Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: AuraNera_    17/05/2016    2 recensioni
Chiuso in un'enigmatica stanza bianca, Jin rivive i suoi ricordi e osserva senza aver voce in capitolo gli avvenimenti del presente, al quale lui non appartiene più.
Perché Seokjin è morto, senza sapere il perché. E adesso è costretto a vedere le conseguenze, crogiolandosi nel dolore e nel dubbio: cosa significano il fiore e le farfalle?
Che cosa significa tutta quella situazione?
Genere: Malinconico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-       Miracles in December

 

I am there inside, oh... Inside that winter…
 

Ho fatto un sogno.
Ho sognato che voi avevate bisogno di me, perché io potessi fungere da fermo prima che la vita scivolasse via da voi. Invece... invece l’unico ad essere morto, qui, sono io.
È strano da pensare, eppure non trovo nessun’altra spiegazione logica. Anche se, a dirla tutta, trovo curioso il fatto che io possa proprio pensare. Forse non si può parlare di logica, ma un termine più corretto di questo non mi salta alla mente, quasi come se non ricordassi la mia stessa lingua.
Ricordo però l’esibizione, le luci, le urla delle nostre Army, la musica, i passi di danza... poi, in seguito, il malore in spogliatoio, la vista che si appannava e veniva meno, le voci preoccupate e sempre più forti degli altri membri, il mio corpo che cadeva e... buio e vuoto. Poi nulla.
E adesso, per ultima, questa stanza bianca.
Riempio i polmoni d’aria, o comunque la sensazione è quella anche se non posso fare a meno di chiedermi se sto effettivamente respirando. Non trovo risposta ed inizio ad agitarmi. Piango, anche. Che cosa è successo? Perché sono qui? Le domande mi attanagliano la mente, insistenti e pungenti.
Qualcosa mi sfiora la mano, come una carezza leggera. Una farfalla. La osservo mentre vola e si posa alternativamente, senza mai interrompere quelle due azioni. Seguo con lo sguardo il suo tragitto, mentre si appoggia sulla mia mano, sul mio petto, sul mio viso. È bella, candida come la neve, delicata. Viva.
Non è da sola. Altre sei farfalle giacciono immobili, come in attesa, appoggiate su delle poltrone bianche disposte in cerchio.  Anche io sono seduto su una di queste poltrone, ma la cosa strana è che non riesco ad alzarmi. Mi sento fiacco... stanco. Torno ad osservare gli insetti. Sono tutte della stessa specie, farfalle monarche, ma sono tutte di colori diverse: una rossa, una che sfumava dal marrone all’arancione, una gialla, una blu, una azzurra e una viola. Mi trasmettono famigliarità, anche se non so spiegarmi questa sensazione. Forse... solo il loro numero basta a farmi provare quest’emozione.
Stringo i pungi, non può essere, quelle farfalle non sono le loro, non possono essere qui ad attendere, io non posso essere qui ad... aspettare. Mi accorgo di stringere qualcosa nella mano destra, qualcosa che mi impedisce di chiudere completamente il pugno. È un fiore, un giglio bianco come tutto in quella stanza, tranne per delle lievi sfumature di colori diverse su ogni petalo. Sei petali con gli stessi sei colori delle sei farfalle.
Dentro di me avvertii una sgradevole sensazione. Ma non poteva essere un collegamento ai miei sei compagni. Oppure...
Di colpo esausto, chiudo gli occhi e mi lascio cadere all’indietro, sicuro che la mia schiena andrà a sbattere contro la spalliera della poltrona. Invece la vertigine che provo mi fa pensare che io stia effettivamente continuando a cadere, fino a raggiungere una posizione perfettamente orizzontale. Da lì, avverto come lo schianto con dell’acqua fredda, che mi avvolge.
La farfalla candida si posa sui miei occhi chiusi.
 

I try to hear you, who I can’t hear…
 

Quella piscina abbandonata era uno dei nostri rifugi segreti.
Ci andavamo quando avevamo un po’ di tempo e volevamo scappare dallo stress schiacciante del nostro lavoro da idol, per respirare un po’ di aria fresca e goderci la nostra età che tanto sembrava voler scappare da noi. Correvamo, schiamazzavamo e facevamo gli idioti sotto quel sole non più troppo caldo in realtà. Infine, vinti dalla stanchezza, ci sedevamo sul muretto a discutere e parlare, semplicemente, perché era ciò che ci piaceva fare: goderci appieno la nostra amicizia, il nostro legame.
A me piaceva filmarli, quei momenti. Significavano tanto per me. Mi guardavo attorno, sorridendo, così finii per notare l’assenza di Taehyung nelle immediate vicinanze. Girai la testa in più direzioni per cercarlo fino a che non lo individuai. Si era arrampicato sul muretto più alto e osservava la piscina vuota con aria seria, anche se un tantino titubante.
“Ehi, Tae!” lo chiamai, facendolo voltare di scatto nella mia direzione, probabilmente sorpreso nell’essere chiamato in causa. “Vuoi saltare?” gli chiesi sorridendo. Lui rise.
“Hyung! È troppo alto,non credo ti poterlo fare senza rompermi qualcosa!” mi rispose, scuotendo il capo e mostrandomi il suo tipico sorriso rettangolare. Io gli feci un cenno col capo in risposta.
‘Sì, probabilmente ha ragione, è troppo alto... però è anche vero che se non ci prova, non lo può scoprire’ pensai senza quasi accorgermene.
“Ragazzi, che ne dite di andare a fare un giro da qualche altra parte?” si sentì la voce di Suga nel silenzio che si era creato.
“E dove vorresti andare hyung?” chiese Jungkook, starando le braccia verso l’alto tanto che le spalle scricchiolarono lievemente.
“Andiamo al mare! Se ci sbrighiamo vediamo il tramonto!” propose Jimin, alzandosi in piedi a mo’ di molla con in volto un sorriso da un orecchio all’altro.
“Aigoo, che cosa diabaticamente romantica” sbuffò Hoseok scuotendo la testa con falsa disapprovazione. Falsa, sì, perché come da copione stava ridendo come un cretino.
“Yah, hyung!” urlò il minore dai capelli arancioni, tirandogli un calcetto. Hobie gli afferrò fulmineo il piede, facendo perdere l’equilibrio al main dancer che cadde come un sacco di patate, del tutto indifeso contro l’attacco di solletico che arrivò da parte del maggiore.
“Tu guarda che dongsaeng irrispettoso. Dovresti portare più riguardo ai tuoi hyungs” ghignò J-Hope mentre osservava il maggiore della maknae line contorcersi sotto la tortura solleticosa.
“Talvolta ho l’impressione di convivere con dei bambini dell’asilo” sentii borbottare Namjoon da qualche parte fuori dal mio campo visivo. Non potevo che essere d’accordo con lui.
Tuttavia, tutti accogliemmo la proposta di Jimin.
“Chi arriva ultimo alla macchina paga da cena!” urlò il leader, che manco a dirlo si era già messo a correre. ‘Chi era il bambino dell’asilo...?’
“Yah, hyung! Così non è valido!” urlò V in risposta, lanciandosi all’inseguimento di Nam. A un secondo di distanza, noi altri gli imitammo, ridendo, urlando e saltando praticamente nell’erba che ci arrivava al ginocchio. Ovviamente richiami come “hyung, sei una lumaca!” e “ti ho superato, a-ah!” non mancavano. La corsa finì con noi che ci schiantavamo tutti addosso all’auto o al limite a qualcuno che l’aveva raggiunta prima. Cademmo tutti per terra di sedere con il fiatone, per poi metterci a ridere e dimenticandoci così lo scopo della gara.
“Aish, sono troppo vecchio per queste cose” borbottò Yoongi, sdraiandosi sull’erba fortunatamente più corta  con un sospiro, mentre si passava una mano sul volto e successivamente tra i capelli.
Tu sei vecchio? Io che dovrei dire?” gli risposi, non riuscendo a trattenermi dal ridere e venendo imitato poco dopo dal ragazzo e ancora dopo da tutti gli altri. “Dai nati stanchi, andiamo. Conosco un bel posto dove possiamo vedere il tramonto!” dissi per poi sedermi al posto di guida mentre osservavo anche con l’aiuto degli specchietti gli altri membri che litigavano su chi dovesse sedersi dove. Sorrisi. Volevo bene a quei sei disagiati.
Non appena fui certo di averli, in un modo o nell’altro, tutti a bordo, misi in moto e mi immisi nella strada asfaltata, pigiando successivamente sull’acceleratore a manetta e scatenando così diversi versi tipo ‘woah’, soprattutto nei sedili dietro di me.
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio arrivammo a destinazione.
“Non è niente di speciale, ma è sempre vuoto e c’è una bella vista” dissi semplicemente, mentre i membri scendevano dall’auto e si guardavano attorno.
“Quindi è perfetto per noi” mi sorrise Namjoon, passandomi un braccio sulle spalle. Io annuì per poi raggiungere la maknae line che si era già accomodata sul gradino di cemento che dava sul mare, che le gambe giù a penzoloni, lo sguardo rivolto all’orizzonte.
Restammo seduti tutti e sei ad aspettare, non in silenzio completo chiaramente, sarebbe stato davvero troppo per noi, ma c’era comunque una certa quiete. Poi, all’improvviso, proprio quando il sole aveva iniziato a sfiorare il pelo dell’acqua, Taehyung si alzò in piedi e si diresse in fretta utilizzando i pali come appigli o pioli di una scala fino ad arrivare alla piattaforma in cima ad essa. Da lì si fermò con aria quasi stupita, sognante, ad osservare il mare sotto di lui. Io lo guardavo un po’ confuso, anche se avevo imparato a pormi pochi quesiti su cosa passasse per la mente a quel ragazzo. Lui, come se avesse avvertito il mio sguardo, si voltò a guardarmi e io gli sorrisi, mentre la mia mano si muoveva ad indicargli il mare come in un gesto d’invito. Effettivamente, non sapevo nemmeno io il perché di quel gesto.
V mi guardò stupito, poi distese le labbra in un sorriso. Lo osservai mentre prendeva a rincorsa, incoraggiato dagli altri membri. Lo vidi inspirare, espirare e prendere fiato nuovamente prima di iniziare a correre, fino a che i suoi piedi incontrarono il vuoto facendolo saltare nell’aria, quasi fosse rimasto sospeso per un istante, prima di cadere e sparire sotto il pelo dell’acqua, da dove affiorò un paio di secondi dopo. Riempì di aria i polmoni e si mise a ridere, salutandoci con una mano, mentre noialtri urlavamo e ci sbracciavamo, felici e ridenti. Io sorrisi al ragazzo che se ne stava beatamente a mollo.
Sapevo che avrebbe trovato il coraggio di saltare.
 

-
 

Taehyung camminava stringendo in mano un ramo.
Si trovava in una strada, o meglio, un vicolo praticamente mai frequentato e abbatteva con la sua arma improvvisata il pattume che trovava in giro. Gli occhi erano leggermente arrossati, aveva pianto ed erano vuoti, privi della luce birichina che li aveva sempre caratterizzati. Camminava svelto verso il dormitorio, mentre con quel ramo sfogava la sua frustrazione. Il cellulare, nella sua tasca, vibrava incessantemente, lo stavano chiamando, ma lui ignorava l’apparecchio evitando di rispondere.
Svoltò l’angolo per poi arrampicarsi su per le metalliche scale il quale scopo era il passaggio d’emergenza in caso di incendio per salire in altro e iniziare poi a percorrere gli ultimi metri che lo separavano al nostro dormitorio, situato in alto. Per risparmiare qualche minuto V percorreva spesso i passaggi sospesi tra i vari palazzi, nonostante gli ripetessi fino allo stremo di non farlo, dato che era proprietà privata. Ma era più o meno come parlare ad un muro: essendo la ‘mamma’ del gruppo, venivo puntualmente ignorato, me e i miei rimproveri. Non incontrò comunque nessuno, per fortuna e nel giro di cinque minuti era a destinazione. Aprì la porta con le sue chiavi ed entrò senza salutare e sbattendo la porta, correndo immediatamente nella sua stanza evitando qualsiasi ed ipotetica altra persona. Si chiuse nella sua stanza e si buttò sul letto, naturalmente senza togliersi le scarpe.
In circostanze normali, probabilmente, lo avrei sgridato e mi sarei lamentato perché sarei stato puntualmente ignorato. Ma quella non era una circostanza normale: io non potevo parlargli, sgridarlo, lamentarmi... ma nemmeno consolarlo. E mi sembrava averne un gran bisogno: aveva affondato la testa nel cuscino e aveva iniziato ad urlare frustrato mentre prendeva a pugni il suddetto guanciale. Lo guardavo impotente mentre iniziava a singhiozzare, sentendomi davvero una merda e provando inutilmente a chiamarlo. Era più forte di me, sentivo il bisogno di fare qualcosa per farlo stare meglio. Dopotutto era colpa mia se era in quelle condizioni. Ma era inutile.
Il suo telefono vibrò un’ultima volta, venendo ancora ignorato. Appena cinque minuti dopo si sentii un lieve bussare alla porta, ma Taehyun non rispose. L’uscio si socchiuse e ne fece capolino esitando Namjoon che raggiunse il minore lentamente, per poi sedersi al suo fianco. Appoggiò una mano sui capelli in disordine di V, accarezzandolo appena. Sospirò flebilmente.
“Taehyung...” iniziò per poi bloccarsi. Era palese che non sapeva esattamente cosa dire per consolare il ragazzo e, probabilmente, se stesso. Aveva anche lui un aspetto emaciato, gli occhi spenti e arrossati e il viso pallido. “Tae... dobbiamo farci forza... non possiamo, non puoi andare avanti così”.
“Non ci riesco” sussurrò il minore, girando il viso per fissare il leader, sempre con una guancia appoggiata al cuscino ormai imbevuto delle sue lacrime.
“Devi provarci. Dobbiamo provarci tutti... insomma, è passato un giorno e sei sparito, non rispondevi al cellulare... ero preoccupato. Ti ho visto arrivare... e non va bene così. Sei livido di rabbia e disperato, è meglio che tu non ti faccia vedere in giro... sai cosa intendo. Siamo un gruppo musicale, siamo famosi e le persone là fuori non aspettano altro che vedere ed analizzare le nostra facce e il nostro comportamento dopo... dopo quello che è successo insomma. Non possiamo permetterci di diventare cibo per gli sciacalli, Tae” il tono di Namjoon si faceva sempre più arrabbiato ed irritato per la situazione.
“Non me ne frega niente” rispose tetro V.
“Tae...!” esclamò il maggiore con tono il quale rasentava la disperazione.
“Hyung... per favore” sussurrò Taehyung mentre nuove lacrime iniziavano a scorrere sul suo viso, “Vai via” lo pregò, la voce ridotta ad un sussurro. E l’altro lo accontentò, dopo avergli scompigliato ancora una volta il capelli e mormorato un paio di parole consigliere e di supporto. Uscì dalla stanza e dopo un po’ lasciò anche il dormitorio, probabilmente per raggiungere gli altri membri del gruppo.
Il ragazzo sbuffò quando sentì la porta della sua stanza riaprirsi nuovamente per lasciar passare il manager. L’uomo avanzò con decisione, l’espressione seria sul volto. “Kim Taehyung” lo chiamò, il tono scuro. “Che costa stai facendo?”. Quando non ottenne risposta, proseguì: “Quello che è successo... è una tragedia, indubbiamente... conoscevo Seokjin come conosco tutti voi ed è una perdita che percepisco e rimpiango. Ma non puoi permetterti questo comportamento. Credo che anche il leader te lo abbia detto, ma lui stesso è sconvolto dalle circostanze e non credo sia nelle condizioni adeguate per dirti ciò che dovrebbe. Le cose brutte capitano a tutti, indipendentemente se la persona in questione è giovane o vecchia e se è giusto o ingiusto... ma la vita prosegue”. Sentii il mio cuore che si contraeva fastidiosamente nel petto.
A quelle parole, qualcosa in Taehyung scattò, trasformando tutto il dolore che aveva in petto in una furia cieca. Il ragazzo risollevò la testa di scatto e si mise seduto, il bel volto contratto in una smorfia irosa. “La vita continua, dice? Beh, vedo che non ha bene chiara in mente la situazione!” Si mise in piedi con uno scatto felino in un gesto di sfida.
‘Ti prego non dire ciò che temo tu stia per dire’ pregai follemente nella mia testa, in un moto improvviso di repulsione della realtà e di disperazione. Ma quanto valore ha una preghiera muta di una persona che comunque non potrebbe essere udita?
“Jin hyung è morto! MORTO! Non venga a cercare di consolarmi e convincermi con le sue stupide frasi che non cambierà nulla e che tornerà tutto come prima, perché non è vero niente, niente!”.  Taehyun iniziò a piangere ancora una volta, di rabbia però, mentre urlava quelle parole cariche di disprezzo. Avrei voluto abbracciarlo, stringerlo, fargli sapere che ero lì, che lo vedevo e che lo avrei sempre sostenuto. Ma come potevo?
Piangevo anche io assieme al mio dongsaeng.
“So cos’è successo, fin troppo bene. Ma voi siete idols, un gruppo famoso. Siete in sei, fatevi forza l’un l’altro e proseguite. Non potete bloccarvi di fronte a questa prima grande difficoltà!” lo sgridò il manager, un rimprovero che nascondeva in sé della dolcezza dietro la maschera seria. Lui ci voleva bene ed era addolorato dalla mia... scomparsa. Stava semplicemente svolgendo il suo lavoro, che in quel caso gli stava facendo assumere una posizione scomoda. Ma V era stato distrutto dal dolore, pareva quasi diventato pazzo con quegli occhi stralunati e il tremito incontrollato di spalle e mani. Ma questo movimento involontario non gli impedì di afferrare saldamente una bottiglia di vetro colma d’acqua dal suo comodino per poi prendere lo slancio e romperla sul collo all’adulto non appena questo gli ebbe voltato le spalle, considerando la conversazione conclusa. La bottiglia si fracassò in diversi cocci affilati in seguito al colpo che aveva tramortito il manager, oltre ad avermi spaventato moltissimo. Taehyung era sempre stato un ragazzo scherzoso e carino, gentile, mai violento.
Che cosa era successo dopo la mia morte? Come poteva essere cambiato così tanto?
V sembrava una miccia accesa: una volta innescata non poteva più fermarsi. Raccolse un frammento di vetro tra i più grossi e lo affondò con rabbia nell’addome dell’uomo, per poi estrarlo e colpirlo ancora e ancora mentre le sue urla disperate invadevano la stanza.
“Lei non sa niente! Stia zitto! STIA ZITTO!” gridava, strattonando con la mano che non reggeva il coccio, chiusa a pugno attorno alla stoffa del colletto del manager. Poi, tanto in fretta come quando era comparsa, la sua rabbia svanì. Inorridito da ciò che aveva causato con le sue stesse mani, Tae arretrò, mentre osservava il corpo ormai privo di vita del manager afflosciarsi a terra. Il ragazzo boccheggiò, disperato, osservando le sue mani sporche di rossi e che si lasciarono sfuggire dalle dita tremanti il vetro vermiglio, il quale raggiunse il pavimento con un tintinnio che ruppe il silenzio venutasi a creare. A quello se ne aggiunse un altro, il suono della serratura della porta d’ingrasso che si apriva e si richiudeva velocemente, mentre la voce di Rap Monster attraversava i corridoi del dormitorio.
“Taehyung! Ti ho sentito urlare per il giro scale, che è successo? Stai bene?”. Il leader aveva un po’ il fiato corto, probabilmente aveva corso per tornare dal nostro dongsaeng. Quest’ultimo, anch’esso ansimante ma per il panico, scattò verso la porta della sua camera, richiudendola dall’interno. Si allontanò poi dalla porta come se il contatto con la maniglia lo avesse scottato. Namjoon, da fuori, provò a bussare ed aprire, ma accorgendosi della porta chiusa, iniziò a percuotere questa e ad alzare la voce. “Tae! Apri questa porta!” comandò, la voce velata d’ansia. Ma il minore non mosse un muscolo, rimanendo fermo a fissare il vuoto con gli occhi sgranati.
Poi, di colpo parve risvegliarsi, si voltò verso lo specchio affisso nella camera e si osservò da cima a fondo, studiando il suo corpo e i suoi vestiti imbrattati di sangue. Con una smorfia orripilata e sgomenta, afferrò una bottiglietta d’acqua di plastica appoggiata sul comodino di Jungkook e si rovesciò l’acqua addosso iniziando pi a sfregarsi mani, volto e abbigliamento nella speranza di far sparire quelle orride macchie. Tutto questo continuando ad ignorare i richiami sempre più insistenti e disperati del leader, che angosciato si stava ormai scagliando contro la porta con tutte le sue forze. “Taehyung, non fare questi bruti scherzi! Non è divertente, apri questa fottuta porta! Cazzo, Tae!” ruggiva da fuori Rapmon, colpendo il duro legno che lo separava dal minore fino a farsi male, senza che ciò lo interessasse minimamente. Raramente lo avevo visto così in ansia, o forse mai. Ma Taehyung continuava ad essere sordo a quelle suppliche.
Abbandonò i suoi disperati tentativi di pulizia e, una volta afferrato il cellulare da lui precedentemente tanto ignorato si abbandonò con la schiena contro il muro, lasciandosi scivolare sino a terra. Dalla rubrica selezionò un numero che sulle prime non identificai e accostò l'apparecchio elettronico all'orecchio ignorando persino la voce registrata della segreteria telefonica che lo avvertiva che il numero in questione non poteva essere chiamato per un qualche motivo. Eppure, V parlò lo stesso.
"Hyung... voglio vederti hyung..." sussurrò, per poi chiudere la chiamata con dita tremanti. Fu allora che vidi il nome con il quale il ragazzo aveva salvato il numero. Mi sentii congelare non appena realizzare che si trattava di me. Stava chiamando ME.
"Tae" lo chiamai con un filo di voce, il cuore a pezzi. Lui si ficcò nuovamente il telefono in tasca e si alzò lentamente, avvicinandosi alla finestra. La aprì, respirando lentamente l'aria fresca della giornata e ascoltando i rumori provenienti dalla strada. Il nostro dormitorio era sufficientemente in alto e si poteva un pezzo di città con tutti i suoi colori e gli edifici. Taehyung sorrise senza allegria mentre si arrampicava sulla finestra e si sedeva con le gambe a penzoloni verso l'esterno.
"Hyung" mi chiamò di nuovo, sembrando di nuovo il ragazzo che ricordavo, l'alieno V, la persona più stravagante che lui avesse mai conosciuto. Ma fu solo per un momento. "Credo... credo che qui sia un po' troppo in alto... non è vero?" chiese al vuoto. Io lo chiamai, urlando con tutta la forza di cui disponevo, ma fu tutto inutile.
Anche quella volta, sapevo che avrebbe saltato.
Taehyung si diede una spinta con mani e piedi, saltando fuori dalla finestra e librandosi nell'aria come se stesse per spiccare il volo. Invece precipitò a terra e giacque sull'asfalto, immobile. Dopo qualche lungo, terribile istante, Namjoon, che presentava dei graffi sulle mani e uno sul viso, riuscì a scardinare la porta, spalancandola nella stanza silenziosa. Respirando pesantemente, si guardò attorno, fissando attonito il sangue, il cadavere del manager, una bottiglia di vetro frantumata, una di plastica mezza vuota e rovesciata sul pavimento e, soprattutto, l'assenza di V... e la finestra aperta. Barcollò verso di essa con un'espressione incredula sul viso, si appoggiò quasi di peso al davanzale e, dopo essersi fatto coraggio, rivolse il suo sguardo verso il basso, confermando così i suoi timori: il nostro amico giaceva riverso sull'asfalto mentre una macchia scarlatta si allargava sempre di più attorno alla sua testa.
"Tae-Taehyung... Perché..." sussurrò il leader, accasciandosi a terra, distrutto.
Piansi con lui mentre quell'immagine sembrava dissolversi per via delle lacrime...
 

...Invece si è dissolta sul serio.
Sono di nuovo nella stanza bianca, solo con me stesso. La farfalla azzurra si è come risvegliata dal suo stato di immobilità e si è unita a quella bianca nello svolazzarmi attorno. La farfalla è Taehyung... è la sua vita, delicata e colorata, che è volata via. Abbasso lo sguardo sulle mie mani, notando così che il fiore ha perso un petalo: è caduto, fluttuando lievemente nell'aria fino a che non si posa vicino ai miei piedi. Il mio corpo viene scosso da un tremito.
Perché si è suicidato? Che cosa lo ha spinto a farlo? Stringo i denti, so che non è finita, riesco a percepire come un presentimento che mi comunica che quello che ho appena visto non è che l'incipit della faccenda. Improvvisamente, mi sento come se il mio corpo si stia disintegrando, la carne che si squaglia e si distacca dalle ossa che si scheggiano, il cuore che mi esplode nel petto.
Chiudo gli occhi, abbandonandomi a quel dolore.
 

I try to find you, who I can't see...
 

Io e Namjoon tirammo Tae fuori dall'acqua di peso.
E sì, Taehyung era magro quanto volete e noi eravamo in due, ma provateci voi a tirare fuori dal mare un ragazzo grondante d'acqua e ridente tanto da farlo contorcere pari ad un'anguilla. Da parte sua non ci  venne dato aiuto alcuno, tantomeno dagli altri membri che stavano facendo i deficienti.
Non appena V toccò la terra ferma iniziò a rotolare, ridendo ancor più di prima, se possibile. A coronare il tutto, Hoseok, Jungkook e Jimin gli si lanciarono addosso, Suga ridacchiava un po' più in là e Nam scuoteva la testa dopo essersi seduto in terra.
"Ma guardate un po' voi se io devo avere a che fare con degli individui come voi" sbuffò quest'ultimo con finta, o comunque non completa, esasperazione.
"Aigoo, leader!" si lamentò J-Hope, lanciandogli una scarpa.
"In realtà tu ci adori" commentò Jimin facendogli un occhiolino. A quel punto il leader si mise a ridere, passandosi una mano tra i capelli.
"Non posso negarlo" acconsentì, scuotendo nuovamente il capo. "E poi siamo tutti e sette dei completi idioti" concluse, annuendo convinto. Ci fissammo per qualche altro secondo prima di rimetterci a ridere sempre più forte, accasciandoci a terra tenendoci la pancia che aveva iniziato a protestare. In tutto questo V era riuscito a togliersi la maglia zuppa e a strizzarla, rabbrividendo sotto il tocco della fresca brezza serale.
“Forse dovevo pensare di lanciarmi un pomeriggio e non una sera” ridacchiò scherzoso, sfregandosi le braccia con le mani. Jimin, vedendo quella scena, si tolse la felpa e gliela lanciò in testa.
“Mettiti questa prima di prendere una broncopolmonite” gli ordinò. Il minore gli sorrise riconoscente.
“E come al solito, Jimin è sempre il primo che si spoglia” decretò allegramente Hoseok, scatenando le proteste del più piccolo e le risate di noi altri, soprattutto di Tae, ancora mezzo incastrato nella felpa dell’amico.
“Scusate se mi preoccupo della salute del mio dongsaeng!” sbuffò il vocalist mettendo il broncio in un moto di finta offesa.
“Aigoo Jimin-ah, stavo scherzando!” ribatté Hobie, lanciandogli un braccio attorno a collo e pizzicandogli una guancia.
“Coraggio ragazzi, torniamo all’auto, si sta facendo tardi!” ci richiamò Namjoon. In effetti il cielo diventava sempre più buio e avevamo un bel po’ di strada da fare per tornare al dormitorio. Seoul non era vicina al mare purtroppo.
“Basta che non corriamo” si fece udire la voce di Yoongi, che si stava rialzando con molta calma, stiracchiandosi. I tre maknae ricominciarono a ridere, di nuovo.
“Aish, Yoongi, ti prego. Mi sembri un novantenne quando fai così” lo presi in giro io.
“Se io sono un novantenne, tu sei millenario!” rispose, incrociando le braccia al petto in un atteggiamento di sfida. Ci fissammo per qualche secondo prima di scoppiare nuovamente a ridere. Diamine, non stavamo facendo altro da almeno dieci minuti.
“Yah nonni! Muovetevi!” ci urlò V, facendomi notare che i nostri amorevoli compagni stavano allegramente mollando lì me e Suga, impalati come due salami in mezzo al nulla. Li seguimmo, naturalmente senza correre data la nostra ‘veneranda età’.
Grazie al cielo non avevo parcheggiato lontano, avendo previsto che ci avremmo messo un po’, per un motivo o per l’altro. Della serie: conosco bene i miei polli e il gallo cedrone, che sarei io. Purtroppo l’auto non era abbastanza grande per ospitarci, così Jimin salì dietro, all’aperto. Kook gli passò una coperta, dato che faceva freddino adesso che il sole era tramontato e lui era anche in maniche corte perché aveva gentilmente dato la felpa a Tae. Sorrisi nell’osservare la scena, per poi accomodarmi di fronte al volante.
“Ci siete tutti? Yoongi hai raggiunto la vettura? Cinture allacciate?” chiesi. Quando ottenni una risposta affermativa generale misi in moto immettendomi nella strada verso casa. Dietro di me i ragazzi ridevano, scherzavano, cantavano e si dedicavano alle più svariate attività. Ma già dopo la prima mezz’ora di viaggio le voci si erano notevolmente affievolite, diventando mano a mano più strascicate fino a che qualcuno non veniva interpellato ma non rispondeva, come successe con Jungkook, addormentatosi contro il finestrino, seguito a ruota da Taehyung, il quale aveva usato l’amico come cuscino.
“Jin hyung” mi chiamò Suga di posti dietro, sporgendosi per incastrare il viso tra il sedile mio e quello di Namjoon, al mio fianco. Da lì mi indicò una serie di spie luminose, in particolare una che prima non c’era. “Dobbiamo fermarci al distributore se non vogliamo rimanere in mezzo alla strada” annunciò. Io annuì i n segno di approvazione, mettendo la freccia per fare la nostra piccola deviazione. In realtà non mancava molto, ma era meglio non rischiare. Nel frattempo, accanto a Yoongi, Hoseok si era messo a ridacchiare.
“Dì un po’ hyung, da quando guidi al posto di Seokjin hyung?” chiese a quell’altro, spintonandolo appena. Quest’ultimo rigirò la provocazione al sottoscritto, naturalmente.
“Da quando Jin si perde nei suoi pensieri mentre guida” mi canzonò, e io non potei far altro che ammettere le mie colpe con una leggera risata. Una manciata di minuti più tardi accostai affianco alla pompa della benzina e feci per scendere, venendo bloccato dal leader.
“Lascia, faccio io” mormorò, scendendo. O almeno penso abbia detto questo, le sue parole erano state allegramente storpiate da un chupa-chupa che si era ficcato in bocca cinque minuti prima. Senza sapere esattamente che rispondere rimasi ad osservarlo come un pesce lesso mentre scendeva dalla macchina e faceva il pieno, mentre nel retro file Yoongi armeggiava con la sua polaroid scattando delle foto ricordo ai dormienti maknae e J-Hope annunciava che sarebbe andato a prendere qualcosa al bar vicino, miracolosamente ancora aperto, dopo che Suga lo ebbe scacciato accusandolo di rovinare le sue foto perfette. Da parte mia mi ero limitato a tirare una testata al volante come segno della mia esasperazione, fortunatamente mancando il clacson.
Da quella assurda posizione sentii Namjoon che tornava all’ovile dicendo a Suga: “Passa qua un attimo Yoongi”. Risollevai la testa appena in tempo per capire i loro intenti, prima di ritrovarmi la testa del nonno del gruppo di nuovo in mezzo ai sedili. “Seokjin hyung, buonasera, vorrei fare questa benedetta foto” rise il leader, e io mi risvegliai dai miei pensieri. Guidare troppo mi faceva male. Io e l’altro ragazzo ci mettemmo in posa, aspettando il click che arrivò puntualmente qualche secondo dopo.
Non appena la foto fu stampata, io e Suga ci affacciammo per vederla e sorridemmo. Era venuta bene. “Questa la conservo qui” decretai, mettendola con cura nel cassetto del cruscotto. Poi mi sporsi dalla finestrino. “Hoseok s’è perso” borbottai. Manco a dirlo, il ragazzo spuntò in quel preciso istante, con una borsa di plastica in mano. Raggiunto il retro dell’auto però, si fermo un attimo, probabilmente per appoggiare il suddetto  sacchetto e controllare le cose sul retro. Sbirciando dagli specchietti retrovisori notai che stava invece sistemando la coperta ad un dormiente Jimin, sorridendo. Dopo questo, il rapper risalì sull’auto e si allacciò di nuovo la cintura.
“A posto ragazzi. Ripartiamo?”
 

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Namjoon alitò sulla superficie fredda dello specchio.
A contatto con il fiato caldo su di essa si formò la condensa, dove Rap Monster, con l’indice, scrisse un messaggio che dapprima non vidi, perché la sua mano tremante mi ostruiva la visuale. Mi concentrai quindi sui suoi occhi: erano spenti, la loro solita luce era stata soffocata da un pesante velo di tristezza sottolineato dai cerchi rossi che adornavano le palpebre. Finalmente il leader si scostò dallo specchio e io potei leggere ciò che aveva tracciato, una sola frase: devi sopravvivere. Non una firma, non un’indicazione, non un soggetto definito, niente. Avrebbe potuto rivolgersi a Jungkook, Jimin, Suga o J-Hope, ma non era possibile capirlo neanche attraverso un nesso logico, perché non ce ne erano, a meno che non mi fosse sfuggito qualcosa. Era possibile, dopotutto, quelle visioni si stavano susseguendo con diversi sbalzi temporali. Un sola domanda mi frullava in testa: perché?
Il leader sospirò passandosi una mano tra i capelli una volta rosa, tornati biondi. “Abbiate cura di voi, ragazzi” mormorò con voce roca e bassa, tanto che per un momento pensai di essermi immaginato la voce, dubbio che si dissipò in fretta. L’intera sua figura esprimeva stanchezza, persino la postura, un po’ gobba. La morte di Taehyung doveva pesar molto sulla sua psiche come su quella di tutti gli altri membri, così vicina alla mia scomparsa... le condizioni di Namjoon ne erano la prova, senza contare che era stato lui stesso a scoprire i cadavere di V e a stargli vicino mentre si suicidava, impossibilitato dall’intervenire da una dannata porta.
Mentre ero perso nei miei pensieri, Nam afferrò le chiavi ed uscì, scendendo le diverse rampe di scale con una lentezza disarmante, tirandosi il cappuccio della felpa sopra il capo, in modo che gli coprisse anche il volto. Nel tempo che impiegò a scendere le scalinate, io riuscii unicamente ad aumentare la mia confusione. Namjoon spalancò la porta del condominio e prese a camminare con passo svelto e il capo chino attraverso l’aria nuvolosa delle giornata. Sembrava essere primo pomeriggio, circa l’ora di pranzo data lo scarso numero di persone. Ciononostante, il leader scelse apposta le strade meno praticate e camminando per i vicoletti piccoli e sporchi, apparentemente senza meta. Quando fu sicuro di essere solo si tolse il cappuccio e alzò gli occhi lucidi al cielo, senza mai fermarsi e sospirando con pesantezza, come se stesse in tutti i modi cercando di trattenere delle lacrime fin troppo insistenti.
‘Dove stai andando Namjoon-ssi?’ mi chiesi, mentre lo seguivo, volente o nolente, attraverso stradine occultate e a me sconosciute  o più spaziose, immerso come lui nei suoi continui giri, dietrofront e incontri con vicoli ciechi. In tutto questo mantenne la sua maschera di dolore, senza mai fare una smorfia di disappunto o di frustrazione. Sembrava un automa.
Ad un cero punto, in fondo ad un vicolo, vidi un cancello che bloccava la via; pensavo che Rap Monster avrebbe cambiato direzione o sarebbe tonato indietro come le altre volte, ma non lo fece. Si limitò a scavalcare l’ostacolo e a proseguire, incurante di tutto. Riconsiderai la mia ipotesi: forse non era poi un viaggio senza meta. Camminò ancora per qualche minuto e io non staccai mai gli occhi da lui, studiando il suo particolare e strano comportamento, fino a che non alzai la testa. A quel punto mi resi effettivamente dove ci trovavamo e il sangue mi si gelò nelle vene.
Era un cimitero. Dalla posizione in cui mi trovavo riuscivo a scorgere i cipressi e file su file di lapidi. Forse l’entrata principale era chiusa a quell’ora, forse no, probabilmente voleva essere sicuro di non essere notato senza curarsi del resto. Per colpa della scarsa luce avevo sbagliato a decretare l’orario, ma mi era ormai chiaro che era sera, quasi il crepuscolo. C’era abbastanza luce affinché io potessi vedere i nomi e le foto impresse sulle lapidi di pietra. Namjoon non sembrava averne bisogno, invece, era come se sapesse già perfettamente dove andare.
Infatti, dopo pochi metri si fermò tra due tombe. Riconobbi i volti impressi in quelle foto che ricordavano sorrisi ormai persi per sempre e mi sentii male. Ero nella zona dedicata a color che erano stati sepolti recentemente, davanti alla tomba di Taehyung e... alla mia. La prima cosa che pensai fu che fosse strano vedere la propria lapide mentre una persona, un amico a te caro, versa su di essa le proprie lacrime. Non avrei mai pensato di assistere nella mia vita, o meglio, in generale, ad una scena come quella.
Namjoon si era seduto davanti alle due tombe e sorrideva mesto. “Annyeong ragazzi” ci salutò con voce pacata, poco più di un sussurro incerto. “Spero che io non stia facendo una cosa terribilmente cretina e che voi possiate sentirmi, sarebbe deprimente scoprire che sto parlando sol con due sassi”. Voleva fare ironia, ma la sua voce si spezzò sull’ultima parola. “Che dire... le cose vanno male e sempre peggio... per tutti noi. Se prima era impossibile trovare un momento di pace, ora non ci sono altro che vuoti e silenzi, interrotti da sussurri o da urla, non più da risate, abbiamo dimenticato cosa siano temo”. Prese un respiro tremante e si girò verso la lapide con la foto di un sorridente V. “Tae, non ho mai visto Jungkook e Jimin così spenti da quando sei... scomparso. È come vivere all’improvviso con due persone diverse. Jimin tenta di farsi forza anche per il maknae perché in quanto il più grande tra i due si sente in dovere di aiutarlo, ma non sta ottenendo grandi risultati purtroppo”. Spostò lo sguardo sul terreno, sbattendo le palpebre e lasciandosi sfuggire due lacrime. “È diventato impossibile relazionarsi con Yoongi, è costantemente irritato e disperato e si sfoga con frustrazione su chiunque lo infastidisca. L’altro giorno ha messo le mani addosso ad Hoseok, non so bene per quale motivo e ho dovuto separarli... anche se effettivamente non è stato troppo complicato, dato che Seok non si regge praticamente più sulle sue gambe. Dopo la vostra scomparsa ha avuto uno shock emotivo parecchio forte, tanto da iniziare a soffrir di insonnia, ansia e attacchi di panico: per questo prende delle pastiglie, calmanti e sonniferi che gli danno sonnolenza. Lo hanno distrutto quei dannati farmaci, non è che un’ombra adesso. E io...” prese a tremare, mentre soffocava in malo modo dei singhiozzi, “Io non so più che fare... che razza di leader sono, eh? Non sono riuscito ad impedire la tua morte Tae... non mi sono accorto che stavi male hyung...”. Si asciugò le lacrime con un gesto secco del polso. “Jin hyung... perché te ne sei andato? Senza di te adesso... non sarebbe successo nulla se... se tu... tu sapresti cosa fare al posto mio, come faccio adesso?” chiese piano, fissando la mia tomba. Quelle domande mi fecero male all’altezza del petto.
“Mi dispiace” sussurrai al vuoto, ma naturalmente Rapmon non mi sentì. Ero rigido come un palo, come congelato, il volto umido di calde e amare lacrime. Come poteva essere? Pensai al viso dolce e occasionalmente vagamente malizioso del maknae, l’allegria di Jimin, la pazzia almeno apparente di J-Hope, la tranquilla ironia di Suga e al leader così… Namjoon. Si era davvero tutto disciolto? Non potevo immaginarlo, non ci riuscivo davvero ad immaginarmelo, era quasi impossibile da credere. Ma ormai quella che era la nostra realtà era sconvolta da degli eventi davvero assurdi. E, assieme a tutta quell’ineffabilità, nella mia testa frullavano mille interrogati Proprio in quell’istante lui si rialzò i che si poteva riassumere con: e adesso?
Nel frattempo il leader si era rialzato, sfiorando le due lapidi in un gesto di saluto e, asciugandosi le lacrime e spolverandosi i vestiti, riprese a camminare. ‘Se lui non ce la fa più... che accadrà adesso a lui e agli altri?’. Avevo paura di riuscire, in tutte le mie ipotesi, ad indovinare la risposta. Speravo di no, perché non mi veniva nulla di positivo.
Nam scavalcò nuovamente il cancelletto e riiniziò a camminare con il volto basso e il cappuccio di nuovo sul capo, questa volta costeggiando le grate che delimitavano il cimitero, di nuovo in un lento viaggio del quale ignoravo la destinazione. Dopo aver parlato a me e a Taehyung, o meglio, alle nostre bare, si era spento anche lui, tornando ad essere semplicemente un automa che camminava e camminava, quasi in trance. Ogni tanto muoveva appena le labbra, mormorando qualcosa che non riuscì mai a cogliere, e una lacrima sfuggiva dai suoi occhi. Ogni tanto, poi, sembrava ritrovare un briciolo di se stesso, ma scuotendo la testa cacciava via quella sorta di illuminazione singhiozzando, coprendosi la bocca con una mano, gli occhi mezzi spiritati. Ma era solo per qualche secondo, uno stallo breve prima che riprendesse a camminare immerso nei suoi bui pensieri che rischiavano di inghiottirlo. O forse lo avevano già preso e lo stavano inesorabilmente guidando verso... verso... un tabacchino.
Rimasi confuso da quella meta, ma l osservai comunque spingere la porta, mentre un tintinnio allegro e completamente fuori luogo che attirò tuttavia l’attenzione del negoziante, il quale comparve dopo appena qualche secondo.
“Buonasera ragazzo. Che posso fare per te?” chiese l’uomo, cortese.
“Un pacchetto di sigarette per favore” disse semplicemente Namjoon con voce roca. L’altro sollevò un sopracciglio, leggermente perplesso.
“Vendiamo diverse marche qui, hai qualche preferenza?” chiese gentilmente, ma Rapmon scosse la testa senza sollevare il viso ma tremando leggermente. L’uomo se ne accorse, avendo alzato il viso dopo aver passato al ragazzo il pacchetto di sigarette più vicino. “Scusami se m’impiccio, va tutto bene?” chiese con una certa esitazione.
Nam storse la bocca in un mezzo sorriso talmente amaro da non sembrare neanche ciò che era. “Potrebbe andare meglio” disse infine con un po’ di riluttanza e naturalmente riducendo al minimo tutto. Alzò lievemente il capo e l’uomo dietro al bancone parve riconoscerlo.
“Tu sei uno di quei ragazzi dei gruppi musicali vero? Li ascolta mia figlia, per questo so chi sei... a meno che io non sti sbagliando... fai parte di una band musicale?” chiese di nuovo quello.
“Quello che ne rimane” rispose piatto Namjoon, con un tono che esprimeva la sa decisione nel non proseguire oltre in quella discussione. In silenzio pagò le sigarette con dei soldi che aveva nelle tasche dei pantaloni della tuta. Dopo aver rivolto un cenno di ringraziamento e al contempo di saluto voltò i tacchi e iniziò ad allontanarsi.
“Vedrai ragazzo, in un modo o nell’altro i brutti momenti passano e si risolve tutto” sentii parlare un’ultima volta l’uomo. Poi la porta di chiuse dietro le sue spalle col medesimo tintinnio di quando era entrato.
“Quanto vorrei che lei avesse ragione” sussurrò al vuoto, dando di nuovo inizio a quel suo girovagare che diventava per me sempre più confuso ad ogni suo passo. Non riuscivo a spiegarmi il motivo del suo acquisto: per quanto ne sapevo, Namjoon non fumava, e ci avevo vissuto assieme per tre anni. E poi, perché stava percorrendo la strada che percorrevamo sempre per andare alla piscina abbandonata? Dove era diretto?
Mi irrigidii ancora di più di prima, avevo una paura tremenda. Le sue parole, le sue azioni, il suo portamento... era tutto così strano, misterioso, anormale. Per quello mi spaventava: non presagiva nulla di buono. Ma cosa poteva fare uno spettatore come lo ero io? Come quando si guarda un film dell’orrore, hai cattivi presentimenti e urli agli ignari protagonisti di non fare ciò che effettivamente stanno per fare. Potevo solo guardare, piangere e gridare, anche se le mie erano azioni inutili. Non avevo voce in capitolo.
In quelle condizioni assistii all’arrivo di Namjoon al distributore dove mi ero fermato diverse volte. Come spesso accadeva data la scarsa frequentabilità della strada e anche l’orario, il distributore era vuoto. Persino il negozio appariva chiuso. Rapmon si appoggiò ad una pompa e pescò dalla tasca della felpa un chupa-chupa, scartandolo lasciando cadere l’involucro vuoto a terra e cacciandoselo in bocca. Dopodiché inserì dei soldi nel distributore e, una volta afferrò la pompa e spanse il liquido contenuto in essa per terra, ai suoi piedi fino all’ultima goccia a lui disponibile, prima di rimettere l’arnese al suo posto.
‘Che diamine sta facendo? La benzina è tossica!’ pensai inorridito dalle sue azioni sconsiderate. Non era da lui, non lo era per niente. Namjoon si tolse il dolcetto che teneva in bocca e lo alzò all’altezza dei suoi occhi, reggendolo per il bastoncino tra pollice e indice. Lo osservò attentamente per qualche istante, poi mollò la presa, lasciandolo cadere sulla pozzanghera di liquido che gli stava impregnando le scarpe.
“Boom” sussurrò. E fu solo allora che i tasselli andarono meccanicamente al loro posto, ad una velocità tale da lasciarmi spiazzato per qualche secondo, a boccheggiare senza elaborare veramente le informazioni che mi apparivano allo stesso tempo terribilmente chiare. Le mie paure e supposizioni si erano rivelate esatte.
Rapmon estrasse dall’altra tasca della felpa il pacchetto di sigarette precedentemente acquistato e lo aprì, estraendone una e portandosela alle labbra, trattenendola con esse. Il resto del pacchetto lo lasciò cadere in terra, incurante. Grazie a quel gesto notai però ciò che ancora stringeva in mano. Era un accendino, l’accendino di Suga per la precisione. Yoongi ogni tanto ci giocava con quell’affare, quando era sovrappensiero, sollevando la parte superiore di esso e osservandone la fiamma, prima che qualcuno, spesso lui stesso o Jungkook, gliela spegnesse soffiandoci sopra. Non sapevo perché lo avesse e ne avesse tanta cura, era un ricordo ma ignoravo di chi o cosa. E ignoravo anche come Namjoon glielo avesse sottratto senza che lui se ne accorgesse, ma era chiaro per cosa lo avrebbe usato. Con mani tremanti si accese la sigaretta senza aspirare e poi scagliò con un’improvvisa ed inaspettata forza l’accendino. Mentre afferrava la sigaretta come aveva preso in mano poco prima il chupa-chupa, tra pollice ed indice, le lacrime iniziarono di nuovo a bagnare il suo volto. Ma questo non gli impedì di imitare i suoi gesti di pochi minuti prima: Namjoon aprì la mano e la sigaretta cadde. 
Una scintilla; poi l’esplosione. Rimasi a fissare senza un’espressione descrivibile il distributore bruciare, senza vedere il corpo del leader, ma era come se lo percepissi. Io sapevo che lui era là in mezzo, sapevo che le braccia lo stavano bruciando ed era come se io mi stessi incenerendo assieme a lui. Dopo qualche interminabile minuto arrivarono i pompieri, allertati da chissà chi, seguiti dalla polizia e, con mio stupore, dai ragazzi, ormai solo in quattro, arrivati sul posto non so per quale assurdo motivo o richiamati da chi. Suga riconobbe il suo accendino e la lì gli fu tutto chiaro. Osservò le fiamme con incredulità mentre teneva in mano in suo oggetto come se fosse sporco di sangue, sussurrando il nome di Namjoon, mentre dietro di lui Jimin e Jungkook piangevano e Hoseok fissava il vuoto con un’espressione vitrea e straziata. L’ultima cosa che vidi fu Yoongi che, in preda a un eccesso di rabbia urlava la sua frustrazione.
Poi le fiamme mi accecarono.
 

Chiudo gli occhi, strizzando le palpebre.
Quando risollevo queste ultime vedo che il fiore nella mia mano sta perdendo un altro petalo; si sta dissolvendo nell’aria, annerendosi e diventando cenere e fuliggine che si sparpagliano nell’aria della stanza. La farfalla gialla attraversa quelle sottilissime polveri nere senza le queste ultime le macchino le ali.
Un’altra vita è volata via, anche Namjoon è morto... no, peggio: si è suicidato. Per disperazione. Mi prendo la testa tra le mani, fa male da morire, anche se questa frase sembra quasi frutto di un ironico umorismo nero. Il capo passa improvvisamente dal lanciare fitte al diventare pesante. Mi sento tutt’ad un tratto intontito e le palpebre non fanno che chiudersi, pesanti. Involontariamente e quasi senza che me ne accorga, il mio corpo si rilassa totalmente, abbandonando la schiena sul retro della poltrona e non riesco più a risollevare le ciglia. Non riesco a pensare, non riesco a fare niente.
Mi addormento dolcemente.
 

Then I started to see things I couldn’t see...
 

“Ragazzi!”
La voce allegra di J-Hope ci chiamò, naturalmente facendo in modo di strillare a pieni polmoni dopo interi minuti di silenzio e svegliando di conseguenza tutta l’auto dal torpore o direttamente dal sonno. Non mancarono le esclamazioni sorprese, infastidite e assonnate da parte dei diretti interessati. Nel caso di V e Jungkook anche di dolore, dato che sobbalzando per lo spavento si erano presi una sonora capocciata l’uno contro l’altro, mentre Jimin non aveva apprezzato il brusco risveglio, come si intuì dal suo incavolato ‘YAH!’ proveniente dai retrofila. Io e Namjoon ci mettemmo a ridere, mentre Yoongi, una volta che ebbe finito di imprecare contro l’amico, si mise teatralmente una mano in fronte, borbottando qualcosa di non troppo gentile che non afferrai. Jungkook e Taehyung avevano iniziato a fare il solletico e tirare scappellotti al maggiore, naturalmente con la somma approvazione di Jimin che si stava esibendo con tutto il suo entusiasmo in un’incitazione degna di un coro da stadio. Naturalmente, in tutto questo, nessuno aveva capito o comunque provato a capire che cosa J-Hope volesse dirci.
“Hobi, che c’è?” domandai allora, quando smisi di ridere e a riprendere abbastanza fiato da riuscire a produrre un tono di voce sufficientemente alto per superare gli strilli della maknae line. A quel mio richiamo tutti, ormai più che svegli, drizzarono le orecchie e tacquero. O perlomeno abbassarono il volume.
“Beh, mi sembrava un po’ triste tornare al dormitorio così, di botta, dopo una giornata del genere. E se ci fermassimo a dormire in quel posticino?” chiese, facendo una smorfia come dire ‘se non siete d0’accordo non esplodete per favole’. Yoongi, stranamente, fu il primo ad avere una reazione degna di tale nome.
“Perché no. Abbiamo impegni domani?” chiese, rivolgendosi a Namjoon e picchiettandogli un dito su una spalla per farglielo intendere.
“Solo un photoshoot il pomeriggio, che probabilmente si prolungherà fino a sera. Però è abbastanza leggera come giornata” rispose il leader, sorridendo.
“E allora, che si fa?” chiese Taehyung, con un tono di voce che poco lasciava all’immaginazione ciò che lui voleva fare.  Ci furono due secondi di brusio, poi il silenzio più totale.
“Ho come l’impressione che voi tutti stiate guardando me” dissi, trattenendomi dal ridere e lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore, confermando i miei sospetti. Sospirai e sorrisi. “Qualcosa mi dice che mi toccherà fare una deviazione” dissi semplicemente. E da lì esplosero le grida di giubilo. Effettivamente, trovavo anche io un po’ curiosa la loro reazione fin troppo entusiasta ed euforica, dovuta al semplice ‘non tornare in dormitorio’, nel nostro comodo e caldo posto letto assicurato per scegliere invece una specie di casa ancora in buone condizioni nei pressi di una ferrovia abbandonata. Ovviamente il tutto era privo di riscaldamento e ogni altra comodità e forse era questo che lo rendeva speciale. Quelli erano i nostri momenti, quelli in cui diventavamo dei semplici ragazzi e non delle bambole di pezza mosse da fili invisibili e molto ben celati. Se non ne approfittavamo a quell’età, quando lo facevamo?
Misi la freccia e mi immisi nell’ennesima strada abbandonata della giornata, accompagnato dalle chiacchiere allegre dei membri che privi di sonno urlavano e sbraitavano canzoni a squarciagola, tra l’altro di gruppi femminili, con tanto di accompagnamento coreografico da parte di Jungkook e J-Hope. Non sono informato sulla situazione di Jimin, stavo pur sempre guidando; l’unica cosa è che stava riproducendo degli acuti degni di un delfino. Sì, fa un certo effetto sentirlo dal vivo nonostante ci viva assieme, e lo stesso vale per il maknae.
“Ragazzi, siamo arrivati! Forza, dobbiamo togliere i sedili se non vogliamo dormire per terra!” richiamò tutti Namjoon non appena io parcheggiai. O meglio, fermai l’auto in mezzo al nulla.
“Mi raccomando, con delicatezza!” sottolineai io.
“Sììì, omma!” fu l’immancabile risposta del coretto, il quale smontò ridendo e iniziò a tirare via i sedili sopra ai quali avremmo dormito una volta sistemati all’interno della struttura abbandonata. Hoseok aveva recuperato anche le borse con il cibo che aveva comperato precedentemente al distributore.
“Ho preso anche i marshmallow~!” cantilenò passandomi affianco. Io lo guardai storto.
“Dì la verità, avevi già la piena intenzione di venire qui, dico male?” chiesi, aggrottando le sopracciglia in quella che doveva essere un’espressione di rimprovero. Lui, per tutta risposta, sorrise ampiamente e saltellò via, canticchiando e lasciandomi da solo a sospirare esasperato, mentre mi passavo una mano sul volto.
“Hyung~” cinguettò Kookie, apparendo al mio fianco e mettendosi a ridere lievemente nel trovarmi prossimo a prendere a testate l’auto, “Ti serve una mano?” chiese subito dopo, indicando il sedile con un’occhiata.
“Grazie maknae-ah” risposi annuendo. Trascinammo quell’affare fino al punto in cui tutti gli altri si erano riuniti. Il leader stava accendendo un fuoco, il combustibile non mancava di certo dato che i pochi alberi erano spogli e non curati. Gli altri stavano spartendo i viveri per cenare e le coperte.
“Attenzione ragazzi!” avvisò Namjoon, prima di dare fuoco con un fiammifero ai rami e alla carta straccia precedentemente ammonticchiati lanciandoci sopra un fiammifero che, non appena venne a contatto con il materiale infiammabile produsse immediatamente una fiammata. Tutti i ragazzi espressero il loro stupore con delle esclamazioni, Rapmon compreso, e la cosa mi puzzava.
“Che ci hai messo sopra?” chiesi a bruciapelo. Lui mi guardò con aria innocente, ma io sollevai un sopracciglio, fissandolo in modo eloquente, il modo che il mio messaggio ‘parla adesso, subito, immediatamente’ arrivasse forte e chiaro.
“C’ho messo sopra un po’ di benzina della tanica che teniamo di scorta, così si sarebbe acceso subito e non avremmo sentito il freddo” confessò, facendo gli occhi dolci per cercare di convincermi a non protestare. O almeno, ci provò a fare gli occhi dolci. Sospirai, scuotendo la testa, lo sguardo rivolto al cielo.
“E va bene. Almeno non moriremo assiderati e non è esploso nulla” dissi sorridendo, rassicurando i presenti. Esagerati, mica li mangiavo. Avevano cena e marshmallow che arrostimmo sul fuoco poco dopo, chiacchierando e scherzando come nostro solito. Tuttavia la stanchezza si fece di nuovo sentire, una volta passata l’euforia del momento e tra le parole facevano capolino sempre più sbadigli. Jungkook si era appoggiato a Suga e lo usava come cuscino, mentre V e Jimin si erano messi spalla contro spalla. Namjoon era affondato nel suo sedile arrotolato nella coperta stile bozzolo e io ero quasi al suo livello, ma un po’ più composto. L’unico che non sembrava accusare troppo della stanchezza era J-Hope, che a mio pareva funzionava ad interruttore: era un vulcano di energia quel ragazzo, non credo di aver mai conosciuto nessuno come lui.
Immerso nei miei pensieri, giocherellavo con le cose presenti nelle mie tasche, fino a che non trovai qualcosa che non doveva esserci, o comunque non riuscivo a spiegarmi la sua presenza lì, in quella felpa. Era una foto della polaroid, una foto che avevo scattato poco prima di diventare trainee. Ero andato al mare con i miei genitori e avevo scattato quella foto per ricordo. Quel posto mi piaceva, era molto tranquillo.
“Che bello, hyung. Che spiaggia è?” chiese Hoseok, sporgendosi verso di me, con Namjoon che, dall’altro lato, lo imitava.
“Non credo che abbia un nome preciso... ci andavo spesso prima di entrare nell’agenzia” risposi, con una punta di nostalgia.
“Beh, un giorno potremmo evadere un po’ più lontano!” esclamò Hobie, strizzandomi l’occhio. Lo fissai sbalordito.
Secondo voi dovremo andare lì?” chiesi, mostrando la foto anche agli altri membri. J-Hope annuì entusiasta, appoggiato dal leader. Jungkook si tirò su a sedere per un istante, strizzando gli occhi appannati dal sonno per mettere bene a fuoco la foto, poi sorrise a annuì. Ad uno ad uno diedero tutti il consenso, anche se molti assomigliavano più che altro a degli sbadigli. Infatti, nel giro di un quarto d’ora dormivano quasi tutti, tranne il sottoscritto ed Hoseok.
“La prendo come una promessa hyung. Sarebbe davvero bello andarci” mi sussurrò sorridente, per poi chiudere gli occhi accoccolandosi meglio nella sua coperta. Io, dopo aver aggiunto un po’ di legna al fuoco, mi sedetti accanto a lui.
Dopo pochi istanti mi assopii.
 

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Hoseok aprì lentamente gli occhi.
Mise con fatica a fuoco la sua stanza, sbattendo più volte le ciglia e avvertendo la fastidiosa sensazione delle lacrime secche sulle sue guance. Dovette sbatterle ancora per focalizzarsi sul viso di Jimin, anche se quest’ultimo non era troppo distante dal suo volto.
“Hyung” lo chiamò il minore, la voce malinconica come il suo sguardo, “Dai, alzati”. Il maggiore tra i due non rispose, limitandosi a rispondere allo sguardo arrossato e triste di Jimin con uno vacuo ma ugualmente segnato dai numerosi pianti. Era probabile che il ragazzo, a differenza sua, non avesse dormito affatto: lui era davvero legato a Taehyung, ma la morte del leader aveva segnato qualcosa di più terribile all’interno del gruppo. Con il suicidio di Namjoon qualcosa tra noi, o meglio, tra loro ormai, si era irrimediabilmente spezzato.
Dopo quelli che mi sembrarono istanti infiniti, Hoseok annuì lentamente  e si mise seduto con movimenti lenti e pesanti, affaticati quasi, che fecero scricchiolare le sue membra intorpidite. Era strano da parte sua: J-Hope era sempre stato di un’allegria scoppiettante e contagiosa, con la sua brillante luce degli occhi, il suo onnipresente sorriso e la sua apparentemente inesauribile energia. Era irriconoscibile, adesso, non era lui. Nonostante avesse l’aria di uno che passa le sue giornate a dormire, come forse era, aveva due profonde occhiaie blu-violastre, gli occhi spenti tanto da sembrare quelli di un vecchio e il viso incavato, atono. Era una persona totalmente nuova, diversa, e quel cambiamento non mi piaceva affatto, mi spaventava, quasi. Avevo fatto quasi fatica a riconoscerlo e ciò non significava nulla di buono.
“Hyung, dai, andiamo” sussurrò ancora Jimin, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lo vidi asciugarsi velocemente una lacrima che, prepotente, era sfuggita dai suoi occhi gonfi. Doveva far male vedere il maggiore in quelle condizioni, almeno quanto lo faceva a me. J-Hope si alzò e seguì Jimin al piano inferiore, in cucina, dove stavano seduti gli altri due membri rimanenti. Il maknae era più o meno lo specchio delle condizioni di Jimin, rigirava con aria assente il cibo che aveva nel piatto, senza dimostrare nessuna intenzione di mangiarlo. Salutò il nuovo arrivato nella stanza con un minuscolo sorriso tirato, poco più di un piccolo e quasi impercettibile spasmo dei muscoli facciali. Yoongi, dal canto suo, non era nemmeno seduto a tavola con gli altri. Stava seduto in un angolo, muto, a rigirarsi tra le mani il suo accendino, usato da Namjoon per togliersi la vita. Lo guardava e distoglieva lo sguardo, lo accendeva e lo spegneva.
“Jungkook-ah, devi mangiare almeno qualcosina” sentii dire da Jimin dopo qualche minuto di deprimente silenzio al minore del gruppo, che si fece coraggio e piluccò qualcosa senza convinzione. Poco dopo, però, fuggì dalla stanza, seguito a ruota dall’amico dai capelli arancioni, diretto in bagno a vomitare quei pochi bocconi che era riuscito ad ingurgitare. “Kookie... Kook...” si sentiva la voce triste di Jimin che provava a calmarlo, con assai pochi risultati dato che i singhiozzi del maknae presero presto a riempire l’aria, silenziosa fino a pochi minuti prima. In tutto quello, i due più grandi non avevano battuto ciglio, non si erano mossi di un millimetro neanche per guardarsi, persi nel loro dolore.
Dopo qualche lungo istante di immobilità, Hoseok si alzò con un sospiro e risalì al piano successivo, quello delle camere, con passo ciondolante e strascicato per entrare nel secondo bagno. Si posizionò di fronte allo specchio, con il suo riflesso a ricambiare lo sguardo vuoto che il ragazzo gli stava rivolgendo. Muovendo le mani quasi in automatico, come se fosse stato programmato, iniziò a tastarsi il viso, ad accarezzarlo e a tirarlo, studiandolo come se fosse quello di un estraneo, come se anche lui non si riconoscesse. Sospirò e appoggiò la fronte sul vetro fresco, per poi aprire il rubinetto e sciacquarsi il viso, senza cambiare la sua posizione. Osservò per qualche istante le goccioline d’acqua che lasciavano i suoi capelli e dal suo viso bagnato per poi schiantarsi nel lavandino che si era riempito d’acqua perché accidentalmente tappato. Afferrò a tentoni l’asciugamano e si frizionò il volto per poi lasciarlo cadere incurante sul pavimento, gli occhi incollati al liquido trasparente che colmava il lavandino; il suo riflesso malandato lo perseguitava aleggiando come un pensiero fastidioso.
“Che senso ha tutto questo?”. Fu poco più di un sussurro rivolto all’acqua, tanto che per un momento temetti di essermelo immaginato, ma mi ricredetti. Persino la voce sembrava diversa, stanca e strascicata. Le sue mani, chiuse saldamente attorno al bordo del lavandino aumentarono la forza impiegata nello stringere la presa, facendogli sbiancare le nocche, in un moto di stizza rivolta a chissà chi, forse a se stesso nel versi così spento, tanto da sembrare malato. Probabilmente gli faceva male, come faceva male a me, pensare che effettivamente un po’ malato lo era. Una malattia che necessitava di un aiuto per essere curata, prima che il baratro derivante da essa inghiottisse la persona ‘infetta’.
Ma io sapevo che Hobie non avrebbe cercato aiuto né tra i membri né esternamente. I ragazzi, inoltre, non sarebbero stati capaci di vedere quel’ombra che, lentamente, stava erodendo il nostro amico dall’interno, privandolo della sua identità; non sarebbero stati capaci di dagli una mano. Hoseok si sarebbe lasciato cadere, come Taehyung, consumato da tutti i sentimenti cattivi che lo perseguitavano da tempo, come Namjoon. Era una terribile catena della quale, temevo, J-Hope sarebbe stato il quarto anello.
Era colpa mia, io ero l’inizio. L’inizio della fine, sembrava quasi una frase da film, ma non avrei saputo come meglio descrivere ciò che i miei occhi vedevano. Se io non fossi stato tanto irresponsabile da affaticarmi talmente tanto da stare male in quel modo, se non mi fossi direttamente sentito male o se, quantomeno, ne avessi parlato con qualcuno prima dell’esibizione... se fossi stato capace di lottare e di tenermi stretto la vita... se, se, se... ero arrivato in un vicolo cieco dove tutto ciò che potevo fare era piangermi addosso, addolorato per tutto quello che stava succedendo, ciò che la mia morte aveva innescato di conseguenza.
Hoseok, incurante dei miei tetri e disperati pensieri, afferrò la maniglia dell’anta del mobile appeso sul muro all’altezza della sua testa, il quale aveva anche la funzione di specchio. Il suo riflesso scomparve quando vece scorrere la superficie riflettente, mostrando così sui ripiani svariato oggetti: i nostri spazzolini e dentifrici, un rotolo di carta igienica che chissà come ci era finito lì e una serie di farmaci. Con mano malferma e apparentemente priva di forza frugò tra le varie scatole e barattoli, estraendo poi un flaconcino. Lo osservo senza nessuna espressione particolare dipinta sul viso mentre se lo rigirava tra le dita quasi a confermare a se stesso di aver afferrato la cosa giusta. Era un classico cilindro di plastica rigida trasparente, la superficie graffiata in alcuni punti e il tappo che lo sigillava di un anonimo verde acqua. Hoseok svitò quest’ultimo con grande lentezza, per poi capovolgerlo seccamente verso il palmo della sua mano libera, messo a forma di coppa. Caddero fuori diverse pastiglie, bianche-grigiastre dalla forma allungata, che io associai a quelle di cui Namjoon mi aveva parlato, al cimitero: erano i sonniferi e i calmanti che prendeva per evitare quegli attacchi di panico che lo avevano preso dopo la morte di Taehyung e che forse si erano accentuati dopo la scomparsa del leader. Io non ero un esperto in materia, ma sicuramente Hobie si era versato sulla mano una quantità esagerata di pastiglie facendone cadere alcune nel lavandino che, a contatto con l’acqua, produssero un suono simile a quello dei sassi buttati nella superficie piatta di un lago, per gioco. Ma quello non era affatto un gioco.
J-Hope si portò le pastiglie alla bocca e bevve  qualche sorso d’acqua per mandarla giù, con calma ma anche più di una per volta. Tossì leggermente e sospirò, fissando un’ultima volta il suo riflesso sciupato, mentre anche il flaconcino ormai vuoto raggiungeva il pavimento, venendo dimenticato. Il ragazzo raggiunse la sua camera e indossò con lentezza dei vestiti stropicciati abbandonati in qualche maniera sulla sedia da chissà quanto tempo e in quali condizioni. Non controllò il suo aspetto, non fece niente per sistemarsi, non gli importava e la cosa era abbastanza strana, ma non mi sorprese più di tanto. Non prese neanche una borsa, uno zaino o un qualcosa che potesse contenere le chiavi del dormitorio, il cellulare, le cuffie e le altre cose che si portava sempre dietro in qualunque occasione. Scese le scale lentamente, tornando in soggiorno dove trovò Jimin e Jungkook seduti sul divano e Yoongi dove lo aveva lasciato prima. L’unica cosa che cambiava in quest’ultimo rispetto a prima era il suo non prestare più attenzione al suo accendino, ma aveva invece gli occhi incollati su Hobie. “Stai uscendo” gli disse semplicemente in tono neutro, scuro. Non era una domanda o qualcosa del genere, solo una semplice considerazione apparentemente priva di interesse, la quale attirò l’attenzione dei due maknae acciambellati uno accanto all’altro che parlavano sottovoce. J-Hope annuì semplicemente, soffermandosi appena con gli occhi sul viso serio, preoccupato e vagamente sospettoso di Jimin e quello sempre più pallido di Jungkook, che lo fissava con occhi sbarrati.
“Dove vai hyung?” chiese il maggiore tra i due, sporgendosi appena verso il ragazzo in piedi, studiandolo. Quest’ultimo scosse le spalle.
“A fare un giro. Prendo una boccata d’aria” rispose vago e con lentezza, usando un tono piatto. Aspettò un paio di secondi, ma nessuno disse niente; dunque si voltò e uscì dal dormitorio incurante o ignorando Jimin che, alle sue spalle, si era alzato in piedi con il volto trasformato in una maschera di preoccupazione, muovendo due passi nella direzione del maggiore.
“Hyung, la giacca...” mormorò al vento. Dietro di lui, Yoongi e Kookie si scambiavano un’occhiata di preoccupazione mista a paura e un pizzico di rassegnazione.
Hoseok, una volta fuori, non sembrò neanche indeciso sulla direzione da prendere. Si avviò con pacata convinzione per le strade, il cappuccio a coprirgli il capo e con i cordoncini tirati per stringerlo maggiormente attorno al volto, come precauzione per non farsi riconoscere. Camminava senza un’apparente meta, probabilmente deciso solo ad allontanarsi il più possibile. Io però avevo una mazza idea di dove i suoi passi lo stessero portando, un presentimento: quella era strada che percorrevamo passo-passo per andare nel nostro rifugio nella ferrovia abbandonata.
Ero preoccupato però: ogni passo di Hoseok si rivelava essere più lento e fiacco del precedente, facendolo apparire pesante. Barcollava come un ubriaco e la gente lo scansava con sdegno, quasi con disgusto. Loro di certo non sapevano che lui era un ragazzo che era strato distrutto dal suoi amici, seppur indirettamente. Quelli erano i passi finali, lo sapevo. Vedevo le sue palpebre tremare e lottare per rimanere sollevate, ma era una battaglia persa in partenza.
J-Hope iniziò a percorrere il ponte in solitudine, con la bocca leggermente dischiusa e gli occhi solo leggermente aperti, il vento che gli aveva abbassato il cappuccio e che gli accarezzava i capelli mori. Hoseok arrivò circa a metà strada; poi cadde, afflosciandosi a terra ignorato dalle auto che correvano sulla carreggiata. Picchiò sull’asfalto, ma non sentì quasi l’impatto. Gli occhi gli si chiusero mentre una lacrima gli accarezzava lo zigomo. Si stava lasciando lentamente andare.
“Hyung!”. Una voce, che arrivò a me attutita come se stessi udendo con le orecchie di Hobie, chiamava quest’ultimo in lontananza, prima che raggiungesse il corpo del ragazzo immobile, iniziando a scrollarlo mentre piangeva. Hoseok dischiuse le palpebre a fatica, focalizzandosi sul volto di Jimin. Gli sorrise tenuamente, di riflesso, probabilmente, ma l’altro continuò a piangere, più forte. “Hyung, resisti, ti prego! Io... io chiamo l’ambulanza! Aiuto... qualcuno... non puoi lasciarci anche tu!” balbettò il minore, mentre cercava con mani possedute da un tremito febbrile i cellulare nel cappuccio della felpa.
“Ji-min...” provò a chiamarlo J-Hope, ma l’altro scosse la testa con forza.
“No, hyung, non dire niente... resisti... non abbandonarci... ti prego!” singhiozzò, mentre componeva il numero e chiedeva aiuto, quasi urlando. Ma il maggiore lo fissava con occhi sempre più vitrei, il suo petto si alzava ed abbassava  sempre meno frequentemente e il battito del suo cuore si faceva sempre più debole e flebile... e si arrese, arrestandosi del tutto, prima che i soccorsi arrivassero.
Coloro che arrivarono troppo tardi per aiutare Hoseok dovettero staccare a forza dal suo corpo ormai senza vita Jimin, mentre lui urlava, scalciava e dimenandosi. Io osservavo la scena immobile, con le lacrime agli occhi e istintivamente mossi una mano in direzione del volto del minore, come se volessi accarezzarlo.
Ma prima che potessi toccarlo, si dissolse.
 

La farfalla di Hobie si appoggia sulla mia mano tesa.
È quella gialla e marrone, indugia un momento sul mio indice prima di raggiungere in volo le sue compagne. Porto le mani al volto, prendendomi del tempo per piangere, urlare, sfogarmi, mentre un ulteriore petalo cambia. A vista d’occhio si sciupa, consumandosi, stropicciandosi e marcendo.
Scuoto la testa per scacciare dalla mente quelle ultime, terribili immagini, tanto da farmi quasi male al collo. Non voglio più vedere.
Ma qui non sono io che detto legge; non riesco a fare altro fuorché singhiozzare, il respiro corto e sempre più affannato.
Perché respirare è diventato d’un tratto difficile.
 

Even I can’t believe that I changed like this…
 

Tornammo al dormitorio appena in tempo.
C’eravamo svegliati relativamente tardi e avevamo fatto tutto di corsa, il rimontare i sedili, il tornare al dormitorio e, soprattutto il darci una sistemata. Poi ripartimmo per andare all’agenzia, doveva avevamo un incontro con il nostro manager, che si concluse relativamente in fretta dato che ci disse che per una serie di coincidenze il photoshoot era stato spostato ad una data da definirsi, per poi passare a parlarci di qualcosa che riguardava le esibizioni future. Almeno credo, mi stavo addormentando sulla sedia e quindi non prestai mola attenzione a quello che dicevano un po’ tutti.
Quando l’adulto abbandonò la stanza restammo in sette a fissarci negli occhi come dei cretini per una manciata di minuti.
“E adesso?” riuscii finalmente a formulare una frase con un senso Jimin. Dieci minuti dopo eravamo in sala prove, decisi a perfezionare le coreografie. Lavorammo qualche ora, fermandoci poche volte per mangiare o bere un sorso e poi ricominciare da capo fino a che non fummo sufficientemente soddisfatti del nostro lavoro.
“Bene ragazzi, direi che per oggi può andare bene così!” dichiarò il leader. Ci fu un sospiro di sollievo generale.
“Possiamo tornare al dormitorio?” chiese Taehyung, che si era allegramente stravaccato per terra, godendosi il pavimento fresco.
“Sì, Tae. Adesso, per grazia, tirati su!” rispose Yoongi, buttando gli occhi al cielo in modo teatrale. Era ovviamente sdraiato per terra pure lui, solo con la schiena sollevata sostenuta dalle braccia.
“La doccia è mia!” urlò Jungkook alzando la mano per prenotarsi, suscitando così non poche polemiche da parte di noialtri. Lamentele che sarebbero servite a ben poco, perché se non gli avessimo lasciato la doccia per primo lui ci avrebbe fatto il broncio e gli occhi dolci per tutto il tempo. E siamo delle pappamolli uniche. Capite quel piccolo demonietto di Jungkook? Furbo lui.
“Hyung” sentii dire a Jimin, rivolto a Namjoon, “Potrei rimanere qui ancora un po’? Vorrei ripassare qualche punto della coreografia su cui mi sento ancora insicuro”. Ovviamente il leader non ebbe il tempo di dire una parola, solo di annuire, prima che qualcun altro gli rubasse la parola.
“Ti serve una mano? Vuoi compagnia?” si offrì Hoseok, sorridente, ma l’altro scosse la testa, ricambiando l’espressione.
“No grazie, hyung, non ti preoccupare, faccio da solo. Voi tornate pure a casa a riposare” rispose il minore, per poi rivolgersi nuovamente al leader. “Chiederò uno strappo al manager, più tardi” concluse.
“Va bene, ma non fare troppo tardi, ricordati che abbiamo programmi per la serata” raccomandò Rapmon strizzandogli l’occhio, prima che noi tutti lo salutassimo e ce ne tornassimo a casa senza di lui.
Questo non ci impedì di perdere quel poco di sanità mentale che recuperavamo per fare le prove e mettere di conseguenza a soqquadro l’intero dormitorio, approfittando dell’assenza del manager che ci aveva detto ce si sarebbe assentato un paio di giorni, partendo quella sera stessa. Taehyung aveva tirato fuori da non so dove bombolette spray e cappellini e trombette da feste di compleanno e di carnevale. Nemmeno noi sappiamo quanta roba c’è dentro nel nostro appartamento, che era diventato ad immagine e somiglianza di un accampamento di animali da festa. Osservavo ridendo un topolino di peluches che girava sopra al disco del giradischi,, quando V mi spinse contro il muro, sorprendendomi e facendomi prendere un semi-infarto.
“Tae, ma cosa...?” riuscii a chiedere prima che quello, con un ghigno, afferrasse una bomboletta di vernice rossa tracciando il io contorno sul muro bianco del dormitorio per poi mettere una ‘X’ sopra di me, all’altezza del petto. E, diamine, avevo anche la maglia bianca!
“Ecco fatto, un vero capolavoro!” rise quello con il suo sorriso rettangolare. Poi, iniziò a fuggire.
“Yah, disgraziato, torna qui!” urlai, inseguendolo in giro tentando di non inciampare nel casino generale o anche in un qualche altro membro. Questo fino a che la voce del maknae non ci distrasse.
“Ragazzi!” sentimmo infatti da un’altra stanza, “Che ne dite di fare uno scherzo a Jimin, quando torna?”. Ci sventolò con aria furba il suo cellulare sotto il naso. “Mi ha appena scritto dicendo che sta tornando” concluse con un sorriso quasi sadico. Ci fu un assenso generale, naturalmente, e tutti ci fiondammo nel bagno al pianterreno dove iniziammo a riempire la vasca d’acqua. Fredda, tra l’altro, e solo perché io e il leader impedimmo che la mettessero ghiacciata. Volevamo fargli uno scherzo, non donargli la broncopolmonite a gratis.
Jimin aprì la porta del dormitorio proprio quando il livello dell’acqua raggiunse un livello ottimale. “Ragazzi! Sono tornato, dove siete finiti?” ci chiamò.
“Jimin-ah!” rispose Hoseok tentando di non mettersi a ridere e riuscendoci male. Beh, almeno era Hoseok, che ridesse era abbastanza normale. Sentimmo il ragazzo venire verso di noi e quando aprì la porta venne salutato da un coro di  trombette di carta e una manciata di coriandoli. Risi osservando la sua espressione palesemente perplessa e leggermente preoccupata, per poi afferrarlo per un braccio e tirarlo dentro nella stanza, dove fu spinto da tutti gli altri membri fino a che non inciampò nel bordo della vasca, cadendo dentro ad essa in tutta la sua lunghezza, imprecando. Per tutta risposta alle sue amorevoli maledizioni nei nostri confronti, lo schizzammo completamente e gli spingemmo anche la testa sotto l’acqua, infradiciandolo completamente.
“Ti abbiamo risparmiato una doccia, dovresti ringraziarci” commentò pacato Yoongi.
“Yah!” esclamò quell’altro, sporgendosi di scatto fino ad afferrare la maglia di Suga per poi tirarlo con lui nella vasca, con le chiappe a mollo. “Ecco, ora va meglio” sghignazzò incrociando le braccia la petto. Scoppiammo tutti a ridere nell’osservare la scena, nell’insieme davvero assurda. Scattammo perfino una foto, dopo che altre due persone furono cadute nell’acqua tirate giù da qualcuno. “Ok... adesso ditemi: chi è stato?” chiese il ragazzo dai capelli arancioni, non appena riuscì a mettersi in una posizione eretta. Tutto noi altri indicammo il maknae, infami.
“Hyungs... mi tradite così?” pigolò il moro, indietreggiando e iniziando a scappare, inseguito dal maggiore che, bagnato com’era, scivolava sul pavimento ogni due per tre. Ovviamente noi altri andammo loro dietro, così, a gradire.
“Kookie, da questa parte!” chiamò V il maknae, facendogli un cenno dal fondo di un corridoio. Il ragazzo gli diede retta e scappò nella sua direzione, ovviamente seguito a ruota da Jimin. Ma da una delle porte laterali spuntò J-Hope, armato di cuscino, stretto nella sua mano. Cuscino che spiaccicò in faccia al ragazzo che correva e che non riuscì dunque a evitarlo. Il corridoio si riempì di piume candide che planavano pigre nell’aria.
Tempo cinque minuti e il soggiorno del dormitorio era candido, mentre noi ci stavamo tutti prendendo selvaggiamente a cuscinate, spargendo piume manco fossimo dei contadini che spargono semi in un campo. Lanciammo poi da qualche parte le federe ormai praticamente vuote e ci buttammo per terra rotolando in quella che sembrava neve, ridendo come dei celebro-lesi fino a restare senza fiato e con la pancia dolorante.
Primi tra tutti l’alieno e il cavallo, che stavano sdraiati vicini.
 

-
 

Jimin sostava in piedi in una camera ormai vuota.
Era un tempo occupata da Hoseok e Suga, ma uno era morto e l’altro si era trasferito in camera dei maknae, al posto di Taehyung. Si era sentito più a suo agio cambiando i materassi, ma la prima notte non era riuscito a dormire comunque. Jungkook, dal canto suo, ormai dormiva poco o nulla e mangiava altrettanto, come se fosse impossibilitato a vivere normalmente. Non sorrideva nemmeno. Jimin, invece, era perso nei meandri infidi della sua mente, dimenticandosi anche di parlare. La scena di Hoseok su quel ponte, i suoi occhi vitrei, il petto che cessava di alzarsi ed abbassarsi continuava a presentarsi davanti ai suoi occhi, fino a fargli venire l’emicrania, perseguitandolo. Io potevo vederlo riflesso nei suoi occhi quando danno avesse provocato in lui un tale shock. La sua mente stava iniziando a giocargli brutti tiri, vedeva cose che non c’erano e poi queste si dissolvevano, lasciando il suo cuore distrutto e dilaniato dietro di loro, a mo’ di scia.
In qualche modo sapevo che non era il solo, ero a conoscenza di ciò che Jungkook gli aveva confessato qualche tempo prima: anche il maknae viveva nei ricordi, una sorta di continuo anche se frammentato flashback che si sovrapponeva a ciò che si presentava davvero davanti ai suoi occhi. Tuttavia il minore riusciva ancora a riconoscere e definire un confine tra i sue mondi, Jimin no. Lui era perso in illusioni che annullavano il tempo e lo lasciavano in balia di un continuo alternarsi di immagini false e vere, che lo rendevano psicologicamente stanco e spossato.
Sempre guardandolo negli occhi riuscivo a vedere riflesso ciò che lui stava vedendo. Nella sua illusione c’era Hoseok che dormiva tranquillo sdraiato tre le sue candide lenzuola su quello che effettivamente era il suo letto, con il respiro lento e costante di chi è perso in piacevoli sogni.
“Hyung”. Jimin mosse le labbra senza produrre alcun suono, ma J-Hope si svegliò lo stesso, socchiudendo gli occhi leggermente per poi sbattere le palpebre mettendo a fuoco il mondo circostante, annullando l’annebbiamento indotto dal sonno. Sorrise allegramente al minore, mostrando le fossette mentre si metteva seduto. Così lo ricordava Jimin e così lo ricordavo io: con il sorriso perenne sulle labbra, gli occhi che brillavano e la presenza allegramente rumorosa e caotica. Infatti Hoseok afferrò con uno scatto felino il suo cuscino e glielo spiaccicò altrettanto velocemente in faccia.
Jimin trasalì, ma il colpo non arrivò Hobie era scomparso, come constatò guardandosi in giro spaesato. Quando realizzò che era rimasto solo in una stanza vuota completa una prima lacrima solitaria solcò il suo volto, prima che questo venisse coperto dalle sue mani e che lui iniziasse a singhiozzare. Era inutile illudersi, m dissi mentre lo guardavo piangere. Tutto quello che stava succedendo mi aveva sconvolto talmente tanto da farmi diventare apatico: non avevo  più lacrime da versare. Anche io non avrei dovuto illudermi, esattamente come Jimin. Forse quelle immagini lo stavano salvando, più probabilmente condannando.
“Hyung”. Il maknae era entrato silenziosamente nella stanza, avvicinandosi cautamente al maggiore che non rispose, rimanendo immobile. Aveva il volto più scavato di quello che ricordavo, Jungkook. “Hyung, sono io” ripeté quest’ultimo, appoggiando delicatamente una mano sulla spalla del ragazzo dai capelli aranciati, che sussultò nuovamente.
“Kookie” sillabò con le labbra, senza dirlo davvero. Alzò una mano tremante e la mosse fino a che non sfiorò la guancia del minore, come ad assicurarsi la sua veridicità. Quando confermò a se stesso la reale presenza del ragazzo, Jimin si rimise a piangere, lasciando che Jungkook  gli allacciasse le braccia attorno al busto, stringendolo in un dolce abbraccio che altro non era che un tentativo vano di consolazione.
“Hyung, dai, vieni di sotto. È meglio che tu non stia qui, non possiamo” sussurrò il maknae. L’altro annuì lentamente contro il petto del più alto, il quale si allontanò con calma, tenendogli la mano dolcemente per poi iniziarlo a guidare al piano inferiore. Lì Yoongi stava tentando di mettere assieme qualcosa di commestibile senza dare fuoco alla cucine, e al dormitorio di conseguenza. Non mi ero mai ritrovato a pensare, da quando ero in quella situazione, che di solito si affidassero a me per la cucina. Sentii una fitta all’altezza del petto, a quanto sembrava l’apatia andava e veniva, lasciandomi stordito nel mio turbinio di negatività. Eravamo così felici, ma... ma si stava disfacendo tutto.
Suga non dovette impegnarsi molto, praticamente nessuno dei tre mandò giù più di qualche boccone. Era una scena pietosa, davvero, sulla quale regnava un silenzio opprimente, tanto profondo da permettermi di sentire il ticchettio dell’orologio e i rumori lontani della strada.
Spostai lo sguardo in quello di Jimin, nuovamente perso nel vuoto e io abbi la strana sensazione di vedere con i suoi occhi, di tuffarmi nella sua mente per essere anch’io vittima delle sue illusioni. Riuscivo a vedere Taehyung accanto al main dancer impegnato a fare delle facce idiote e il sottoscritto di fronte all’alieno. Il me nell’illusione impilava con accuratezza delle carte da gioco l’una sopra l’altra in una piramide in equilibrio precario. Eppure riusciva a stare in piedi nonostante tutto, una torre fragile e non destinata a durare nel tempo. Istintivamente, senza quasi avere neanche il tempo di formulare un vero e proprio pensiero coerente, associai quel castello di carte alla mia vita, cos’ fragile e delicata. Quindi rimasi attonito, quasi offeso, quando Taehyung con un ampio e veloce gesto del braccio fece crollare la costruzione.
Quel gesto parve risvegliare Jimin, che si raddrizzò sulla sedia sbattendo velocemente le palpebre, mentre le figure scomparivano come era già successo prima. Solo una cosa rimase: il castello ormai crollato e sparso sul tavolo, anche se nessuno parve farci caso, come se lo vedessi solo io. Forse era così. Una fastidiosa vocina nella mia testa continuava a sussurrarmi che quel castello di carte ero io, crollato a terra inesorabilmente. Come se sentisse i miei pensieri, Jimin sospirò.
“Jimin-ah” sentii la voce calma ma preoccupata di Suga chiamare il ragazzo, “Che succede?” gli chiese, fissandolo con attenzione. L’interpellato rimase in silenzio per qualche secondo, ad osservare il vuoto.
“Non lo so hyung... che sta succedendo? Dimmelo tu, se lo sai” soffiò infine in risposta, con un tono talmente basso da non essere quasi udito. Quando il maggiore non trovò nulla da replicare, il ragazzo si alzò e tornò con passo strascicato di sopra. Jungkook fece per seguirlo, ma venne fermato da Yoongi.
“Lascialo un po’ in pace... ci vorrà del tempo temo. Voglio dire ha visto... Hoseok che... insomma... è una realtà troppo dura da accettare” sussurrò al maknae. Gli occhi, solitamente vivaci di Kook si riempirono di lacrime che faticava a trattenere.
“Rivoglio indietro gli hyungs” singhiozzò piano. E Suga non poté fare altro che avvolgerlo in un abbraccio in un misero tentativo di consolarlo. Ma negli occhi gli si leggeva la scarsa convinzione nei suoi gesti, la speranza aveva abbandonato chiunque lì dentro.
Jimin saliva le scale lentamente, immerso in pensieri che lo trascinavano lontano dalla realtà, alla ricerca di qualcosa di più felice di quell’attualità. Tuttavia a volte incespicava, tornando violentemente alla realtà e rituffandosi di colpo in quel dolore soffocante che lo attanagliava. E allora provava nuovamente a scappare nei meandri dei suoi ricordi, in un circolo vizioso  continuo. Si stava autodistruggendo da solo, anche se ancora forse non lo aveva capito.
Il ragazzo alzò gli occhi dal pavimento, stupefatto nel constatare la sua presenza in un bagno, lo stesso nel quale Hoseok aveva dato inizio al crudele conto alla rovescia  che aveva scandito gli ultimi istanti della sua vita. Scosse la testa lentamente, chiudendo la porta alle sue spalle, negli occhi il segno di una consapevolezza nuova, appena acquisita, ma decisamente poco lieta. Camminò lentamente in direzione della vasca da bagno, uno dei piccoli sfizi che tutti e sette avevamo deciso di permetterci. La usavamo relativamente poco, in realtà, perché preferivamo di gran lunga fare una doccia veloce dopo un’estenuante giornata di prove, per poi filare a letto. Solitamente funzionava così, in un costante risparmio di tempo; ma quel giorno, in quel frangente, nessuno gli correva dietro. Al contrario sembrava essere tutto fermo immobile come congelato, incastrato in una ragnatela invisibile.
Jimin si sporse e aprì i rubinetti della vasca totalmente a caso, senza prestare attenzione a come regolava la temperatura dell’acqua, che ad occhio sembrava essere molto fredda. Uscì dal bagno velocemente, recuperando dalla sua stanza dei fiammiferi finiti lì chissà come e una foto che teneva custodita nel cassetto del comodino, per poi tornare in bagno, sempre isolandosi dal mondo esterno chiudendo la porta accuratamente dietro di sé. Ebbe un momento d’incertezza apparente, perché rimase fermo in piedi, ignorando la vasca che, ormai piena, non riusciva più a contenere acqua che si spandeva sul pavimento, allagando la stanza. Solo a quel punto il ragazzo avanzò di un paio di passi, scivolando e cadendo in terra. Invece che rialzarsi si abbandonò contro la vasca, appoggiandosi al bordo di essa con la schiena, lasciando che l’acqua lo bagnasse completamente mentre piangeva disperato e tremante, probabilmente per l’acqua gelida che gli aveva inzuppato capelli e vestiti che aderivano al suo corpo. Notai che era dimagrito parecchio.
Dopo che si fu calmato in attimo, si risollevò sulle gambe, solo per scavalcare il bordo di ceramica ed immergersi nella vasca, facendo attenzione a non bagnare i due oggetti che teneva in una mano e chiudendo i rubinetti con l’altra. Si immerse fino al petto, ignorando l’altra acqua che si aggiungeva a quella già caduta in terra. Si portò la fotografia davanti agli occhi e in quel momento riuscii a vederla anche io, riconoscendola: la avevo scattata io quando eravamo andati in riva al mare una volta, tutti assieme. Sorridevano e fissavano l’obbiettivo, salutando o atteggiandosi, mezzi arrampicati sull’auto e mezzi con i piedi o altre parti del corpo appoggiate in terra. Un’altra lacrima rigò il volto di Jimin, mentre accendeva un fiammifero con dita malferme e tremanti e soffermandosi con le pupille sulla fiamma tremula. Poi, con un movimento lento, avvicinò la piccola fiamma alla foto e lasciò che quest’ultima prendesse fuoco, osservandola mentre diventava cenere che si depositava poi sul pelo dell’acqua dove rimaneva sospesa sul pelo dell’acqua, galleggiando per qualche istante. La mano del ragazzo mollò la presa sulla foto solo quando le fiamme arrivarono a lambirgli la pelle, rischiando di bruciargli le dita. Jimin lasciò che le braccia gli ricadessero pesantemente dentro l’acqua, schizzando in giro, per poi passarsele sul volto e tra i capelli già bagnati e spettinati.
Girò la testa e in quel momento successe qualcosa di strano, qualcosa che non riuscii a spiegarmi: gli occhi di Jimin incrociarono i miei, concatenando i nostri sguardi ugualmente stupiti.
“Hyung... Jin hyung...?” chiamò, esitante. Io ero davvero basito. Mi vedeva, mi vedeva davvero... e forse mi sentiva. Forse avevo il potere, finalmente di cambiare qualcosa in quell’assurda situazione.
“Jimin. Qualunque cosa tu stia per fare, per favore, non farla. Fermati” lo implorai. Lui, contrariamente ad ogni mia aspettativa, sorrise, un sorriso tirato e privo di gioia, quasi sarcastico e intriso di una speranza malsana.
“Non posso hyung, davvero, non ci riesco. È più forte di me... il desiderio di essere di nuovo tutti assieme. Non lo vorresti anche tu? Tutti e sette i Bangtan Boys, riuniti in una pazza famiglia... come era fino a poco tempo fa”. Spostò lo sguardo dalla mia figura al pelo dell’acqua. Temo che ormai questo sia l’unico modo” disse, voltandosi di nuovo verso la mia direzione. Ma i suoi occhi iniziarono a vagare, non mi trovava più, non riusciva più a vedermi e sentirmi.
“Jimin...” sussurrai.
“Jin hyung... non essere arrabbiato con me... per favore” sussurrò triste lui, ignaro del mio richiamo.
“Non lo sono, Jimin... non sono arrabbiato... sono solo distrutto da ciò che i miei occhi vedono e dalle vostre parole.... soprattutto sapendo che è colpa mia. Non posso essere arrabbiato con voi per questo, ma solo con me stesso” dissi, le parole che lasciavano la mia bocca senza che io potessi controllarle. Sentivo le lacrime bollenti pungere i miei occhi come spilli infuocati. Lacrime che si liberarono quando vidi Jimin che espirava lentamente, buttando fuori tutta l’aria dai polmoni, per poi inabissarsi e scomparire sotto il pelo dell’acqua per non riemergere più.
Rimasi immobile per lunghi minuti ad osservare quella vasca, senza avere il coraggio di sporgermi in po’ di più per vedere il bel viso del mio dongsaeng, inorridito, oltre che dal gesto in sé, anche dalla serena decisione con la quale era stato compiuto. Mi riscossi solo nel sentire un leggero bussare alla porta, seguito dalla flebile voce di Jungkook. “Hyung...? Il pavimento qui fuori è bagnato, va tutto bene? Posso entrare?” lo sentii chiedere da dietro la porta chiusa. Bastò a mettermi in allarme. Kookie e Jimin erano davvero molto vicini e non sapevo come avrei potuto reggere, a livello di nervi, la reazione del più piccolo di fronte alla morte del maggiore, suicidatosi annegando. Purtroppo, ancora una volta, mi sarebbe toccato scoprire fino a che punto la mia resistenza psicologica poteva arrivare, perché la porta sii stava lentamente aprendo. “Hyung?” chiese di nuovo il maknae entrando. Mosse appena due passi all’interno della stanza prima di realizzare ciò che era successo, sgranando gli occhi. Poi si mie ad urlare, scivolando in terra e iniziando a chiamare Yoongi mentre piangeva. Corse verso la vasca e tirò fuori il corpo senza vita di Jimin fuori dall’acqua, continuando a gridare anche tra i singhiozzi.
Yoongi accorse in fretta e furia, allarmato dalle urla e dai pianti di Jungkook, senza però riflettere su cosa avrebbe potuto ritrovarsi davanti. Si bloccò quindi sulla porta del bagno, gli occhi spalancati per l’orrore e il respiro che si bloccava per qualche istante nonostante l’agitazione e la corsa appena fatta. Poi scattò verso il corpo di Jimin, scostando un po’ bruscamente il maknae che si accasciò per terra tremante. Suga provò a rianimare in tutti i modi per diverso minuti il ragazzo dai capelli arancioni, imprecando e continuando a chiamare il suo nome, singhiozzando. Non ci fu nulla da fare, Jimin era morto. Yoongi allora trascinò velocemente Jungkook fuori dal bagno, abbracciandolo stretto mentre anche lui iniziava a piangere. Il più piccolo sembrava avere una crisi respiratoria o qualcosa del genere, ansimava e faticava a prendere fiato. “Kook... Kookie... respira lentamente... stai calmo... ti prego” gli soffiò il maggiore, prima di afferrare il telefono e chiamare aiuto con il poco di voce che gli rimaneva.
Con dita tremanti avviò la chiamata.
 

Sbatto le palpebre ed sono di nuovo circondato dal bianco.
Ora sono cinque le farfalle che mi volano attorno, numero ottenuto grazie all’aggiunta di quella dalle ali blu. Il petalo del giglio dai riflessi cobalto è caduto, staccandosi dallo stelo del fiore perché grondante d’acqua e divenuto quindi troppo pesante. Si è stropicciato, rovinandosi. Lo osservo, troppo sconvolto persino per piangere. Mi stringo nelle spalle, cingendomi da solo in un abbraccio mentre tremo come se fossi in maniche corte in mezzo alla neve. Ma non fa affatto freddo, al contrario.
Ho l’impressione che tutto il mio corpo vada a fuoco.
 

The one thing I can’t do is bring you to me...
 

Non c’era una piastrella che non avesse qualcosa sopra di sé.
Passammo una buona parte del primo pomeriggio a provare a sistemare il casino che avevamo combinato in quel momento di delirio, anche se era decisamente semplice dirlo, ma riguardo al farlo... tutta un’altra storia.
Insomma, ogni due per tre qualcuno doveva rincorrere i tre maknae che mettevano a posto una parte di stanza e ne distruggevano un’altra per colpa della loro esuberanza; inoltre occupavo il tempo tra un rimprovero e l’altro nel cercare di convincere Suga a scollarsi dal divano e rendersi utile in una qualsivoglia maniera. Insomma: una battaglia persa in partenza, come aveva constatato anche il leader, che se ne era andato a dormire scuotendo la testa esasperato, infischiandosene del resto del mondo, me compreso. Dulcis in fondo, Hoseok manco lo vedevo. C’era da chiedersi dove diavolo fosse finito quel ragazzo.
In tutto quel casino, io avevo deciso di rompere le palle all’altro maggiore del gruppo. “Yoongi, tirati su o mi siedo con assai poca delicatezza sopra di te” lo minacciai. Sì, insomma, almeno ci avevo provato. Lui si limitò a guardarmi con aria vagamente perplessa, sopracciglio destro sollevato.
“Non lo faresti mai” mi rispose mormorando annoiato. Io sollevai a mia volta un sopracciglio.
“Non tentarmi” risposi, con il tono più impressionante che trovai. Non fu un granché a dirla tutta.
“Swag” fu la laconica risposta, mentre mi liquidava con un gesto altezzoso della mano e si copriva gli occhi con l’altro braccio. Respirai profondamente un paio di volte come se stessi partorendo, per reprimere l’istinto omicida che provavo in quel momento nei suoi confronti.
“Non posso ucciderlo, non posso, ci serve ancora e ci serve vivo...” iniziai ad auto-convincermi a voce alta, mentre la mia scampata vittima iniziava a ridere sempre più forte, fino a che non rotolò giù dal divano, battendo il ginocchio e iniziando a rivolgere di conseguenza parole non troppo gentili al pavimento.
Parole davvero molto poco gentili.
“MIN YOONGI, TU, SCARICATORE DI PORTO...!” sbottai, tirandogli uno scappellotto. Lui tentò di sfuggirmi scappando a gattoni sotto al tavolo, sempre ridendo come una iena impazzita. Ovviamente mi gettai al suo inseguimento, imitando la sua posizione, ma prima che riuscissi ad acciuffarlo dal corridoio spuntò Hoseok.
“Ragazzi! Non indovinerete mai che ho trovat... che cosa state facendo di preciso?” ci chiese, perplesso nel trovarci uno sotto al tavolo che si schermava con braccia e gambe e io in ginocchio che mi protendevo verso lui. Ci eravamo entrambi bloccati in quelle assurde posizioni quando lo avevamo visto arrivare.
“Ehm... niente!” esclamammo in coro dopo esserci scambiati uno sguardo imbarazzato tra noi, mentre ci tiravamo in piedi, scrollandoci polvere e, soprattutto, piume di dosso. Appena riacquistata una posizione quantomeno eretta restammo tutti e tre in silenzio qualche secondo a fissarci. Poi ci accasciammo a terra attaccando a ridere e rotolandoci sul pavimento.
“Dicevi Hoseok-ah?” chiese Suga girando appena la testa per guardare il minore, una volta che ci fummo quantomeno calmati. A quelle parole J-Hope si ritirò immediatamente a sedere come se avesse un meccanismo a molla interno.
“Giusto, me ne stavo dimenticando! Ho trovato qualcosa di interessante nel ripostiglio... una cosa che ovviamente non mi ricordavo avessimo!” ci spiegò sorridente mentre ci alzavamo e iniziavamo a seguirlo in corridoio dopo che lui ci ebbe invitato a farlo con un cenno.
“Ma tu che ci facevi in ripostiglio?” chiesi confuso.
“Cercavo una scopa” rispose semplicemente. Poi, come avvertendo la mia occhiata a metà tra lo scettico e il basito, si voltò a guardarmi ridacchiando e grattandosi un orecchio. “Cercavo di nasconderla, così non potevi obbligarci a pulire” ammise facendo un’espressione angelica, ben consapevole che non attaccava.
“O picchiarci con essa perché non avevamo la benché minima intenzione di aiutarti” completò Yoongi. Sospirai appoggiando con somma teatralità la mano sulla mia fronte, mentre gli altri due ridevano. Nel frattempo raggiungemmo la nostra meta, un ripostiglio ingombro di roba che era lì dai secoli dei secoli, più  meno. Infatti nessuno di noi aveva la più pallida idea del perché alcune cose fossero ancora lì dentro e, soprattutto, da quanto.
“Ecco, guardate!” disse Hoseok, spalancando la porta. Lasciati allegramente per terra in mezzo alla stanza c’areno dei fuochi d’artificio tipo i bengala classici e la versione più grossa e colorata di questi ultimi, che emettevano una cascata di scintille colorate.
“Ma noi da quant’è che abbiamo ‘sti cosi?” chiese Suga all’improvviso, perplesso.
“Boh, cosa vuoi che ne sappia io. Forse dal... compleanno di Namjoon... il primo che abbiamo festeggiato assieme, intendo” risposi io tenendo la testa inclinata da una parte.
“Chissà se possiamo usarli ancora” borbottò pensieroso Yoongi, per poi voltarsi verso di me. “I fuochi d’artificio scadono?” mi domandò.
“Ehm...  non ne ho idea” esclamai, alzando le spalle.
“Allora non ci resta che scoprirlo!” esclamò J-Hope con un sorriso, per poi correre a chiamare schiamazzando gli altri. Questo gli guadagnò, oltre all’attenzione generale, anche una ciabatta in testa tirata con precisione dal leader che si era assopito e non aveva gradito molto il rumoroso risveglio. Tuttavia, una volta che Yoongi li ebbe messo al corrente del nostro piano, tutti si svegliarono completamente. Sì, aveva spiegato Suga perché Hobie era troppo impegnato a schivare il leader nascondendosi dietro di me dicendo qualcosa come: “Hyung, aiutami, mi vuole uccidere”. Ridendo, naturalmente.
“E addio buoni propositi di mettere vagamente in ordine il dormitorio” sospirai io ridacchiando lievemente.
“Aigoo hyung, pensa a divertirti una volta tanto!” mi riprese Taehyung, massaggiandomi le spalle come se volesse rilassarmi. Scossi la testa reprimendo l’impulso di mettermi a ridere.
“Se non ci pensassi io a queste cose, non ci penserebbe nessuno!” ribattei, atteggiandomi un po’ come la governante di turno.
“Ti faremo santo hyung” rispose in tono neutro Yoongi, scrollando le spalle. V si mise a ridere e io tirai uno scappellotto ad entrambi, fingendomi indignato.
“Allora, gli accendiamo o no ‘sti fuochi?” chiese Jimin, che nel frattempo aveva tirato giù le tapparelle per creare più... atmosfera, suppongo. Suga tirò fuori dalla tasca il suo accendino e glielo sventolò davanti al naso.
“Come si dice...?” canzonò il minore ridendo e schivando per un pelo un calcio che gli stava per arrivare negli stinchi, giocoso sì, ma Jimin era il main dancer mica per niente e pertanto aveva una forza non indifferente nelle gambe. Nel mentre quei due bisticciavano, noi avevamo aperto i pacchetti.
“Voi due, piantatela. Suga porta qua il tuo culo e il tuo accendino” li richiamò il leader con tono burbero. Ecco, forse lui non si era ancora esattamente svegliato... ma lo avrebbe fatto tra pochissimo. Nonostante la voce di Namjoon contenesse una velo non così sottile di rimprovero, mi meravigliai quando i due lo ascoltarono immediatamente. Avrei dovuto chiedergli che trucco aveva usato.
Accendemmo i fuochi ed iniziammo a giocare tra le scintille.
 

-
 

Il dormitorio era diventato incredibilmente silenzioso.
Non era passato neanche un mese dall’inizio di quegli avvenimenti ma era bastato quel poco tempo a far crollare tutto inesorabilmente. Yoongi stava riflettendo su quello e paragonava le due realtà: quella a cui era abituato quella che si presentava ai suoi occhi e alle sue orecchie, passato e presente. Sopirò, passandosi una mano tra i capelli che ancora presentavano qualche traccia di colore, divenuto però difficile da definire. Se avesse potuto avrebbe capovolto la clessidra, come avrei fatto io. Ma nessuno dei due poteva fare una cosa del genere e questa consapevolezza martellava continuamente in testa a Suga, come un rimorso. Lo rodeva dentro ferocemente e lentamente, doloro come un acido che piano corrodeva le pareti interne del suo corpo. Tutto questo era iniziato con me ed ogni volta che moriva qualcuno la sensazione diventava sempre più forte fino a togliergli quasi il fiato e, con esso, la parola.
Dalla morte di Jimin, Yoongi aveva evitato il maknae, rinchiudendosi nel suo silenzio quasi religioso. Era probabilmente l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare, pensai, ma in qualche modo credevo che anche lui ne fosse consapevole e che si stesse dando mentalmente dell’idiota. Ma non riusciva a stare vicino al minore, era più forte di lui, non riusciva ad affrontare lui e i suoi sentimenti. Aveva paura che da un momento all’altro anche lui potesse sparire davanti ai suoi occhi senza che lui potesse fare nulla, lasciandolo solo. Dunque lo evitava, limitandosi a sentire i flebili rumori che Kookie produceva, come i suoi passi e i suoi pianti attutiti da pareti e soffitto. Quando lo sentiva cadere in balia della disperazione e della nostalgia si sentiva stringere il cuore, ma non riusciva ad andare da lui a consolarlo. Si sentiva spregevole, senza cuore... ma non ci riusciva. Naturalmente ogni tanto si incrociavano o comunque il maknae sentiva la necessità di sentire la presenza di un’altra persona al suo fianco e Yoongi non si tirava indietro. Lasciava che Jungkook si accoccolasse al suo fianco e che il tempo scorresse così, con loro due in silenzio che erano arrivati al punto di trarre una minuscola, quasi inesistente felicità unicamente nel sentire i loro cuori che battevano ancora.
Quel giorno fu diverso però. Jungkook prese la parola mentre se ne stava appoggiato con la testa alla spalla del maggiore. Suga poté così notare che l sua fronte era più calda nel normale ma ancora una volta non riuscì esprimere la sua preoccupazione. “Hyung” sussurrò appena il moro, con un tono di voce talmente flebile che Yoongi dapprima non riuscì a capire sa il maknae avesse effettivamente parlato o meno. Dopotutto, nessuno dei due mi sembrava più abituato ad usare le corde vocali.
“Dimmi Kook” rispose allora il maggiore, voltandosi appena, quel tanto che bastava per riuscire a vedere i capelli scuri del minore, scosso da lievi tremiti. Quest’ultimo aspettò qualche secondo prima di rispondere.
“Che cosa faremo adesso, hyung?” chiese alla fine, in un sussurro leggermente più udibile del primo. Suga tacque per un lungo istante e Jungkook cercò di essere più preciso: “Che fine faranno i Bangtan?”.
“I Bangtan sono già finiti Jungkook. Non saremo più i Bangtan Boy... mai più, perché...” la voce si spezzò per un paio di secondi a Yoongi, “perché... loro... non ci sono più” concluse in un soffio. Io mi sentii gelare. I Bangtan non esistono più. Questa semplice frese era troppo crudele e riassumeva da sola tutti i cambiamenti che si notavano.
“...lo so... io... rivorrei indietro gli hyungs...” singhiozzò piano Kook. “Però... noi ci siamo ancora. Che cosa possiamo fare?” chiese di nuovo.
“Sinceramente, Jungkook, attualmente non mi sento in grado di fare alcun progetto per il futuro... è troppo presto. Insomma... Jimin... è passato troppo poco tempo... il funerale è stato solo l’altro ieri...” la sua frase si spense, mentre Suga fisava il vuoto con occhi altrettanto vitrei. Mi accigliai. Jimin... erano passati già due giorni solo dal suo funerale? A me sembrava essere morto appena cinque minuti prima... il ricordo era troppo vivo. Qualcosa in tutta quella situazione non quadrava. In un certo senso... era tutto terribilmente sbagliato.
“Io... non voglio arrendermi, hyung. Non credo che... che loro lo vorrebbero”. A quelle parole, però, qualcosa scattò in Yoongi, che si alzò di scatto torreggiando sul maknae, il volto contratto tanto da essere trasformato in una maschera di dolore e di rabbia.
“Certo. Immagino che te lo abbiano detto loro. Immagino che siano d’accordo sull’andare avanti dato che si sono suicidati perché incapaci di farlo” sputò quelle parole con amarezza.
“Hyung...” sussurrò Jungkook spiazzato da quella reazione, mentre si massaggiava lo zigomo violentemente urtato dalla spalla del maggiore quando quest’ultimo si era tirato in piedi. Kookie sapeva di aver premuto un tasto dolente alzando quel discorso, ma non si aspettava una simile reazione dal maggiore. Yoongi non diventava mai violento, era solo molto pungente con le sue parole quando si arrabbiava. Questa sua nuovo caratteristica non la conoscevo e probabilmente il maknae non ci aveva ancora fatto l’abitudine.
“L’altro giorno ha messo le mani addosso a Hoseok, non so bene per quale motivo e ho dovuto separarli...” questo mi aveva raccontato Namjoon e adesso capivo come questo fosse possibile. Mi sembrò quasi di vedere la scena, perché Jungkook, la stava rivivendo proprio nello stesso istante in cui io ci stavo pensando. Rivide Yoongi che iniziava a inveire verbalmente e fisicamente contro l’altro ragazzo che a momenti cadeva per terra  per colpa di quelle dannate pastiglie che lo inebetivano e che lo avrebbero ucciso poco dopo; il leader che li separava placcando il maggiore dei due e gli altri che assistevano, attoniti. All'epoca erano già solo in cinque e il loro dolore era sbocciato in tutta la sua forza dopo il suicidio di Taehyung.
Kook si riprese, sbattendo le palpebre: c'era di nuovo solo Yoongi, il quale aveva iniziato a piangere in preda ad un tremito incontrollato. "Loro non parlano più Kook, non respirano, non possono più fare NIENTE!" urlò il maggiore, fuori di sé. Percepii l'ennesima stratta al cuore mentre realizzavo con una profonda rassegnazione che anche lui si era arreso, come avevano fatto tutti. Tutti tranne Jungkook, il nostro Golden Maknae, il più piccolo che si era rivelato essere quello con l'animo più saldo.
"Hyung!" chiamava quest'ultimo con le lacrime agli occhi, avvicinandosi a Yoongi per provare a calmarlo, per chiedergli scusa. Dopotutto, gli rimaneva soltanto lui. Ma la reazione di Suga mi fece sgranare gli occhi e mi lasciò senza parole. Lui, infatti, tirò un pugno ben assestato sul volto del maknae, per poi spingerlo contro il muro.
“COME PUOI ANCHE MINIMAMENTE PENSARE CHE TORNERA’ TUTTO COME PRIMA, EH, JEON JEONGGUK?” urlò ancora il maggiore, piegato in due per dare più enfasi alla sua voce e i pugni stretti tanto che le sue unghie erano conficcate nei palmi, le  nocche bianche. "Tantovale... oramai nono vale più la pena... vorrei che sparisse tutto" ansimò poi a voce bassa, gli occhi spiritati. Stava dando voce ai suoi vaneggiamenti che da giorni lo assalivano e che così tanta fatica aveva messo a tacere nei suoi momenti di calma, quando ancora la razionalità dominava i suoi voleri e pensieri. Ma in quel momento l'agitazione e il dolore avevano avuto il sopravvento su di lui.
Fu il turno di Jungkook di tirargli un pugno sul volto, meno convinto e mosso dalla forza dell'esasperazione oltre che dal desiderio di farlo rinsavire. Nonostante non fosse stato scagliato con furia, c'è da dire che il maknae era più forte fisicamente di Yoongi e dunque lo fece sbilanciare all'indietro. Il maggiore lo fissò un po' sorpreso prima di ritrovarsi avvolto dalle braccia di Kook in una presa disordinata, quasi spasmodica. "Hyung, non dire così... per favore non..." non concluse la frase, la sua voce si spense. Suga scoppiò a ridere, una risata folle, falsa, senza allegria.
"E cos'altro dovrei dire?" rispose. il minore rilassò i muscoli delle braccia, sciogliendo appena la stretta e piantando i suoi grandi occhi scuri spaventati che riflettevano un'infinita tristezza. Yoongi fu messo a disagio da quegli occhi e si allontanò repentinamente, spingendo con violenza, facendolo cadere di schiena sul pavimento, battendo la nuca contro la poltrona, mancando di poco le scale. Continuando con il suo moto di isterica follia, il maggiore afferrò una sedia e la scagliò con forza verso uno specchio che, per colpa dell'impatto, si frantumò.
Quel suono parve congelare l'aria intorno a loro, intorno a noi. Tutto era immobile. Rividi delle scene a me non nuove, ma diverse da come le avevo precedentemente percepite. mi sfilarono davanti come fotogrammi di uno stop-motion. C'era di nuovo quel castello di carte che cadeva, crollava con una facilità tale da far meravigliare al pensiero di quella stessa fragile costruzione in piedi.
Dopo quell'istante di immobilità e dopo quelle immagini che mi stavano facendo diventare pazzo a furia della mia sciocca abitudine di rimuginarci sopra, Jungkook si alzò barcollando appena e uscì trascinandosi dal dormitorio. Scappava, probabilmente, correva via da quella pazzia che aveva posseduto il suo hyung, da quell'aria nera che si respirava nel nostro appartamento, da quel demone nascosto nell'ombra che ci aveva preso uno per uno e che in quel momento rideva alle nostre spalle. Yoongi, non appena sentì la porta sbattere parve risvegliarsi, uscire da quella coltre di follia, il corpo che veniva scosso da uno spasmo, come da una carica elettrica. Rimase immobile, in ascolto, ma i flebili rumori che di solito lo confortavano erano svaniti, le sue paure si erano realizzate. Ora era da solo con la sua oscurità.
"Kookie..." sussurrò all'aria immobile del dormitorio. Cadde sulle ginocchia come se all'improvviso tutte le energie gli fossero state risucchiate, le lacrime che iniziavano a scorrere di nuovo il suo viso. Era rimasto da solo in quell'ambiente una volta spensierato e ricolmo di risa, in quel momento ridotto alle rovine del suo passato. Unico valore  rimasto invariato era il disordine, ma pure quello sembrava rivelare un qualcosa di sbagliato, anche se non avrei saputo dire cosa o come se qualcuno mi avesse posto la domanda.
Quando smise di piangere, Suga si rialzò lentamente, come se il suo corpo  pesasse improvvisamente molto più di quanto era abituato a muovere e si diresse verso il corridoio con passo ciondolante. Si fermò accanto al ripostiglio, per poi girarsi a fissare la porta con un'espressione strana, che mi risultò famigliare. Sì, famigliare, perché realizzai quasi subito che era sostanzialmente identica a quella che aveva Namjoon mentre stava raggiungendo il distributore e a quella di Jimin mentre aspettava che la vasca si riempisse. Dunque non prometteva nulla di buono.
Aprì con lentezza quasi esasperante la porta della stanza, addentrandosi nella penombra di essa solo di qualche passo prima di immobilizzarsi, gli occhi che vagavano nello spazio circostante nella continua anche se non frenetica ricerca di qualcosa. 'Qualcosa' che trovò poco dopo affianco a uno scaffale abbandonato a se stesso. Era la tanica di benzina che di solito stava nell'auto, per ogni evenienza. A tenergli compagnia c'erano le altre cose che stavano nel nostro mezzo a quattro ruote, probabilmente rimasto inutilizzato da quando... beh, da quando non avevo più potuto guidare. Ignoravo perché l'avessero portata lì. Fissandola intensamente, Yoongi si infilò quasi distrattamente le mani in tasca per poi estrarne solo una, la destra, che stringeva l'immancabile accendino. Lo fece scattare senza neanche fissarlo, accendendo una leggera e tremula fiamma che rischiarò appena l'ambiente.
"Non lo fare Yoongi, non lo fare" sussurrai anche se sapevo che non mi avrebbe mai sentito e in ogni caso, ascoltato. Chiuse l'accendono con un gesto secco, spegnando la fiamma e afferrando con la mano libera tenuta in tasca fino a quel momento la tanica. Si voltò e si diresse in quella che era la sua camera e che all'epoca condivideva con Hoseok. Buttò contenitore con il liquido infiammabile da qualche parete sul pavimento, facendo produrre un tonfo. Ne seguì un altro quando lui si sedette pesantemente sul suo letto accendendo e spegnendo l'accendino.
"E' andato tutto in rovina" lo sentì dire , mentre si lasciava cadere di schiena senza delicatezza, sbuffando. "Che gran seccatura"  sussurrò mentre una lacrima gli accarezzava il viso. Lanciò un urlo di frustrazione, alzandosi di scatto sul materasso e iniziando a sfogare la propria rabbia sulle coperte e sul cuscino, sferrando calci e pugni e scomponendo in questo modo il letto prima fatto a regola d'arte. Si fermò per un istante col fiatone, lo sguardo vuoto. Sospirò lentamente, lasciando scivolare la rabbia dal suo volto, sostituita da una grande e profonda tristezza.
"Jungkook... perdonami..." sussurrò. Non capii se chiedeva scusa per le sue azione precedenti o per ciò che stava per fare... forse entrambe le cose. Scese dal letto e recuperò la tanica, svitandone il tappo con lentezza. Poi, con gesti ampi, secchi ed oscillanti sparse tutto il contenuto per tutta la stanza, sul letto, sulle pareti e sul pavimento in parte coperto dalle lenzuola. Qualche spruzzo gli bagnò i vestiti, ma lui parve non curarsene. Strinse maggiormente la presa attorno all'accendino mentre lanciava a terra la tanica. Fece apparire la fiamma, portandosela davanti agli occhi e osservandola per qualche lungo istante, passandoci anche l'indice sopra. quasi a volerne confermare l'autenticità e il calore. Lasciò cadere mollemente le braccia al suo fianco e lasciò cadere l'accendino, e la benzina prese fuoco. Dopo pochi istanti si ritrovò circondato dalle fiamme che gli lambivano i vestiti e la pelle mentre lui stava in piedi sul materasso ad attendere con fierezza l'inevitabile.
Questa fu l'ultima visione che ebbi di lui.

 
Il mio sguardo è rivolto al candido soffitto.
Sono di nuovo in questa stanza nivea che è diventata la mia prigione dalla quale non avevo mai visto una via di fuga prima di questo momento. Ora la vedo, sul soffitto, la finestra. L'ho notata ora grazie alla farfalla rossa che volteggia nei pressi dell'apertura, senza uscirne anche se raggiunta dalle sue sorelle. Non se ne vanno. Proprio da questa finestra entra tutta questa luce innaturale e bianchissima; è un po' strano, non è poi così grande. Vorrei avvicinarmi e dare un'occhiata più approfondita, ma all'improvviso sento la mano bruciare e sposto lo sguardo verso il giglio. Il penultimo petalo ha preso fuoco e io lo lascio cadere con un'esclamazione sorpresa. Continuò a bruciare a terra fino a che non rimase altro che lo stelo ed un unico petalo candido. A quel punto si spense. Mi passo una mano nei capelli, non ha senso, niente di tutta questa situazione ne ha. Io credevo che sarebbero apparsi i ragazzi qui con me, ma le sei poltrone sono rimaste vuote. Ripenso a ciò che mi aveva detto Jimin, che solo con la loro morte saremmo potuti di nuovo stare assieme. Ma si sbagliava. Io sono solo in questo bianco così simile a quello della neve. Però... c'è la finestra. Risollevo lo sguardo verso di essa per studiarla meglio.
Ma la luce pare aumentare e mi acceca.
 

I wish I didn't have this useless power anymore
 

Dopo un tempo indeterminabile esaurimmo i fuochi.
Mentre riprendevamo fiato notai due cose: la prima, ormai era diventato tardo pomeriggio ed eravamo stanchi, la seconda riguardava l'apparente porcile che era in realtà il nostro dormitorio. Eravamo riusciti a metterlo ancora più sottosopra, il che era tutto dire. Il che era un problema considerando che avremmo dovuto scavare per ritrovare i nostri letti e che i nostri cuscini erano ormai ridotti a delle federe mezze, se non completamente, vuote. Il contenuto era sparso sul pavimento, che attualmente assomigliava, più che a quello di un dormitorio, a quello di un pollaio. Era addirittura spuntato un materasso in soggiorno e io non lo avevo realizzato appieno. Chissà di chi era. Mi trovai costretto a prendere una decisione drastica; come si dice: a mali estremi, estremi rimedi.
"Ragazzi!" chiamai, "Che ne dite di fare un giro?".
"Adesso?" mi risposero quasi in coro Jimin e Rap Monster. Io alzai gli occhi al cielo.
"No, dopodomani" dissi ironico per poi schivare qualcosa di non chiaramente identificato che il leader mi aveva lanciato addosso. "Sì, adesso. Guardatevi attorno" dissi una volta tornato in posizione eretta ed indicando con un ampio movimento delle braccia attorno a me, "Vi sembra vivibile questo posto attualmente?" chiesi loro. Tutti scossero la testa, negando. "Appunto. Dai, aiutatemi a mettere qualcosa assieme da mangiare e poi tutti in auto!" comandai battendo due volte le mani per enfatizzare il concetto, anche se non dovevo essere molto credibile, dato che sembravo vestito da pollo. Non che gli altri fossero messi meglio.
"Sì, mamma" rispose Taehyung. Io gli spiaccicai un cuscino mezzo vuoto trovato a caso in testa.
"Chiedere al gruppo di cucinare, in genere, era quasi un invito al suicidio di massa per avvelenamento, ma grazie al cielo a mettere assieme dei panini sono capaci bene o male tutti e in sette riuscimmo a cavarcela abbastanza in fretta. Li spinsi poi nell'auto senza troppi complimenti, per poi mettermi alla guida. Volevo arrivare nel posto che avevo in mente il prima possibile, quindi accesi , misi la freccia e via.
"Jin hyung" mi chiamò Jungkook. Io lo osservai dallo specchietto retrovisore alzando un sopracciglio come per invitarlo a parlare. "Dove ci stai portando?" volle sapere.
Sorrisi. "Sorpresa" canticchiai semplicemente, schiacciando sull'acceleratore per superare in tempo il semaforo che dal verde era diventato arancione.
“Eddai Jin hyung" pigolò Jimin, ma io mi limitai a ridere, scuotendo la testa.
"Fidatevi, mica vi porto in Antartide... anche perché non avremmo abbastanza benzina".
"Io penso di saperlo, comunque... ma starò zitto, non voglio rischiare di dire un'immensa cavolata" sentii dire Hoseok. E da lì gli altri membri  iniziarono a rompere le noci di cocco a lui.
Le noci di cocco, sì. Sbuffai, tentando disperatamente di non mettermi a ridere da solo a caso. Comunque, era chiaro che Hobie si era 'sacrificato' per fare in modo che i ragazzi si concentrassero su di lui, riducendo così il rischio di schianto contro un palo. Parliamone, da quando in qua Jung Hoseok ha paura di sparare solenni cretinate?
"Hyung, siamo arrivati?" mi domandò V con voce lamentosa dopo un bel po' che viaggiavamo.
“Taehyung, hai cinque anni per caso?” lo prese in giro Namjoon, al quale il minore rispose con una linguaccia. Noialtri stavamo ridendo.
“Non manca molto, dai. Resistete” risposi io con ancora il sorriso sulle labbra.
“E, soprattutto, non rompete le scatole” concluse Yoongi, mettendosi gli auricolari e chiudendo gli occhi, accavallando le gambe. Io buttai gli occhi al cielo, in quei momenti il ragazzo mi sembrava un ottantenne montanaro burbero.
Circa un quarto d’ora dopo arrivammo. Il sole era già tramontato e mancava davvero poco prima che facesse buio. Io scesi e passeggiai nei dintorni per sgranchirmi le gambe mentre mi guardavo attorno; avevo portato i ragazzi di nuovo in riva al mare, nel posto che avevo mostrato loro la sera prima con quella vecchia foto. Non eravamo effettivamente molto lontani dalla riva dove li avevo precedentemente portati, ma qui c’era la spiaggia, che diventava uno spiazzo di terra battuta dopo appena pochi metri dal bagnasciuga. Mi voltai verso l’auto: tutti gli altri erano ancora dentro, o meglio, sopra ad essa, fatta eccezione per Vi e Nam che erano a terra appoggiati alle portiere. Frugando in tasca trovai la polaroid e scattai una foto. ‘Questa va per ricordo’ pensai tra me e me mentre rimettevo tutto in tasca.
Nel frattempo, il minore tra i due che avevano messo i piedi a terra si era allontanato i qualche passo e si era stravaccato sulla sabbia, indicando nel cielo sempre più buio le prime stele al leader, che lo raggiunse a terra immediatamente. Subito un’idea prese forma nella mia testa e mi sbrigai a riprendere il mio posto all’interno dell’auto. “Ragazzi, non scendete e state buoni” dissi ai membri che si accingevano a scendere, che mi guardarono con aria perplessa mentre rimettevo in moto. Sguardi ai quali io risposi con un sorriso che doveva assomigliare vagamente ad un ghigno, naturalmente senza rivelare loro il mio piano. Misi in moto, tentando di non scoppiare a ridere, e tirare una testata al volante di conseguenza, nel vedere la faccia scandalizza di Nam e quella perplessa di V. Iniziai a girare in tondo, utilizzando i due, che nel frattempo si erano tirati in piedi, come centro.
Ci misero tutti relativamente poco a riprendersi e iniziarono rapidamente a ridere, divertirsi e giocare, soprattutto il ragazzo dai ciuffi verdi che faceva l’idiota con i suoi colleghi maknae; questi ultimi si davano il cambio nello sporgersi fuori dal finestrino precedentemente abbassato. Sì, avevo due membri più fuori che dentro dall’auto che davano il cinque ad un altro che correva a mo’ di struzzo impazzito. In tutto questo, Namjoon era impalato che rideva, J-Hope ululava dal retro dell’auto e Suga gridava ‘infires man!’ a caso. E io dovevo stare attento a non perdere un maknae dal finestrino.
Normale.
Tra una cavolata e l’altra perdemmo la cognizione del tempo, di nuovo. Restammo dunque tutti stupiti quando notammo che il cielo all’’orizzonte stava iniziando a schiarirsi. Eravamo fermi immobili, mezzi sopra l’auto e mezzi giù, in un silenzio quasi religioso interrotto solo da pochi sussurri, rivolti verso il mare. L’orizzonte sembrava cosparso di una nebbia giallo-bianca. Era una bella visione.
Presi di nuovo una polaroid e scattai una foto, questa volta tutti assieme. “È venuta bene” disse il leader sorridendo, sbirciando il risultato. Tutti noi rispondemmo alla sua espressione serena con il riflesso di essa impresso sui nostri volti. E, neanche fossimo una sola persona, tutti e sette sbadigliammo praticamente in contemporanea, mettendoci a ridere un attimo dopo. Decidemmo di andare a dormire e ci sistemammo nell’auto in qualche maniera, distribuendo coperte e utilizzandoci gli uni gli altri come cuscini. Non era il massimo della comodità, ma eravamo talmente esausti da cadere nelle braccia dei sogni immediatamente.
Quando mi svegliai avevo l’impressione di essermi addormentato solo pochi minuti prima, ma il sole era abbastanza alto nel cielo: dovevano essere passate più o meno cinque ore. Mi raddrizzai leggermente, facendo piano per non svegliare Taehyung che si era deliberatamente stravaccato sul sottoscritto usandomi come cuscino, materasso e peluches; sbirciai fuori dal finestrino. Ero stato probabilmente svegliato da Suga appena alzatosi, nonostante lui non avesse sbattuto la portiera che stava infatti socchiusa.  Il ragazzo si era avvicinato a Jungkook, seduto sulla spiaggia che guardava il mare, sveglio da chissà quanto. Attraverso la fessura della portiera riuscii a sentire le loro voci.
Siamo i primi ad essere in piedi, eh, Kook?” aveva detto il ragazzo dai capelli color prato all’altro, che si era girato nella sua direzione accorgendosi di lui solo in quell’istante, un po’ sorpreso, ma sorridente. Annuì. Anche io sorrisi, mentre richiudevo gli occhi.
“Dai Suga, andiamo a svegliare gli altri”
 

-
 

“Siamo gli ultimi ad essere in piedi Kook. Adesso... che senso ha?”.
Jungkook si sentiva rimbombare nella mente quella frase che Suga gli aveva sussurrato un paio di giorni prima, dopo il funerale di Jimin. Giorni vuoti, come i precedenti e, probabilmente, come sarebbero stati i successivi.  Kook non riusciva nemmeno a sopportare il pensiero dell’arrendevolezza, mentre Yoongi ne era diventato l’incarnazione, e il moro avrebbe dovuto farsene una ragione.
Il maknae aveva paura. Lui adorava i suoi hyung, anche se ci prendeva in giro o ogni tanto ci mancava di rispetto, lui ci voleva bene, davvero tanto... e ne aveva persi cinque, tra cui i suoi migliori amici e compagni di bizzarrie e cretinate, Jimin e Taehyung. E vedere Yoongi perdere le speranze... faceva male.
C’era un ma, comunque. Vero, Yoongi si era arreso, ma lui era ancora lì, ad aspettare. Cosa, Jungkook non avrebbe saputo dirlo, ma non poteva permettere a se stesso di perderlo. Era il suo hyung, l’ultimo ancora in vita, e lui gli voleva bene. Anche se Suga sembrava evitarlo, anche se lo lasciava da solo quando la notte si disperava e piangeva e non lo guardava neanche più, lui si avvicinava lo stesso, in cerca di un po’ di calore umano. E sentire il maggiore che lo stringeva, accogliendolo tra le sue braccia anche se in silenzio lo rincuorava. Erano gli unici contatti che entrambi avevano.
Quando le visioni di Jimin morto tornavano prepotentemente nella sua testa e lui piangeva e gridava, il maggiore non arrivava mai a consolarlo, ma Jungkook sapeva che lui era sveglio anche se era note e lo ascoltava, condividendo il suo dolore pur non emettendo suono. Semplicemente era caduto in uno stato di accidia, di depressione, si ripeteva il maknae. Yoongi aveva risentito parecchio di tutta quella situazione, dapprima trasformando la sua tristezza e disperazione in una rabbia incontenibile e successivamente svuotandosi completamente, fino a diventare simile ad un involucro privato del suo contenuto, accartocciato e abbandonato a se stesso. Probabilmente non trovava più un senso alla sua vita, ma non aveva l’energia e il coraggio per porci fine. E quindi rimaneva lì, fermo, ad aspettare.
Jungkook però sentiva la necessità di parlare. Ai suoi occhi non era ancora irrecuperabile, la situazione, i Bangtan Boys potevano essere salvati. Soprattutto, non voleva lasciar svanire tutto quello che lo aveva collegato a quegli altri sei ragazzi, che erano diventati come fratelli per lui, una sorta di strana, pazza seconda famiglia. Facendosi coraggio, scese lentamente le scale, fermandosi sulla soglia del soggiorno. Yoongi stava ancora giocando con quel dannato accendino che il minore stava imparando ad odiare, e io con lui. Se lo avesse gettato via, lontano da lui e dalla sua vita, forse sarebbe riuscito a vedere oltre quella maledetta fiamma. Quell'arnese era diventato quasi il simbolo della morte dei nostri compagni,Namjoon in particolare, ed ero abbastanza sicuro che anche Kook la pensasse come me. E ripensare ad uno solo di noi innescava un procedimento che collegava anche gli altri: Hoseok, Jimin, Taehyung... io, che ero l'origine di tutto e che mi sentivo sempre più etereo, leggero, come un'entità più che una persona. Come se, lentamente, stessi perdendo qualunque contatto e ricordo della mia fisicità. Era una strana sensazione, piacevole a dirla tutta. Ma non in quel contesto, non di fronte a ciò che stavo vedendo.
Kook avanzò verso il divano, accoccolandosi su esso accanto al maggiore ed appoggiando la testa mora sulla spalla dell’altro. Non ci aveva fatto molto caso prima, ma dovette ammettere a se stesso che la sentiva un tantino più pesante del normale. In generale si sentiva fiacco, quindi anche quella misera parola, “Hyung”, la esalò quasi impercettibilmente. La testa di Yoongi si mosse quel tanto che bastava affinché i loro occhi si incrociassero. Beh, questo se effettivamente Jungkook avesse alzato gli occhi, cosa che non fece guardando verso il basso mentre lottava contro le palpebre che diventavano man mano sempre più pesanti.
“Dimmi Kook”.
“Che cosa faremo adesso hyung?” domandò il maknae dopo un attimo di esitazione. Non sapeva, a differenza mia, come avrebbe potuto reagire, come avrebbe effettivamente reagito il maggiore. Comunque fosse, le parole faticavano a prendere forma e a lasciare la sua bocca. “Che fine faranno i Bangtan?”
“I Bangtan sono già finiti Jungkook. Non saremo più i Bangtan Boy... mai più, perché... loro... non ci sono più”
“...lo so... io... rivorrei indietro gli hyungs... però... noi ci siamo ancora. Che cosa possiamo fare?”. Il minore si impose di ignorare le lacrime che, prepotentemente, avevano iniziato a solcare nuovamente il suo viso.
Io, nel frattempo, mi stavo di nuovo crogiolando nei miei dubbi: perché stavo rivivendo quelle immagini? Fino a quel momento non era mai capitata che una scena si ripetesse da capo dinanzi. Eppure quegli erano indubbiamente gli istanti che precedevano il suicidio di Yoongi, anche se ora riuscivo a percepire i sentimenti di Kook.
Mi riuscissi dai miei pensieri quando Suga tirò il primo pugno a Jungkook. Lo sentii urlare di nuovo quelle parole cariche di dolore, pronunciate in preda alla disperazione che gli aveva annullato quel briciolo di razionalità rimastagli. Quando il maknae venne scaraventato a terra vicino alle scale, successe un’altra cosa da aggiungere alla ormai lunghissima lista di quei fatti strani ed inspiegabili, una situazione che prima non si era verificata. Stavo di fronte a lui, come accucciato, per guardare dritto nei suoi occhi persi in delle ricordi lontani che, come miraggi fatti di nebbia, presero forma davanti ai miei occhi. C’eravamo noi sette, tutti assieme appassionatamente, avevamo messo a soqquadro il dormitorio in preda ad uno strano delirio collettivo. E dico ‘strano’ e ‘collettivo’ per ché nella maggior parte dei casi almeno uno di noi non perdeva la testa, o almeno non del tutto. Stranamente quel qualcuno coincideva quasi sempre con me o con il leader.
Come era comparsa, la visione sparì dissolvendosi lentamente, lasciando dentro di sé un vuoto. Era una vera contrapposizione, passato e presente, gioia e disperazione. La realtà era nitida e carica di sofferenza quasi palpabile. I pensieri tetri condivisi da me e Jungkook vennero interrotti dal fastidioso rumore di vetri rotti. Yoongi aveva appena fracassato lo specchio tirandoci addosso una sedia e in quell’istante se ne stava lì, fermo immobile ed ansante.
Jungkook, in quell’istante, comprese di aver perso anche lui. Vedeva la disperazione che lo muoveva come un burattinaio muove tramite dei fili le sue marionette. Barcollando, il moro si tirò in piedi, dritto sulle sue gambe malferme e raggiunse arrancando la porta del dormitorio, varcandola e lasciando ce si richiudesse con uno schiocco secco alle sue spalle.
In cuor suo sperava che Yoongi lo inseguisse e lo fermasse, scusandosi e chiedendogli di fermarsi, dandogli così il segno di una piccola luce, la stessa che sembrava essersi spenta agli occhi del minore. Ma non successe, Suga lo lasciò andare via senza quasi accorgersene. Allora Jungkook sperò che almeno il maggiore capisse quella sua necessità di scappare da lui e da quel posto... almeno per un po’. Prendere un po’ d’aria esterna per cercare in essa una carezza che lo potesse consolare, diversa da quella immobile e viziata del dormitorio, apparentemente pregna dell’odore delle lacrime e di malinconia, tanto da apparire pesante.
Yoongi non aveva mai alzato le mani, in particolar modo su di lui. Stentava a credere ai suoi occhi quando lo aveva litigato con Hoseok, ma che avesse picchiato lui... la sola idea gli suonava ancor più improbabile. Lo aveva sempre trattato come un fratello minore e i bravi maggiori non alzano mai le mani. Eppure, il sapore del sangue che persisteva nella sua bocca, accompagnato dal dolore sordo alla guancia gli ricordava il pugno i viso che gli aveva tirato, mentre la caduta sul pavimento era segnata dalla botta che percepiva all’altezza della lombare. A dirla tutta, l’intero suo corpo gli lanciava segnali, protestava mentre scendeva con lentezza le scale pre dirigersi in strada, indebolito ed indolenzito. Una misera vocina, nella sua testa gli suggeriva in un sussurro di fermarsi, ripetendo quanto non fosse una buona idea scendere, andare in giro per le vie dolorante, ammalato, debole e confuso com’era, ma la necessità di fuggire che animava i suoi movimenti era più forte. Ripensava e riviveva i ricordi di qualche anno prima, quando era ancora un trainee ed era solo ad affrontare le sue decisioni, non conosceva nessuno. Lui era bravo praticamente in tutto, glielo dicevano anche allora, ma questa sua caratteristica per la quale aveva meritato il soprannome di Golden Maknae all’interno dei Bangtan aveva attirato l’invidia di altri trainee più anziani, o comunque nell’agenzia da più tempo. In particolare si ricordò di un giorno nel quale aveva incrociato qualcuno di loro urtando per errore la spalla contro quella di uno di essi. Pochi secondi dopo si era ritrovato letteralmente sbattuto con le spalle al muro, trattenuto e percosso da quei tre ragazzi che nel frattempo lo picchiavano e lo deridevano.
Ma Jungkook era stato forte e aveva passato quei momenti difficili, andando avanti e debuttando così nel nostro gruppo, i Bangtan Boys. Era il più piccolo, il nostro maknae e sapeva che gli hyungs lo avrebbero protetto. Non lo avrebbero mai abbandonato... non lo avremmo mai fatto...
Una lacrima prepotente lasci le sue palpebre per scivolare lenta, delineando lo zigomo proprio quando aveva aperto la porta tra le persone e i rumori indifferenti, freddi. Nessuno avrebbe mai potuto prevedere quel presente, non si sarebbe mai aspettato di rimanere da solo di nuovo. La colpa di chi era?
Si avviò lungo la strada con passo lento, strascicando i piedi per terra, remando e barcollando appena. Sbatteva contro le persone, ma non aveva la reattività necessaria per voltarsi e scusarsi. Gli sembrava che il mondo andasse troppo veloce per lui, vorticando senza un senso apparente, confondendolo. Non sapeva dove andare, non sapeva cosa fare. Senza quasi accorgersene, aveva lasciato che il fiume di gente che affollava la strada e nel quale lui era finito lo sospingesse sulle strisce pedonali, attraverso una strada fino all’altro marciapiede. Non fece in tempo a proseguire in quel suo assurdo e vago percorso privo di meta che avvertì, sempre in stato confusionale, la gente iniziare a gridare attorno a lui. Urla cariche d’allarme.
“Chiamate i pompieri! Lì qualcosa va a fuoco!” riuscì a distinguere una voce femminile che gridava queste parole, che ebbero il potere di farlo fermare e voltarsi a guardare che cosa stava succedendo oltre la strada che aveva appena attraversato. Guardando in alto, verso il cielo ormai scuro e leggermente screziato di sfumature arancioni, si stagliavano lingue di fuoco d’un arancio più forte, più acceso, più crudele. Mentre osservava il fumo che si diffondeva nell’aria, Kook sembrò rendesi conto di un particolare del quale io ero a conoscenza ancor prima di voltarmi assieme a lui: il fuoco aveva origine nel nostro dormitorio.
“Hyung...” sussurrò  cominciando d’istinto, di riflesso a camminare in avanti, come se qualcun’altro stesse muovendo i suoi passi, e non lui. Avanzava sull’asfalto della strada, nel buio che aumentava ad ogni secondo, tra le urla delle persone, gli chi neri illuminati da quelle fiamme che gli stavano portando via l’unica persona di quel gruppo che gli rimaneva. Troppo tardi Jungkook si accorse di essere illuminato da un’improvvisa e troppo potente luce. Se prima era troppo veloce, in quell’istante il mondo parve rallentare troppo e all’improvviso. Io mi ritrovai a fissare gli occhi del maknae attraverso il vetro dell’auto che si avvicinava pericolosamente a lui, dentro la vettura, non capendo bene come. Jungkook, lo sguardo concatenato al mio, sorrise.
“Hyung. Sto arrivando, hyung” mi disse.

 
“NO!”
L’immagine sparisce al mio grido, che suona alle mie orecchie come un ordine. Stringo forte i braccioli della poltrona con una rabbia crescente. Tutto queste immagini... è tutto troppo assurdo. Come se percepissero il mio animo frustrato e iroso, le farfalle mi volano attorno ad una velocità innaturale, come se fossero impazzite, accompagnate anche dall’ultima, quella viola. Anche l’ultimo petalo del fiore si è staccato e giace strappato in un miriade di pezzi, in terra, dimenticato, con lo stelo al suo fianco. Il tempo è scaduto, ne ho davvero abbastanza. Riesco finalmente ad alzarmi da quella poltrona grazie ad una strana forza che prima non avevo avvertito, che non c’era. Mi avvicino piano al centro della stanza, posizionandomi sotto al fascio della luce che entra dalla finestra, mentre il resto della stanza sembra scurire pian piano. Come se avessi attraversato il fascio di luce proveniente da un proiettore, sul mio petto, all’altezza del cuore, si proiettò l’immagine del giglio bianco, con tutti e sei i petali, bello come la prima volta che lo avevo visto, probabilmente anche di più. Sfioro quell’ologramma con una mano, mentre sorrido leggermente. Una leggera brezza inizia a sfiorarmi i capelli castani e la pelle sotto i vestiti bianchi. Inspiro a fondo, guardo verso l’alto, verso la purissima luce bianche che mi riempie gli occhi, mentre guardo le farfalle volare sempre più in alto, fino a che non scompaiono inghiottite dall’aria.
Il bianco circonda anche me, ma poi da esso emerge qualcosa. Sono... reti metalliche, grigie. E sono tante, si estendono tutt’intorno a me. Formano un labirinto. Io inizio a camminare, piangendo senza motivo, perché non sento nessun’emozione che motivi le mie lacrime. Cammino senza perdermi, incredibilmente, come se finalmente avessi trovato la giusta strada. Ma la cosa che mi stupisce di più è il notare che non sono solo qui.
Il primo che vedo è Namjoon. Cammina lentamente tra i corridoi creati da quelle ‘pareti’, afferrando distrattamente dei pezzi di stoffa candidi che sono annodati alle reti, trattenendoli appena in una leggerissima presa per poi lasciarli andare, così che riprendessero ad ondeggiare nel leggero vento. Provo a chiamarlo, afferrando quei fili di ferro intrecciati che ci separano con una mano, ma mi accorgo presto che non riesce a sentirmi, perché lui continua a camminare. Tolgo la mano e, leggermente sconfortato guardo il cielo, chiedendomi quanto a lungo dovrò sopportare tutto questo.
Cammino lentamente mentre riabbasso gli occhi, notando poi qualcosa a terra. È una foto, una foto della polaroid. Più avanti, oltre un’altra delle reti ce ne sono altre, in fiamme. Ancora più avanti di queste cammina Suga, con l’accendino stretto in una mano e la camicia bianca piena di bruciature. Lo seguo fino a che lui non è obbligato a prendere una strada a sinistra, mentre io a destra.
Proseguendo dritto, vedo su un percorso parallelo al mio Jungkook. Al contrario degli altri due, il maknae è seduto in terra e guarda verso il cielo con espressione quasi stupita. Fissa della piume bianche che fluttuano leggere, portate dal vento. Lui allunga infantilmente una mano per cercare di afferrare o far posare una di esse sul suo palmo, o farle incastrare tra le sue dita. Ne prende una e la stringe leggermente, sentendola morbida sulla sua pelle. Chiude gli occhi mentre si rialza, per poi riaprirli assieme alla sua mano, facendo volare via la piuma, che ricomincia il suo viaggio, passando vicino a me, sfiorandomi la spalla. Dopo questo, Jungkook se ne va e anche io proseguo, con il vento che sembra sospingermi e mi circonda di quelle piume bianche.
Quella che teneva prima il maknae in mano guida il mio sguardo e si posa a terra, dove ci sono delle pastiglie. Sollevo di scatto gli occhi e vedo l’ennesima svolta sinistra e, oltre quella rete, c’è Hoseok. Appoggiato ad essa, guarda la direzione che percorrerò. Si stacca dai quadrati metallici e inizia a girare lentamente su se stesso, osservano la miriade si piume bianche che ricordavano vagamente una nevicata. Attraversa in tutta la sua lunghezza il corridoio dove si trova fino a raggiungere l’altra rete, afferrando anche quella. Chiude gli occhi e, lentamente, abbassa la testa. Io lo lascio immerso nei suoi pensieri, andando avanti.
Poco dopo vedo anche Jimin, bagnato fradicio e con la testa appoggiata alla rete, gli occhi bassi. Come avvertendo il mio sguardo, alza leggermente la testa e si gira di schiena, inspirando, per poi riprendere a camminare in modo scomposto. Si trova si fronte due strade, ne imbocca una. È un vicolo cieco e lui sembra scivolare, finendo contro la parete che gli blocca il cammino. Inspira ed espira di nuovo calmandosi, prima di tornare con maggiore lentezza sui suoi passi mentre una goccia lascia la sua mano e cade a terra. È solo un attimo, però. Individuato il giusto percorso, ricomincia a correre, troppo veloce perché io possa stargli dietro, anche perché il labirinto ci divide presto. Incurante, io continuo a correre.
Anche qualcun altro lo fa: Taehyung. Me lo ritrovo al mio fianco per qualche istante: assieme rallentiamo e ci fermiamo, lui che cerca la giusta via e io che lo osservo. Ricominciamo a camminare lentamente e ci separiamo.
Io mi guardo attorno. Li vedo tutti e sei, che corrono o camminano attraverso quel labirinto di ferro. È come quando correvamo per i prati o per le strade, tutti e sette assieme... solo che adesso siamo separati da quelle sottilissime, ma troppo alte pareti. So tuttavia che questo non basterà a fermarci, noi riusciremo ad essere di nuovo assieme. Come se tutti avessero intuito i miei pensieri, iniziamo a correre, assieme, nello stesso istante. Vedo i ragazzi riuscire ad uscire prima di me, ma so che manca poco. Pochi passi, poche falcate e finalmente mi lascio alle spalle quel grigio labirinto, raggiungendo gli altri. Sono girati verso la costruzione, posti su un’unica riga... e sono in cinque.
Una volta raggiunti, mi volto anche io, appena in tempo per riuscire a vedere Taehyung uscire, con calma. Quando è abbastanza vicino, noialtri ci voltiamo tutti e iniziamo dapprima a camminare, poi a correre su quella che sembra essere una pista di decollo e atterraggio, di nuovo uniti, senza barriere. Alcuni dei ragazzi sorridono e ridono, altri sono più seri ma con il volto disteso. Sentiamo l’aria fresca sferzarci il volto, ogni passo ci rende più liberi e leggeri.
Non so quanto tempo passa, ma ad un tratto sono di nuovo solo su quella pista, circondato da bianca foschia. Mi fermo, e sorrido, so che gli altri sono andati avanti e che mi stanno aspettando. Ora non resta altro da fare se non decollare a mia volta. Mi sento leggero, quasi incorporeo. Espiro sorridendo e chiudo gli occhi.
Poi, finalmente, li riapro.
 

I stop time and go back to you...
 

La luce mi acceca non appena socchiudo le palpebre.
L’istinto mi suggerisce di coprire le palpebre con la mano, ma mi accorgo immediatamente che faccio una fatica immane a muovermi. Così mi arrendo all’idea di attendere che le mie pupille si abituino all’ambiente circostante, affidandomi agli altri sensi che pian piano stanno riprendendo le loro normali funzioni, primo tra tutti l’udito. Sento infatti un ritmico e meccanico bip-bip, fastidioso e regolare. Questo, unito all’odore di disinfettante e farmaci, mi lascia pochi dubbi riguardando il posto dove mi trovo. Ma quel quesito viene immediatamente sostituito da un altro. Ossia: che diamine ci faccio io qui? Perché? Insomma, io sto bene... certo, mi sento un po’ – tanto – fiacco, però la stanchezza è mia compagna di viaggio da quando sono idol.
Riesco finalmente a guardarmi attorno. Sono sdraiato in un letto dalle lenzuola candide in una stanza bianca. Mi viene quasi da ridere istericamente, ma sono troppo inebetito persino per quello. Qualcuno però sembra accorgersi dei miei minuscoli movimenti.
“Hyung?”. Mi immobilizzo, per quanto possa effettivamente differire la situazione da prima, e mi irrigidisco.  Dopo qualche momento giro con una fatica davvero eccessiva la testa, gli occhi sgranati. Jungkook ha più o meno la mia stessa identica espressione facciale: bocca leggermente dischiusa, occhi lucidi e sbarrati. Restiamo lì fermi a guardarci, uno più sorpreso dell’altro, io perché non mi sarei mai aspettato di trovarlo vivo e lui... lo stesso? ...presumo.
Provo a chiamarlo, ma la mia voce non risponde, facendomi emettere solo un rantolo soffocato che mi stringe e irrita la gola. Inizio a tossire forte, accartocciandomi leggermente su me stesso e sentendo fitte di dolore in tutto il corpo, oltre all’intorpidimento e ad un lieve mal di testa che prima non avevo notato. Kookie mi riempie in fretta un bicchiere d’acqua e mi da una mano a berlo, appoggiandomi esitante una mano sul capo. Mi sento un po’ impedito, ma accetto l’aiuto, mentre riprendo a respirare correttamente e mi sdraio nuovamente tra i cuscini. Fisso il maknae con gli occhi non del tutto aperto  lo vedo con gli occhi lucidi.
“Hyung... stai bene... sei sveglio...” sussurra. Io continuai a guadarlo, perplesso. No, non sto capendo assolutamente nulla... in teoria, io sono morto, o perlomeno ero morto, e Jungkook pure. Però... il maknae è qui, davanti ai miei occhi e ricambia il mio sguardo. Questo prima che si alzasse di colpo, sorridendo ampiamente. “Vado a chiare gli altri” annuncia e corre fuori dalla stanza urlando. Ho il tempo solo di respirare profondamente un paio di volte prima che un terremoto formato sei ragazzi mi investa. Letteralmente nel caso di qualcuno.
Ci sono davvero tutti, che sorridente, chi commosso, chi incredulo. Ma tutti vivi, ed è l’unica cosa che mi conforta davvero e che mi confonde al tempo stesso. Dopo tutto quello che avevo visto e che avevo creduto... il mio povero cuore ne ha decisamente abbastanza. Silenziosamente, senza che ci possa fare nulla, inizio a piangere, commosso, sì, ma anche provato.
“Jin...? Oddio, che succede? Stai male?” sento chiedere la voce di Namjoon. Riesco solo a scuotere la testa e sorriso, un po’ istericamente, è vero, ma sembra bastare. Tanto c’è anche altra gente che piange a caso, tipo Hobie, che ripete ‘aigoo’ da quando è entrato e V, che in quell’istante mi abbraccia di slancio. Mi trattengo dal dirgli che mi fa male qualunque molecola, in quel momento mi fa piacere ritrovarmi stritolato dal ragazzo, che viene imitato da tutti gli altri in un tempo equivalente a due secondi, più o meno.
Ci vuole un po’ prima che la mia voce collabori nuovamente, e quando la sento di nuovo mia pongo la domanda che mi tartassa da quando mi sono svegliato. “Che è successo?” chiedo, serio, e vedo quanto quelle poche parole bastino a far incupire i volti dei miei compagni. Nei loro occhi vedo il riflesso di un’angoscia passata e passa un po’ prima che qualcuno si decida a prendere la parola.
“Beh... è cominciato tutto qualche giorno fa... un po’ più di una settimana. Era il giorno di un’esibizione. Eri molto pallido e tremavi, inoltre avevi detto che ti girava la testa, o qualcosa del genere. Ovviamente hai aggiunto che non era niente di cui preoccuparci, che eri probabilmente un po’ più stanco del solito” prende infine la parola Yoongi, gli occhi fissi nei miei, mentre gli altri guardano il pavimento. “Ti abbiamo creduto, altro non potevamo fare. L’esibizione è andata bene e poi siamo tornati nel backstage per cambiarci e tornare a dormitorio. Mi ricordo che  stavo scherzando con Hoseok su qualcosa e ti ho visto sbiancare di colpo... ti sei afflosciato a terra e non ti sei più mosso. Eri svenuto. Abbiamo provato a rianimarti, a farti riprendere... ma è stato inutile tu... non ti svegliavi più”. Suga inizia a balbettare e le mani gli tremano, così Hobie prende la parola.
“Abbiamo chiamato l’ambulanza, o comunque qualcuno l’ha fatto, perché stavamo leggermente dando di matto, ecco... Siamo arrivati in ospedale e non ci siamo mossi da qui fino a che non è arrivato il medico a parlarci. E ci ha detto che eri caduto in una specie di coma, comunque uno stato di profonda incoscienza dovuta a un crollo per la stanchezza e lo stress accumulati. Ha aggiunto che ti saresti svegliato relativamente presto, questione di pochi giorni... però ci hai fatto prendere un colpo, davvero hyung...” e si mette la mano sul petto, con un sospiro.
“Mi dispiace... tanto” rispondo, mentre abbasso gli occhi sulle mie mani appoggiate in grembo. Stringo le lenzuola forte tra le dita, in un moto di frustrazione contro me stesso. Una mano però si posa sulle mie ed incontro il volto sorridente di Jimin.
“Non devi scusarti... voglio dire, magari avresti dovuto dircelo che eri stanco, ma non potevi prevedere una situazione del genere... tu come nessuno” mi rassicura, appoggiando il mento al materasso e fissandomi con gli occhi dolci. Sorrido leggermente, più per ringraziarlo che per altro.
In quel preciso momento realizzo una cosa. Jimin ha i capelli neri. Prima non li aveva così. “Perché hai i capelli neri? E tu perché li hai verdi? E, santo cielo, che diamine…?” chiedo, sbattendo le palpebre più del necessario. Mi sono decisamente perso qualcosa: Namjoon con i capelli verdi, V rosso, Suga grigio, Kookie ricciolo, Jimin nero. L’unico che non sembra essere cambiato troppo è J-Hope, che se la ride allegramente. Per poi tornare serio di colpo.
“Hyung... mentre dormivi ti agitavi, mormoravi parole sconnesse e piangevi... eri davvero agitato... che cosa hai visto?” mi chiede, accigliato. È il mio turno di rabbuiarmi, ma inizio ugualmente a raccontare ciò che non è stato altro che un sogno. Un incubo, ad essere precisi. Evito i loro sguardi per tutto il tempo, probabilmente sconvolti. Lascio che le parole defluiscano dalla mia bocca portando con loro tutta l’angoscia provata.
Quando termino, c’è solo il silenzio.
“Non so a cosa fossero dovute quelle immagini... insomma, non è una cosa normale, me ne rendo conto” inizio a farfugliare, messo a disagio.
“Non ti preoccupare di questo hyung, noi siamo solo... ecco... un po’ straniti... la situazione è un po’ inquietante, direi” mi risponde Taehyung.
“Inquietante?” ripeto io, sorpreso dall’uso di quell’aggettivo.
“Sì. Credo che Tae si riferisca al fatto che molte cose che hai sentito dire nel tuo... sogno, le dicevamo anche noi, mentre eravamo qui e ti venivamo a trovare... forse hai percepito la nostra preoccupazione, hai assorbito negatività e la tua testa ha elaborato tutto quello... non lo so, sono un rapper, mica uno studente di medicina!” farfuglia per poi sbottare Namjoon, facendoci ridere e sciogliendo così la tensione venutasi a creare. Risprofondo tra i cuscini con gli occhi socchiusi, ricordandomi solo in questo momento quanto sono stanco.
“Seokjin?”
“È strano: ho dormito fino ad ora, eppure sono ancora stanco” mormoro.
“Probabilmente è più faticoso del previsto risvegliarsi da un improvviso sonnellino” ribatte Yoongi, sorridendo. Io annuisco.
“Riposa, che devi recuperare. Abbiamo un comeback tra poco e devi cambiare colore anche tu” aggiunge Hoseok.
“Vuoi che ti lasciamo in pace hyung?” mi chiede Kookie. Io scuoto leggermente la testa.
“Rimanete pure qui... penso sia meglio...” rispondo a bassa voce, sentendomi un po’ scemo. Ma la sensazione svanisce presto, con Taehyung che sorride e appoggia la guancia sul mio braccio e gli altri che sorridono e prendono a parlare tra loro a bassa voce. Sorrido dolcemente, grato e mi assopisco in fretta. Prima di addormentarmi del tutto, però, sento qualcuno che sussurra qualcosa, ma non capisco chi è. “You can smile as long as we’re together” dice.
Forse è semplicemente e nuovamente la mia immaginazione.
 

I didn’t know how thankful my love for you was
I thought it would stop once it ended
But every day, I’m fixing myself to want you
I think my love will endless continue.
 
I stop time and go back to you
In my book of memories I open yours pages
I am there inside... I am with you.
 
 
 

Angolino nascosto nell'ombra:
 

Oh mio dio ce l'ho fatta sul serio. Non ci posso credere. OMO- la smetto subito.
Salve (?)
Cavolo, è la prima volta che scrivo in questo fandom. Sono la lentezza in persona.
C'ho solo messo qualche mese a scriverla. Più o meno da quando è uscita Run. Però l'ho scritta a mano. E l'ho dovuta copiare. E ci ho messo tanto, troppo. L'ho finita di scrivere a penna proprio in tempo per l'annuncio di Young Forever. E ho iniziato ad imprecare. Per fortuna i tre MV non mi hanno cambiato troppo la trama.
Nella storia, i BTS stanno per combackare con Fire dopo Dope. I Need U, Run e Young Forever sono state solo un sogno di Jin. Non so se si era capito
Allora. Non so bene perché io abbia associato gli MV dei BTS e questa storia in generale a Miracles in December degli EXO. Insomma, la storia non è ambientata in dicembre. O almeno credo. Non lo so, non c'è un tempo preciso, perché dopotutto è tutto un sogno di Jin. Comunque le frasi mi sembravano adatte. Le citazioni le ho messe in inglese per giocare sul significato della parola love, cioè amore/affetto, e quello di you, tu/voi. Cos' ho trasformato una canzone d'amore per una ragazza in una nel quale Jin esprime il suo affetto per i ragazzi, che era seriamente convinto di aver perso. Nei sogni non si è razionali, no?
Almeno, non sempre.
Partiamo dal presupposto che sono abbastanza ignorante in materia 'coma: quando, dove, come e perché'. Infatti ho fatto in modo che i BTS ne capissero quanto me sull'argomento. Sul resto mi sono informata però. Tipo sulle pillole che doveva prendere Hoseok per morire o se era possibile spargere benzina senza mettere la pompa nell'auto. Sì, ho chiesto a mia madre e mia sorella, e vi lascio immaginare le loro facce abbastanza perplesse.
Sono grata a tutti coloro che leggeranno fino in fondo questa one-shot... perché è lunga e ripetitiva. Anche noiosa, probabilmente. Inoltre ho cambiato alcune cose, alterandole, togliendole o aggiungendole, per rendere il tutto più sensato. Ho almeno... l'intento era quello. Mi dispiace, ho fatto del mio meglio. Ah, ci saranno sicuramente errori di battitura e forse qualche svista nel cambio tra presente-passato. Sono abituata a scrivere al passato, per me il presente è un'impresa. Ho messo al passato i fashback e le totali invenzioni di Jin (che  come se fossero flashback anche quelli alla fine) e al presente le cose che lui provava nella stanza bianca e il suo risveglio.
Poi... niente? Sono un disastro nel 'parlare'...
Spero di non avervi annoiato troppo e che vi sia piaciuta anche solo un pochino la storia.
Annyeong ^^
 
 
Aura_
  
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