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Autore: PandorasBox    23/05/2016    1 recensioni
[Human!AU]
«Siamo esplosi anche noi, ma senza fare rumore.» dice solo il norvegese, e il viso di Harald si contrae in una smorfia sofferente —quell'espressione la riconoscerebbe tra mille: si sente in colpa. Ed è così raro vedere quell’espressione sul viso del danese che non può smettere di osservarlo, e così sedici anni non sono mai passati. Entrambi sembrano avere solo allora il coraggio di guardarsi negli occhi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non che ci sia niente da spiegare, passo solo a ricordare che uso nomi diversi da quelli universalmente riconosciuti dal fandom per Norvegia e Danimarca e dunque abbiamo Sigurd (Norvegia) e Harald (Danimarca).

Perché lo faccio? Perché sono proprio ribelle.
 


 



 

Parlami di te e dei tuoi silenzi

Dei tuoi occhi che sono sempre senza sguardi

Parlami per non dimenticare per non avere più timore



 

L'ennesima chiacchiera vuota rimbomba tra le pareti, rotola sul pavimento fino a colpirlo dritto allo stomaco e Sigurd vorrebbe scacciarla come tenta di scacciare quella domanda dalla sua mente: la scaccerebbe come una mosca fastidiosa, un colpo secco della mano, ma poi sembrerebbe pazzo e non ne ha davvero voglia.

 

Ha deciso di lasciare a metà il suo terzo caffè sotto lo sguardo inquisitorio di quell'architetto che solo ora -con le maniche della camicia arrotolate e le pantofole ai piedi, l'espressione un po' persa ed i capelli in disordine- somiglia un po' di più all'ultima immagine che ha di Harald: lui che sorride, si prende un pugno, e lo saluta come se dovessero vedersi il giorno dopo. Ingoia un sospiro.

 

Quel "giorno dopo" era durato sedici anni e lo aveva visto diventare un uomo, un poliziotto, un fallito ed il grande assente al matrimonio del danese -ad Oslo il tasso di criminalità sembrava essere "stranamente" incrementato proprio in quei giorni, aveva giurato, nonostante sapessero entrambi che la realtà era ben diversa. I loro contatti si erano fatti sempre più sporadici ed il silenzio era arrivato prima che potessero rendersene conto, portando con sé tutte le parole non dette. Un gran bel bottino di guerra, anche se la loro guerra, in realtà, ognuno la combatteva per sé.

 

Lui, le sue parole, le aveva affogate nell'alcol ed aveva fatto in modo di berne abbastanza perché non tornassero a galla neanche provandoci ma non aveva funzionato benissimo, quella gran bella trovata aveva risolto a modo suo un problema ma ne aveva trascinati altri con sé e lui si era presto arreso all’evidenza pur senza ammetterlo.

Chissà se c'erano mai state parole anche per Harald, si era chiesto spesso.

Chissà perché ancora gli interessava.


Perché sedici anni sono lunghi ed il bel quadro dipinto insieme era tornato solo una tela bianca con qualche squarcio qua e là e Sigurd aveva capito che "l'arte" non faceva per lui. Aveva riposto la tela riproponendosi di non provare a dipingerla mai più, non aveva bisogno di colori. Quel tipo di arte è un privilegio per pochi e lui non è tra quei pochi.

 

«Quindi con...Julia, giusto?, tutto bene con lei?» è una domanda fatta più per proforma che per reale curiosità, la sua, neanche dopo sedici anni riesce ad accettare quel che poi è successo, non con la ragazza più facile del liceo, assolutamente no. Probabilmente non lo accetterà neanche tra cinquant'anni, l’esserne consapevole non lo aiuta ad accettarlo.

 

«Benissimo! Va anche meglio da quando ci siamo lasciati due anni fa!» è la risposta che arriva da parte del danese, accompagnata da una risatina che sembra più vera di quanto dovrebbe. «Ma siamo rimasti amici, eh! Figurarsi se qualcuno si lascia sfuggire Harald Andersen, insomma! Ci parliamo come persone civili e mi fa vedere le bambine due volte al mese o in qualsiasi momento mi trovi dalle parti di Copenaghen, spesso mi fermo anche a cena. Ci abbiamo messo quattordici anni ma alla fine abbiamo capito che insieme eravamo come Mentos e Coca Cola. Ché esplodono, no? Lo sai, giusto? Ed è finita così. Boom.»

«Siamo esplosi anche noi, ma senza fare rumore.» dice solo il norvegese, e il viso di Harald si contrae in una smorfia sofferente —quell'espressione la riconoscerebbe tra mille: si sente in colpa. Ed è così raro vedere quell’espressione sul viso del danese che non può smettere di osservarlo, e così sedici anni non sono mai passati. Entrambi sembrano avere solo allora il coraggio di guardarsi negli occhi.

 

Ed in quegli occhi leggono pagine di uno stesso libro, scritto con le stesse mani tremanti, traboccanti di incertezze e paure, le stesse parole solo con grafie diverse. Perché loro sono lì e ci sono ora, qualcosa deve pur significare, ma cosa? Perché loro sono lì e ci sono ora, sono adulti e la vita li ha portati di nuovo allo stesso bivio, e allora?

 

«Avevamo vent'anni e troppi problemi per restare con qualcun altro che aveva vent'anni e troppi problemi.» le parole di Harald rimbalzano di nuovo sui muri, rompono il silenzio, ma questa volta finiscono per piovergli in testa come vernice che lo imbratta fino alle ossa. Ecco il perché dell'espressione del danese di poco prima: la pioggia era arrivata anche per lui insieme alle prime parole vere dopo sedici anni.

 

Parole che restano addosso come tatuaggi.

 

«Sei tornato con la coda trale gambe.»si limita a commentare, ed Harald si stringe nelle spalle. Però lo vede quel guizzo nei suoi occhi, però la sente quella strana morsa alla bocca dello stomaco, però lo sente che l’aria è cambiata.

 

«Sono tornato e aspetto che torni anche tu, speravo bastasse.»

 

È il suo turno a stringersi nelle spalle, il danese si limita a guardarlo con aria speranzosa, i suoi occhi azzurri agitati come non li vede da tanto tempo, vivi come non ricordava di averli mai visti.

 

Sedici anni non sono mai passati, non ora, non in quella stanza, non tra loro due: perché i loro sguardi raccontano la stessa storia con colori diversi, come quelle vecchie pellicole in bianco e nero.

 

Poi la stanza si svuota, quelle chiacchiere smettono di rimbalzare sui muri e Sigurd tira fuori il suo "quadro", lo riposiziona nel suo petto, lo raddrizza per bene e  nota la pennellata che è comparsa sulla tela immacolata e si chiede quando sia successo, se sia davvero pronto a riprendere in mano i pennelli per tornare a dipingerla, se scomparirà di nuovo.

 

«La strada è lunga.» risponde solo, e il sorriso del danese si apre, luminoso

 

«Sono fiducioso e paziente ed ho il frigo pieno.» è l'unica risposta che riceve

 
   
 
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