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Autore: welcome_to_my_jungle    18/05/2016    0 recensioni
"Era la sua preda, era caduto nella sua ragnatela, ora doveva solo privarlo delle sue forze per poi ucciderlo, lentamente, godendone. Ecco cosa voleva, voleva goderselo millimetro per millimetro, senza perdersi nemmeno il più sciocco particolare del corpo dell'altro che ora, con le mani che sapientemente gli accarezzavano la schiena esile, gli stava regalando tanto di quel calore da fare a botte con il freddo che aveva dentro. Faceva quasi paura il suo corpo fragile, pareva poter spezzarsi da un momento all'altro con un movimento troppo brusco o una pressione poco più forte rispetto a quella che stava già subendo. Dopotutto, quanta forza serve per schiacciare un ragno?"
È la prima storia che pubblico, spero vi piaccia, o almeno non vi annoi. Spero lasciate una recensioncina. Grazie mille!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La ragnatela.




«Sei sempre così triste.» mormorò, le sue labbra a pochi millimetri da quelle dell'altro fremevano impazienti di essere nutrite. Molko per lui era nutrimento, qualcosa di indispensabile per la sua sciocca sopravvivenza. Era la motivazione, la consolazione, la soluzione e sapeva benissimo come bruciargli il cervello, costringerlo a bere intere bottiglie di birra con i suoi modi poco eleganti, troppo altezzosi e maledettamente perversi. Ma solo quando l'altro era ubriaco che Molko poteva godere del suo completo rilassamento che lo spingeva a rivelare cose che altrimenti non avrebbe mai scoperto. Per Brian era tutto un gioco, per Brian Molko era solo un passatempo, uno svago. Dopotutto, la sua passione per entrambi i sessi era ormai di dominio pubblico mentre la ferma eterosessualità del compagno era un dato di fatto. Eppure due gocce di rum lo portavano a sfasciarsi completamente, a entrare sfacciatamente nel suo letto e morire di piacere. «Stefan, non sono triste.» disse scocciato, come se il parlare dell'altro gli desse fastidio. Brian era così elegante nei suoi movimenti aggraziati, quasi femminili, resi ancora più simili a quelli di una donna a causa del suo fisico magro e dalla pelle bianca e liscia. Qualche residuo di trucco era sparso sulle sue guance, in una striscia nera che parevano quasi create da un pianto. Le ciglia erano impiastricciate, coperte da un fitto strato di matita nera, infilatasi sapientemente tra di esse e macchiando i contorni delle due iridi troppo profonde ogni volta che sbatteva le palpebre. Stefan ne era maledettamente stregato con l'alcool che gli vagava nel corpo, lasciandolo in uno strano torpore che lo spingeva a voler poggiarsi sulle labbra ancora mezze coperte di rossetto scuro dell'altro. Ne era estasiato, dalla forma di quest'ultime, sembravano quasi formare un cuore, sembravano così morbide e così pure, allo stesso tempo erano un gioco di seduzione perverso, un giochino da puttana, qualcosa con cui far rimanere estasiato chiunque si fermi ad osservarle, facendolo cadere in trappola, in una ragnatela. E una volta che si tende un dito contro una ragnatela, non si può tornare indietro. Ecco cos'erano le labbra di Molko, una trappola. Una trappola bellissima. Brian gli si gettò contro, stringendo le sue braccia magre attorno al suo collo, facendolo stendere sul letto e cominciando a baciarlo con così tanta forza da sembrare quasi una bestia. Voleva sentirlo accanto, voleva esplorarlo. Era la sua preda, era caduto nella sua ragnatela, ora doveva solo privarlo delle sue forze, attanagliandolo, per poi ucciderlo, lentamente, godendone. Ecco cosa voleva, voleva goderselo millimetro per millimetro, senza perdersi nemmeno il più sciocco particolare del corpo dell'altro che ora, con le mani che sapientemente gli accarezzavano la schiena esile, gli stava regalando tanto di quel calore da fare a botte con il freddo che aveva dentro. Faceva quasi paura il suo corpo fragile, pareva poter spezzarsi da un momento all'altro con un movimento troppo brusco o una pressione poco più forte rispetto a quella che stava già subendo. Dopotutto, quanta forza serve per schiacciare un ragno? Basta poco, anche solo intrappolarlo tra le fila colorate di una scopa di plastica, appena comprata al supermercato, o poggiarci sopra una scarpa, ritrovandolo raggomitolato e privo di vita sotto di essa. «Stefan, secondo me sei gay.» Lo prese in giro Brian, accarezzandogli il torso, perdendosi in tale meraviglia, con il basso ventre che formicolava, in cerca di piacere. Un piacere che solo l'amico ubriaco poteva soddisfare a pieno. Se glielo avesse detto da sobrio, gli avrebbe sicuramente gettato in faccia le sue innumerevoli storie o, semplicemente, gli avrebbe parlato di tutte quelle che avevano avuto il piacere di passare una notte con lui. E Brian le capiva, eccome se le capiva. Avrebbe voluto urlargli contro che anche lui pareva farlo godere abbastanza ogni volta che iniziava con i suoi discorsi sulla tizia dai capelli rossi o quella con gli occhi azzurri ma così si sarebbe perso tutto il divertimento, no? Tanto Brian lo sapeva, sapeva che, il giorno dopo, il suo amante non avrebbe ricordato nulla. Non avrebbe più avuto impresso nella mente la sua voglia di esplorarlo, tantomeno il peso delle sue costole spigolose sopra di lui. Ma lui sì, lui sì che avrebbe ricordato la sua lingua umida che ora, lentamente, stava scivolando sul suo collo pallido. Pareva una diva degli anni cinquanta, Molko, lo si poteva già immaginare col trucco nero e una sciarpa di piume stretta attorno al collo, magro e con lo sguardo da bambina viziata, orgogliosa, consapevole del suo enigmatico fascino, su una locandina qualsiasi, incollata a qualche mattone rosso di qualche teatro o su un qualsiasi edificio pubblico. Stefan, nel frattempo, stava cercando di mantenersi a galla con la sua piccola e instabile zattera sul quale stava viaggiando, tenendosi con le unghie e con i denti stretto al legno marcio che, purtroppo, non aveva alcuna intenzione di facilitargli il lavoro, facendolo cadere spesso in acqua. Per fortuna, Stefan sapeva nuotare, sapeva tornare in superficie e appigliarsi nuovamente a quella vana speranza di rimanere lucido. E in quella piccola speranza, riusciva solamente a vedere le labbra scolorite di Brian, sulla sua pelle chiara, quasi cadaverica, dovuta al fondotinta o alla tristezza che se lo stava mangiando dall'interno. E si sentiva tranquillo. Perché Brian era suo amico, e si fidava di lui. Lo avrebbe sicuramente salvato dall'acqua fredda, gli avrebbe avvolto il corpo in una coperta, gli avrebbe gettato addosso qualche frase pungente e lui ci avrebbe riso su, perché ormai sapeva com'era fatto Brian Molko. Un lampadario, situato su di lui, pareva sciogliersi mentre si muoveva confuso, come se volesse scappare dal suo sguardo, lasciandolo senza alcun punto di riferimento, rigettandolo nuovamente su quella dannata zattera. Sentiva qualcosa sul suo bacino, qualcosa muoversi sulle sue labbra, una lingua esplorare sapientemente la sua bocca come se non avesse fatto null'altro, delle mani che lo stringevano forte, come se temessero che potesse andare via, fuggire anche lui. Si sentiva intrappolato, senza forze, confuso. Ma un piacere caldo lo stava cullando e lui se ne sentiva rassicurato. La confusione crebbe quando nelle sue orecchie giunsero dei cigolii, simili a quelli delle molle del letto e che lui, ovviamente, conosceva bene. Eppure non capiva, non capiva cosa stesse accarezzando, tenendo, a cosa si stesse aggrappando, cosa stesse accadendo, che pelle stesse assaporando, che capelli stesse tirando. Non capiva, semplicemente. Ma si sentiva estasiato e questo bastava per farlo continuare, continuare a fare qualsiasi cosa lui stesse compiendo ma che pareva stesse compiendo bene. Brian, dal canto suo, si sentiva maledettamente eccitato mentre le mani dell'altro si aggrappavano alla sua pelle chiara, mentre Stefan lasciava che qualche mugolio abbandonasse le sue labbra, riempiendo il silenzio della stanza, smorzato dai gemiti di piacere che Brian non riusciva a trattenere. La porta era chiusa a chiave, così come le finestre sbarrate, quasi come se si volesse evidenziare che quel che stava accadendo nella stanza 107 di quell'hotel fosse severamente proibito. E il tutto era una miscela perfetta. C'era quell'adrenalina, quella sensazione che il tutto fosse errato, che non sarebbe dovuto accadere mai più come Brian si era spesso annotato nella sua mente cinica, eppure ecco che c'era ricaduto, che lo stava facendo di nuovo, come un drogato che si è ripulito e che va in visibilio appena qualcuno gli offre della roba. Era tutto così sbagliato, e lui lo sapeva bene, ma a lui piacevano le cose sbagliate. Un po' come le madri che, con finta preoccupazione e una dolce carezza sul volto dei loro figli, ribadiscono il concetto che si può vivere la propria adolescenza anche senza fumare o drogarsi. E magari, gli dicono solo questo. Senza preoccuparsi dei demoni che le creature che hanno creato stiano combattendo, di quali prese in giro o quante parole abbiano sopportato, di quante volte si siano sentiti soli, abbandonati o a disagio, di quante volte hanno pensato che buttarsi dalla finestra della loro camera fosse la soluzione migliore. Ma lei no, la madre pensa a solo a non voler avere un figlio spacciatore, non perché gli interessi davvero qualcosa di lui, ma solo per evitare i commenti delle sue amiche, quelle tizie orrende e predicatrici che non vedono l'ora di sparlare di chiunque, tranne di loro stesse, insabbiando le loro sporche situazioni famigliari, sorridendo come se la loro, di famiglia, fosse quella perfetta. Come quelle madri, proprio quelle, che evidenziando il fatto che sia sbagliato, spingono i loro figli adolescenti a compiere certi gesti, a cominciare a fumare senza ritegno e accaparrarsi quella polverina magica che qualcuno dice loro compia meraviglie. Così si sentiva Brian, un ragazzino a cui era stato detto che approfittarsi di Stefan in tale condizioni non era moralmente corretto e lui, ovviamente, non aveva ascoltato, sentendosi entusiasta di compiere qualcosa che, in realtà, non doveva essere compiuto. Tanto, nessuno lo sarebbe mai venuto a sapere. Solo lui, solo lui avrebbe custodito questo segreto, solo lui avrebbe sentito i gemiti che accarezzavano le labbra del suo bassista tornargli in mente mentre cercava di scrivere qualcosa, lo avrebbe visto contorcersi di piacere grazie ai suoi movimenti decisi quando chiudeva gli occhi, avrebbe potuto avere ancora qualche brivido ricordando il fiato caldo dell'altro accarezzargli la pelle bianca come un foglio di carta. Era così sbagliato, ma era anche colpa di Stefan. Era Stefan quello che si faceva abbindolare da lui, quello che si avvicinava senza curarsi della ragnatela, magari pensando di riuscire a liberarsene con facilità in quanto, vedendola, potrebbe sembrare fragile, facilmente distruttibile. Era lui quello incosciente, che faceva qualsiasi cosa Brian gli dicesse, forse già sapendo che, se non lo avesse fatto, Brian avrebbe trovato un altro modo per fargli fare il giocattolino, per usarlo secondo i suoi comodi. Stefan lo sapeva, lo sapeva che era Brian quello che guidava il gioco e che lui era la pedina con cui giocare. Un senso di liberazione, misto alla sensazione di cadere nel buio investì Stefan, lasciandolo spaventato, inerme, mentre cadeva giù, giù, verso qualcosa che non raggiungeva mai e che non avrebbe mai raggiunto. Continuava a cadere, cadere, attorno a lui un buio quasi accecante che non permetteva di vedere oltre il suo naso. E aveva paura, ma allo stesso tempo, non voleva altro che arrivare alla fine. «Non vomitarmi sulle coperte.» disse Brian, una sigaretta elegantemente in equilibro tra le sue dita smaltate di nero, troppo lunghe e affusolate per appartenere a quelle di un uomo. Qualche raggio tremolava sulle coperte cercando di attraversare il fitto tessuto biancastro delle tende, in pieno accordo all'arredamento della stanza, completamente immersa in quel colore perfetto, quasi irritante. Brian sembrava quasi uno scarabocchio nero, in quel foglio pulito; uno di quelli che si fanno quando si è troppo annoiati per ascoltare la lezione e si afferra la prima penna che si ha davanti, muovendola pigramente con movimenti collegati senza alcuna logica. Sembrava così composto con le gambe accavallate e il gomito poggiato su un piccolo tavolino che pareva fungere da scrivania oppure era stato inserito senza alcun motivo in particolare dato che, un altro scrittoio si trovava dall'altra parte della stanza. Magari serviva solamente per non lasciare uno spazio troppo vuoto, uno spazio che nemmeno quei quadri dal cattivo gusto e senza alcun senso riuscivano a colmare. Forse dovevano essere quadri astratti ma Brian non pareva provare alcuna emozione, osservandoli, e quindi per lui non si trattava di arte. L'arte deve ammaliarti, rapirti, farti provare qualcosa, altrimenti è solo sporcizia. Tirava dal filtro con quel suo solito modo di fare provocatorio che spesso non lasciava indifferenti né donne né uomini in quanto lui, lui era arte. Brian Molko era arte. Perché guardarlo ti lasciava qualcosa, un marchio impresso nella pelle, una cicatrice inguaribile, un nodo allo stomaco o, semplicemente, ti lasciava la sua immagine impressa nella mente. Un'immagine che sarebbe tornata, dopo settimane, mesi, anni, non importa quando, ma sarebbe tornata. Il povero Stefan si guardava attorno, spaesato, un forte senso di nausea che gli attanagliava lo stomaco senza nemmeno permettergli di ribattere. Tiro giù la bile acida che gli stava bruciando l'esofago, portandosi entrambe le mani sul volto come se fosse esasperato, disperato. Il mal di testa conduceva le sue tempie a pulsare, facendogli chiudere con forza gli occhi nel tentativo di trovare conforto, o di far smettere al letto sul quale si trovava di muoversi furioso. Era troppo confuso anche per accorgersi che fosse completamente nudo, sotto le lenzuola fresche. «Ma tu..» disse, balbettando un po', insicuro, facendo sembrare queste due paroline una frase intera. Brian avrebbe voluto scoppiare a ridere ma ebbe il buon senso di non fargli ripetere quel che aveva appena blaterato. «Sembri un bambino di tre anni, due gocce di alcool e non ti reggi in piedi.» aumentò la dose, parlando con il suo solito tono acido, scocciato, che poco aveva a che fare con il modo dolce con il quale, qualche minuto prima, stava accarezzando il viso del suo amico, perdendosi nei suoi lineamenti e disegnandoli nella sua mente in modo da ricordarsene per sempre. «Uhm, grazie.» borbottò l'altro, con gli occhi ancora chiusi e i palmi premuti sul viso. Brian soffiò via il fumo, premendo la cicca nel portacenere in legno che rompeva tutto l'equilibrio elegante della stanza. Sorrise, pensando a quanto fosse carino quel suo amante. Un giorno avrebbe dovuto dirglielo, ma sicuramente non ora, voleva goderselo ancora di più. «Cosa ridi?» si interessò Stefan, più per cercare di smettere di pensare al dolore che provava piuttosto che per vero interesse. Prima di rispondere, Brian si alzò da quella sediolina in legno bianco che pareva essere uscita da una casa delle bambole con uno scatto felino, muovendosi silenziosamente, poggiando i piedi sul pavimento senza produrre alcun rumore, ancheggiando sinuosamente come un gatto, con quel suo fare provocante, mentre l'odore di cenere veniva assorbito dalle mura candide. «Uh, guarda.» indicò un angolino, sul soffitto, che Stefan non guardò. «Un ragno.» Chiuse la porta alle sue spalle, lasciando Stefan a smaltire la sbornia, uno Stefan che non ricordava nulla se non il modo quasi aggressivo con cui Brian faceva riempire il suo bicchiere dalla malcapitata barista. Brian rise, camminando per il corridoio stretto senza avere alcuna meta in particolare, osservando quei quadri senza senso, canticchiando una melodia che pareva essersi creata da sola dentro di lui, forse dettata da tutto quello che era accaduto. Non era per nulla preoccupato di non poter più avere rapporti con il suo bassista, tanto era semplice. Se voleva divertirsi, bastava tessere un'altra ragnatela.







​~I fatti narrati sono frutto della mia fantasia, i personaggi presenti nella storia non mi appartengono e non ci guadagno nulla per scrivere tutto questo.

Come ho già detto questa è la prima storia che pubblico e sono consapevole di sbagliare molto spesso punteggiatura (è un problema che ho dalle elementari *sigh*). Spero che, nonostante tutto il casino che ho fatto la storia possa essere
di vostro gradimento e mi piacerebbe lasciaste una piccola recensione. Detto questo, vi mando un bacino e una ciambella. Ciao ciao!
   
 
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