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Autore: NorthStar    18/05/2016    9 recensioni
La prima volta che la vedi hai l’impressione di averla già vista.
E’ già successo, innumerevoli volte, di imbatterti di nuovo con gente che hai conosciuto in giro per il sud est asiatico.
C’è una strana tendenza a ritrovarsi continuamente anche a distanza di mesi, come con quella Monique che continuavi a incontrare ovunque andassi e quasi pensavi fosse un segno del destino.
Ti sbagliavi, perché questo lo è.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ragazze/i, non temete, A Lexark story NON è abbandonata.

Devo solo togliermi dalla testa questa storia prima che diventi pazza.

 

Non so se saranno due o tre parti, vedremo.

Spero davvero tanto che vi piaccia, erano anni che non mi succedeva di dover a tutti i costi scrivere una storia sorta dal nulla nella mia testa.


Insomma, buona lettura e non dimenticate che si tratta di un AU ambientata ai nostri giorni.

Northstar.

 

______________________________________________________________________________________

 

 

 

La prima volta che la vedi hai l’impressione di averla già vista.

 

E’ già successo, innumerevoli volte, di imbatterti di nuovo con gente che hai conosciuto in giro per il sud est asiatico.

C’è una strana tendenza a ritrovarsi continuamente, anche a distanza di mesi, come con quella Monique che continuavi a incontrare ovunque andassi e quasi pensavi fosse un segno del destino.


Ti sbagliavi, perché questo lo è.

 

Stai inseguendo il tuo cappello, volato via con un colpo di vento, che rotola inarrestabile tra mille e mille gambe lungo la strada.

Non riesci a smettere di ridere perché, per qualche strano motivo, continui ad immaginare come possano vederti dall’esterno e sai esattamente quanto appari ridicola agli occhi della gente.


Una goffa ragazza bionda che ride inseguendo un cappello.

Non riesci a fermarti e, sinceramente, non ti interessa.


Finalmente il tuo cappello si ferma, grazie alle mani veloci di un bambino che ride, divertito, come te.

Lo ringrazi e gli regali uno dei tuoi braccialetti.

Ed è in quel momento che succede.

 

Alzi gli occhi e nella notte affollata di Denpasar riesci appena a cogliere il suo sguardo.

Ma la vedi, ed è già un miracolo.


Tra la gente affaccendata, le nuvole di fumo dolce delle sigarette balinesi e il vapore di mille cucine mobili per la strada.

Vedi Lei.

E’ un istante, è un lampo, è tutto quello di cui hai bisogno.

 

Cominci a dirti che non puoi averla già vista, semplicemente perché… Beh… ti ricorderesti di lei.
Ne sei sicura.

 

Cerchi di seguirla, di farti strada fra la folla, ma come la gente si dirada e si avvicinano le prime case di Lei non c’è più traccia.

Cammini avanti e indietro, sulle punte dei piedi per guardare oltre la coltre di turisti.

Cammini per almeno venti minuti, ma Lei non c’è più.

 

Ti siedi su un marciapiede e sbuffi.

Chissà.


Forse dopotutto non era destino.

 

 

La seconda volta che la vedi non può sfuggirti, pensi.

 

E’ un afosissimo tardo pomeriggio sulla spiaggia di Seminiyak e le nuvole minacciose hanno fatto fuggire la maggior parte dei turisti.

E’ seduta sulla sabbia, guarda concentrata l’orizzonte disegnato dalle onde.

E’ imbronciata.

Esattamente come l’ultima volta che l’hai vista.

Gli occhiali le nascondono gli occhi e una canotta verde copre il costume che indossa.

I capelli, sciolti, ondeggiano al vento.

Lo stesso vento che sfoglia un libro poggiato al suo fianco.

 

Stavolta non può sfuggirti.

 

Prendi un lungo respiro, lasci lo zaino sotto il tuo ombrello di vimini, e ti avvicini.

 

“Ciao.” Cominci con un sorriso.

 

Alza il volto verso di te e devi prendere l’ennesimo, profondo, respiro.

 

Ti guarda per qualche istante, poi mormora un “Ciao.”.

 

“Ti dispiace se- se mi siedo qui?”

“Prego.” Risponde semplicemente, facendo cenno di accomodarti al suo fianco.

Ma non sposta il libro.

Lo lascia fra di voi, come una sorta di barriera.

 

Resti in silenzio per diversi minuti.

Non sai cosa dire e non vuoi dire qualcosa di banale e passare subito per l’idiota che non sei.

Poi realizzi.

 

Non vi siete presentate.

 

“Mi spiace, non mi sono nemmeno presentata.” Cominci e ti guarda con quell’espressione impassibile che hai tutte le intenzioni di toglierle dal volto “Clarke Griffin.”.

“Lexa.” Replica subito dopo, tornando a guardare il mare.

 

Di nuovo, rispetti il suo silenzio.

L’occhio ti cade sul libro aperto.


E’ una lingua che sicuramente non conosci.

Pieghi la testa per cercare di leggere qualche parola e, prima che possa afferrare di quale lingua si tratti Lexa ti parla.

“E’ latino.”

“Latino?!” replichi stupefatta.

“Latino.” Ripete.

“Oh.” sospiri “Wow…”.

La guardi incredula perché, insomma, non è da tutti conoscere una lingua morta, figuriamoci leggerla come fosse nulla…

“Hai studiato… latino?” domandi curiosa.

“No.”

“Hai imparato da sola?”

“No.”

La guardi confusa.

Si volta e con l’espressione più seria che tu abbia mai visto, dice “Guardo soltanto le figure”.

Afferri il libro e scorri velocemente le pagine prima di osservare “Non ci sono figure.”.

Non risponde, ma noti che comincia a far fatica a mantenere quell’espressione riflessiva e distaccata.

“Mi prendi in giro.”

“Chiaramente.” Replica accennando un sorriso, poi prende il libro e ti fa vedere “C’è la traduzione a fine testo.”.

Prende la sua penna e scarabocchia qualcosa fra le pagine, mentre leggi lentamente il titolo del libro.

“De brevitate vitae…”

“A proposito della brevità della vita.” Traduce per te, poggiando nuovamente il libro fra di voi.

“Wow… sembra… uhm… allegro…”

“Ti sorprenderebbe, invece…” risponde sorridendo.

“Cosa ci fai qui, a Bali, a leggere un libro latino sulla brevità della vita?”

“Cosa ci fai qui, a Bali, a chiedermi di un libro latino sulla brevità della vita?”

 

Stai per rispondere quando un tuono fa letteralmente tremare la terra e, qualche secondo dopo, la pioggia comincia a cadere a goccioloni, fitti e pesanti.

La vedi raccogliere in fretta e furia le sue cose e pensi che il tuo zaino è sotto un ombrello di vimini che ripara a malapena dal sole.

Ti alzi e corri a recuperarlo cercando di non perderla di vista.

Ma non è sufficiente.

Come afferri il tuo zaino e chiudi l’ombrello, di nuovo, di lei non c’è traccia.

 

O forse sì.

 

Sorridi più di quanto dovresti quando vedi il suo libro conficcato in malo modo nella sabbia.

Nella fretta, deve esserle caduto.

 

 

Quella sera, nella tua minuscola stanzetta in affitto, separi pazientemente pagina per pagina con dei bastoncini.

Non puoi restituire un libro rovinato.

 

 

 

Passano un paio di giorni.

Ovunque vai ti guardi attorno.

Lo fai istintivamente.


Ti fermi a dipingere ai piedi di un tempio.

Un occhio sempre sui pennelli (le scimmie, hai imparato, li adorano per qualche misterioso motivo e in un'ora ne hai già persi due), l’altro sui passanti.

Dev’esserci la minuscola probabilità di incontrarla.

 

Hai quasi finito il disegno del tempio quando ti sembra di vederla tra la gente.

Ti alzi di getto e dimentichi degli acquerelli in equilibrio sulle tue ginocchia che finiscono diretti sul tuo preziosissimo foglio di cotone artistico.

Spalanchi gli occhi di fronte al caos che hai combinato e ti sfugge un poco delicato “Merda!”, che fa voltare un gruppo di turisti curiosi.

 

“E’ più bello così.”

Senti alle tue spalle.

E’ una voce che conosci e che hai risentito mille volte nella tua testa.

E’ lei.

 

“Dici?” replichi prima ancora di voltarti.

“Mmhmh.  Ora ha qualcosa di vero, di vissuto.”

“A me sembra solo un bel casino.” Rispondi, e ti volti.

“Che c’è di male in un bel casino?”


E seduta comodamente su un muretto.

Il suo zaino poggiato lì per terra, la macchina fotografica al collo.

Chissà da quanto è lì.


“Da quanto tempo sei lì a guardare?”

“Chi ti dice stessi guardando te?  Il panorama è mozzafiato.”

La guardi e sollevi le sopracciglia.

“Mi sono seduta quando la scimmia ti ha portato via il pennello. Il primo pennello.”

“Sei li da più di due ore?!”

“Si. Come ho detto, il panorama è mozzafiato.”

Non rispondi, ma ti sfugge un sorriso.

“Quindi credi che dovrei lasciarlo così?” domandi indicando il tuo disegno.

“Indubbiamente.”

 

Le ti siedi vicino, sul muretto.

Non ti guarda, continua a guardare dritta davanti a sé non sai se il tuo acquerello o il tempio alle sue spalle.

 

Restate in silenzio per diversi minuti.

E’ strano come questo silenzio fra voi non sia mai imbarazzante, anzi.

Ha qualcosa di stranamente calmante.

 

La vedi guardare l’orologio, poi fa per alzarsi.

 

“E’ stato bello rivederti. Ora devo andare.” Replica raccogliendo velocemente le sue cose.


Resti per un attimo basita e non sai cosa dire, poi ti colpisce un fatto.

 

“Ho qualcosa di tuo, lo sai?” cominci.

“Davvero?” si ferma, ma senza girarsi.

“Si.”

“Si tratta per caso del mio libro?” domanda e si volta a guardarti.

“Si.”

“Lo hai letto?”

“No.”

“Beh, avresti dovuto. Posso riaverlo?”

“Dipende…” cominci.

“Ah si? Da cosa?”

“Vieni a cena con me.”

“E’ un po’ vaga come proposta…”

“Domani sera, per cena. Ci vediamo all’entrata del Potato Head.”

“Seriamente?” replica scettica “Il Potato Head?”

“Non ho detto al Potato Head, ma all’entrata del Potato Head…” spieghi “Ci sarai?”

“Questo dovrai scoprirlo…” sorride e si allontana di nuovo.

 

 

 

In una notte leggi tutto il libro.

Quando volti l’ultima pagina, noti la scritta.

 

“Spero di vederti di nuovo, Clarke Griffin.”

 

Non l’ha perso.

Lo ha lasciato perché tu lo trovassi.

 

Sorridi come una bambina.

 


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Devi essere sincera.

Non è con poca agitazione che la aspetti fuori dal Potato Head.

Potrebbe sempre non presentarsi, ti dici, e cerchi di prepararti anche a questa evenienza.

 

Giocherelli nervosamente con le maniche della tua camicia e ti guardi intorno.

Poi la vedi farsi strada, con un enorme zaino in spalla, fra un gruppo di turisti tedeschi chiaramente ubriachi.

E’ diversa.

 

L’hai sempre vista in costume, coperta da una magliettona o da una camicia.

Stasera indossa degli shorts di Jeans, chiarissimi, una canotta nera e delle converse che, un tempo, dovevano essere bianche.

C’è qualcos’altro però che ti colpisce più dell’abbigliamento.

Sono i suoi capelli.
Non più sciolti, in balia del vento, ma legati in un meticoloso ordito di trecce.

C’è qualcosa di regale, di solenne, noti, in Lei.

 

“Allora? Dov’è che vuoi andare?”


Andate ovunque e da nessuna parte.

Girate lentamente tutte le bancarelle, tutti i piccoli cucinini sparsi per le vie della città.

Mangiate qua e là facendo felici un po’ tutti i venditori ambulanti e vi fermate a comprare qualche bracciale e orecchino, sfoggiando il vostro balinese appena comprensibile.

 

Parlate del più e del meno.

Scopri che Lexa (insiste nel non volerti dire il suo cognome) ha due anni più di te.

Scopri che è americana, come te.

Scopri che è enormemente intelligente e acculturata.

Scopri che ha una strana ossessione per le candele, che compra in ogni, singola, bancarella.

Scopri che non le piace parlare di sé e, ad ogni occasione, riporta il discorso su di te.

 

E ti ascolta, sempre, con estremo interesse.

Fa domande, osservazioni e (non con poca sorpresa) fa anche battute e di un certo livello.

Quando parli, noti, non è sfuggente come è di solito: ti guarda, ti scruta, come se non le bastasse ascoltarti e volesse leggerti nel pensiero.

Quando parli, noti, più di una volta il suo sguardo scende sulle tue labbra.

 

 

Intorno alle due del mattino le bancarelle cominciano a chiudere e vi ritrovate a passeggiare lungo la spiaggia.

Sta per sorgere il sole e siete ancora lungo il bagnasciuga a fare lentamente su e giù.

“Ora che sai praticamente tutto di me, c’è qualcosa che vorresti condividere di te?”

“Parto fra poco più di un’ora.” Sospira, continuando a camminare, lo sguardo puntato di fronte a lei.

“Oh…” rimani un momento senza parole.

Senza respiro, ad essere sincera.

“Non era esattamente quello che mi aspettavo.”

“Mi dispiace.”

“No, non- Non dispiacerti.”

Continuate a camminare e cerchi di ignorare quella sensazione di angoscia che ti preme sulla bocca dello stomaco.

“Sono a Bali, a leggere un libro latino sulla brevità della vita, perché ho dimenticato come ci si sente ad essere felici.”

“Senza offesa, ma un libro sulla brevità della vita non mi sembra un’ottima idea per ricordare come ci si sente ad essere felici.”

“Hai letto il libro, poi?”

“Si.”

“Forse dovresti leggerlo di nuovo. Hai totalmente mancato il punto."                                                                             

“Quello in cui diceva… -Spero di vederti di nuovo- ?  O un altro?” domandi divertita.

"Un altro, chiaramente."

Ti sorride, ma c’è un velo di malinconia nei suoi occhi.


“Parto fra poco più di un’ora.” ripete.

“Si, me lo hai già detto.”

“Ti va di venire al porto con me?”

“Molto volentieri.” Sorridi.

 

Camminate nel totale silenzio fino al porto.

Lexa individua il suo battello, fa il biglietto e chiede di poter lasciare il suo mega-zaino a bordo.

L’uomo sorride e lo carica.

 Poi torna da te.


“Il battello parte alle sette.”

Guardi l’orologio, sono le sei e venti.

“Ok.”

“Vuoi mangiare qualcosa?”

“Va bene.”


Entrate in un minuscolo bar dove, incredibilmente, fa già caldo.
Lexa ordina qualcosa, poi ti raggiunge al tavolo.

Portano del caffè ancora più annacquato del solito e delle sottospecie di pancakes, che però apprezzi.

Lexa non ha ordinato niente per sé, dice che teme di soffrire il viaggio nella battello stracolmo di gente.

Non la biasimi, ma la forzi a mangiare qualcosa della tua colazione.

 

Continuate a non parlare per tutto il pasto.

 

Insiste nel pagare per te e le lasci coprire i 25 centesimi di dollaro che devi al barista e la aspetti fuori.



Sedete lungo il pontile, i piedi a penzoloni sull’acqua limpida.


Poi, all’improvviso, la vedi sporgersi a guardare in acqua.
La guardi con aria confusa.

Dopodiché si volta, ti sorride, e si lancia in mare.


“Lexa?!” esclami quando la vedi riemergere “Cosa fai!? La barca parte fra un quarto d’ora!”

 “Buttati, Clarke!” esclama e, per la primissima volta, vedi una Lexa spensierata.


Chissenefrega.

Lasci lo zaino e senza nemmeno toglierti le scarpe la raggiungi.

 

L’acqua è, nemmeno troppo sorprendentemente, già calda.

Le braccia di Lexa attorno alla tua vita la rendono ancora più calda.


Ti trascina dove l’acqua è più bassa, sempre sotto il pontile.

Poi ti guarda dritta negli occhi e non sai più come si respira.


Ti bacia, poi.

E nulla è mai stato così.

Nulla, temi, sarà mai cosi.

Sa di sale e latte di cocco e tabacco dolce.

Sa di un ricordo lontano, di familiarità e sicurezza.

Sa di amore.

Ed è troppo presto che si allontana dalle tue labbra.


“Grazie.” Comincia, gli occhi chiusi e le mani attorno al tuo viso “Grazie per questo spiraglio di felicità.”.

“Cosa?”

“Grazie.” Ripete e stavolta lascia cadere le braccia e si volta, allontanandosi verso riva e verso il pontile dove il suo battello è già in moto.

“Lexa?!” provi ma non si volta.

Provi a fare qualche passo ma le tue maledettissime scarpe ti rallentano terribilmente.

“Lexa!?” insisti e ti viene in mente “Ho ancora il tuo libro!”

“Tenilo.” Replica voltandosi “Me lo restituirai un’altra volta.”

 

L’ultima cosa che ricordi di Lexa sono i suoi occhi colmi di lacrime.

 

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Torni a casa due settimane dopo.

 

Sistemi i tuoi ricordi in un cassetto.

Bracciali, orecchini, biglietti, conchiglie e persino qualche candela.


Quel libro finisce tra i tuoi preferiti, subito sotto il comodino.

 

Torni cambiata e con una nuova voglia di fare.

Hai raccolto abbastanza energia ed emozioni, soprattutto, per dipingere ore e ore, sette giorni su sette.

Non sei mai stata così produttiva ed apprezzata e ben presto cominci ad essere un nome conosciuto.

 

Conosci Finn un paio di mesi dopo.

E’ lui che si occupa di organizzare la tua prima, vera, mostra.

E’ simpatico, dolce, ingenuo ed è straordinariamente abile a distrarti dalle mille ansie che porta la tua prima mostra.

 

Comincia un po’ per gioco con Lui, poi prima che te ne accorga la cosa si fa seria.

Un anno e mezzo dopo ti trasferisci da lui.


Non avevi mai avuto dubbi su Finn.

Eri felice con Finn.

 

Almeno fino a quando, durante il trasloco, quel libro ti cade tra i piedi e, come un fulmine in piena notte, ti domandi se sei veramente felice con lui o se la felicità ha il sapore di sale, latte di cocco e tabacco dolce.

 

Una settimana dopo prenoti un biglietto di sola andata per la Tailandia.

Nella valigia, oltre a qualche vestito, ai fogli da disegno e agli acquerelli, getti anche il quel libro.





Non si sa mai.


 

 

 

   
 
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