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Autore: nigatsu no yuki    15/05/2016    4 recensioni
Minilong 3 capitoli | Iwaoi | 20k parole| Viaggio spaziale AU
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«Grazie per avermi salvato Iwa-chan» aveva sussurrato, cercando in tutti i modi di sorridere.
Iwaizumi si sarebbe arrabbiato in un’altra occasione, per il modo infantile in cui aveva storpiato il suo nome. Non aveva avuto modo, in ogni caso di replicare nulla, aveva guardato il suo volto ancora una volta, decorato da quel sorriso così vero, da far male agli occhi, alle ossa, al cuore.
Allora, in quel momento ci aveva visto qualcosa di eroico, in quella missione.
Dalle ceneri di quel pianeta distrutto e bruciato, era riuscito a salvare quel germoglio di vita e per un attimo, si era sentito la persona migliore della galassia.
Una singola vita nello sconfinato universo, ma quella vita forse era abbastanza.
Genere: Angst, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.Chiusura

 
Quando parlavano di lui, di solito, l’aggettivo più utilizzato era concreto. Buffo, in fondo, se pensava quanto da bambino gli piacesse fantasticare su mondi lontani, grandi missioni spaziali e alieni spaventosi. Da ragazzino, appena entrato in accademia, lo avevano spinto grandi ideali: giustizia e libertà. Era qualcosa in cui i ribelli avevano sempre creduto, vero? Liberare la galassia dalla tirannia dello Stato.
Crescendo aveva capito che la visione idilliaca che aveva, della sua parte di mondo, non era tale. Anche i ribelli avevano compiuto atti non così nobili, molti di loro erano spinti solo dalla sete di potere. Aveva imparato come quello fosse un circolo vizioso: quando non hai nulla, sono i grandi ideali a guidarti; quando trionfi, quando inizia ad annidarsi nelle idee umane il potere, gli ideali venivano pian piano abbandonati.
Aveva visto le cose cambiare davanti ai suoi occhi, ma si era sempre mantenuto sulla retta via, su quella che lui riteneva la retta via. Aveva reclutato il suo equipaggio di conseguenza e aveva accettato le missioni, con ipocrisia forse, che gli erano sempre sembrate eticamente più corrette.
Il comandante supremo dei ribelli era un uomo rigido e severo, ma di buon cuore. Aveva limitato, durante il suo mandato ciò che aveva sempre spaventato Hajime, ovvero il potere dei vigilanti, coloro che si occupavano dei prigionieri di guerra.
Aveva sentito parlare di torture, studiando il passato dei ribelli, quando all’origine della loro storia erano qualcosa di assolutamente normale.
Dall’inizio del suo mandato, il comandante, aveva cercato quindi di abolire quel potere.
“Vogliamo epurare la galassia dal male? A che serve allora comportarsi come i carnefici?”
Hajime aveva una stima profonda il lui, a lui si era ispirato quando, finita l’accademia, si era promesso che avrebbe sempre e solo combattuto per il bene. Aveva quindi accantonato in un angolo i suoi sogni di bambino, senza dimenticarsi della promessa fatta a sua nonna, e aveva cercato di esprimere in fatti i suoi ideali.
Aveva un equipaggio. E aveva quel suo carattere innato da leader che lo aveva sempre aiutato. Spronava i suoi, manteneva la mente lucida nei momenti critici, sapeva rapportarsi al meglio con i superiori, eseguire gli ordini, ma anche far valere il suo giudizio.
Teneva ai suoi uomini, voleva loro bene, quasi fossero fratelli.
Ciò che lo spaventava di più, che sempre lo aveva spaventato era perdere qualcuno di caro. Poteva immaginare che il tutto derivasse dalla perdita di sua madre, grande capitano spaziale, che morì in missione quando lui aveva appena quattro anni.
Spesso aveva perso dei compagni, ragazzi che come lui avevano intrapreso la sua carriera, ogni volta cercava di sotterrare dentro sé la rabbia e la tristezza che quelle morti portavano.
“Hajime è proprio un bravo bambino, dopo quello che è successo alla sua mamma, riesce ad avere quello sguardo fiero e a non versare una lacrima.”
Le emozioni erano sconsigliate: perdere qualcosa faceva male, ma in ballo c’era la missione e così tante vite, potevi lasciarti distrarre? No.
Sapeva di non aver un carattere facile, per mantenere la sua compostezza aveva limato i suoi sentimenti. Quando Kunimi era quasi morto, era stato in angoscia, quei sentimenti soffocati erano traboccati fuori. Quando aveva visto puntare un fucile al plasma alla tempia di Matsukawa e premere il grilletto si era sentito morire; l’arma era scarica allora, il compagno si era salvato.
La rabbia, quella che non poteva compromettere una missione, era sgorgata come un fiume, abbattendosi sul soldato dello Stato.
“Dovresti piangere Hajime-chan, non puoi pensare di trattenere tutto. Un giorno altrimenti non sarai più in grado di contenerli, quei sentimenti, e quando usciranno tutti fuori, ricostruire il muro che li teneva imprigionati sarà impossibile. Piangerai quando i tuoi amici staranno male, ti arrabbierai contro le ingiustizie, anche se questo vuol dire disobbedire ad un superiore e amerai, così tanto che forse, ti farà solo male”.
 

Era cambiato tutto e niente, dipendeva dalla prospettiva con cui si guardava la situazione.
All’esterno, nei comportamenti che si erano susseguiti a quell’avvenimento, nulla era variato. Hajime era tornato nel palazzo di addestramento, aveva rivisto Oikawa qualche giorno più tardi, completamente ristabilito, che gli aveva parlato come se nulla fosse successo.
All’interno, una buona metà delle sue convinzioni, erano crollate. Era stata la prima volta che aveva permesso alle emozioni di prendere in quel modo il sopravvento su di sé. Era sempre riuscito a controllarle, ma adesso? Adesso bastava quell’insopportabile alieno per far franare il suo castello mentale, che con fatica aveva costruito negli anni, solo per autodifesa. Perché la missione lo prevedeva, perché la guerra lo prevedeva.
Non riusciva a non pensare a quel… no, la sua mente si rifiutava di dargli un nome.
È solo un bacio, doveva accadere prima o poi.
Non aveva mai avuto né la voglia né il tempo di immischiarsi in quel genere di faccende sentimentali dove si trovava solo inappropriato. Sapeva che prima o poi avrebbe incontrato qualcuno, una ragazza, aveva sempre pensato, con cui passare dei bei momenti, costruire ricordi, metter su una famiglia.
Anzi quella era l’idea che non riusciva a togliere dalla testa di suo padre, a ben pensarci lui non voleva una famiglia. Non voleva qualcuno che avrebbe potuto abbandonare per una missione non andata nel verso giusto.
Ma di sicuro non si aspettava quello.
Non un ragazzo, non un alieno.
Più ci pensava più il mal di testa montava.
Forse vedendola in modo più calmo e razionale la totale assenza di reazioni, negative o positive da parte di Oikawa, non lo scoraggiava. Avrebbe potuto respingerlo e cominciare ad evitarlo.
Invece lo incontrava nel palazzo e lo salutava sorridendo, lo trovava a mensa e lo salutava sorridendo, si allenavano insieme agli altri e prima di andare via lo salutava sorridendo.
Era stato l’istinto a muoverlo, non trovava un’altra giustificazione per se stesso. Ripensava alle prime impressioni che aveva formulato sull’alieno e quella sua reazione forse, non gli sembrava neanche così bizzarra.
In qualche strano modo Oikawa… gli piaceva? E non nello stesso senso il cui gli piacevano i suoi amici dell’equipaggio, ma in un modo nuovo che non voleva indagare perché ne era terribilmente spaventato?
Erano buone domande, a cui poteva rispondere affermativamente ad entrambe, sebbene faticasse ad accettarlo.
«Iwa-chan!»
Proprio l’ultima persona che voleva incontrare.
Era all’interno della nave quando quei pensieri l’avevano colto in fallo, stava ricalibrando i sistemi e impostando le nuove rotte, sarebbero partiti l’indomani.
«Ah!» esclamò Oikawa guardando i dati della rotta sullo schermo «siete già in partenza?» chiese.
Hajime annuì e basta, senza staccare gli occhi dagli schermi fluttuanti, senza aver il coraggio di incontrare il suo sguardo. Era la prima volta che erano soli con la possibilità di poter intavolare una conversazione seria, da quando era successo.
«Mi terranno qui per un’altra settimana» si lagnò quello sbuffando.
Iwaizumi non rispose come avrebbe fatto di solito, ovvero intimandogli di smetterla di lamentarsi e pensare a far guarire per bene la sua testa vuota. Quindi alla fine qualcosa era cambiato, il suo rapporto con l’alieno si era incrinato.
«Beh visto che sei qui da solo, volevo proprio parlarti prima che partissi» riprese.
La mano di Hajime si bloccò a mezz’aria, a qualche centimetro dall’ologramma proiettato davanti a lui. E Oikawa se ne accorse.
«Non è nulla di ciò che…»
«Mi dispiace» lo interruppe Iwaizumi, anche se di voltarsi a guardarlo proprio non ne aveva la forza «non so perché l’ho fatto, vorrei solo…»
«Iwa-chan fammi finire!» sbottò Oikawa, pestando un piede, la voce vibrava, sembrava davvero offeso «insomma sono solo sorpreso.»
Quando sbirciò sconvolto verso di lui, Hajime notò che l’alieno oltre ad avere il volto rosso, si erano dipinte dello stesso colore anche le orecchie a punta e le antenne sul capo; la coda stava sferzando l’aria, lasciando trasparire il suo disagio.
«Non era mai capitato, tutto qui» spiegò piano «nessuno ha mai tenuto tanto a me, da preoccuparsi di come stavo, nessuno esclusa mia sorella.»
Stava cercando di sviare il discorso forse, voleva alleggerire il pesante imbarazzo che era calato su di loro. Iwaizumi non proferì parola, capì che era meglio star zitto quella volta, ascoltare tutti i pensieri dell’altro. Per una volta che aveva deciso di esternare quello che pensava davvero.
 «E poi insomma…» si bloccò lasciando la bocca semi aperta, aggrottando le sopracciglia, le parole incastrate in gola «io non avrei mai pensato che…» si bloccò ancora.
Hajime era sicuro che se avesse aperto bocca lui tutto quello non sarebbe finito al meglio, avrebbe potuto rovinare ogni cosa, anzi ne era quasi sicuro.
«Oh al diavolo.» Oikawa gli fu addosso prima che potesse prevederlo, le labbra premute forte contro quelle di Hajime che rimase sconvolto da quel gesto. Tutto si sarebbe aspettato tranne quello, probabilmente era solo ciò che aveva sperato.
Sentì l’alieno allacciare le braccia intorno al suo collo, gli fu ancora, se possibile, più vicino, approfondendo quel bacio.
Se quello era il modo di Oikawa di spiegarsi, si poteva dire che l’umano avesse capito cosa sentisse, che alla fine quel primo bacio nel giardino, della settimana prima non era stata un’idea così spaventosa e sbagliata.
Forse tutto quello, che gli scaldava il cuore e l’animo in maniera così stranamente dolce, non era sbagliato.
Forse.
 

«Kyoutani dannazione, centra l’obbiettivo!»
Sentì nell’orecchio rimbombare un ringhio del tiratore, mentre un altro colpo centrò la nave, la sua nave! Era da fin troppo tempo che non se la vedevano così brutta.
«Watari, rapporto danni?» chiese Hajime voltandosi a guardarlo.
«Ho mandato fuori dei droni che richiuderanno le brecce più grosse, ma hanno colpito il terzo motore» spiegò continuando a fissare i dati che scorrevano veloci, proiettati come ologrammi dal suo polsino «devo andare a vedere se riesco a farlo ripartire e tirar su di nuovo gli scudi.»
Quello era il problema principale: i cinque caccia dello Stato erano piccoli e sfuggenti e la prima cosa che erano riusciti a colpire della nave erano i sistemi che controllavano gli scudi riflettenti.
Iwaizumi marciò verso la cabina di comando, imprecando quando un nuovo colpo fece tremare la nave. Hanamaki e Matsukawa erano accerchiati dalle solite spie luminose, che sembravano impazzite, entrambi fin troppo concentrati, mentre si erano messi nella scia di uno degli ultimi tre caccia rimasti.
«Tiratori!» esclamò Hajime.
«L’ho agganciato» sentì la voce di Kunimi provenire dall’auricolare e un secondo dopo il caccia stava esplodendo, colpito dal cannone al plasma.
«Vai così!» esultò Hanamaki «ne mancano ancora due di questi bastardi.»
«Capitano!» era Watari «sono riuscito a ripristinare il collegamento, gli scudi saranno operativi fra trenta secondi»
Una volta rialzati gli scudi non fu difficile sbarazzarsi degli ultimi due nemici rimasti, anche se il calcolo danni non fu così positivo.
«Ci costerà tanto rimetterla in carreggiata» disse Watari «tornati a casa dovrò lavorarci per un po’, hanno completamente fuso il terzo motore, per adesso possiamo usare l’ausiliario, sperando di non incontrare altri scocciatori.»
«Andiamo la nostra Ace ha visto di peggio» replicò Matsukawa riferendosi alla loro nave, carezzandone il pannello di controllo.
«Vi concederò una vacanza allora» disse Hajime.
I due piloti esultarono e anche Watari sorrise felice.
«Ora mantenete la rotta, non voglio che ci avviciniamo ancora, i sensori arriveranno comunque sulla superficie e ci daranno i dati che vogliamo.»
«Sì capitano!»
Iwaizumi lasciò la sala di comando diretto al laboratorio, dove trovò Yahaba che, chino sul computer, stava già incrociando i dati.
«Siamo quasi a destinazione» lo avvertì Hajime.
Quello si riscosse «Sì, ho già caricato l’ultimo rapporto» spiegò «ma sarebbe stato meglio atterrarci sul pianeta.»
Iwaizumi sospirò, lo sapeva bene anche lui, ma non immaginava come avrebbe reagito. Tornare su quel pianeta, rivivere quella disperazione, forse non era pronto.
«Lo so, ma è fin troppo pericoloso, non voglio rischiare più di quanto non abbiamo già fatto oggi» ammise il capitano «intanto possiamo avere abbastanza informazioni da qui.»
«Bene, le carico subito, i sensori sono già attivi» rispose prontamente Yahaba e Hajime si preparò a sentire quanto era cambiato in quel pianeta dopo il loro anno di assenza.
«Computer avvia l’analisi» disse il biologo.
«Analisi avviata, dati in arrivo» rispose il computer, mentre iniziava a far scorrere sullo schermo tutte le informazioni ricevute.
«Composizione atmosferica non variata» iniziò Yahaba a leggere «composizione del terreno presenta minime variazioni, iniziano ad abbassarsi le percentuali di molecole organiche. Morfologia del paesaggio variata: gli alberi Gemma sono quasi tutti morti, le oasi stanno morendo con loro, la sabbia inizia a ricoprire tutto» si bloccò.
Hajime distolse lo sguardo imprecando dentro di sé.
Stava morendo. Il pianeta di Oikawa stava morendo.
«Analizza le probabili cause» ordinò Yahaba per poi voltarsi verso il capitano «Oikawa mi aveva raccontato che la Gemma è alla base degli ecosistemi delle oasi, in qualche modo proteggeva tutta la flora e la fauna dalla sabbia.»
«L’aria è respirabile solo grazie alla Gemma» aggiunse Hajime «era l’unica a poter creare ossigeno, è strano che i valori atmosferici non siano cambiati.»
«Ne sapremo di più dall’analisi approfondita, in ogni caso non è detto che sia spacciato il pianeta»
Iwaizumi sospirò, quando aveva detto ad Oikawa che li avevano mandati in missione a controllare i movimenti attorno al pianeta Primo Sguardo 3 lui si era ostinato nell’andare con loro. Ma di sicuro non glielo avrebbero permesso, dato che anche lui aveva il suo lavoro da svolgere, in più Hajime, che si aspettava un risultato simile a quello che aveva avuto davanti agli occhi con quel rapporto, non voleva farlo assistere. Non voleva che rivivesse quegli attimi terribili, chiudendosi ancora più in se stesso, senza lasciargli la possibilità di raggiungerlo e aiutarlo.
Forse negli ultimi tempi le cose erano un po’ mutate: Hajime era sceso a patti con se stesso, aveva solo in parte ammesso quello che provava per l’altro.
E Oikawa era rimasto quello di sempre: tremendamente insopportabile, con addosso la stessa maschera, determinato e combattivo. Solo che a volte Hajime riusciva a veder oltre lo specchio che si costruiva davanti. Vedeva i vetri rotti che avevano sempre tappezzato il suo animo e in ogni modo cercava di rimetterli insieme.
Che fosse insultandolo e prendendolo a calci quando si lagnava troppo, o baciandolo piano quando lo vedeva triste e depresso.
«Forse è stata davvero una buona idea non permettergli di accompagnarci» riprese Yahaba «ne avrebbe sofferto.»
«Credimi è stato difficile mantenerlo buono» ammise Hajime «ma è meglio così.»
Se il pianeta stava davvero morendo, era sicuro che l’alieno non sarebbe stato pronto a ricevere quella notizia. Non dopo tutto l’orrore che aveva passato, non se era trascorso così poco tempo e le ferite sanguinavano ancora.
 

 
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L’istinto, lo aveva svegliato, ma ora doveva cercar di dar ascolto alla mente. Doveva cercare di evitare con lo sguardo i corpi riversi a terra, doveva evitare gli alieni.
E doveva continuare a correre.
Era veloce dopotutto, era allenato, eppure le gambe erano pesanti, nel naso l’odore di fumo era troppo forte.
Poi si sentì chiamare e fermò la sua corsa disperata fissandosi i piedi che avevano cominciato a sanguinare.
Qualcuno correva verso di lui stringendo in braccio una bambina che Tooru riconobbe subito: abitavano appena più a sud nella loro stessa radice della Gemma.
«Mei-chan» sussurrò guardandola.
Era il padre che correva verso di lui stringendola a sé «Tooru» sussurrò l’uomo «sono dietro di me, mi hanno inseguito.»
Quella bambina era solita giocare con Takeru, già da quando erano molto piccoli.
«Arrivo ora da casa e…» si bloccò «ce ne sono troppi.»
Takeru le aveva insegnato ad arrampicarsi sugli alberi campana.
«Ti prego prendila e andate verso la Scala Sacra, lì non riusciranno a raggiungervi.»
Tooru alzò gli occhi su di lui «Mia sorella e Takeru, devo andare a loro» spiegò come se fosse la cosa più naturale del monto, mantenendo un tono così distaccato che a stento riconobbe la sua stessa voce.
«Tooru…» l’uomo lo guardava con un’infinita tristezza mista ad ansia «non è rimasto più nulla.»
Avrebbe voluto urlare.
La vista cominciò ad appannarsi, le lacrime a rigargli le guance. Tutto il male che aveva provato fino a quel momento fu nulla rispetto a quello che sentì lacerargli il petto in quell’istante.
Poi degli spari e si ritrovò con in braccio la bambina.
L’uomo davanti a sé gli poggiò una mano sul petto, il suo marchio brillò d’azzurro come quello di Tooru «Scappate, io li attirerò» disse semplicemente, una nuova strana forza nella voce, la forza della consapevolezza che sacrificando la sua vita, avrebbe salvato la figlia «proteggila, ti prego.»
L’uomo cose via, iniziando ad urlare, Tooru scappò dalla parte opposta, stringendo a sé la bambina, continuando a piangere.
I piedi non gli facevano più male, ora nulla aveva senso, se non rispettare quell’ultima volontà che gli era stata donata: l’avrebbe protetta.
Quando arrivò al grande tronco della Gemma vi poggiò una mano sopra “Aiutami” chiese solo.
Un varco si aprì nel tronco, un varco che conduceva alla Scala Sacra. Percorsa fino alla cima, sempre dai saggi del villaggio, si poteva arrivare tra le fronde della Gemma, a raccoglierne i frutti miracolosi.
Tooru entrò rimanendo a pochi passi dal varco che si richiuse subito, si lasciò cadere a terra, le lacrime ormai secche sul suo volto, Mei-chan che respirava appena stretta a lui, il suo animo distrutto, in schegge taglienti che non smettevano di far male.
Pregò per un tempo indefinito, pregò la Gemma che tutto quello fosse solo un sogno, pregò perché la bambina potesse star bene.
Ma nessuno gli rispose questa volta, questa volta il silenzio e il buio lo inghiottivano fino a mozzargli il respiro in gola. Perse i sensi, ma poco prima di chiudere gli occhi fu quasi sicuro di sentire il varco riaprirsi e di vedere di nuovo il cielo stellato.
 
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Tooru si tirò su annaspando, alla ricerca di aria, portandosi una mano al petto dove il marchio aveva cominciato a brillare, illuminando appena le lenzuola del suo letto.
Iniziò a prendere grossi respiri, cercando di calmarsi.
Solo un sogno.
Anzi, solo un altro degli innumerevoli incubi che lo tormentavano quasi ogni notte.
Prima, quando nulla era ancora successo, non aveva mai fatto incubi. Di notte sognava le stelle, le guardava e le contava.
Probabilmente nulla gli avrebbe riportato quella tranquillità, quella vita che gli era stata strappata.
Mise i piedi a terra, inquieto; no, non sarebbe riuscito a riprendere sonno. Non con l’odore di fumo e sangue ancora incastrato nella mente, non dopo quello che, nell’ultima settimana, si era aggiunto al pensante macigno che portava nel cuore.
Si chiese come avrebbe fatto a superare tutto quello che gli era capitato se fosse stato solo. E appena il suo cervello formulò quella domanda i suoi piedi si mossero da soli andando verso la risposta.
Si rivestì velocemente abbandonando la sua stanza, la meta ben prefissata nella mente.
Era così stupido, non aveva mai avuto bisogno di chiedere aiuto, non aveva mai voluto farlo. Aveva sempre sotterrato ogni cosa dentro sé, quasi dimenticandosi di far vedere il suo vero io, nasconderlo dietro la maschera era sempre stata la scelta migliore. In quel modo anche se gli altri bambini lo insultavano, lui resisteva e piangeva poi da solo, anche se, dopo essersi allenato per anni, non era riuscito a trionfare nella corsa del Re.
Perché quindi adesso non ce la faceva?
Si sentì debole ed inutile, anche quando arrivò davanti alla stanza e iniziò a battere la porta con un pugno chiuso. I ricordi tornarono prepotenti a far breccia nel suo pensiero, quando lui aveva solo voglia di dimenticare. L’unico momento in cui riusciva a trovar pace e a provar sana nostalgia di casa era quando raccontava a Yahaba o a Iwa-chan del suo pianeta, perdendosi in piccoli dettagli come il colore dei fiori che crescevano nella fitta erbaluce arancione o dei fini ricami delle radici della Gemma che brillavano ogni volta che voleva comunicare con lui.
«Iwa-chan» sussurrò lasciando la mano aperta sulla porta senza più la forza di bussare ancora.
Hajime si era svegliato a causa dei rumori forti. Riuscì a capire che provenivano dalla porta, qualcuno stava bussando.
Ringhiò qualche insulto dentro di sé, chi diavolo doveva svegliarlo in quel modo così tardi?
Raggiunse la porta, facendola scattare e questa si aprì. Aveva già pronta la sfuriata verso chiunque si sarebbe trovato davanti, ma la voce gli si bloccò.
Gli sembrò di tornare indietro a più di un anno prima, trovò davanti a sé la stessa espressione, gli stessi occhi spaventati che in qualche modo imploravano aiuto.
«Oikawa?» chiese preoccupato «che cosa…?»
L’alieno non lo lasciò finire e gli fu addosso imprigionandolo in un abbraccio disperato, poggiando la fronte sulla sua spalla.
«Ohi» provò di nuovo Iwaizumi «che succede?» provò a chiedere con più gentilezza.
Ma Oikawa non rispose, si strinse solo più a lui. Hajime sospirò preoccupato, ma non cercò di forzare oltre, in ogni caso l’altro se tirava su il muro, sarebbe stato impossibile vederci oltre.
Passarono un tempo indefinito, lì in piedi; Hajime riuscì a sentire il respiro dell’altro calmarsi pian piano, come la sua stretta. Il cuore invece continuava a galoppare nel suo petto, quello lo sentiva chiaramente.
«Iwa-chan» sussurrò alla fine Oikawa, allontanandosi appena, sfuggendo al suo sguardo.
«Mi dici che succede? Vieni a notte fonda cercando di buttar giù la mia porta a pugni e…» iniziò Hajime.
«Ho avuto un incubo» ammise l’altro, sempre lo sguardo basso.
Fuggiva, in ogni momento fuggiva. Hajime pensava a tutte le volte che aveva dovuto strappargli di bocca le parole, solo per riuscire a capire cosa gli passasse per la testa. Parlava spesso del lavoro di spia, raccontava aneddoti della sua vecchia vita e condiva il tutto con un sacco di idiozie di cui Iwaizumi avrebbe sinceramente fatto a meno. Ma si bloccava quando gli chiedeva come stesse, quando voleva davvero capire come gli passava in mente.
Ci stava ancora lavorando, in un anno aveva fatto progressi, ma a volte gli sembrava che quel guscio ogni volta che finiva in frantumi, si ricostruiva sempre più forte, saldo e impenetrabile.
Oikawa fissava ancora il pavimento, concentrato su qualcosa che lui non riusciva a cogliere, lontano.
Hajime non riuscì a trattenersi «Mi fai solo incazzare quando fai così» sbottò.
L’alieno, colto l’astio nella sua voce, alzò lo sguardo fissandolo indignato.
«Ora mi guardi in faccia allora?» riprese Iwaizumi ancora arrabbiato «dannazione io non riesco a capirti, perché ti è così difficile fidarti e raccontarmi cosa c’è davvero che non va?»
Sapeva che non era una buona idea tirar fuori tutto quello, l’altro poteva non prenderla bene. Ma Hajime non riusciva a decide cosa lo facesse star peggio: continuare a vederlo così distante o litigarci.
«Non ci riesco» rispose piano lui «è difficile, farebbe venir a galla una parte di me che odio… quella debole e patetica.»
Era sincero, lo capì dall’espressione dipinta nei suoi occhi, dal marchio sul suo petto, che si intravedeva appena sotto la maglia a collo largo, brillava.
«Stronzate» sbottò a quel punto Iwaizumi «in tutto questo tempo, quando sono riuscito a scorgere dietro questo muro che costruisci per difenderti da tutto e tutti ho solo visto una persona spezzata.»
Oikawa trasalì, alzando appena gli occhi su di lui.
«E di sicuro questo non significa che sei debole o patetico» esclamò «nessuno può sapere cosa hai passato, nessuno può minimamente immaginarlo o giudicare, uscirne ammaccato è il minimo. Dici di non aver vinto la tua corse del Re? Da quanto mi hai raccontato non mi sembra proprio tu abbia fallito, sei sopravvissuto.»
«Non è abbastanza!»
«Eri solo!» replicò Hajime «non sei partito avvantaggiato perché non hai questo dannato talento naturale che ti ossessiona, ma hai faticato per i tuoi risultati e ora hai tutti noi. Qui stai dando il meglio di te, metti a rischio la tua vita per qualcuno che non è la tua gente e sei bravo in quello che fai. Non è colpa tua se quella missione della scorsa settimana è fallita, se quegli uomini sono morti.»
Spalancò gli occhi e Iwaizumi capì di aver centrano appieno il problema, quindi non si fermò «Non puoi pensare di far tutto da solo, fidati dei tuoi compagni, e se non ci riesci, fidati di me» concluse.
«Ti odio Iwa-chan» bisbigliò lui «riesci sempre a dire le cose giuste.»
«Non è così difficile leggere dentro quella tua testa vuota» mentì l’umano sentendo la tensione allentarsi pian piano.
«Cattivo» si lagnò Oikawa, poi sospirò «ho sognato Mei-chan, ho rivisto quel giorno, tutta quella morte, e mi è tornata in mente la missione fallita» ammise alla fine.
Hajime sospirò «Non è tutto caricato sulle tue spalle» gli disse «non puoi pensare di addossarti tutte le colpe.»
L’altro sorrise amaramente, il suo sguardo diceva che non avrebbe seguito quel suo consiglio in ogni caso, che avrebbe continuato a far di testa sua «Ma tu ci sarai per me, vero Iwa-chan? Ad aiutarmi, come fai sempre.»
La domanda non prevedeva una risposta, anche perché questa sarebbe stata più che scontata da parte di Hajime, e poi perché Oikawa gli si avvicinò di nuovo, questa volta posandogli le mani sul volto per avvicinarlo a sé e baciarlo.
Gli lasciò chiudere lì la conversazione, mentre sentiva le sue mani sfiorargli piano il corpo, superando i vestiti.
Capì quanto Oikawa avesse bisogno di lui e Hajime promise a se stesso che gli sarebbe stato accanto fino a quando l’altro avrebbe voluto. Non glielo disse però, tenne per sé quella promessa, l’avrebbe custodita con gelosia e gioia. Si trovò a ripensare all’universo e a quelle stelle che Tooru aveva sempre guardato da lontano mentre lui le esplorava una per una. Il loro richiamo li aveva fatti incontrare, aveva portato gioia, ma anche molta tristezza e Hajime, mai come quella volta, si trovò a ringraziarle per avergli concesso di conoscerlo.
 

«È tutto pronto capitano, puoi anche lasciar finire a noi i preparativi minori.»
«Anche perché se non te ne vai adesso, tempo dieci minuti e ti verrà una crisi isterica.»
«Che poi non ti sembra strano? Da quando si fa prendere così tanto dall’ansia?»
«Hai ragione! Non è neanche qualcosa di così grave.»
«Vi sento» sbottò Iwaizumi chiudendo l’ologramma che elencava gli ultimi verbali delle missioni svolte e voltandosi per fronteggiare i due piloti «è tardi potreste anche voi continuare domani» concesse alla fine.
«Non manca molto» iniziò Matsukawa.
«E non ci sforzeremo troppo, promesso» concluse Hanamaki.
Hajime sospirò, capì che probabilmente negli ultimi tempi era stato fin troppo apprensivo con tutto il suo equipaggio. E senza ombra di dubbio ognuno di loro se ne era accorto, anche se nessuno aveva chiesto spiegazioni. Era meglio così, perché Hajime non sapeva proprio cosa dire a riguardo.
Avevano di nuovo rischiato molto in una missione: erano rientrati appena il giorno prima. Kindaichi aveva tre coste incrinate, si era scontrato con un soldato dello Stato particolarmente grosso, quando l’aveva sbattuto contro la lamiera della nave la sua gabbia toracica ne aveva risentito.
A Yahaba era andata peggio: una delle lance nemiche gli aveva trapassato una coscia. Non aveva perso troppo sangue, ma sarebbe stato tenuto in osservazione almeno un’altra settimana.
Quando arrivò al centro medico trovò i due compagni allettati e con loro anche Kunimi, Watari e Kyoutani, a dimostrare che alla fine, non era l’unico ad essere stato in pensiero per quella missione non andata al meglio.
«Stiamo perdendo colpi, capitano» riuscì a dire Yahaba trattenendo una risata, la gamba era fasciata, la ferita già richiusa, i tessuti guariti.
«Abbiamo una media bassa quest’anno in effetti» continuò Watari.
«Siamo sempre stati sopra la media, questo non influirà sull’opinione che hanno di noi» assicurò Hajime.
C’erano classifiche per gli equipaggi, il che promuoveva la competitività tra i vari team. Era una sorta di gara tra i ragazzi usciti dalla stessa accademia, una vecchia tradizione che risaliva ai primi ribelli.
«Sono loro ad esser diventati più forti» disse a quel punto Kunimi, distraendolo dai suoi pensieri «e hanno più risorse di noi, come sempre.»
Calò il silenzio, in fondo era risaputo.
Una battaglia vana? Per chi ci credeva, come loro, non era così. Era una battaglia difficile, a cui avevano votato le loro anime. Pensare che fosse inutile non era contemplato, Iwaizumi non voleva contemplarlo.
Furono mandati via i visitatori poco dopo, arrivò un medico per ricontrollare i due feriti e sbatter fuori un davvero poco entusiasta Kyoutani, insieme a tutti gli altri.
Appena fuori dall’edificio Hajime incontrò Oikawa.
«Iwa-chan!» cinguettò lui andandogli incontro, mentre Iwaizumi lasciava che il resto dell’equipaggio lo precedesse.
«Come mai qui?» chiese il capitano guardando sospettoso l’alieno.
Lui negò scuotendo le mani «Sto benissimo Iwa-chan, tranquillo» assicurò lui leggendo alla perfezione i suoi pensieri «sono venuto a trovare la nonnina, non è stata molto bene nell’ultimo periodo.»
Hajime annuì assimilata l’informazione, poi aprì la bocca per chiedergli se stava meglio adesso, ma Oikawa lo anticipò «Mi accompagni un posto Iwa-chan?» chiese piano.
Iwaizumi cercò di indagare la sua espressione, ma non vi scorse nulla di strano, sembrava tranquillo e rilassato, nessuna nube ad offuscare il suo sguardo.
Sospirò «Nulla di strano però? Non mi voglio cacciare nei guai per colpa tua.»
«Hai così poca fiducia? E poi sei sempre cattivo» si lamentò l’altro, ma poi ghignò divertito, afferrò la sua mano e lo trascinò lontano.
Riconobbe le intenzioni di Oikawa quando si fermò al limitare del bosco, avevano aggirato la pista di atterraggio cinque, e l’alieno si fermò solo davanti alla vecchia torre di controllo.
Hajime ricordava che quando aveva incominciato l’accademia era successo un incidente: la torre, già in dismissione, era stata colpita in un atterraggio di fortuna da una delle navi dei ribelli. Era in piedi per miracolo e da allora era stata abbandonata.
Chissà perché non si stupì affatto quando vide Oikawa iniziare ad arrampicarsi sulla scaletta di ferro quasi del tutto arrugginita, diretto con ogni probabilità alla sommità della torre.
E quindi dovette seguirlo arrampicandosi a sua volta sui gradini deteriorati fino alla cima.
L’alieno si era sdraiato sul tetto della torre e fissava il cielo, Hajime lo imitò.
«Quindi perché siamo qui?» domandò dopo fin troppo silenzio.
«Volevo rivedere le stelle in tranquillità» spiegò lui «sono diverse da quelle che ornavano il cielo di casa.»
Hajime sbirciò verso di lui e nel suo sguardo notò un pizzico di nostalgia «Le stelle sono le stesse, le vedi solo da un’altra prospettiva» gli spiegò.
«Hai mai provato a contarle tutte, Iwa-chan?» il nomignolo scivolò tra le sue labbra quasi come una carezza.
«Da bambino» ammise «poi ho capito che era impossibile.»
Oikawa non rispose, rimase a fissare il cielo, perdendocisi dentro.
«Ho sempre pensato ci fosse qualcosa di strano in me, ero sempre l’unico a fissare il cielo, a sentire la voce delle stelle» riprese l’alieno «poi ho capito che l’universo e le stelle parlano a tutti, per essere visti, ascoltati, notati, ma solo alcuni riescono a comprenderli sul serio. Quindi forse Iwa-chan era destino che ci conoscessimo.»
«Non ci credo» sussurrò Iwaizumi «non ci credo nel destino. Ma forse posso ringraziare le stelle perché mi hanno permesso di incontrarti.»
Si accese piano una tenue luce azzurra. Hajime si voltò verso Oikawa, la luce, prevedibilmente, veniva dal marchio sul suo petto e così si concesse un sorriso divertito «Quello permette di leggerti fin troppo bene» gli disse.
«Iwa-chan non rovinare il momento, hai appena detto qualcosa di così carino» si lagnò lui.
«Sta zitto» sbottò Hajime che diceva tutto tranne cose carine.
Si sentì stringere la mano e ricambiò la stretta lasciandosi andare ad un sorriso.
Si sentiva bene, come non si sentiva da diverso tempo.
Non importava del resto, tutto sembrava lontano: le missioni che si accavallavano, la guerra sempre alle porte, suo padre che gli avrebbe presentato l’ennesima ragazza su cui poteva “prendere in considerazione l’idea di uscirci seriamente e magari sposarla”.
Non c’era nulla. E nella felicità chissà perché sentì qualcosa all’altezza del petto, fargli male.
 
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«Ma certo la corsa del Re! Le conosci le regole, vero? Possono parteciparvi tutti i ragazzi che fanno parte dei Primi, per mettersi alla prova, per far vedere chi è il più forte. È praticamente una corsa intorno a tutto il perimetro della foresta sotto la chioma, dove l’aria della Gamma è quasi del tutto assente e tu respiri praticamente solo quella velenosa della sabbia infinita. Un giro intero e si rischia la vita, se riesci a concludere il percorso di solito perdi i sensi poco dopo, per il troppo veleno; allora i saggi percorrono la Scala Sacra fin alla fine ed arrivano tra le fronde della Gemma, dove puoi trovare i suoi frutti. Servono a salvare i partecipanti, certo se la Gemma ritiene che tu sia stato una buona persona e che tu abbia dato il meglio di te, in fondo la corsa non è obbligatoria, quindi devi essere motivato»
«E quindi chi vince?»
«Chi sopravvive, e chi arriva primo ovviamente! Ma sai si dice che in alcune generazioni nascano ragazzi particolarmente dotati, con un talento naturale fuori dal comune. Sono loro i veri vincitori, quando finiscono la corsa, al primo posto, stanno bene, non avranno bisogno dei frutti della Gemma, loro sono fortissimi e resistono anche al veleno della sabbia infinita!»
«Come si fa ad essere uno di loro?»
«Ci devi nascere, è un talento naturale che nessuno può eguagliare, neanche se ti allenasse con tutto te stesso. Detta così sembra quasi una terribile ingiustizia…»
 

 
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Era finita.
Nella mente di Hajime non veniva visualizzato altro se non quello. In più, riusciva a sentire voci che si accavallavano tra di loro: il comandante della spedizione che urlava all’interfono di abbandonare e tornare indietro, il computer che, con una cantilena ininterrotta, ripeteva i nomi dell’equipaggio delle due navi catturate, una voce dentro di lui che gli urlava di lanciarsi al salvataggio.
Aveva disobbedito agli ordini dei superiori, non ci aveva pensato due volte prima di lanciarsi all’inseguimento delle due navi mercantili che erano state agganciate da un incrociatore dello Stato.
I tiratori erano riusciti a neutralizzare qualche caccia nemico, ma poi si erano troppo avvicinati all’imponente nave, e il raggio magnetico era troppo potente perché riuscissero a fuggire, anche utilizzando l’ipervelocità.
Ma Hajime non aveva nessuna intenzione di fuggire.
Non era il suo piano principale farsi catturare, aveva sperato di arrivare prima, di interrompere il raggio magnetico sulle due navi, e permettere a tutti loro una via di fuga. Ma era arrivato tardi.
E ora aveva messo in mezzo l’interno equipaggio.
La sua mente capì che non poteva rimanere lì ad auto compiangersi. Aveva combinato un vero casino, e sapeva fin troppo bene quanto lo avrebbero punito una volta rientrato alla base.
Se fosse rientrato alla base.
All’interno di ogni nave da guerra come la loro c’era un sistema di autodistruzione. Era veloce, abbastanza potente da spazzar via l’intera nave e il suo equipaggio in qualche secondo.
Era la prassi quando venivano catturati, meglio quello che finire in una prigione dello Stato, subire interrogatori, che alla fine erano solo torture.
Su ogni nave militare erano custoditi file importanti per i ribelli: mappe, rotte commerciali, pianeti che ospitavano basi più popolate, o fabbriche di armi. Era quello che l’autodistruzione doveva anche salvare dagli occhi dello Stato.
Ma su ogni nave militare quei file potevano essere sbloccati solo dal capitano e la metà di quelli che trasportava la nave di Hajime erano falsi, una tecnica introdotta da poco, che si era rivelata parecchio efficacie.
Il capitano prese un respiro, il piano c’era quindi.
«Ascoltatemi» disse al suo equipaggio, la nave non aveva bisogno di esser pilotata, il raggio li stava attirando dentro la piattaforma di atterraggio dell’incrociatore «non dovete dire una parola, probabilmente vi porteranno in una cella e terranno me da parte per interrogarmi, non provocate incidenti» lanciò un’occhiata ammonitrice a Kyoutani «vi farò uscire in un lampo negoziando il nostro rilascio.»
Ci credeva davvero in quelle parole e pregò perché tutto il suo sangue freddo lo aiutasse in quella situazione critica. Non poteva lasciarsi sopraffare dai sentimenti, non in quel momento dato che erano stati proprio loro a mettere in pericolo tutti.
Strinse forte i pugni, il tessuto sintetico dei guanti scricchiolò.
Perdonatemi ragazzi.
 
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«Abbiamo un accordo quindi?»
Tooru lo odiava, e lo aveva lasciato trapelare in qualunque modo, prendendosi enormemente gioco del suo interlocutore, che probabilmente era abituato a quei dibattiti, era abituato ad averla vinta.
Il problema, nonostante avesse tenuto testa all’uomo in modo impeccabile, era che non poteva rifiutare l’offerta.
Aveva fatto un passo falso e ora fin troppa gente ci stava rimettendo. Lui ci stava rimettendo.
Ed era qualcosa che non poteva sopportare. Non lo faceva solo perché era in debito, ma sentiva dentro di sé il desiderio forte di proteggerlo per una volta, di essere lui quello forte.
Certo glielo doveva, ma lo doveva anche a se stesso, per dar prova di quei sentimenti.
Tooru ne avrebbero sofferto e anche lui ne avrebbe sofferto immensamente. Non sapeva, fino in fondo, a cosa stava andando incontro. Era sicuro che gli sarebbe mancato, gli sarebbe mancato come l’aria, come il suo pianeta, come le corse a cinque metri da terra sulle radici della Gemma che si illuminavano al suo passaggio.
Ma lui aveva la sua vita, la sua missione, sarebbe stato felice.
E Tooru si sarebbe adattato, sarebbe stato contento di aver fatto un’altra buona azione per una persona che amava.
Forse guardando le stelle avrebbe continuato a sentirlo vicino.
Alzò lo sguardo sul capitano dello Stato, cercò di dare un tono sicuro alla sua voce, ripetendosi che non importava quanto avrebbe sofferto per quello, era meglio così «Abbiamo un accordo!»
 
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«Ho visto davvero troppe azioni eroiche e coraggiose da parte dei tuoi compagni capitani. Una grande lealtà anche, navi che si lasciavano esplodere ancor prima che il raggio magnetico le agganciasse del tutto. Deduco quindi che tu sia un completo pazzo, capitano Iwaizumi.»
Lasciò che i velati insulti gli passassero sopra senza incrinare la sua espressione, la calma in quel caso era tutto ciò che poteva aiutarlo.
«I miei compagni sono stati catturati» si giustificò solo in quel modo, fissando impassibile il capitano dell’incrociatore dello Stato, che si era scomodato di venir a negoziare con lui.
«E qualche inutile vita vale i segreti del tuo rango e della tua nave?» domandò quello divertito.
Hajime sapeva che tutto ciò doveva divertirlo davvero molto, quelli come lui avrebbero preferito radere al suolo un intero pianeta abitato dalle proprie genti, pur di non lasciar trapelare nessun segreto. Quindi era sicurissimo che l’uomo lo considerasse solo un pazzo, e finché continuava a crederlo Hajime era abbastanza sicuro di poter rigirar la situazione a suo favore.
«La pensiamo in modo diverso, questo è ovvio» replicò Iwaizumi.
«Di sicuro» rispose il capitano «quindi elencami liberamente ciò che vorresti, ma sappi che potrò concederti quasi tutto, a patto che tu mi dia le informazioni che voglio.»
Le informazioni false sono tutte tue pensò Hajime compiaciuto, la negoziazione non stava andando male.
«Penso tu possa immaginarlo» disse «voglio che non venga fatto alcun male a nessun uomo del mio equipaggio, come anche a quelli che avete catturato delle due navi mercantili. Puoi avere tutte le informazioni che trasporto sulla mia nave, ma ci lascerai andar via tutti.»
Non era un’offerta che avrebbe rifiutato, non poteva farlo. Avere una trentina di prigionieri ribelli poteva anche essere qualcosa di utile, ma a confronto c’erano file segreti molto più importanti.
La vita di tre equipaggi a discapito di quella di un pianeta intero, di una base su un satellite sperduto, di progetti di armi forse più innovative.
Non poteva rifiutare.
E così Hajime avrebbe salvato tutti, anche se in primo luogo era stato lui stesso a metter i suoi uomini in pericolo.
Il capitano dello Stato bisbigliò nell’orecchio del suo secondo in comando qualcosa, questo annuì e poi uscì dalla sala degli interrogatori. Ad Hajime sembrò quasi che le manette intorno ai suoi polsi si fossero ristrette, e si ritrovò a deglutire piano.
«Va bene» disse l’uomo, adesso lo fissava divertito «avrai indietro i tuoi uomini e quelli trasportati dalle navi mercantili.»
Era fatta.
«Ma c’è qualcosa che trasportate che non è propriamente umano, vero?» chiese invece il capitano «qualcosa che credo terrò io, dato che i governanti dello Stato Galattico lo stavano cercando.»
Hajime sbiancò di colpo.
«Ne avevano salvati davvero pochi da quel pianeta inabitabile, e lo Stato tiene a preservale le specie minori. Andrà con i suoi simili nello spazio che abbiamo allestito loro, in un pianeta del sistema centrale. Credimi a molti piace vedere queste bestie rare nella ricostruzione umana dei loro habitat, fanno incassare non pochi soldi. E lo studio sul loro mutamento genetico si sta rivelando davvero interessante. Manca un ultimo pianeta da scoprire, e ritrovato quello lo Stato avrà in mano le tre razze non umane, ma senzienti, che popolano la galassia. Un bello zoo e un laboratorio di cavie notevole.»
Iwaizumi sentì una fitta allo stomaco e capì che era dovuta ad un colpo inferto con il calcio di un fucile da uno dei suoi carcerieri, si doveva essere alzato di scatto dopo quelle affermazioni, le manette stringevano e laceravano i polsi.
Il capitano ghignò «Qualcosa mi dice che ti hanno mandato proprio per recuperare l’alieno, non è così?» chiese «beh manderemo indietro ai cari ribelli soltanto inutili umani, voglio le informazioni che mi hai promesso capitano Iwaizumi, o troverò un modo molto meno carino per ottenerle da te.»
«Avevamo un accordo!» ringhiò Hajime «voglio portar via tutti, anche l’alieno.»
«L’alieno non va da nessuna parte, ora» gli avvicinò uno schermo piatto con i codici bloccati, quelli che servivano per accedere ai file della sua nave Ace.
Sentiva il cuore, furioso come lui in quell’istante, rimbombargli nelle orecchie, così tanto da fargli girare la testa. Non poteva essere quella la fine, non ci credeva e non voleva accettarlo.
Si era fatto catturare quasi apposta, aveva messo tutti in pericolo solo per riuscire a liberare Oikawa, che era sulla seconda nave mercantile, in incognito, diretto al pianeta dove avrebbe dovuto svolgere la sua missione.
La sua mente non riusciva ancora a venire a patti con quella che era la realtà, ma non avrebbe lasciato lì l’alieno ne era sicuro, avrebbe trovato un modo, un modo qualsiasi per…
«Ti lascio parlare con lui, capitano Iwaizumi» l’uomo davanti a sé tirò fuori quelle parole con disdegno, guardandolo con pietà e divertimento al tempo stesso «poi voglio quei file.»
 

«Iwa-chan.»
Oikawa fece il suo ingresso in quella piccola sala nascosta nei meandri dell’immenso incrociatore dello Stato mentre Iwaizumi aveva ancora le braccia legate dietro la schiena, le mani unite insieme da manette che ormai avevano leso fin troppo i suoi polsi.
Hajime alzò lo sguardo su di lui e quasi non gli sembrò vero vederlo lì davanti a sé, la linea del suo corpo che si stagliava decisa in controluce, il suo sguardo preoccupato che suscitava in lui le stesse emozioni di quando l’aveva scorto per la prima volta. Sembrava passata una vita, da quel primo momento in cui i loro cammini si erano incrociati e legati tra loro. Ora il filo era teso, lo strappo era inesorabilmente vicino.
Quando Oikawa gli fu di fronte si concesse di alzare lo sguardo su di lui e fare un sorriso stanco «Se non avessi le mani legate ti prenderei a pugni, idiota» sussurrò «perché sei qui?»
«Mi hanno detto che fra qualche ora vi avrebbero rilasciati» spiegò lui con un sorriso stanco «e io volevo salutarti.»
«Risparmiamelo ti prego, risparmia queste parole» sbottò Hajime.
«Cosa vuoi sentirti dire allora Iwa-chan?»
«Nulla sta zitto e fa parlare me. Non me ne vado di qui se non soddisfano le mie richieste e non darò loro nessuno dei file, torneremo tutti a Riot-4… tutti» la voce si spense sula finale.
«È stato tutto improvviso» Oikawa cambiò discorso, probabilmente non voleva dargli la risposta che Hajime temeva così tanto «il capitano pensava che la rotta fosse difficile, ma sicura. Ci hanno accerchiati in così poco tempo.»
«Dovevi nasconderti, potevi farlo e dovevi farlo» disse lui.
«Hanno la mia gente, sapevano come eludere il mimetismo, anche quello termico e mi hanno trovato» spiegò calmo l’altro.
Calò il silenzio e Hajime si stupì come in quel momento sembrava Oikawa quello forte tra i due.
Probabilmente lui lo era sempre stato, ma per Iwaizumi era più facile vedere la sua fragilità, cercare di proteggerla. Erano davanti ad una svolta e se da un lato il capitano umano aveva solo voglia di urlare e lasciare che le manette affondassero di più nei suoi polsi, l’alieno sembrava calmo.
Era venuto a patti con la situazione, era rassegnato, ma anche deciso.
Hajime si ritrovò a chiedersi cosa gli avessero detto, cosa gli avessero promesso per renderlo cosi quieto, se riusciva a soprassedere a quella che era evidentemente una sconfitta su tutti i fronti.
«Cosa… cosa ti hanno detto?» chiese Iwaizumi.
Quando Oikawa fece comparire il suo sorrisetto falso gli venne voglia di urlare «Non ti devi preoccupare Iwa-chan, non vi faranno del male, tornerete a casa, salvi.»
«Torni anche tu a casa con noi.»
«Io non ho più una casa.»
Quelle parole gli fecero davvero male.
«A Riot-4, quello non era un bel posto? Non ti sei sentito protetto, al sicuro?»
Sorrise amaramente «Lo ero, ma la mia casa è stata distrutta Iwa-chan, lo hai visto anche tu.»
Il respiro si fece aspro e amaro nella gola di Hajime, come aveva fatto a non accorgersi di quello? Era stato davvero male? Era davvero così pronto ad abbandonarlo?
Non sono stato abbastanza.
«Iwa-chan» Oikawa si chinò verso di lui, rimanendo in ginocchio alla sua altezza, poi poggiò una mano sul petto del capitano «lo sai che ti devo tutto. Non pensare che io sia stato male in questo anno e mezzo, mi hai salvato» si fermò soppesando le parole, mordendosi appena un labbro, sembrava indeciso se continuare o no «devi lasciarmi ricambiare il favore.»
Sì, gli avevano offerto un accordo.
«Se stai facendo qualche stronzata per me, io giuro…»
«No» assicurò strizzando un occhio «sto facendo quello che ritengo giusto, sai che non farei mai qualcosa di stupido.»
Gli avrebbe voluto tirare una testata e cancellargli dalla faccia quel sorriso insopportabile, invece si ritrovò ad essere grato di sentire il palmo della sua mano sul petto, di sentire il suo calore.
Si udì un colpo contro la porta, e lo sguardo di Oikawa tornò serio e triste.
«Sono così contento che sia stato tu quello che mi ha salvato e non ti dimenticherò per questo. Chiedevo alla Gemma di farmi incontrare gli alieni, guardavo le stelle pieno di aspettativa e aver incontrato te» sorrise «ne ho pagato un grave prezzo, forse questa è la mia punizione.»
Iwaizumi non capiva, non voleva capire, in quel momento avrebbe dato ogni cosa per tornare indietro di una settimana, per prenderlo a calci un’altra volta, per impedirgli di accettare quella missione, per poterlo stringere ancora.
«Oikawa…»
«Promettimi solo una cosa» lo interruppe «anche se è finita così, continuerai a guardare le stelle Hajime?»
Quindi finiva lì?
Iwaizumi rimase con gli occhi sbarrati mentre Oikawa si avvicinava a lui baciandolo per l’ultima volta.
Rivide le stelle nei suoi occhi e nel suo sorriso, poteva giurarlo. Lo sentì sussurrare parole nella sua lingua, che non riuscì a comprendere, ma che gli si conficcarono nell’animo.
Non poté far nulla se non vederlo lasciare la stanza, fissare un’ultima volta la sua figura che nell’ultimo periodo era l’unica cosa che riusciva ad attirare il suo sguardo, come neanche mai il cielo ci era riuscito.
Si ritrovò a sussurrare piano il suo nome quando ormai non poteva più sentirlo.

Dopo aver rilasciato le informazioni, quando tornò a capo della sua nave, quando si lasciò alle spalle l’incrociatore dello Stato, dopo aver salvato il suo equipaggio e quello dei due mercantili, mentre il vuoto sembrava risucchiare ogni cosa sentì di nuovo nella sua mente le parole di sua nonna.
“Quando le emozioni ti avranno sopraffatto Hajime-chan, quando farà male, non disperare. Il dolore fa parte di noi, tu lo sai, i ricordi sono il suo lascito e loro riescono a scaldarti il cuore e rallegrarti. Sono racchiusi nelle stelle, quindi tu continua a guardarle”.























Angolino

Salve a tutti! :D
... no, va bene, non c'è motivo di essere allegri, anche perché so per esperienza, che quello che rimane di più di una storia appena conclusa, è il finale. E questo finale è stato tragico da scrivere e terribile da rilegere.
Non odiatemi vi prego ;_; ancora prima di inziare questa storia aveva deciso di non includere un lieto fine, perdono T_T
E nonostante tutto eccoci qui, è finita! E stata la prima volta che mi sono cimentata in una mini-long, ovviamente il risultato mi soddisfa poco. Ho tagliato parti che avrei voluto approfondire, ma per forza di cose non ho potuto.
Diciamo che lavorare con i personaggi in una AU è sempre una buona sfida, mantenerne i caratteri e le interazioni tra di loro non è mai facile.
Come vi sono sembrati i due protagonisti? 
Ho cercato di dare il meglio di me per renderli credibili, spero di aver fatto un buon lavoro ^///^
Come al solito ho letto e riletto, se ci sono errori mi scuso profondamente e una volta finito il contest provvederò a correggerli!
Avrei altre tremila cose da dire, ma non voglio dilungarmi troppo qui sotto, quindi faccio partire un lungo sproloquio sui ringraziamenti, che ci stanno sempre!
Grazie a chi ha seguito la storia, chi l'ha letta ed è arrivato qui alla fine.
Grazie a chi mi ha fatto sapere che questa storia gli è piaciuta, i vostri commenti, i vostri appunti mi hanno riempita di gioia, anche perché non immaginavo sarebbe piaciuta così :')
Grazie alla giudicia organizzatrice del contest per aver creato, appunto un contest così bello, che mi ha ispirata un sacco!
Nulla, ho finito, ancora tante scuse a chiunque aspettasse un lieto fine ç_ç
Grazie mille gente, e alla prossima! (perché tanto su questo fandom ho messo radici :3)
   
 
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