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Autore: TheSlavicShadow    23/05/2016    6 recensioni
Aveva fatto un errore. Un errore che aveva portato a diverse conseguenze, tra cui il suo allontanamento da Manhattan e dalla vita che aveva condotto fino a quel momento. Un errore che lo aveva portato in una fattoria dimenticata da Dio e dagli uomini nel bel mezzo del North Carolina.
{Superfamily!AU no powers! - Steve/Tony+Peter}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe in my hands'
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Tony Stark aveva passato la prima ora di viaggio in assoluto silenzio, tenendo il broncio come un bambino di 5 anni. Aveva continuato a guardare fuori dal finestrino maledicendo sé stesso, la sua CEO, la sua assistente personale, il compagno della sua assistente personale, il proprio autista, qualche dozzina di paparazzi, i giornali di gossip, le riviste di economia, i quotidiani, le donne sposate, l’alcool, i mariti che passano subito alle mani, e tante altre scelte sbagliate che aveva compiuto nelle ultime 48 ore.

Tutto era iniziato con una festa di gala a cui doveva presenziare ad ogni costo. Uno di quei eventi di beneficenza a cui la sua CEO, Virginia “Pepper” Potts, lo costringeva a partecipare nonostante lui fosse sempre molto riluttante. Ci aveva provato con la donna sbagliata. L’aveva corteggiata. L’aveva accompagnata in una delle stanze dell’albergo in cui si svolgeva la serata. E quando aveva finito con le attività fisiche che più preferiva si era ritrovato con un occhio tumefatto e qualche altro ematoma sul corpo.

Non sapeva che la donna con cui aveva appena fatto del sesso - tra le altre cose mediocre - fosse la moglie del sindaco.

Il giorno dopo le sue foto erano su tutti i giornali e tutti sapevano cosa era successo.

La Stark Tower, sede legale della Stark Industries nonché casa sua, era stata assediata dai giornalisti e i telefoni di tutti gli uffici avevano continuato a suonare per tutta la giornata.

L’unica cosa che lui aveva fatto era stata rinchiudersi nella propria officina assieme a qualche litro di caffè e whisky.

Il whisky era stato la seconda scelta sbagliata di quei due giorni.

La terza era stata telefonare a Pepper intrattenendo una conversazione penosa per cui adesso voleva solo morire buttandosi fuori dalla macchina in corsa. Ma il suo autista aveva bloccato le portiere.

“Tony.”

Si era voltato verso la donna che gli si era appena rivolta. La sua assistente personale. La traditrice numero 1 che lo aveva costretto a quel viaggio della speranza su un mezzo di trasporto che lui non avrebbe mai usato.

“Stare lontano da New York ti farà del bene.”

“Per questo mi hai trascinato fuori dalla mia bella Torre e mi stai portando in mezzo al nulla?”

Aveva osservato Natasha Romanoff mentre questa lo guardava come se potesse ucciderlo anche solo con lo sguardo.

“Ti sei scopato la moglie del sindaco, Tony. La moglie del sindaco. Come pensi che si ripercuoterà questo sull’azienda? Hai già abbastanza problemi con l’opinione pubblica grazie a Stane e il contrabbando di armi, per non parlare della tua condotta. E ora pure questo?”

“Mi sembra di ascoltare Pepper. Ti ha scritto lei la ramanzina che mi dovevi fare durante il viaggio? E poi chi cazzo ha scelto un viaggio di nove ore da fare in macchina?”

“Gli aeroporti sono assediati dai giornalisti. Anche il tuo hangar privato.”

“Potevo abbandonare le Torre e andare nella vecchia residenza dei miei. Oppure a Malibu. Non l’ho fatta costruire tanto per quella villetta.”

“Chiamala villetta.”

“Barnes, stai zitto e guida. Perché Barnes è con noi?”

La donna aveva scosso la testa, voltandosi di nuovo e non degnandolo più neppure di uno sguardo. Guardava fuori dal finestrino e Tony poteva immaginare che fosse furiosa con lui. Lo erano tutti in continuazione e per lui non era nulla di nuovo. A iniziare dalla sua infanzia nella casa dei suoi genitori per finire con le persone con cui lavorava ora.

“Non puoi fare così solo a causa di Pepper, Tony.”

La voce di Natasha era bassa e anche se sembrava tranquilla lui sapeva benissimo che non lo era affatto. Erano stati due giorni molto lunghi anche per lei e lui non le stava rendendo le cose facili.

“Non sai di cosa stai parlando.” Aveva voltato la testa a sua volta, guardando anche lui fuori e lasciando scorrere il panorama davanti ai propri occhi. Non ne voleva parlare. Non voleva dover affrontare quell’argomento. Non ora. Non in futuro. Sarebbe stato un altro degli argomenti tabù di cui la sua esistenza era sempre stata costellata.

“Praticamente vivo con te, quindi è ovvio che io non sappia di cosa sto parlando.”

L’aveva sentita sbuffare e poi mormorare qualcosa in russo sottovoce. James Barnes aveva ridacchiato e lui li stava odiando entrambi.

Li odiava perché erano felici. Perché erano complici in tutto quello che facevano. Perché non appena Natasha gli aveva telefonato, Barnes era arrivato con il proprio furgoncino da hippy e lo aveva caricato in macchina per portarlo verso una meta ignota. Lei gli aveva solo spiegato il problema al telefono e lui aveva subito risposto che aveva il posto giusto da sfruttare come nascondiglio. Ne era sembrato quasi felice e non sembrava pesargli un viaggio di nove ore da Manhattan ad un posto sperduto in mezzo al North Carolina.

Li odiava mentre parlavano tra di loro e lui riusciva a cogliere qualche parola. Argomenti normali, quelli che tutte le coppie dovevano avere. Cene, appuntamenti, bollette da pagare. Tutte cazzate che per lui non erano state normali. Per colpa sua, a detta di Pepper.

Aveva cercato di concentrarsi sul paesaggio, ma non ci riusciva. Da un lato voleva prendere in mano il proprio Starkpad per poter vedere le ultime notizie uscite, ma dall’altro non voleva leggere il suo nome da nessuna parte. Avrebbe solo voluto chiudersi nella propria officina nuovamente e non uscirne fino a quando le acque non si calmavano.

Aveva chiuso gli occhi. Magari se avesse dormito un po’ al suo risveglio di sarebbe accorto che era tutto un brutto sogno. Del resto non aveva dormito da più di 55 ore. Forse tutto quello che stava succedendo erano soltanto delle allucinazione dovute alla privazione di sonno e all’eccessiva caffeina che scorreva nelle sue vene.

Forse una volta aperti gli occhi la realtà sarebbe stata diversa. Forse avrebbe anche scoperto di essere ancora al MIT e di avere così tutto il tempo del mondo per non fare le scelte che aveva fatto negli ultimi trent’anni. Forse avrebbe anche capito che la prossima volta doveva bere una scatola intera di sonniferi accompagnati da una buona dose di whisky. Tanto non che qualcuno avrebbe sentito la sua mancanza e il suo database era pieno di progetti quindi pure la Stark Industries avrebbe potuto continuare ad esistere senza di lui.

Quando aveva riaperto gli occhi si sentiva dolorante ed in un primo momento non aveva capito dove diavolo si trovasse.

Fuori dal finestrino era ormai buio. Il veicolo era riempito da un po’ di musica e le voci basse, quasi sussurrate, di Natasha e James. James l’aveva fatta ridere e lui non si ricordava quando Pepper aveva riso in sua compagnia l’ultima volta.

“Stark, siamo quasi arrivati.”

Aveva alzato lo sguardo, notando che l’uomo lo guardava attraverso lo specchietto.

“Rimango dell’idea che potevo rimanere a New York.”

“Secondo me ti farà bene cambiare aria. Si sta bene qui. E’ tranquillo. Il massimo del casino c’è quando ci sono i rodei, e se hai culo Steve potrebbe anche portarti a vederne uno.”

Tony aveva passato una mano sul viso, sbuffando e desiderando di morire di nuovo. Non sapeva nulla della persona che lo avrebbe così gentilmente ospitato. Non aveva avuto il tempo per cercare alcuna informazione su di lui. Sapeva solo che era un amico di James Barnes. Il tipo di amico che uno può considerare quasi un fratello nato da madre diversa. Come lo erano lui e il Colonnello Rhodes.

“Devo stare in una cazzo di fattoria. Mi chiedo se ha elettricità e acqua corrente.”

“No, devi scendere ogni mattina fino al torrente per prendere dell’acqua non molto potabile.” Barnes aveva riso e se solo non fosse stato alla guida Tony gli avrebbe calciato il sedile.

Delicatamente una mano era sul suo ginocchio e lui aveva spostato lo sguardo da James a Natasha. L’aveva guardata ma non sapeva cosa dirle. Era stato sgradevole con lei da quando erano uscite le prime foto eppure lei gli era rimasta accanto. Facendo anche molto di più di quello che le era richiesto dal contratto. Aveva scomodato il proprio compagno, avevano disturbato una persona completamente estranea, e tutto per lui. Per salvargli la faccia.

“Nat, non serviva tutto questo.”

“Preferivi finire in Canada in un centro di disintossicazione lontano da qualsiasi tipo di civiltà e tecnologia? Perché era questo a cui puntavano i soci della SI.”

Aveva sbuffato nuovamente non smettendo di guardarla. Natasha era così giovane eppure riusciva sempre a trovare una soluzione ai suoi casini.

“Se gli facciamo credere che sia solo un po’ di stress - perché alla fin fine è solo questo - potrai tornare a New York come se non fosse mai successo nulla.”

“Si è scopato la moglie del sindaco, qualcosa di grande è successo.”

“James, ma sei dalla mia parte o no?”

“Scusa, dolcezza, ma devi ammettere che questa faccenda sarà difficile da cancellare. Non è una scopata da nulla come tutte le altre. C’è stata una rissa, un adulterio, la stampa di mezzo globo che ne parla.” L’uomo aveva sospirato. “Stare da Steve lo aiuterà quantomeno a rilassarsi.”

“Se non lavoro e non faccio sesso non mi posso rilassare.” Tony aveva chiuso di nuovo gli occhi. Sarebbe stato un inferno. E non sapeva neppure quanto sarebbe durato.

“Qualche piccolo lavoro lo puoi fare. I progetti li puoi fare usando il tuo computer. Hai collegato J.A.R.V.I.S., no?”

“Sì, è sempre collegato con me.”

“Allora qualcosa lo puoi fare, anche se io preferirei che ti riposassi da tutto per qualche tempo.”

L’aveva guardata e non gli piaceva il modo in cui lei restituiva lo sguardo. Sembrava davvero preoccupata per lui e questo non gli piaceva affatto. Aveva 46 anni. Era solo da quando ne aveva 21. Aveva imparato ad occuparsi di sé stesso nel bene e nel male. Riusciva sempre a trovare una via d’uscita. E ora lei lo guardava seriamente preoccupata per lui.

“Nat, perché non resti qui anche tu?”

“Sai che lo vorrei, ma devo tornare a New York il prima possibile. Ci sono troppe cose di cui mi devo occupare.”

Sì, lo sapeva. C’erano delle conferenze stampa da organizzare. C’erano bugie da inventare. C’erano scheletri nell’armadio da nascondere. E lui non poteva fare nulla. Poteva solo restarsene nascosto in mezzo al nulla ad aspettare.

“Siamo arrivati.”

James aveva parcheggiato la macchina ed era subito sceso senza degnare gli altri due di un’attenzione in più. Tony lo aveva seguito con lo sguardo. Aveva osservato la tipica casa di campagna da cartolina. Il portico con la sedia a dondolo. Fiori alle finestre. Una bandiera americana che sventolava con orgoglio.

Aveva notato la porta aprirsi ed uscire un uomo biondo ed enorme. Aveva inglobato James in un abbraccio che l’uomo aveva subito ricambiato. Ne era uscito anche un cane - ovviamente aveva un cane - che aveva iniziato a fare le feste al moro.

Era tutto troppo perfetto perché potesse incastrarsi in un ambiente simile.

“Steve è una brava persona quindi vedi di comportarti bene.”

“Quanta considerazione che hai di me.”

“Sono seria. E’ un veterano anche lui ed è più rigido di James su certe cose, ma se superi la sua corazza ti piacerà molto.”

“Ma ha sul serio addosso dei pantaloni cachi e una camicia a scacchi? Scusa, ma quanti anni ha? Neppure mio padre si è mai vestito così e aveva 70 anni quando è morto.”

La donna aveva scosso la testa, scendendo subito dal furgoncino e lui era rimasto ad osservarla. Era così diversa quando non era al lavoro. Di solito aveva sempre bei abiti, tacchi alti, truccata di tutto punto. Ora aveva dei semplici jeans, una felpa, neppure una traccia di trucco e i capelli legati. E riusciva ad essere una delle donne più belle che avesse mai visto. Si chiedeva ogni tanto come avesse fatto Barnes a conquistarla.

Era rimasto in macchina ancora qualche minuto. Osservava i tre che si abbracciavano e parlavano. Barnes che accarezzava il cane. Natasha che accarezzava una guancia a quello che doveva essere per forza di cose Steve. E poi notava una quarta persona raggiungerli.

Un adolescente.

Fantastico, si era detto. Le cose ora andavano sempre peggio. Il prossimo passo sarebbe stato avvertirlo che alle 5 di mattina doveva andare a mungere le mucche e a dar da mangiare alle galline.

Aveva deciso allora di scendere dal furgoncino di James e raggiungerli. Si erano tutti voltati verso di lui quando aveva chiuso la portiera e mosso qualche passo sul selciato che portava al portico.

“Signor Stark.” Il biondo aveva mosso qualche passo verso di lui, porgendogli subito la mano e Tony l’aveva stretta. Era una bella stretta. Forte. Sicura. La stessa sensazione che trasmettevano i suoi occhi azzurri.

“Capitano Rogers, grazie dell’ospitalità.” Aveva sfoggiato il proprio miglior sorriso, ma non ne aveva ricevuto uno in cambio.

“Spero possa trovarsi a suo agio, anche se non abbiamo tutti i comfort che si possono avere a Manhattan.”

“Vedrò di abituarmi.” Continuava a sorridere anche se non ne aveva alcuna voglia. Aveva lasciato la mano dell’uomo e aveva abbassato lo sguardo verso sul cane che gli si era avvicinato. “Anche a questo.”

“Lui è Krypto. Può anche accarezzarlo che non le fa nulla.” Il ragazzo gli si era avvicinato e gli aveva porto la mano. “Peter Parker. E’ un onore poterla conoscere, signor Stark.”

“Figliolo, ti prego, niente “signor Stark”. Mi mette ansia.” Tony gli aveva stretto la mano e almeno quel ragazzo non gli sembrava ostile.

“Venga, le faccio vedere la sua stanza! E’ vicino alla mia!” Il ragazzo - Peter - era praticamente corso in casa e con un alzata di spalle rivolta ai tre adulti lo aveva seguito in casa. Aveva sentito i tre riprendere a parlare una volta che aveva oltrepassato l’ingresso. I pavimenti di legno erano coperti in più punti da tappeti. I mobili, anch’essi in legno, ricoperti di cornici e vasi di fiori. Sembrava davvero una casa uscita da un catalogo, da quel poco che poteva vedere.

I passi di Peter rimbombavano dal piano di sopra e aveva deciso allora di seguirlo. Il ragazzo era in corridoio, fermo davanti alla porta e gli sorrideva.

“In fondo al corridoio c’è il bagno. Quella è la stanza di Steve, subito di fronte c’è la mia, questa è camera sua. E quello è lo studio di Steve.” Peter aveva aperto la porta di quella che sarebbe stata la sua stanza ed era rimasto trepidante sull’uscio attendendo che Tony entrasse per subito dopo seguirlo.

Tony aveva osservato la stanza e anche questa sembrava uscita da un catalogo di case rustiche e vintage. A Pepper sarebbe piaciuta con il letto in ferro battuto, i mobili in legno, le pareti chiare ma dai colori caldi, tende bianche e ricamate alle finestre.

“Sembra di essere ne “La casa nella prateria”.”

“E quello che ho pensato anch’io la prima volta che sono venuto qui. Sono cresciuto nel Queens.” Il ragazzo era rimasto sulla porta e gli sorrideva. “Ma poi ci fa l’abitudine. Tutto sommato non si sta male.”

“Fuori dal mondo. La città è a venti minuti di macchina. La fattoria dei Kent era più collegata col mondo.” Aveva guardato Peter e il ragazzo aveva riso. “Scommetto che hai dato tu il nome al cane.”

“Assolutamente sì. Steve non è molto appassionato di fumetti.”

“Non lo mettevo in dubbio. Nel tempo libero luciderà i suoi fucili e andrà a caccia.” Si era seduto sul letto, guardando il ragazzo che ridacchiava.

“No no, nel tempo libero si siede sotto il portico e disegna, per quanto assurdo possa sembrare.” Peter aveva distolto lo sguardo prima di riprendere a parlare. “Mi dispiace per quello che le è successo, signor Stark. Spero che si risolva tutto il prima possibile e che lei possa tornare a New York.”

“Almeno le notizie arrivano fino a qui.”

“Abbiamo internet.” Aveva sorriso di nuovo e poi era sparito scusandosi quando Steve lo aveva chiamato dal piano di sotto. Aveva fatto le scale di corsa e poi lo aveva sentito parlare con Natasha e James, mentre altri passi salivano le scale e si facevano sempre più vicini.

Steve Rogers si era fermato davanti alla sua stanza con i suoi bagagli in mano. Lo aveva osservato prima di entrare e appoggiare le valigie a terra.

“Spero che Peter non l’abbia annoiata, ma è un suo grande fan e non ha smesso di parlare di lei da quando Bucky mi ha telefonato per chiedermi se potevo ospitarla.”

Steve non lo guardava e Tony poteva immaginare anche il perché. Di solito non piaceva alle persone per la sua pessima fama, e in un certo senso non riusciva neppure a dare la colpa agli altri. Sembrava solo il classico riccone che sperperava i propri soldi nei modi più stupidi possibili.

“Capitano, se per lei è un problema posso sempre prendere una camera in città non appena Natasha e James se ne saranno andati. A mia discolpa posso dire che non ho avuto alcun potere decisionale in merito e mi sono sentito quasi sequestrato quando mi hanno fatto salire in macchina.”

“Sarebbe bene che lei non si facesse vedere troppo in giro. Il piano è questo, no? Tenerla lontano e al sicuro da giornalisti e chiunque ce l’abbia con lei in questo momento.” Steve lo guardava e a Tony non piaceva molto il suo sguardo. Si capiva chiaramente che lo stava giudicando per la sua condotta. “Troverà qualcosa di divertente da fare anche qui. Avrà la casa solo per lei per gran parte della giornata. La colazione è alle 6 e 30 se vuole raggiungerci e rientriamo nel pomeriggio. Le lascio qualcosa di pronto per pranzo; basta che lo metta nel microonde. E la pregherei soltanto di non portare delle donne qui.”

“Penso che sarebbe anche alquanto impossibile visto che nessuno sa dove sono e non sono neppure sicuro che questo posto sia segnato sulle cartine.”

Steve aveva sorriso. Un sorriso minuscolo ma era pur sempre un sorriso.

“La lascio sistemare le sue cose e ho un adolescente vero e uno troppo cresciuto da mandare a letto. Buonanotte, signor Stark.”

‘Notte, Capitano.”

Aveva osservato l’uomo che usciva dalla sua nuova stanza e si chiudeva la porta alle spalle. In quel momento aveva quasi la sensazione di avere di nuovo 6 anni e che quella fosse la sua prima notte in collegio. Al contrario degli altri ragazzi, lui aveva il privilegio di avere di una stanza tutta per sé. Quella prima notte non aveva chiuso occhio, troppo terrorizzato da ogni rumore e ogni ombra, e non c’era Jarvis a rimboccargli le coperte. Aveva odiato quel posto con ogni atomo del proprio corpo.

Un leggero bussare alla porta - che sapeva essere di Natasha - lo aveva distratto dai suoi pensieri tutt’altro che piacevoli, e subito dopo la chioma rossa della donna entrava nel suo campo visivo.

“Volevamo solo augurarti la buonanotte, anche se visto quanto hai dormito in macchina dubito dormirai stanotte.”

“Se non riesce a dormire le presto la Playstation!” Peter era entrato nella stanza subito dopo Natasha e Tony gli aveva sorriso.

“Dipende dai videogiochi che hai.”

Peter stava per rispondergli, ma aveva visto Natasha voltarsi e guardarlo male. “No, stanotte o dorme o riflette sulla gravità della situazione in cui si è cacciato. E anche tu dovresti già essere a letto. Hai finito i compiti per domani?”

“Sissignora.” Peter aveva assunto una posizione eretta e le aveva fatto un saluto militare.

“Vedo che ti conosce bene anche lui. Sai che questa qui si occupa di me da ben sei anni?” Tony si era alzato dal letto, avvicinandosi a Natasha e mettendole una mano attorno alle spalle.

“Voglio un aumento dopo questa storia. E anche quel bel vestito di cui ti parlavo l’altro giorno.”

“Ti compro anche le scarpe abbinate.”

Natasha gli aveva sorriso e in quel momento era grato a qualsiasi divinità di aver fatto entrare quella giovane donna nella sua vita. Le aveva posato un bacio tra i capelli e l’aveva stretta un po’ di più a sé.

“Domani scendi a fare colazione con noi, perché ripartiamo subito dopo e vorrei vederti prima di tornare a New York.”

Aveva annuito e Natasha gli aveva dato un bacio sulla guancia. Si era poi allontanata da lui e aveva fatto la stessa cosa con Peter. Un leggero bacio sulla guancia ed il ragazzo era arrossito.

“Buonanotte, ragazzi. Andate subito a nanna.” Era uscita dalla stanza e avevano sentito i suoi passi leggeri allontanarsi.

“Ragazzo, stai lontano da quella donna. E più pericolosa di una vedova nera. L’ho vista combattere una volta e ti giuro che non mi sono mai spaventato tanto. Forse avrei dovuto assumerla come guardia del corpo, non come assistente personale.”

“Sì, Nat è davvero fantastica in tutto quello che fa. Ma questo non vuol dire che abbia una cotta per lei, perché non è affatto così.”

Tony aveva ridacchiato osservando il ragazzo ancora rosso in viso. Natasha faceva quell’effetto a troppe persone. Catturava l’attenzione di tutti, uomini o donne che fossero.

“Puoi anche avere una cotta, solo che dovrai vedertela con Barnes e non so se ti conviene.”

Peter gli aveva sorriso di nuovo. “Non potrei mai competere con lui. Mi sfiderebbe ad uno scontro fisico e non sono di certo in grado di batterlo.”

“Sfidalo in qualcosa in cui deve usare la testa. Andrà in tilt dopo poco.”

Il ragazzo aveva ridacchiato prima di dargli la buonanotte e lasciarlo da solo.

Non appena la porta si era chiusa aveva osservato nuovamente la stanza e aveva sospirato. Era tutto troppo rustico per i suoi gusti, ma avrebbe dovuto farci l’abitudine.

Aveva tolto le scarpe prima di buttarsi ancora vestito sul letto e mettersi a fissare il soffitto. Sentiva le risate dal piano di sotto. Sentiva la musica che arrivava dalla stanza accanto alla sua. Sentiva poi dei passi sulle scale. La porta della camera di Peter che si apriva e la voce di Steve che augurava la buonanotte al ragazzo.

Sentiva una casa viva e forse era la prima volta in vita sua che gli succedeva.
   
 
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