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Autore: idlersbeatledream    17/05/2016    0 recensioni
Questa fanfic è ispirata ad un videoclip dei Blur, quello di 'To the end', ispirato a sua volta da 'L'Année dernière à Marienbad', un film del 1961. Ma ciò che succede in questa fanfic è qualcosa di diverso, da cui ho preso solo ispirazione e nulla di tutto ciò è davvero accaduto in realtà.
Viene presentata la storia di Gervaise Lacerteux, una ragazza francese che finirà per sconvolgere i piani di Damon e Graham, due ragazzi innamorati ma con problemi alle spalle. Uno di loro due verrà particolarmente colpito dalla ragazza, ma al finale tutto ciò che resterà sarà un ricordo.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Parigi, estate 1994.

Dopo l'uscita di Parklife, tutto ciò di cui quei quattro ragazzi avevano bisogno era una vacanza a Parigi. Biglietto di sola andata.

Una volta giunti nella capitale francese, nulla fu come prima. La Ville Lumière li stregò, finì per accecarli con i bagliori delle sue luci in piena notte e il suo fascino in pieno giorno. Il sole splendeva sempre, anche durante la prima settimana di giugno. L'estate era alle porte.
Ma tutto ciò non nascondeva di certo un lato oscuro, uno strano presentimento all'interno dei loro animi.
Alex sentì subito la mancanza della sua ragazza, e non faceva altro che andare alla ricerca di un telefono. Dave parlava sempre meno. Damon continuava a dire di dover trovare del tempo di organizzarsi per andare al cinema, ma finiva per rimanere incollato davanti il televisore all'interno della sua camera del Grand Hotel.
Al contrario, invece, Graham sentiva il bisogno di evadere da quel tipo di tensione. Perché tutti e quattro quasi non riuscivano a capire più chi fossero. Si erano lasciati travolgere da un senso di smarrimento, perché si erano resi conto di essere più famosi di quanto credessero.
Quello che ci stava soffrendo di più era proprio Damon. Tutti erano sempre così affascinati dalla sua bellezza, dal suo apparente carisma, dal chiarore dei suoi occhi, dalla sua voce celestiale. Ma nessuno mai cercava di capire cosa si stesse celando davvero in quella sua testa piena di capelli biondi. 
Graham era quasi sempre l'unico in grado di comprenderlo, ma sentiva di avere bisogno di spazio. Damon sapeva essere molto irritante, a volte. 
Dopo essere arrivato a Parigi, il biondo aveva cominciato a mostrare un'evidente necessità di isolamento, perché ora che era finalmente in vacanza non avrebbe sopportato ancora tutta quella pressione. Peccato che finì anche a riscuotere il suo nervosismo ai suoi compagni, senza volerlo.
Così, Graham decise di farsi da parte per tutto il giorno. La cosa migliore da fare era trovare il miglior tipo di isolamento per se stesso, in ciò che amava di più di qualsiasi altra cosa: l'arte.
Sì, l'arte in tutte le sue forme.
Ma ora Graham era a Parigi, e non poteva sentire il bisogno di andarsene un po' in giro. 
Dopo aver preso un drink in uno dei tanti cafè della zona, si recò dritto al museo del Louvre per circondarsi nella contemplazione di infinite opere d'arte.
Sarebbe stato ore ed ore lì dentro, in compagnia di dipinti, sculture. Proprio insieme ai suoi cosiddetti amici, i più grandi artisti. Leonardo Da Vinci, Jacques-Louis David, Canova, e tanti altri.
Quando uscì dal museo, il moro si sentì piacevolmente stordito. Come se fosse appena uscito da un trip, ma in senso del tutto positivo. Si sentiva rinato, più rilassato. L'arte era una consolazione, una fuga continua e una ricerca verso la bellezza suprema.
Poco prima di uscire, Graham non era riuscito a staccare gli occhi di dosso da una ragazza. Aveva dei capelli nerissimi, lunghi, e portava un cappello. Era molto elegante, un po' misteriosa. Sapeva di essere osservata, ma si limitò a ricambiare qualche sguardo per poi andarsene.
Graham giurò a se stesso di non aver mai visto una ragazza così prima d'ora nei suoi venticinque anni di vita. Da un lato, sperava di vederla ancora. Così, di sfuggita.
Ma da un altro lato, forse, credeva che sarebbe stato meglio di no. Perché se a Damon fosse successo lo stesso non sarebbe stato poi così contento. Sentirsi attratti da una ragazza in quelle circostante era fuori discussione.
Damon amava Graham e lui, a sua volta, lo amava. Ma non sapevano fino a che punto quel loro legame così forte, inspiegabile, e anche piuttosto strano li avrebbe portati. Non era mai stato un amore dichiarato, chiarito. Veniva fuori nei momenti meno opportuni, creando una serie di problemi che all'apparenza sembravano non esserci, dietro baci e abbracci.
L'uno era geloso dell'altro, ma non l'avrebbero ammesso.

Ora erano tutti a Parigi. Lì, nella città dell'amore. Dove tutto si sarebbe potuto trasformare in un'illusione, fino alla tentazione di lasciarsi andare dai piaceri edonistici che si avvertivano nell'aria.

Poco dopo, Graham dovette ricredersi.

Era fuori il museo da tempo ormai, diretto verso l'hotel. All'improvviso una macchina cominciò ad avvicinarsi a lui attraverso un cancello. Graham se ne accorse, e lentamente quella macchina finì per rallentare fino a fermarsi. Da lì uscì un uomo di mezza età, con addosso uno smoking e un cappello. 
Quell'uomo aveva un aspetto diffidente. Sembrava dotato di una particolare alienazione robotica.
Uno sguardo sbieco, distante. Particolarmente misterioso, tanto da susciatare paura. 
Graham ne rimase quasi impaurito, tanto che era tentato ad indietreggiare. L'uomo, invece, rimase immobile alcuni secondi davanti le sbarre di quell'enorme cancello. Fissava Graham in viso, e in quei secondi di terribile tensione il ragazzo potè rendersi conto della presenza di altre figure all'interno di quella macchina, tra cui quella ragazza che aveva visto in precedenza.
Sì, proprio lei. Ma stavolta portava gli occhiali e aveva un foulard che le copriva il volto per metà. 
Cosa significava tutto questo? Graham necessitava spiegazioni, ma sarebbe stato troppo intimorito nel dire qualcosa. Voleva fuggire, scappare via. Si sentiva in pericolo, avvertiva attorno a sé talmente tanta tensione da impedirgli di prevedere che gli stesse accadendo qualcosa di brutto. 
Quell'uomo non sembrava affatto amichevole, e quelle occhiate erano minacciose. Sembravano volessero attaccarlo.
Ma quell'istante che sembrò durare un'eternità cessò quando di colpo quell'uomo oltrepassò le sbarre del cancello con un braccio, allungando una bustina contenente una lettera verso il ragazzo. Graham continuava a restare immobile, stupefatto.
Perché voleva dare quella lettera proprio a lui? Come facevano a conoscerlo così bene? Quei visi erano totalmente sconosciuti, così sospetti. Sperava solo che tutto ciò avesse a che fare con la sua carriera e nulla di esterno. Perché era impossibile essere conosciuto da gente del genere, era appena arrivato in città.
Così, senza farsi prendere ulteriormente dal panico, Graham avvicinò lentamente la mano verso quella lettera, prendendone possesso.
Successivamente a quel gesto, l'uomo indietreggiò subito e si voltò, indietreggiando a passo veloce. Entrò in macchina, mise in moto, e scomparì.
Le mani di Graham quasi tremavano, in quel momento. Era rimasto solo, con attorno gente che non conosceva. Ma che lì, tra la folla di gente che andava e veniva, di persone che lo conoscevano ce n'erano fin troppe, se dovevano capitargli degli incontri simili.
Era indeciso se aprire subito quella lettera o no. Era ancora sconvolto.
Alla fine, decise che la cosa migliore da fare era tornare dritto in hotel. Era stanco, ma agitato. Aveva passato praticamente l'intera giornata immerso nell'arte, nel museo. Ma ora doveva fare i conti con la realtà, e non era disposto ad aprire quella lettera da solo.

Quando tornò in hotel, tutto gli sembrò diverso, più rassicurante. Sapeva che Damon lo avrebbe aiutato a capire, ad affrontare la situazione.
Tutto stava nell'avere coraggio ad aprire quella dannata lettera.

Decise di chiamare Damon quella sera stessa, trascinandolo in camera con sé. Gli porse quella lettera, chiedendogli di essere lui ad aprirla. Il biondo non ci pensò sue volte a farlo. In fondo, non aveva vissuto gli incontri di Graham, e non ne era per niente impaurito. 
Una volta aperta, cominciò a leggerla.

'La famiglia Lacerteux dichiara Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree ufficialmente invitati alla serata di gala che si terrà sabato 10 giugno all'interno della loro villa presso l'indirizzo sottostante. E' obbligatorio indossare abiti formali. Si garatisce una serata di pieno divertimento e relax. Saluti, vi aspettiamo.
G.'

«Beh? Cosa c'era di così strano? E' un invito galante. Voglio andarci.» disse Damon.

«N-no, Damon io...non credo sia il caso.» disse Graham, cominciando a mordersi nervosamente un'unghia.

Probabilmente avrebbe rivisto quella ragazza, e solo il pensiero lo rendeva nervoso. Ma non ce l'avrebbe mai fatta ad ammetterlo davanti a Damon. Davvero non se la sentiva, non ci riusciva. 
Che poi, cosa significava quella 'G'? Era l'iniziale di un nome? Era comunque un indizio che non avrebbe risolto nessun mistero.

«Perché no? Avanti, Graham...siamo a Parigi. Vogliamo divertirci o no?» 

«...In che senso?»

«Nel senso di mettere da parte stupidi pregiudizi. Ti concederò un po' di libertà, se me la concederai anche tu.»

«Non puoi parlare sul serio...» affermò Graham, sentendosi confuso.
Damon era il suo ragazzo. Non avrebbe di certo sopportato la vista di lui che ci provava con qualcun altro. Gli si sarebbe spezzato il cuore.

«Sì, invece. Sono stufo, stanco e annoiato. Non farà male a nessuno, soprattutto a te.»

«Sei impazzito? Damon, ti prego, no...» insistette Graham, quasi in preda al panico. Ultimamente avere a che fare con Damon sembrava impossibile. Era sempre così testardo, duro, e più cinico del solito. Da un lato, ne era da sempre stato affascinato, perché quello era il suo stesso modo di essere. Ma da quando i Blur avevano raggiunto il successo e la fama, Damon era quello che ne aveva risentito di più, e a momenti Damon non gli sembrava più quello di una volta.

Graham cercò di stringergli una mano, e Damon lo abbracciò. Inevitabilmente. 

«Hey, andrà tutto bene. Non succederà nulla di troppo grave, okay? Secondo me sei solo sconvolto per quel tipo che hai incontrato...» disse il biondo, facendogli poi una leggera carezza fra i capelli. «Ora vado a dirlo ai ragazzi.»

Detto ciò, Damon si alzò dal letto e andò ad informare Alex e Dave dell'invito, che lo accettarono ma senza troppo entusiamo. 
Lasciò Graham lì seduto, ancora piuttosto giù di corda. Non si sentiva consolato per niente da quelle parole, e aveva l'amaro in bocca. Davvero non aveva un buon presentimento. 
Continuava ad ammettere dentro se stesso che andare lì avrebbe portato solo che problemi. Damon non se ne sarebbe mai potuto rendere conto perché non aveva guardato quell'uomo in faccia. Nemmeno Alex, nemmeno Dave. Solo lui.
Non gli restava altro da fare che tenersi tutto dentro come era abituato a fare, ma senza impedire ad un'inspiegabile sensazione di rabbia crescere dentro di sé fino a scoppiare.
Tutto ciò non tardò a causare una certa tensione fra lui e Damon. Soprattutto quando tutti si recarono nei negozi di abiti formali lungo gli Champs Elysées per comprare il proprio smoking. 

Graham era sempre irrequieto e non riusciva a mostrare un minimo di entusiasmo. Cominciò a diventare più cupo, ancora più chiuso del solito. 
Ma Damon decise di non affrontare la faccenda. Non voleva litigare, non voleva problemi. Erano in vacanza.
Non avrebbe voluto nemmeno mettergli pressione, ma Graham doveva continuare ad essere costretto a sopportare la testardaggine di Damon. Proprio come aveva sempre fatto.
In fondo, il dinamismo tra i loro caratteri era sempre così strano. Quasi incomprensibile.
Erano così simili e così opposti allo stesso tempo.

Sarebbero dovuti presentarsi lì alle otto. Il taxi raggiunse quella villa fuori la città. Si trovava proprio in mezzo al verde, isolata. Ma incredibilmente vistosa.
Sembrava la reggia di Versailles. 
Il portone era preceduto da un lungo viale e delle sculture imponenti che lo circondavano. Già dall'entrata, la villa non nascondeva di certo un gusto barocco. 
Quando un maggiordomo aprì loro la porta, l'atmosfera sembrò quasi surreale. Qualcosa di irreale, come se si fossero catapultati indietro nel tempo. 
Da un giradischi proveniva della musica francese; in quel momento la voce di Edith Piaf circondava lo spazio, riempiendolo e zittendo i presenti. C'era chi ballava un lento, chi beveva, chi si scambiava degli sguardi. Ma il tutto avveniva in silenzio.
La maggior parte dei presenti erano tutti uomini di mezza età, vestiti eleganti, le loro mogli, e solo i quattro ragazzi inglesi erano le presenze più giovani. 
Tutti sembravano alienati e disinteressati. Gli sguardi vuoti, ma attenti sempre a qualcosa. Come se stessero sul punto di dire o fare qualcosa, ma rimanendo nella loro contemplazione della realtà.
Sembrava di essere in un film di Hitchcock. 

All'improvviso, quando l'arrivo degli invitati più giovani venne comunicato, davanti agli occhi dei quattro ragazzi apparì la figura di colei che li stava aspettando.
Era lei.
Sì, proprio lei. Quella ragazza che aveva incontrato Graham.

Gervaise Lacerteux credeva che non sarebbero arrivati così puntuali. Si dimostrò apparentemente sorpresa, ma non perché lo fosse davvero.
Spalancò le labbra colorate da quel rossetto rosso quasi accecante, insieme ai suoi occhi, che sembrarono quasi brillare. Era stato solo un momento di breve stupore, perché non aveva escluso la possibilità di rivedere ancora quel ragazzo da cui era stata osservata. Quell'adorabile ragazzo con addosso quel paio di occhiali, dall'aspetto chiuso ed insicuro.

Gervaise era la più bella di tutte. La più bella di tutti i presenti, più bella di chiunque altro.
Avrebbe voluto avere qualcuno da stregare, quella notte. Appartenere a qualcuno.
Perché lei lo sapeva, sapeva che uno di quei quattro ragazzi inglesi avrebbe reso la sua serata meno noiosa.
Nel suo bovarismo, Gervaise era riuscita a scappare dalla noia della sua routine e soprattutto dalle solite feste organizzate da suo padre, in preda dall'affermazione e dal potere.
Suo padre, come tanti, era un mafioso. In cerca di prede.
Ma in fondo cosa avrebbe potuto saperne Gervaise? Di certo sapeva che suo padre era un uomo di malaffare. E come tutti gli uomini e donne di malaffare, l'amore non era concesso. Sarebbe stato un tradimento, qualcosa d'impossibile. La missione, il potere, il denaro. Quelli erano i 'valori' di famiglia. 

Ma Gervaise non voleva cadere nella trappola della crudeltà. Gli affari non erano per lei. Avrebbe preferito abbandonarsi ai propri istinti suicidi. Anche se neanche pensieri simili avrebbero potuto scuotere violentemente la sua mente quanto l'idea di restare in vita, e sognare. 
Aspettare l'amore. Trovare qualcuno che l'avrebbe portata via da un mondo brutale per potersi rifugiare in un altro, fatto solo e soltanto di sensazioni, di profumi, di baci, di poesie e d'amore. Soprattutto d'amore.

Graham fu indubbiamente il primo a notarla. Era lei, era sicuro che era lei. Il suo nome iniziava per 'G', proprio come il suo. Era un dato di fatto. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi a lei, stringerle i fianchi, sussurrarle delle parole dolci. Poi, magari, le avrebbe chiesto quale fosse il suo nome, facendo finta di non immaginarlo per nulla.
E poi, l'avrebbe baciata. Sì, le avrebbe dato uno di quei baci alla francese che forse non avrebbe mai dato a nessun altra ragazza. 
E poi, l'avrebbe fatta sua. 

Ma non poteva. Come avrebbe potuto? La timidezza lo frenava. 
Perché quella era una ragazza quasi aristocratica, sicuramente non disponibile alle avances di uno straniero che a giorni sarebbe tornato in Inghilterra.

Alex e Dave scelsero le loro rispettive ragazze. Un incontro tranquillo, quasi naturale. 
L'unico impedimento era la lingua; nessuno dei presenti sembrava essere capace di parlare correttamente l'inglese.

In quella circostanza, il più sicuro e quello con in mano la faccenda era proprio Damon. Stranamente, magari. 
Ma il biondo si lasciò piacevolmente stregare proprio da Gervaise. La guardò da lontano, contemplando la sua bellezza come se fosse proprio lei la ragazza perfetta.
Quei capelli nerissimi, raccolti in uno chignon. Quello sguardo innocente, puro. La pelle chiarissima, con quelle labbra rosse e carnose che andavano in contrasto con tutto il resto.
Damon non avrebbe mai potuto sapere dell'attrazione di Graham nei confronti della ragazza, ancora più forte e struggente della sua.

Damon cominciò a seguire Gervaise. Le lanciava delle brevi occhiate, e lei cercava di rispondergli, ancora incerta.
Ma poi, accelerò il passo, spaventata. Avrebbe desiderato un corteggiatore, ma quando tutto ciò sembrò divenire realtà, quasi finì per farla sentire spaesata. 
Il suo inconscio stata egoisticamente prendendo il sopravvento su di lei. Perché in realtà non desiderava nessun altro se non Graham. Ecco perché continuava a scappare da Damon.

Riuscì a farsi stringere, anche a ballare un lento. Ma Damon non riuscì mai nemmeno a baciarla. 
Poco dopo, si prestò a dirle qualcosa. Ma era così su di giri. Temeva di aver bevuto troppo. E così, in preda da una romantica follia, quasi si atteggiò come se avesse voluto prendere definitivamente possesso di lei, ma senza riuscire più a rivolgerle parole che lei non avrebbe neppure compreso.
Perché il fascino di Gervaise era una tortura, una trappola.
Una dote che lei nemmeno immaginava di possedere. In fondo, Gervaise era così inguenua.
Ma anche Damon finì per esserlo.
Gervaise scappò da lui, cominciando a correre lungo l'ingresso che precedeva la grande sala.

All'improvviso, la figura di Graham le si presentò davanti. Un violento brivido percosse i corpi dei due ragazzi, quasi fino a sconvolgerli per un breve istante che sembrò durare molto di più.
In quella circostanza, Graham indietreggiò. Come Damon, temeva di aver bevuto troppo. Anzi, anche di più. Barcollava, la testa gli girava. Ma allo stesso tempo ancora provava rabbia dentro di sé. Ancora non era abbastanza ubriaco.
Avrebbe potuto combinarne un'altra delle sue.

L'incontro culminante negli attimi restanti fu quello tra Damon e Graham, proprio in una delle tante stanze riservati agli ospiti. In quel momento, la stanza era vuota. Ci sarebbero stati solo loro due, insieme alle loro paranoie, le loro debolezze, i loro istinti più profondi, le loro paure, i loro sentimenti, e anche le loro rivalità.

Tutte attorniate da parole sporche, dovute al fatto di aver bevuto troppo. Ma non abbastanza, ancora.
C'era ancora la possibiltà per uno di loro di sfociare nella pazzia più lucida, più sincera. Più letale.

«Cosa ci sta succedendo?»  gli domandò Damon.

«Non credo di essere in grado di spiegarlo, Damon. E' così, punto e basta. disse Graham, guardandolo dritto negli occhi.

«Io e te, Graham. Eravamo solo io e te. Poi cos'è successo?»

«Non siamo mai stati io e te soli. Mai stati. Questo era ciò che credevi tu, nella tua testa.» 

«Perché mai? Cosa insinui, adesso?»

«C'è stato sempre il mondo, tutta la gente attorno. Dalle ragazzine alle tue idee, alle tue illusioni...e poi io. Quasi sembra scontato per te che io possa rimanere sempre al tuo fianco, vero?» lo rimproverò Graham, ancora con quella rabbia dentro di sé.

«Non ho voglia di vederti così. Sinceramente, me ne vado.» disse Damon, bruscamente, 
freddamente, stando sul punto di lasciare la stanza.

«E' un dato di fatto.» pronunciò Graham, quasi solennemente. Sono segnato, Damon.»

«Da cosa? Sentiamo.»

«A restarti accanto.»

«Non credo. Prima o poi te ne andrai.»

«Non significa niente. Ritornerei.»

«Allora sei consapevole di poterti allontanare da me. Come se fosse qualcosa che non riuscisse a farmi del male...»

«Il punto è, Damon, che sei tu quello che finisce per andarsene e tornare di continuo. Questo è il tuo modo di essere. Tu non mi appartieni e non apparterrai mai a nessuno.»

«E tu, invece?»

«Mi sento vulnerabile. Mi sento impazzire. Ho paura di non riuscire più a sopportare tutto questo.»

«Ah, sì? E sarebbe per causa mia?»

«E' un insieme di cose. Ciò che mi rincresce è che forse non avrò mai la possibilità di esprimermi affinché tu possa capire.»

«Cazzate, Graham. Sei ubriaco, smettila.» disse Damon, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo.

«Sì, sarò ubriaco da fare schifo, ma so quello che dico. Guarda come abbiamo ridotto le nostre vite per arrivare fin dove siamo arrivati. Io non ci volevo venire qui. Ma ho dovuto farlo perché sono famoso e non vorrei esserlo. L'ho fatto per te, faccio tutto per far contento te. Quasi mi sembra di dover vivere per fare contento te.»

A quelle parole, Damon non riuscì quasi a rispondere. Non sapeva cosa dire. Sapeva già da molto prima la situazione piuttosto precaria di Graham a livello emotivo, ma in quel momento aveva raggiunto il limite. Quasi ebbe la sensazione come se Graham stesse davvero impazzendo. Perché era talmente tanto sensibile, vulnerabile, anche debole da crollare in situazioni come quelle. 
Poco dopo, Damon fu costretto ad afferrarlo per le spalle.

«Non dirlo, per favore. Tu sei il mio migliore amico, mio fratello, il mio amante, il mio compagno e il mio...il mio amore, Graham. Tu sei il mio amore e lo sarai per sempre.»

«E tu non dire queste cose, Damon. Lo sappiamo entrambi che non è così, non è questa la realtà. E' la vita, le nostre vite che sembrano non coincidere per tutto questo. Perché siamo destinati a fare ciò che facciamo per gli altri, anche a starci male, perché se non fosse così forse non saremmo in grado di fare tutto quello che facciamo, creare ciò che creiamo.»

«...Parole al vento, ancora, okay? Domani quando ci passerà la sbronza non ricorderemo più un cazzo e questa notte sarà come se non l'avessimo mai vissuta. Potrà anche essere vero ciò che dici, ma non mi sembra comunque giustificata questa volontà di rinunciare alla tua vita, Graham.»

Il moro cominciò a scuotere la testa, mentre il biondo cercava di abbracciarlo. Non rispondeva, ma ardeva dentro di una tristezza che avrebbe scacciato via solo sfogando quella rabbia dentro di sé, che forse sperava l'avrebbe ripulito da tutti quei suoi demoni.

«Lasciami stare.» insistette Graham, in preda dall'ansia di lasciarsi uscire fuori di bocca ancora parole fin troppo sincere, che avrebbero ferito Damon.

«Tu non capisci...io e te, col tempo, ci siamo innamorati terribilmente. All'inizio era tutto uno scherzo, ricordi? Poi ci è successo tutto questo, abbiamo anche una band. Insieme. Abbiamo realizzato tutti i nostri sogni, e magari ora da sognare non abbiamo quasi più nulla. Più è passato il tempo e più tu ti sei sentito triste, fuori da tutto questo. Come non comprenderti? Sei speciale, sei sensibile. Tu sei arte, Graham.» gli disse Damon, guardandolo negli occhi di nuovo.

Graham rimase scosso da quelle parole. Impiegò alcuni secondi prima di mormorare qualcosa.

«Io e te, eravamo io e te e lo siamo stati sempre. Ma magari niente è mai cominciato e quindi mai nulla finirà, forse è questo...E magari nulla di tutto questo avrà una fine.»

«Non credo che questa notte possa mai cambiare qualcosa. Nemmeno se ti cedo quella ragazza...ho notato il modo in cui la guardi, sai?»

«Ah, lei...credo che il suo nome inizi con G.»

«Non ci tengo a sapere il motivo di questo invito, del perché siamo qui. Ma puoi fare ciò che vuoi, direi che ne hai quasi il diritto. Ho avuto tante ragazze io, quindi perché non puoi tu? Hai avuto ragione prima, non sarò mai in grado di appartenere interamente a qualcuno. Ma ricorda, non lo sarai mai neanche tu. Ma è un peccato, sai? Siamo stati noi stessi a rovinare tutto e nessun altro. Ci saremmo potuti essere solo io e te, fino alla fine.» disse Damon, con assoluta calma e una scioltezza quasi invidiabile, tipica del suo essere, per poi voltarsi e andare via. 

Graham era rimasto da solo, di nuovo.

Dopo circa mezz'ora, il brusco suono di alcuni spari arrivò alle sue orecchie; erano Alex e Dave che cercavano di fare centro con il proiettile delle pistole che avevano trovato su un tavolo. Erano a disposizione lì chissà per quale motivo. Anche loro erano ubriachi, e lo stavano prendendo come un divertimento legale. Ma non lo era.
Tantomeno lo erano le intenzioni di Monsieur Lacerteux per cercare di seminare zizzania fra di loro, sconvolgerli, fino a portarli al punto di farli cadere in una piena e manipolabile confusione con lo scopo di mettere mano ai loro soldi in chissà quale modo.

Ma gli spari più numerosi venivano dalla pistola quasi infuriata di Damon. Era un modo per sfogarsi dopo quella tensione emotiva precedente.

Graham, invece, decise di sfogarsi in un altro modo. 
Aveva con sé la sua pistola, ma necessitava di più. Doveva andare da lei, da Gervaise.

Quando la raggiunse, Graham venne colto da un'ennesima sensazione di rabbia improvvisa che continuava ancora a nascondere attraverso un atteggiamento piuttosto contenuto. Perché non avrebbe permesso a Gervaise di scappare via da lui, dopo avergli così confuso le idee e infuocato i sentimenti.

La condusse fino in una delle tante camere da letto, e da lì la ragazza non avrebbe potuto esprimersi e dire nulla. L'uno non conosceva la lingua dell'altro, quindi non ci sarebbe potuto essere nessun tipo di comunicazione, se non attraverso gesti, sguardi.

Ma Gervaise era confusa, quasi spaventata. Non conosceva le intenzioni di Graham e le sembrava così miserioso, cupo, irrequieto. Sarebbe stato probabilmente capace di fare qualsiasi cosa.

Anche capace di farle del male.

L'istinto di Graham oscillava tra l'attrazione verso di lei e il desiderio di scacciarla via. Quella rabbia era per proteggere inconsciamente se stesso. Non avrebbe di certo sopportato di ritrovarsi col cuore spezzato ancora.

Le puntò la pistola che aveva tra le mani, gettandola in uno stato di disperazione. La ragazza avrebbe voluto urlare, scappare, ma sembrava non esserne capace. Era quasi paralizzata.
Lui non sapeva cosa stesse facendo, se non seminare rabbia e violenza dove poteva, seppure inconsciamente.

Era sul punto di premere il grilletto. Ma non lo avrebbe fatto.
Quel briciolo di sanità mentale che gli restava glielo stava lentamente impedendo, fino a spingerlo ad abbassare la pistola.
Finì per lasciarla cadere a terra, e il rumore della pistola sul pavimento mise fine a quell'interminabile momento di tensione tra i due.

Non avrebbe potuto mai assassinare qualcuno. Soprattutto la ragazza che desiderava. 
Ma che voleva talmente tanto in tutti i sensi da spingerlo ad avere istinti simili. Gervaise era ancora terrorizzata.

Graham si avvicinò a lei, spinto dalla voglia di stringerla a sé. Malgrado la ragazza cercasse di allontanarsi e dimenarsi, lui riuscì a baciarla.
La strinse a sé il più che poteva, baciandola ancora, senza dirle nulla. Non avrebbe nemmeno potuto parlarle, dirle ciò che provava. Lei non avrebbe capito. Ma in quelle circostanze le parole non servivano. 
Tra i baci e le carezze, i due ragazzi finirono per spogliarsi e fare l'amore per tutta la notte proprio lì, sul letto di quella stanza. Inutili sarebbero stati i tentativi di Gervaise per cercare di comprendere cosa le stesse succedendo, perché nemmeno riusciva a capire perché si stesse innamorando di lui così tanto. Si lasciò andare, si strinse a lui e restò a sussurrargli parole d'amore in francese, perché era tutto ciò che le restava da fare. Lì, sotto di lui, sospirando, gemendo fra i baci passionali che Graham continuava a darle.

'Jusqu'à la fin, en plein soleil, en plein amour...'
Sussurrava Gervaise, proprio quando l'alba era alle porte. 

Sì, si sarebbero potuti amare fino alle fine, anche per sempre. Ma qualcosa sarebbe finito per andare storto.
Quella stessa mattina, Graham se ne sarebbe andato. Magari non avrebbe potuto più vederlo mai più.
E tutto sarebbe andato distrutto, in pieno caos. Proprio come Graham aveva sconvolto i sentimenti di Damon.

Erano giovani, tutti innamorati. Piacevolmente sconvolti da quel caos di emozioni confuse, parole sporche e sentimenti devastanti.

Sembrava che avrebbero potuto continuare a farlo fino alla fine.


   
 
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