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Autore: Lesjack    18/05/2016    0 recensioni
Dal testo:
[...]In quell'istante, tutto si fermò. Come se il tempo stesso avesse interrotto la sua corsa infinita per poter osservare da vicino quella particolare ultima volta, quell'infine. Quella fine. [...]
Volevo scrivere di L, e di un momento non raccontato. Più precisamente, di come tutto è iniziato e di come molte cose sono finite.
Dell'ultimo ricordo, del primo incontro.
Del primo orrore di una serie infinita.
E dell'ultima notte. Quella notte.
La notte in cui morì un bambino senza nome, e nacque una leggenda.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                            Awakening

 


Non riusciva a sentire il suo nome.
Per quanto la donna gridasse, per quanto le sue urla riecheggiassero nella strada, nella casa, nella stanza, dentro all'armadio in cui era nascosto, non riusciva a sentire il suo nome.
Con l'occhio puntato sulla fessura fra le due ante, vide la donna strisciare a fatica qualche metro di fronte a lui. Artigliava il pavimento viscido di sangue come se fosse l'ultimo gesto ancora permesso. Come se ormai non fosse rimasto più niente in cui sperare.
Dietro di lei, il coltello catturò la fioca luce dei lampioni che filtrava dalla finestra. Due lenti colpi di straccio avevano rimosso il sangue che lo ricopriva, rivelandone il profilo slanciato ed elegante.
La donna si trascinò in avanti per qualche altro centimetro, continuando a urlare, con voce sempre più roca, la stessa frase. Le stesse due parole.
Non riusciva a sentire la prima.
Ma capiva perfettamente la seconda.
Percepiva il legno duro e freddo sotto di sé, contro i gomiti, lungo le vertebre della schiena. Mentre il buio dentro l'armadio lo circondava, soffocandolo lentamente , tenne lo sguardo fisso sull'unica fonte di luce. Sulla fessura. E, al di là di questa, sulla scena che si stava svolgendo nella stanza.
La mano che reggeva il coltello, ora completamente pulito, si avvicinò con calma. Evidentemente si era stancata delle urla continue, che però, a mano a mano che il sangue scorreva, diventavano sempre più fioche.
I passi stridettero sul pavimento lucido.
Vide le pupille della donna dilatarsi per il terrore. Nonostante il liquido rosso scuro che le colava dalla bocca, creando strani disegni sulla pelle del suo viso, lei sollevò la testa e guardò verso l'armadio, dentro la fessura.
Dentro la pupilla nera che la osservava, quasi indistinguibile in mezzo all'oscurità. Con uno sforzo immane, la donna bisbigliò per l'ultima volta la stessa frase, le stesse due parole.
Di nuovo, non riuscì a sentire la prima.
Il suo nome.
Ma capì perfettamente la seconda:
- Scappa-.


Con le ginocchia strette al petto, rannicchiato su se stesso, non si mosse. Non emise un suono. Aveva smesso di respirare da quando il coltello aveva colpito per la prima volta. L'unica cosa che continuò a fare, che non poté non fare, fu guardare.
Continuò a guardare mentre l'uomo si chinava sul corpo ormai stremato, e passava le dita fra i capelli sparsi sulle spalle.
Continuò a guardare quando tirò indietro la testa della donna e le posò la lama sul collo, appena sotto la mandibola.
Lei, ancora cosciente, continuò a tenere lo sguardo fisso dentro la fessura.
In quell'istante, tutto si fermò. Come se il tempo stesso avesse interrotto la sua corsa infinita per poter osservare da vicino quella particolare ultima volta, quell'infine. Quella fine.
Nessuno lo disse. Nessuno poté dirlo.
Ci pensò il tempo:
Addio.


E il coltello si mosse.


Continuò a guardare mentre la donna che era sua madre moriva.
L'occhio dietro la fessura non sbatté mai le palpebre.
Nemmeno una volta.

 


Il bambino senza nome si svegliò con un sussulto.
Rimase sdraiato senza fare rumore, respirando appena, perfettamente immobile. Dovettero passare diversi minuti prima che un colpo di vento improvviso spalancasse la finestra, facendogli così capire che non si trovava più nell'armadio.
Molto lentamente, si alzò a sedere. Vide sulle sue gambe una coperta che non conosceva. Intorno al letto, che non conosceva, si estendeva una camera immersa nel buio.
Quello invece lo conosceva.
Prima che potesse decidere cosa fare, o cosa pensare, sentì tre colpetti discreti risuonare poco lontano da lui.
Non si mosse.
Dopo un momento di silenzio, una maniglia si abbassò e una porta si aprì con uno scricchiolio, mentre la luce del corridoio entrava nella camera.
Qualcuno si affacciò per guardare dentro, e si immobilizzò. Passarono diversi istanti in cui entrambi si squadrarono a vicenda. Poi:
- Sei sveglio-.
Il bambino non rispose. Osservò quella figura in controluce entrare e dirigersi verso un angolo della camera, là dove i vetri della finestra sbatacchiavano uno contro l'altro, mossi dal vento. Dopo averla richiusa, la figura si girò verso di lui. Con molta calma, camminò fino al bordo del letto e vi si sedette sopra. Parlò di nuovo:
- Non riesci a dormire?-
Ora la luce del corridoio lo illuminava completamente. Il bambino senza nome osservò il volto dell'uomo, solcato dai primi segni della vecchiaia. L'espressione era seria, ma l'angolo destro della sua bocca curvava leggermente all'insù. Un sorriso appena accennato.
Davanti a quel silenzio, l'uomo disse:
- Forse sei ancora un po' confuso. E' normale-.
Fece una pausa. Riprese:
- Ti ricordi di me, vero? Siamo arrivati qui insieme, oggi. Dall'ospedale-.
Il bambino annuì una volta. L'uomo continuò:
- Non conosci questo posto. Non c'è niente di familiare attorno a te. Probabilmente per un po' di notti non riuscirai a dormire bene...ma dopo qualche tempo sarà più facile-.
Di nuovo silenzio.
L'uomo scrutò ancora una volta quel bambino. Si soffermò in particolare sul modo strano con cui stava seduto, anzi, quasi accovacciato, con la schiena curva e le ginocchia strette al petto. Quasi come se fosse rinchiuso in uno spazio molto piccolo, e fosse condannato a rimanere lì per sempre.
Si sentiva soppesato e valutato da quegli occhi neri quanto le ombre che si allungavano sul pavimento, e altrettanto insondabili. L'uomo ebbe la sensazione di aver superato una sorta di esame quando, finalmente, vide la bocca del bambino aprirsi:
- Ho dormito fino ad ora-.
Il tono, lo sguardo.
Tutto era piatto. Vuoto.
Nessuno dei due disse altro per un bel po'.
Poi l'uomo si protese in avanti, e posò una mano sulla spalla del bambino. Quest'ultimo si irrigidì impercettibilmente, ma non si ritrasse. Guardò gli occhi dell'uomo, occhi gentili, in cui si scorgeva il dolore per chi gli stava davanti. E in tono gentile l'uomo ripeté:
- Dopo qualche tempo sarà più facile-.
Il bambino senza nome rimase immobile. Non sbatté nemmeno le palpebre.
Allontanandosi con un movimento fluido, il suo visitatore si alzò dal letto e si incamminò verso la porta. Arrivato sulla soglia, si girò per un momento e pronunciò sei parole:
- Il mio nome è Quillsh Wammy-.
Seguite da un sorriso.
E da altre quattro:
- Benvenuto alla Wammy's House-.
Senza aspettare una risposta che, lo sapeva, non sarebbe arrivata, se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé.

 

Il bambino senza nome sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto farlo.
Perciò scelse proprio quel momento, quella notte. La prima e l'ultima volta di molte cose.
Girò lentamente su se stesso e si trovò faccia a faccia con le tenebre della camera. Il buio totale incombeva ad un passo da lui.
Puntando lo sguardo dritto in quella voragine di oscurità, pensò che avrebbe voluto credere alle parole dell'uomo. Avrebbe davvero voluto convincersi che dopo qualche tempo tutto sarebbe stato più facile.
Che i ricordi sarebbero sbiaditi fino a svanire.
Che sarebbe riuscito a dormire.
Ma, molto semplicemente, non poteva.
Perché non era la verità.

Dopo aver analizzato la questione da ogni punto di vista, concluse che la soluzione era soltanto una.

Fissando negli occhi il nulla davanti a lui, giurò.
Giurò a Quillsh Wammy. Giurò all'armadio. Al buio dell'armadio, alla fessura dell'armadio. Giurò alla donna che era stata sua madre e che era morta per sempre. Giurò al tempo. Giurò al coltello.
E giurò all'uomo che aveva impugnato il coltello.


Quella notte il bambino senza nome, ma il cui nome un giorno sarebbe stato conosciuto in ogni angolo del mondo, giurò a se stesso che non avrebbe dormito mai più.

   
 
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