gli occhi: quando li riapre, intimorito, scopre d'essere nuovamente solo.
D'improvviso, un senso di vergogna lo attanaglia per le sue nudità: il rossore gli adorna con violenza le gote. La doccia è conclusa.


 
   
 
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