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Autore: Woland Mephisto    15/05/2016    2 recensioni
La città che non dorme mai: piena di luci là sotto, piena di luci là sopra.
Lampioni, finestre illuminate, auto che sfrecciano in ogni direzione, luci mortali che fanno provare un illusorio conforto dal buio che ci attornia e che ci alberga dentro, laggiù; lassù, le stelle del firmamento, in cui qualcuno potrebbe trovare conforto nelle notti bianche ed emotivamente tempestose.
Qualcuno forse sì; ma non Tony.

Post Civil War, Tony non riesce a smettere di soffrire, a dormire e a pensare a Steve, rimuginando sul tetto della base degli Avengers.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers, Tony Stark
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Portati via

 

 
Il fumo si spandeva a spirali strette e vorticose nell’aria fresca delle ore notturne. Lentamente si consumava la sigaretta fra le sue dita, mentre lui guardava assorto la notte che si spalancava sulla città e sul mare.
La città che non dorme mai: piena di luci là sotto, piena di luci là sopra.
Lampioni, finestre illuminate, auto che sfrecciano in ogni direzione, luci mortali che fanno provare un illusorio conforto dal buio che ci attornia e che ci alberga dentro, laggiù; lassù, le stelle del firmamento, in cui qualcuno potrebbe trovare conforto nelle notti bianche ed emotivamente tempestose.
Qualcuno forse sì; ma non Tony.
Posò lo sguardo su quel telefono: le fitte al cuore erano dolorose, la voglia di sentire la sua voce rassicurante era troppa. Ma si tratteneva con gli occhi lucidi.
Con l’indice e il medio che ancora stringevano, sicuri, la sigaretta, prese il bicchiere di whiskey posato accanto a lui e bevve un sorso, ingoiando lentamente per sentire il bruciore dell’alcool in gola.
Bruciava come le verità non dette.
Poggiò di nuovo il bicchiere con il liquido ambrato accanto a lui, su una busta contenente la familiare lettera di Steve. L’aveva letta e riletta, imparandola a memoria; quando ormai avrebbe saputo recitarla per il resto dei suoi giorni, si era concentrato sulla grafia sottile e precisa del Capitano, immaginando la sua mano che tracciava quelle linee scure sul foglio bianco, le dita grandi e forti che tenevano saldamente la penna, rigorosamente stilografica, perché sì, Steve era un uomo d’altri tempi, con un’eleganza che nessun altro avrebbe mai potuto eguagliare.
Tony non sapeva se era più amareggiato, arrabbiato, afflitto o logorato. Forse un misto di tutto ciò, un gran turbine di sentimenti che non gli permettevano di riposare, mai.
Di giorno cercava di distrarsi, di notte cercava di trattenersi.
E quel telefono, ovunque andasse, se lo ritrovava invariabilmente davanti.
Lo appoggiava da qualche parte, se lo rimetteva in tasca, lo toglieva da lì, lo teneva sul tavolo da lavoro, lo guardava e non voleva guardarlo: attirava la sua attenzione come un fuoco con una falena.
Steve.
Riviveva incessantemente il momento in cui lo aveva guardato negli occhi acquamarina e gli aveva chiesto Tu lo sapevi?.
, mentre con gli occhi gli diceva scusa un’altra volta.
E cosa c’era da dire? Cosa c’era da fare?
In una situazione come quella nessuno sarebbe riuscito a mantenere la calma, nessuno avrebbe accettato scuse di alcun genere, nessuno sarebbe riuscito a passarci su. Eppure, i suoi occhi erano sinceri. I suoi occhi erano sofferenti.
Guardava le volute di fumo dissiparsi nell’aere, gli occhi che pizzicavano per il dolore, per l’alcool, per l’indecisione.
E se anche l’avesse chiamato, cosa gli avrebbe detto?
Non se ne parlava di un ho bisogno di te, né di sto male o di un ti prego, ascoltami, parlami.
A volte se ne andava in giro per la base degli Avengers e finiva sempre per sbattere davanti a quella che era stata la camera di Steve.
Entrava e soffriva.
Il letto rifatto perfettamente, precisamente, senza una piega; l’armadio ancora pieno dei suoi vestiti. A volte lo apriva e restava a fissarli. Tutto perfettamente piegato o appeso alle grucce, senza una grinza e con rigore militare.
Avevano il suo odore.
La scrivania ingombra di carte, fotografie, diari, memorie, tutti perfettamente impilati, ordinati. Un portapenne con cinque penne. Cinque, né più, né meno. Ordinate per colore d’inchiostro, da sinistra a destra. Una matita HB gialla poggiata davanti al portapenne, perpendicolarmente al bordo della scrivania.
Lo scudo appeso sopra il letto, a mo’ di quadro. Quello era stata opera sua. Ogni volta che entrava in quella stanza, ogni giorno, più volte al giorno, si fermava a contemplarlo per un po’: il colore strappato dalle unghie del re Pantera Nera.
Steve.
Era tutto come l’aveva lasciato, come se non se ne fosse mai andato.
Le valigie vuote nel ripostiglio delle scarpe, ordinate paio per paio su due file di mensole. Si sedeva spesso sulla sedia ergonomica del Capitano per guardarle, come se con la forza del pensiero potesse riempirle di tutta quella roba e gettarle via.
Se solo ne avesse mai avuto la forza.
Si era immaginato spesso un ritorno di Steve, e gli scenari variavano da un ritorno a testa bassa, con gli occhi umidi di lacrime e imploranti il suo perdono a un ritorno frettoloso, solo per riprendersi le sue cose, per poi andarsene e abbandonarlo di nuovo con Visione, lasciandolo per sempre.
Finché le cose di Steve fossero rimaste lì ci sarebbe sempre stata una speranza che tornasse.
Probabilmente gli avrebbe gridato dietro di portarsi via le sue valigie, i suoi caffè mattutini che lo avevano sempre attratto con quell’odore pungente e accattivante, il suo sedere tondo che Tony ammirava ogni volta, il suo viso serio dall’aria posata e moderata.
Portati lontano da me.
Il telefono nella sua mano faceva male, probabilmente perché lo stava stringendo troppo.
Non gli avrebbe mai gridato di andarsene neanche se fosse stato in procinto di ucciderlo.
Non lo avrebbe mai mandato via.
Non poteva fare a meno di lui, nonostante il male che gli faceva.
E mentre la sigaretta continuava a consumarsi lentamente, lui se ne stava seduto lì, sul tetto della loro base, a guardare il vuoto. Senza fretta.
Forse un giorno lo avrebbe chiamato, ma non c’era fretta.
Probabilmente quella era una lacerazione che non sarebbe mai passata del tutto, così come non aveva mai superato la morte dei suoi genitori.
Le persone che amava che lo abbandonavano.
Le fitte al cuore che lo sconquassavano.
Non c’era fretta, forse il tempo l’avrebbe aiutato almeno a conviverci.
Un altro sorso di whiskey per farsi più male. Pensava a cosa avrebbe potuto dirgli, chiamandolo, e il conflitto interiore che lo devastava si fece più intenso.
Ti amo.
Ma mi hai tradito.
Quante bugie mi hai detto?
In quale maledetto giorno ti ho incontrato?
Perché ti ho conosciuto?
Ti amo.
Non voglio amarti.
Vai via.
Portati lontano da me.
Probabilmente anche Steve stava male. I suoi occhi, quegli occhi imploranti perdono.
Ma aveva difeso Bucky, aveva scelto lui. Aveva scelto l’assassino.
Eppure, eppure…
Lo scudo alto sopra di lui, gli avrebbe staccato la testa, lo sentiva. Aveva esagerato? Gli aveva fatto del male e quella era la sua punizione. Lo avrebbe ucciso e non si sarebbe più preoccupato di lui. Nessuna minaccia e nessun dolore, ancora.
Eppure, nei suoi occhi c’erano le scuse infinite e la tristezza radicata di chi ha sbagliato e ha cercato di evitare il peggio.
Lo scudo calò, lo vide quasi al rallentatore. Non avrebbe dovuto vedere tutta la sua vita davanti agli occhi, in quel momento? Vedeva solo Steve.
Steve.
Gli occhi di Steve.
Le mani di Steve.
Lo scudo di Steve.
La sua vita era Steve.
Crash.
Lo scudo conficcato nel petto. Era stato risparmiato, si era finalmente fermato.
Ma Steve gli aveva spezzato il cuore.
Occhi negli occhi, miele contro ghiaccio, caldo contro freddo.
Era finita. Non gli avrebbe permesso di uccidere, di sporcarsi le mani di sangue. Non gli avrebbe permesso di diventare lui stesso un assassino.
Lo aveva salvato. Due volte in un solo gesto.
Era finita per sempre.
Addio.
Portati lontano da me.
 Non c’era più niente da dire. Non c’era più niente da fare.
E mentre bruciava lenta quella sigaretta che non avrebbe mai fumato, mentre il telefono restava inerte nella sua mano tremante, mentre il whiskey ancora gli bruciava in gola, lui se ne stava lì, ché non aveva fretta.




Angolo dell'autrice:
Salve a tutti, questa è la mia prima incursione nel fandom di Capitan America, sebbene io sia una fan della Marvel da tantissimo tempo.
Avevo troppo bisogno di scrivere una cosa del genere e, anche se non è dal punto di vista di Steve, ho deciso di metterla in questo fandom perché è ambientata poco dopo Captain America - Civil War.
In realtà sto ancora chiedendomi perché manchi il nome di Tony tra i personaggi, dato che comunque era presente nel film, però forse dovrei smettere di chiedermelo e basta; e questo è il motivo per cui ho messo il crossover con Iron Man, perché in realtà il protagonista è Tony, come ho specificato nella trama della storia.
E niente, spero solo che non mi odiate troppo per questa cosa e che non vi faccia troppo schifo.
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere, a chi deciderà di lasciarmi una recensione e a tutti quelli che metteranno la storia nelle ricordate/preferite/segite, se mai ce ne saranno.
Spero di tornare presto sul fandom, università e tesi di laurea permettendo.
Vostra

Sid.
   
 
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