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Autore: elliedream    17/05/2016    2 recensioni
One shot JOHNLOCK su un possibile (e tanto desiderato) svolgimento della quarta stagione in cui Sherlock e John finalmente sono veramente chiari l'uno con l'altro.
"Era di nuovo a casa.
Al 221 B di Baker Street.
Dopo essere stato quasi esiliato dall'Inghilterra, ed essere quasi morto per overdose per risolvere un caso avvenuto solo nella sua mente, era finalmente tornato alla solita routine.
In quel momento però qualcosa lo faceva sentire stranamente spaesato.
Moriarty non era tornato, ne era ormai sicuro, e questo era l'importante; ma qualcuno, qualcuno che si voleva far passare per uno tra i più malati criminali del mondo, doveva avere in mente qualcosa di terribile, ne era certo.
Il gioco aveva di nuovo inizio.
C'era qualcosa però, una specie di "foschia mentale" che continuava ad annebbiare la sua mente nell'ultimo periodo.
La vedeva attraverso il suo palazzo mentale mentre entrava dalle serrature virtuali di ogni stanza."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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EVIDENCE:
 
Era di nuovo a casa.
Al 221 B di Baker Street.
Dopo essere stato quasi esiliato dall'Inghilterra, ed essere quasi morto per overdose per risolvere un caso avvenuto solo nella sua mente, era finalmente tornato alla solita routine.

In quel momento però qualcosa lo faceva sentire stranamente spaesato.  
Moriarty non era tornato, ne era ormai sicuro, e questo era l'importante; ma qualcuno, qualcuno che si voleva far passare per uno tra i più malati criminali del mondo, doveva avere in mente qualcosa di terribile, ne era certo.
Il gioco aveva di nuovo inizio. 

C'era qualcosa però, una specie di "foschia mentale" che continuava ad annebbiare la sua mente nell'ultimo periodo.
La vedeva, attraverso il suo palazzo mentale, mentre entrava dalle serrature virtuali di ogni stanza.

Anche ora non riusciva a concentrarsi.
Confuso, decise di alzarsi dalla sua poltrona per fumare una sigaretta.
Sapeva che John non ne sarebbe stato contento, ma dopo tutto lui non c'era.
John. 
Ormai mancava poco meno di una settimana al parto di Mary; forse era per questo che il suo collega non era passato a Baker Street nell' ultimo mese.

Aveva sentito spesso Mary al telefono, negli ultimi giorni.
Si era giustificata per l'assenza del marito, spiegandogli che John era molto stressato per l'arrivo della bambina e i turni prolungati al lavoro, a casa non c'era quasi mai e quando tornava era talmente provato da addormentarsi sul divano dell'ingresso.

Sherlock all'inizio non ci fece caso, ma ultimamente cominciava seriamente ad esserne infastidito.
Perchè il suo unico amico aveva smesso di parlare con lui in un momento, dal poco che ne capiva il detective di bambini, parti e relazioni, estremamente stressante?
E poi lui aveva bisogno di John per questo caso.
Certo forse in questo momento, per l'amico non era la priorità numero uno, però per quale motivo non si era nemmeno minimamente interessato al proseguimento delle indagini?
Doveva esserci altro.
 
Qualcosa si smosse dentro di lui mentre inspirava l'ultimo tiro della sigaretta che aveva in mano.
Una sensazione di vuoto.
Non era la solita noia.
No, era qualcosa che conosceva troppo bene.
Solitudine. 
Era da sempre stato abituato a rimanere solo, ma da quando aveva conosciuto John Watson, una parte di lui aveva creduto che, oramai, non lo sarebbe stato più.
John gli aveva dato la speranza, una speranza che neanche più stava cercando, la speranza di poter contare su qualcuno che allo stesso modo conta su di te.

Gli mancava inoltre il brivido, l'eccitazione del gioco e della caccia dei primi casi con John.
Ma il passato ormai era passato.

Gli mancava.
Il suo sguardo cadde sulla poltrona del suo ex coinquilino.
Lo vedeva lì, seduto a leggere il giornale, e senza accorgersi un sorriso gli si aprì leggermente sul volto. 
Quasi subito, però, cambiò espressione, preso dall'autoconsapevolezza della sua "stupidità".
Stupidità, sì.
Perchè era questo che era, uno stupido.
 
Malinconia, tristezza, rimpianto, AFFETTO. 
Si stava facendo distrarre. 
Doveva essere lucido per risolvere il caso, ma non ci riusciva. 
Sentimenti.
Stupidissimi sentimenti.
Negli ultimi anni non riusciva più a riconoscersi.
Voleva tornare ad essere il freddo sociopatico calcolatore che era sempre stato. 

Stava cominciando seriamente ad irritarsi.
Era tutta colpa sua. 
John Hamish Watson.
Se non fosse stato per lui a quest'ora l'avrebbe già risolto il caso. 
Lui e la sua stupida speranza; lui e la sua immancabile fiducia nel prossimo; la sua infinita pazienza nei suoi confronti; i suoi stupidi modi di fare gentili e i suoi stupidi maglioni. La sua ancora più stupida poltrona, pensò tirando un forte calcio alla stessa.
 
Se non fosse stato per lui…capì che si stava solo prendendo in giro; come avrebbe fatto ad andare avanti SENZA di lui?
Cosa diavolo gli stava prendendo? 
Forse stava esagerando, si ritrovò a pensare.
Dopo tutto lui non era il centro del mondo di John...almeno non lo era più, pensò con amarezza.

Mary, la bambina, il suo lavoro. 
Forse non c'era più posto per un consulente investigativo drogato e fuori di testa, con cui risolvere casi che potevano portare alla perdita della propria vita. 
Si ritrovò a guardare fuori dalla finestra. Era una tranquilla serata di gennaio.
Si mise ad osservare la gente che camminava per strada nella via.
Provò a studiarli uno ad uno, come faceva sempre. 
Ad un certo punto vide una famiglia, normalissima, che passava proprio sotto di lui. 
Tenevano per mano il proprio bambino, facendolo saltare di tanto in tanto, il piccolo rideva, felice.

Di nuovo, qualcosa, gli sembrò far male all'altezza dello stomaco.
A lui quelle cose non interessavano. 
Non potevano interessargli; non ne era capace: di instaurare una relazione, di tenere una famiglia.
Come poteva?
Era Sherlock Holmes, diamine.
Era sposato con il proprio lavoro.
E tutto questo gli bastava; doveva bastargli. Ma come poteva, si ritrovò a pensare.
Rimase sbalordito per il suo stesso pensiero. 
Chi mai avrebbe voluto condividere una famiglia con un sociopatico iperattivo?
 
Già vedeva la faccia di John che alzava gli occhi al cielo per la sua frase. 
L’amico gli avrebbe detto, come già molte altre volte, che lui non era solo questo, che era un grand'uomo.
Come sempre John vedeva in Sherlock quello che il detective non riusciva a vedere quasi mai in sè stesso, la sua parte migliore.



Si sdraiò sul divano legando sulla vita i lacci della sua solita vestaglia blu e si mise a fissare il soffitto.
Non si era mai sentito così perso come in quel momento. 
A un certo punto però qualcosa gli tornò in mente. 
Si alzò e andò verso la libreria. 
Aveva nascosto qualcosa dentro un libro, un finto libro sulla fisica quantistica in cui nessuno avrebbe mai messo naso.
Sapeva che stava seriamente per commettere un enorme errore, ma ne aveva bisogno, mai come ora. Si sentiva svuotato e disperato. Aveva bisogno di anestetizzare tutti quegli insulsi sentimenti, soprattutto per poter risolvere il caso; almeno, questa era la giustificazione che si dava.
   
Tirò fuori una scatolina dal libro. 
L'aveva lasciata lì da quando aveva lavorato ai casi di Magnussen e di Emilia Ricoletti; per evenienza, si disse. 
Era la giusta dose.
A mali estremi, estremi rimedi, pensò amaramente.

Tirò fuori la droga, la siringa e il resto dell'occorrente per iniettarla.
Eseguì tutti i vari passaggi e alla fine portò la siringa all'avambraccio.
Si fermò un attimo, prima di infilare l'ago. 
E pensò a John. E quel pensiero lo rese ancora più sicuro di quello che stava per fare.
Spinse lentamente la siringa e lo stantuffo e aspettò sdraiandosi sul pavimento.

Dopo pochi secondi sentiva già la mente più leggera; un senso di benessere lo pervadeva in tutto il corpo. 
Non era reale, ed era sbagliato, ma in quel momento era per il detective la cura a tutto.
Era ancora leggermente in sé quando sentì la porta dell'ingresso sottostante aprirsi e dei passi, il cui suono conosceva fin troppo bene, salire su per le scale per raggiungere il suo appartamento.

Qualcuno bussò: "Sherlock! Sono John." 
"Ho staccato prima dal lavoro e ho deciso di passare a vedere come andava il caso e...come andavi tu".
Era John. Il suo John.
Il suo amico, collega, la persona a cui teneva di più il mondo. 
E l'avrebbe visto in quello stato, di nuovo, ancora vinto dalla dipendenza. 



Si sentì improvvisamente in colpa, l'aveva deluso. Ci era ricaduto.
Questa volta non aveva nessuna giustificazione valida.
Sherlock l'aveva fatto solo per lui, perchè doveva smettere di provare qualcosa di sbagliato e di soffrire inutilmente. Non voleva più provare nulla. 
"Sherlock se non rispondi e non apri questa porta immediatamente, giuro che la sfondo!!! So che ci sei ho chiesto alla sig.ra Hudson!" gridò preoccupato John.

Sherlock non rispose, oramai gli sembrava di non essere nemmeno lì.
Infatti non si accorse nemmeno quando l'amico sfondò la porta ed entrò nell'appartamento.
“Sherlock!!! Dio mio, non è possibile!”.
Si sentì schiaffeggiare leggermente il viso.
“Sherlock?! Mi senti? Cos’ hai preso? Parlami!”
Sherlock non voleva rispondere. Non voleva dover guardare John negli occhi. Sentiva il suo sguardo addosso.
“Giuro, Sherlock che quando torni in te ti prendo quella testa dura e te la sbatto contro il muro.”
 
“John…mi dispiace.” Riuscì a dirgli con un tono piatto, prendendo il coraggio di guardarlo in faccia.
“O altro che se ti dispiace! Sei un idiota! Perché hai dovuto arrivare a tanto? Per il caso del “ritorno di Moriarty”? Ti stavi già per ammazzare quando eri su quell’aereo, e ancora non ti è bastato?” John era furioso.
“Non è solo per il caso. Tu…non c’eri.
C’era solo il vuoto. Ne avevo bisogno”.
 
John lo fissò cercando di capire quello che stava dicendo, sospirò e cambiando tono disse al detective: “Oh Sherlock. Ok, in questo mese ho sbagliato anche io...non dovevo lasciarti da solo; l’avevo promesso a tuo fratello e non ho mantenuto la promessa.
E che…non ho potuto. Mi dispiace.
Ho dovuto fare una scelta. Non potevo…io…” Sospirò di nuovo guardando il pavimento.
"Io non potrò esserci sempre. Non posso stare qui a farti da babysitter.
Come mi hai detto anche tu, avrò una vera bambina in giro per casa tra pochi giorni, non posso badare a entrambi. Non ce la faccio. Ci sono troppe cose. Il lavoro, i continui litigi con Mary. Non credo di potercela fare Sherlock, non anche con te che non sai badare a te stesso.”
 
 
 
Sherlock vide attraverso lo sguardo di John tutta la stanchezza e la disperazione che l’amico aveva accumulato in quell’unico mese; era davvero distrutto. Si sentì ancora più in colpa.
“Non è colpa tua John. E’ solo colpa mia. Sono questi…sentimenti che mi affollano la mente. Mi stanno sopraffacendo”.
“Sherlock Holmes che parla di sentimenti? Sei davvero più fatto di quanto pensassi allora.” disse John sorridendogli.
 
“Non riesco a comprenderli John. Non capisco. In questo mese non ho potuto parlarti…confrontarmi con te per il caso” mentì. “Ho visto la tua poltrona e volevo lanciarla fuori dalla finestra”.
“Mmh, quindi hai fatto tutto questo semplicemente perchè ti mancavano i miei stupidi punti di vista per il caso, che sappiamo benissimo non ti servono a nulla, Sherlock?” chiese perplesso il dottore.
“No non è solo questo…credo” disse il detective.
“Non potevi passare tu a casa nostra? Alzare la cornetta del telefono o mandare un messaggio?” chiese John addolcendo il tono.
 
A quelle parole Sherlock la sentì arrivare come una scarica in tutto il corpo. La rabbia.
Si alzò in fretta e furioso diede un calcio al tavolino davanti a lui che finì per ribaltarsi.
“Come potevo John?! Come?! Come potevo dire a tua moglie che volevo suo marito qui? Con me?” gridò il detective.
John lo guardò sorpreso.
“Sherlock, non capisco, devi spiegarti meglio”.
 
“Spiegami tu, questo, dottore, dato che io non riesco ad identificarlo; sono qui, seduto a pensare al caso di cui dovrei occuparmi, e arriva dal nulla questa stupida sensazione fisica tra lo stomaco e la gola guardando la tua dannata poltrona. Il mio cervello si sta ribellando John, non riesco più ad utilizzare la tecnica del Palazzo Mentale…sono…pervaso dalle emozioni.
Inutili… sentimenti…che non riesco più a sopprimere.” Disse quasi sputando le prime due parole.
"Anzi forse sono proprio in questa situazione perché li ho soppressi per troppo tempo.” Disse Sherlock guardando il pavimento con espressione contrita.
 
Il detective continuò mentre John lo osservava con un’espressione confusa: “Te lo volevo dire quel giorno, prima di prendere quell’aereo ed essere esiliato per sempre dall’Inghilterra, ma…non ho avuto il coraggio e…poi perché speravo con tutto me stesso che avrei avuto un’occasione migliore per farlo.
Forse, nemmeno ora sarebbe un buon momento, dato che mi sono appena iniettato un bel po’ di cocaina…però voglio farla finita. E dopo che te ne avrò parlato potrai decidere di non rivedermi mai più; uscirò dalla tua vita e tu potrai finalmente vivere una vita felice e tranquilla con la tua famiglia. Senza di me.” Disse il detective tristemente.
 
“Sherlock…” disse il dottore con tono implorante.
“John io, come tu ben sai, non ho avuto modo di fare molta esperienza di sentimenti e relazioni e quindi quello che sto facendo ora è molto difficile per me…” disse avvicinandosi a John che si stava visibilmente agitando.
Mentre lo guardava intensamente negli occhi continuò: “Ho sempre pensato che tutto quello che sto provando ora fosse un difetto chimico, un errore umano, da cui pensavo di essere immune; ma sono stato un idiota cieco. Riesco ad analizzare qualsiasi persona, ma quando si tratta di me stesso, non ne sono quasi mai capace.
 
Era tutto più facile prima che arrivassi tu John; nessun sentimento, nessuna speranza, nessuna aspettativa e per come mi autoconvincevo, nessun dolore; poi ti ho incontrato ed è cambiato tutto. Io, sono cambiato. Sono diventato una persona…migliore, o semplicemente “una persona” – disse scherzando – mi sono reso conto, con difficoltà all’inizio, che non c’ero più solo io, ma c’era qualcun altro, che a lungo andare è diventato per me fondamentale e insostituibile.
 
Quello di cui avevo bisogno io non era più importante, l’unica cosa per me essenziale era prendermi cura e tenere al sicuro quell’unica persona.
Tu John.
Ma è così che dovrebbe essere giusto? Quando ti lasci “addomesticare” da qualcuno? Quando crei un legame? Ne diventi responsabile.
Molte volte, come ricorderai, ho sbagliato; agendo troppo razionalmente, ti ho fatto soffrire, come quando ho finto la mia morte. Altre volte ho agito irrazionalmente, preso dai sentimenti, come con Magnussen e ho finito per mettere in pericolo la tua vita. E mi dispiace così tanto per tutto questo.
Tu mi hai sconvolto John, ma in positivo, mi hai reso…vivo e…stupido.
 
E qui arriva la parte più complessa e che ti farà venire voglia di scappare da questo appartamento e di non tornare più.”
“Non sono scappato prima, non scapperò ora.” Disse John serio.
“Quando sono tornato dalla morte, dopo due anni, e ti ho ritrovato in quel ristorante insieme a Mary, ho pensato che fosse una delle tue tante storielle senza valore, ma con l’andare del tempo ho capito che mi sbagliavo.
 
Quando mi hai detto del matrimonio e che sarei stato il tuo testimone, ero davvero felice per te, ma nello stesso momento qualcosa dentro di me è scattato; una consapevolezza. La consapevolezza che ti avrei perso e che nulla sarebbe tornato come due anni prima.
Non potevo naturalmente farne un dramma e farti vedere che tutto questo mi faceva dannatamente soffrire. Non potevo, perché dopo tutto quello che ti avevo fatto e causato, volevo solo che tu fossi felice.
 
Però volevo, anche, ammetto che io lo voglia ancora, che tu rimanessi qui con me, per sempre; a sgridarmi quando non mangiavo o quando mi dimenticavo di fare la spesa o quando infilavo nel frigorifero i resti di qualche cadavere; rimpiango quei momenti in cui bastava uno sguardo per capirci al volo e quando amavamo unire le nostre menti per qualche strano caso.
Tutto questo mi manca terribilmente e invidio ogni giorno di più Mary che ha la fortuna di vivere con te e di...essere sposata con uomo meraviglioso come te, John.
 
Non so se chiamarla gelosia o invidia, non so definirlo, so solo che farei di tutto, ripeto, di tutto, pur di tornare indietro e fare in modo che quei due anni in cui ti ho fatto soffrire e che ti hanno portato a conoscere Mary, tu li avessi passati insieme a me.”
Sherlock guardò John per capire cosa il dottore stesse pensando, ma stranamente il suo sguardo era indecifrabile.
“Ho una tale confusione nella mia mente in questo momento che vorrei non dover mai più pensare, anzi in questo caso “provare”, in vita mia.
Quello che sto cercando di dirti è che…tengo a te più di ogni altra persona al mondo in un modo che…da quanto ho capito, va…ben oltre la semplice…amicizia.”
Sherlock disse le ultime parole quasi trattenendo il respiro.
 
“Credo che tutto questo si chiami… “dichiarazione” giusto?” chiese il detective con aspettativa a John, che in quel momento era immobilizzato con lo sguardo verso il pavimento.
“Mi dispiace John se questo peggiorerà ancora di più il tuo stato…”
Il dottore lo guardò in viso e alzò la mano per zittirlo.
Con una mano sul volto si girò dando le spalle a Sherlock. Era visibilmente scosso. Tirò su col naso e si girò di nuovo verso l’amico.
 
Si avvicinò ulteriormente al detective, guardandolo negli occhi, il dottore aveva gli occhi lucidi; Sherlock era quasi terrorizzato, come mai lo era stato nella sua vita.
“Tu…non ti smentisci mai, MAI, Sherlock!” gridò John.
“Dovevi dirmi tutto questo proprio ora?! Solo perché sei sotto l’effetto della droga?! Vorrei capire, cosa pensi che ti dirò dopo una cosa del genere?”
“Io…non…” Sherlock si ritrovò a balbettare.
 
“Buon Dio, Sherlock, avevi migliaia di altri momenti, migliaia migliori di questo!!! No ma tu non puoi agire da persona normale vero? Dici di pensare a me, ma adesso hai pensato solo ed esclusivamente a te stesso. Io sono sposato e avrò un figlio tra qualche giorno e credi che questa cosa non mi faccia né caldo né freddo? Che non cambierà nulla? Cosa credevi che me ne sarei andato da questa casa senza dirti una parola come se non fosse successo niente? Lasciandoti qui? Perché devi essere così…IDIOTA!?”
“Mi dispiace.”
“Ah, ti dispiace. Sai dove puoi ficcartele le tue benedette scuse Sherlock…?”
“Ne ho una vaga idea.”
“Non scherzare…” disse prendendolo per il colletto della vestaglia. “Non azzardarti a scherzare Sherlock!! Lo sai che anche per me è complicato tutto questo!
 
John inspirò profondamente e poi continuò: “Spiegami…cosa dovrei fare ora? Eh?
Dirti che…NON è da anni che provo anche io la stessa cosa, senza spiegarmi il perché? Che per due anni NON ho sofferto come un cane perché credevo fossi morto e che nello stesso istante in cui avevo capito che non c’eri più, quella parte che ti amava e che ti avrebbe seguito fino in capo al mondo è morta per sempre?
Mentirei cazzo! Mentirei!!!
Perché quella parte è sempre stata lì e ci sarà sempre. Quei sentimenti ci saranno sempre.
 
L’ho capito quando ti ho rivisto in quel fottutissimo ristorante. Ero così arrabbiato Sherlock, così arrabbiato, ma nello stesso momento in cui ti ho rivisto, ho capito che quello che provavo per te era ancora lì, più tenace e straziante che mai.
Ma in quel momento cosa diavolo potevo fare? Lasciare Mary per il tuo ritorno, in grande stile Sherlock Holmes, come se nulla fosse, dimenticandomi che lei mi aveva aiutato a vivere di nuovo nei due anni in cui tu non c’eri? No, non potevo.
Sono andato avanti.
 
 
 
 
Come potevo solo provare a capire cosa passasse per la tua testa? Come potevo credere di essere contraccambiato Sherlock? Contraccambiato da te, dall’uomo che dice di essere sposato con il proprio lavoro; che dice di non essere capace di provare alcun sentimento?” John era furioso e la sua voce si incrinava sempre di più ad ogni parola.
Sherlock era rimasto senza parole. Quando provò a rispondere, la voce gli uscì quasi come un sibilo: “Tu…provavi lo stesso per me? Io non pensavo che tu…mi ricambiassi.”
 
“Riesci a dedurre milioni di cose in pochi minuti, ma non sei riuscito a capire una cosa così semplice, in anni che ci conosciamo. Bel lavoro detective.” Disse John con un tono triste, sedendosi sulla sua vecchia poltrona.
Sherlock era rimasto in piedi. Si sentiva stordito. Sia per l’effetto della droga, sia per quello che gli aveva appena detto John.
Gli girava la testa e quasi inciampò, mentre andava a sedersi di fronte a John sulla sua poltrona.
“Quanta ne hai presa di quella roba? Non ti vedo bene.” Lo guardò preoccupato il dottore.
“Sto…bene. Tra poco mi passerà.” Disse il detective massaggiandosi le tempie.
 
Sherlock alzò lo sguardo guardando l’amico negli occhi. Rimasero a studiarsi a lungo, poi il detective parlò: “John se ti chiedessi di fare parte di uno dei miei esperimenti, ora, accetteresti?”
“Stai scherzando vero?”
“No, John, sono serissimo.”
Il dottore sospirò profondamente e aggiunse: “Perché proprio ora Sherlock!?"
Il detective lo guardò con la sua solita occhiata. "Va bene, facciamo come vuoi tu.” Disse John con tono di resa.
“Vorrei che tu provassi a dimenticare, solo per un momento, di Mary, della bambina, della mia morte e di quei due anni, e provassi a fare finta di vivere ancora qui con me e di essere seduti come sempre sulle nostre poltrone, dopo aver portato finalmente alla luce del sole i sentimenti che proviamo l’uno per l’altro…”
“Ah, davvero una cosa semplice…” disse ironico John.
“John, ti prego.”
“Va bene…Sherlock, ci…ci provo.”
“Prova a chiudere gli occhi John, sarà tutto più semplice.”
 
John lo guardò di nuovo senza capire e un po’ contrariato, poi, scosse la testa e chiuse gli occhi.
“Ora inizia la seconda parte dell’esperimento.” Sherlock si era avvicinato ancora di più all’amico, spostando la poltrona.
Si trovava a pochi centimetri dal viso di John, le loro ginocchia si toccavano.
“Riesci a immaginarlo? Ci siamo solo…tu ed io, John. Come è sempre stato. Nient’altro.” Gli sussurrò Sherlock.
Si trovava così vicino al dottore che i loro nasi quasi si sfioravano.
 
“Riapri gli occhi John e dimmi…cosa…provi. Ora, in questo momento.”
John aprì gli occhi e quasi sussultò trovandosi il detective così vicino. “Sherlock...cosa stai facendo?”
“John devi dirmi semplicemente cosa provi. Cosa il tuo corpo prova. Vorrei capire se è la stessa cosa che provo io.”
“Sh-Sherlock, io…non lo so…”
“Allora io ti elencherò una serie di…sensazioni…che sto provando in questo momento e devi solo dirmi di sì, se le stai provando anche tu ora, o no.
 
"Aumento della sudorazione e aumento del battito cardiaco…” Sherlock guardò John per una risposta; il dottore annuì.
“Alterazione della respirazione, stato di eccitazione e leggera vertigine.” John annuì di nuovo.
“Inoltre, John…in questo momento ho un’estrema…voglia…di avvicinarmi di più a te e di…toccarti.” Sussurrò Sherlock, mentre avvicinava la propria mano al petto di John.
Il dottore era rimasto con la bocca aperta, quasi pietrificato.
Sherlock riusciva a sentirla, l’elettricità che si stava creando tra di loro, la tensione che era rimasta nascosta per troppo tempo. Aleggiava intorno a loro come una nube densa di aspettative e di desideri repressi.
 
Sherlock appoggiò finalmente la mano sul petto di John.
Sotto il maglione, il cuore dell’amico andava a mille e all’unisono anche il suo. Il battito del cuore di John diede a Sherlock la conferma definitiva che voleva ottenere, dandogli il coraggio di fare una cosa che aveva rimandato per troppo tempo.
“E poi, vorrei…davvero tanto, fare questo…”
Senza pensarci ulteriormente, trattenne il respiro e appoggiò le sue labbra su quelle di John.
 
Nell’esatto momento in cui le labbra dei due si toccarono, il tempo sembrò fermarsi e insieme, i loro cuori.
Sherlock si allontanò quasi subito. Fu un bacio insicuro e veloce; sul detective però ebbe l’effetto di una bomba nucleare e anche per John doveva essere stato lo stesso, infatti era rimasto a fissare Sherlock stordito e incredulo per quello che era appena successo tra di loro.
“John…?”
Tutto accadde in meno di un secondo; John si mosse velocemente, prese Sherlock per la vestaglia e lo baciò finalmente con foga e passione strattonandolo a sé. Il detective rimase senza fiato.
Quel bacio conteneva tutti i baci che non si erano riusciti a dare in tutti quegli anni.
 
Dopo un tempo che sembrò quasi infinito, i due si staccarono per prendere fiato. “Tu…finirai per farmi impazzire Sherlock…anzi forse sono già impazzito…” disse John allontanandosi dall’amico.
Il dottore si alzò dalla poltrona e continuò: “E’ appena successo…davvero?! Ho appena…baciato un uomo…ho appena…baciato...TE? OH MIO DIO!
E lo volevo…Dio se lo volevo, con tutto me stesso.” Disse riavvicinandosi al detective per tirarlo a sé dalla camicia.
"Questo è un enorme fottutissimo casino Sherlock. Non so…davvero…cosa fare.”
John si guardò intorno, perso.
 
Sherlock finalmente parlò e con semplicità pronunciò due semplici parole: “Resta, John.”
“Sherlock, lo vorrei, davvero, ma la bambina avrà bisogno di me e anche Mary…”
“Come mai hai messo Mary in secondo piano nella frase? E’ successo qualcosa?”
John prese un lungo respiro: “Ci stiamo lasciando Sherlock. Ero venuto qui a parlarti anche di questo. Io e Mary non funzioniamo più bene ormai, ma abbiamo deciso di non renderlo ufficiale fino a dopo la nascita della bambina.
Ho…bisogno ancora di tempo Sherlock. Non…non posso – disse con le lacrime agli occhi - trasferirmi di nuovo qui e lasciarmi tutto alle spalle. Almeno non subito. Non mi sembra giusto, sia per Mary, che per mia figlia.”
 
“Lo capisco, John.” Disse Sherlock, voltandosi per non guardare il viso del dottore, con un tono appositamente senza emozioni, che però John riconobbe.
Il dottore gli si parò davanti per guardarlo in faccia, gli poggiò insicuro e delicatamente una mano sul viso.
“Questo non cambia quello che ci siamo appena detti e che abbiamo finalmente ammesso; tutto ciò ha un valore enorme per me Sherlock. Ho aspettato anni per essere ricambiato da te e ora che so che proviamo entrambi lo stesso, mi sento la persona più…felice di questo mondo.
Ma…dobbiamo ancora avere pazienza. Il tempo per…Noi…arriverà. Come tu mi dicesti prima di prendere quell’aereo "Ai nostri tempi migliori”. disse John prendendogli la mano e intrecciando le sue dita con quelle di Sherlock.
Sherlock rispose accarezzandogli il dorso della mano. “Ai nostri tempi migliori John”.    
ANGOLO DELL'AUTRICE: Ciao ragazzi! Finalmente sono riuscita a finire questa one shot ahahah È stato abbastanza...complicato, soprattutto cercare di capire il punto di vista di Sherlock, cioè come davvero Sherlock potrebbe finalmente comprendere i sentimenti che ha sempre provato per John. Ma naturalmente anche la parte di John è stata difficile. Non mi piacciono quei racconti in cui salta subito al collo di Sherlock come niente ahahah Spero vi piaccia! Io spero con tutta me stessa che la quarta stagione inizi cosí 😍 (SOGNIAMO) Ciaoooo!
   
 
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