Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: 9Pepe4    11/04/2009    8 recensioni
Sirius e Regulus. Una lite che lascia l'amaro in bocca, non tanto per come si conclude, quanto per come non viene conclusa, ma rimane aperta, sospesa.
«Quel ragazzo diventa ogni giorno più insopportabile» decretò mia madre.
Io alzai appena il viso, giusto per notare la sua bocca rossa ritta in una sentenza di disapprovazione.
Non sembrava avesse risentito della litigata che aveva appena avuto con Sirius, lite che era culminata con mio fratello spedito in camera sua senza cena.
Ormai digiunava sette giorni sì e uno no.
Per quanto mi riguardava, mi irritava il suo continuo tentare di mettere i piedi in testa gli altri. Riconoscevo che i miei genitori sembravano fare di tutto per rendergli la vita impossibile, ma lui si era fatto maledettamente arrogante…
Strinsi i pugni sotto la tovaglia, cercando di controllare almeno la mia espressione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Incompiuta

Ero arrabbiatissimo.
Nel tentativo di sbollire l’ira, mi concentrai sul mio piatto. Seguii con gli occhi – con un’attenzione che in qualsiasi altra occasione non sarei stato in grado di mantenere – i ghirigori dorati che s’inseguivano lungo il bordo bianco, intersecandosi nello stemma dei Black.
«Quel ragazzo diventa ogni giorno più insopportabile» decretò mia madre.
Io alzai appena il viso, giusto per notare la sua bocca rossa ritta in una sentenza di disapprovazione.
Non sembrava avesse risentito della litigata che aveva appena avuto con Sirius, lite che era culminata con mio fratello spedito in camera sua senza cena.
Ormai digiunava sette giorni sì e uno no.
Per quanto mi riguardava, mi irritava il suo continuo tentare di mettere i piedi in testa gli altri. Riconoscevo che i miei genitori sembravano fare di tutto per rendergli la vita impossibile, ma lui si era fatto maledettamente arrogante…
Strinsi i pugni sotto la tovaglia, cercando di controllare almeno la mia espressione.
«Se solo non avessi timore delle chiacchiere» proseguì intanto mia madre, in tono glaciale, «lo lascerei per strada. Non è altro che un piccolo impertinente ingrato. È la vergogna della nostra famiglia, Orion».
Mio padre si limitò a grugnire seccamente per manifestare la propria approvazione.
Ecco un altro motivo per il quale odiavo il comportamento di Sirius: dopo che lui veniva spedito nella sua stanza, toccava a me ascoltare i commenti freddi dei nostri genitori.
Non mi piaceva.
Avevo quasi la sensazione di tradire mio fratello, ascoltando quelle parole sprezzanti senza protestare. In fondo, però, cos’avrei dovuto fare? Non volevo dare ai miei genitori altri motivi di dispiacere.
Inoltre trovavo che Sirius fosse terribilmente arrogante.
Credeva di avere il diritto di fregarsene altamente di me e dei nostri famigliari, si comportava come gli pareva e piaceva, scattava e attaccava chiunque volesse metterlo in riga – anche le tante volte in cui era in torto.
«Comunque, Regulus» esordì improvvisamente mio padre, rivolgendomi la sua attenzione, «la tua media è molto soddisfacente».
Risposi come si aspettavano, in tono rispettoso: «Grazie, padre».
Per un momento, potei bearmi dell’orgoglio che scorsi nei suoi occhi, fino a quando, senza aggiungere altro, tornò a mangiare.
Mio padre era fatto così: non si perdeva mai in chiacchiere. Quando voleva dire una frase la diceva, senza inutili giri di parole.
Un’osservazione e una risposta, poi la faccenda era chiusa.
La cena, a dispetto della bufera sollevata poco prima da Sirius, proseguì con calma. Io cercavo di non guardare verso il posto vuoto di mio fratello e allo stesso tempo mi irritavo con me stesso per l’importanza che davo al non vedere la sua sedia priva della sua presenza.
Finalmente, dopo quello che mi parve un secolo, mia madre chiamò Kreacher per sparecchiare.
Rivolsi un sorriso fugace all’elfo domestico, poi mi alzai in piedi. «Padre, madre, io andrei a letto» li informai.
Orion mi rivolse un gesto benevolo, e il mio cuore fece un balzo di gioia. «Vai pure, Regulus» mi congedò mio padre.
«Grazie». Indugiai. «Buonanotte» aggiunsi, prima di girarmi e dirigermi verso la mia stanza.
Avevo in mente di dare una ripassata veloce ad Incantesimi – non ero a buon punto con i compiti delle vacanze –, perciò mi sentii stupido quando invece bussai alla porta di mio fratello.
“Che diamine sto facendo?”
Ormai, però, non potevo tornare indietro, quindi rimasi in attesa.
Udii una specie di mugugno, poi alcuni passi, e la porta si aprì.
Mi ritrovai a fissare il viso di mio fratello a pochi centimetri dal mio. «Posso esservi utile, oh nobile rampollo dell’Antica Casata dei Black?» mi domandò, beffardo.
«Smettila!» sbottai, irritato.
Lui fece spallucce. «Cercavo solo di trattarti con il dovuto rispetto» replicò, rivolgendomi un sorriso affettato.
Quella smorfia mi ricordò spiacevolmente Hogwarts, quando lui camminava tutto tronfio in compagnia di Potter, Minus e Lupin, senza degnarmi di un’occhiata e attaccando briga con tutto e tutti.
Sirius approfittò quasi subito del mio silenzio.
«C’è qualcosa che potrei fare per voi, oh compiacentissimo Regulus?»
Avrei voluto strozzarlo, ma per qualche motivo mi trattenni. «Ad esempio» suggerii, in tono aspro, «potresti smettere di essere così pieno di te».
«Meglio di te, che sei così pieno d’altri» ribatté Sirius, e per un momento mi parve serio.
La sua frase mi disorientò. Prima che potessi rifletterci sopra, però, il viso di Sirius tornò ironico. «Ti dispiace che mammina si rovini la digestione per colpa mia?»
Fui costretto a ritrarmi disgustato. Digestione. Mi stava chiedendo se m’importava qualcosa della digestione.
«Mi dispiace – no, anzi, mi fa arrabbiare – che tu sia così ingrato, che tu faccia di tutto per staccarti da noi. Non l’avrai notato, Sirius, ma siamo la tua famiglia!» Senza volerlo, ero esploso, ma tentai di nascondere almeno in parte la collera che provavo.
«La mia famiglia?» mi fece eco Sirius, incredulo e insopportabilmente sarcastico. «Un uomo e una donna che arrivano ad odiarmi solo perché vado contro le loro preziose tradizioni di famiglia si possono chiamare genitori, secondo te?»
Mossi la testa di scatto, rabbioso. Era inutile, non capiva.
«Inizi sempre tu, e lo sai!» soffiai, furiosamente.
«Inizio sempre io?» Sirius sbottò in una breve risata simile ad un latrato, senza nessuna allegria. «Dimmi, Regulus, chi, se non “mamma” e “papà”» – pronunciò i due nomi con attento disprezzo – «mi fa notare dieci volte al giorno che inumana delusione sono?»
«Se non li avessi delusi davvero, ora non ti troveresti in questa situazione».
Mi accorsi di averlo detto davvero, seppur in un sussurro, solo quando Sirius mi fissò.
«Deluso?» s’informò. «Deluso? Io? Io sono solo andato dietro a quello in cui credevo. Sono loro che mi hanno deluso, Regulus. Anzi…» Mi fissò, gli occhi grigi improvvisamente scuri, e seppi che era in arrivo una frecciata a me dedicata. «Voi mi avete deluso. E tu, Regulus, non sei altro che un piccolo bastardo leccapiedi…»
Mi ci volle qualche istante per ritrovare la voce.
Quando ci riuscii, ribattei in piatto tono d’accusa: «Sei tu che credi nelle cose sbagliate».
L’attacco era ancora la mia miglior difesa, e mi resi conto di aver dato alla mia voce una nota di disprezzo che non avevo mai usato prima d’allora.
Sirius mi fissò, e fu come se la sua accurata maschera di indifferenza andasse in frantumi sotto ai miei occhi. Vidi sgretolarsi ogni sua ironia nella quale aveva celato la rabbia. Vidi la calma ostentata sbriciolarsi in mille pezzi. Troppo piccoli – troppi, semplicemente – per venire recuperati e riassemblati in fretta.
Per un momento, avvertii un’improvvisa sensazione di vertigine.
Mi accorsi di stare guardando, per la prima volta dopo così tanti anni, il vero Sirius. Fui sconvolto nel vedere quanto era diverso da quello che avevo percepito per tutto quel tempo. In cosa consistesse quella diversità, non avrei saputo dirlo, frastornato com’ero dalle emozioni che mi aggrovigliavano l’intestino.
Per un frammento di secondo mi parve di intravedere del dolore nei suoi occhi. Quando sbattei le palpebre, era già passato.
«No, Regulus. Sei tu che credi in ciò che non è giusto» mi comunicò Sirius, in un sussurro che mi raggelò.
Mi aggrappai al suo sguardo tentando di scoprire quel che la voce non mi aveva rivelato.
Sirius sbatté le ciglia sotto il mio esame e, con uno scatto, si ritirò dentro la propria camera, chiudendo la porta davanti a me con un tonfo.
Scosso da quella mossa repentina, sferrai un calcio contro il legno, per sfogarmi.
«Idiota!» ringhiai. «Sei un codardo, Sirius, mi fai schifo!»
Ero talmente arrabbiato e frustrato per come si era sottratto ai miei occhi – non si fidava più di me – che le parole sgorgarono dalle mie labbra, taglienti come coltelli, mentre in realtà avrei voluto solo chiedere se non potevamo tornare indietro.
Indietro fino al tempo in cui giocavamo sempre insieme.
«A volte nostra madre dice che sarebbe stato meglio se tu non fossi mai nato. A volte credo che abbia ragione».
Inghiottii il gelo delle mie stesse parole, poi mi voltai e corsi a rifugiarmi in camera mia.

Qualche ora dopo, ero ancora immobile nel mio letto.
Fissavo il soffitto buio senza essere capace di chiudere gli occhi e di provare a dormire.
Gli echi del mio litigio con Sirius tornavano a percuotermi ripetutamente.
Pensavo alla calma raggelante della sua voce nel momento in cui mi aveva definito un bastardo leccapiedi. Quel che mi tormentava maggiormente, però, non erano le parole di Sirius, ma le mie.
A volte nostra madre dice che sarebbe stato meglio se tu non fossi mai nato. A volte credo che abbia ragione.
Non riuscivo a credere di aver detto una cosa simile.
Essere così insensibile non era da me; nemmeno quando ero arrabbiato usavo essere così tagliente con gli altri.
Certo, una parte di me era ancora furibonda con Sirius per come si comportava con noi – con noi che eravamo la sua famiglia, anche se lui continuava a negarlo –, ma non riuscivo a capacitarmi di essere arrivato sino a quel punto.
Mi faceva vergognare.
Tanto più che non ero stato affatto sincero.
Sirius poteva essere testardo e attaccabrighe, e una significativa percentuale delle botte della mia infanzia mi era stata rifilata proprio da lui, ma di certo non avevo mai desiderato che lui non esistesse.
Era mio fratello, e prima di Hogwarts eravamo stati pressoché inseparabili. Sperimentavamo tutti i giochi che era possibile fare tra le mura tetre della nostra casa, e quando cadevo lui mi apostrofava chiamandomi “piagnucolone”, ma mi tendeva sempre la mano per farmi rialzare. Quando avevo degli incubi, poi, potevo sempre contare sul fatto che mi avrebbe accolto nel suo letto, e sapevo che se mai qualcuno avesse osato sfiorarmi con un dito, lui gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Un’altra cosa che mi inquietava era il lampo improvviso di dolore che aveva bruciato sui lineamenti di Sirius. Me l’ero immaginato o l’avevo visto davvero? Se era stato reale, a cosa era dovuto?
Alla fine, dopo essermi voltato in continuazione nel letto, fra ricordi e lampi di pensieri, caddi in un sonno agitato.
Quando mi svegliai, ero tutto sudato.
Mi sembrava di aver sognato qualcosa di brutto, ma non riuscivo a ricordare cosa fosse.
Ancora un po’ intontito dal sonno, lottai con le lenzuola per alzarmi dal letto. Mi diressi barcollante sino al bagno. Lì, in poco tempo, appallottolai il pigiama maleodorante e mi infilai un abito fresco di bucato.
Mi lavai più volte la faccia e, quando riemersi dall’asciugamano, mi fermai un attimo ad osservarmi nello specchio.
La prima cosa che balzò alla mia attenzione fu il fatto che ero decisamente troppo gracile per la mia età.
Feci una smorfia, che si ripeté perfettamente sul viso magro del giovane nello specchio.
Mi valutai, inclinando la testa. I capelli neri che mi scendevano attorno al volto erano un po’ arruffati a causa della dormita recente, mentre i miei occhi scuri, ridotti a due fessure, mi guardavano tetri da sotto le sopracciglia.
Nei lineamenti, ero molto simile a mio fratello. Nonostante lui avesse un fascino ben più marcato del mio, non avremmo potuto nascondere a nessuno il nostro legame di sangue.
Improvvisamente, sospirai e abbassai bruscamente lo sguardo, dirigendomi fuori dal bagno.
L’ovvia intenzione era di filare dritto in camera mia, ma ancora una volta mi ritrovai a fissare la porta di legno scuro della stanza di Sirius.
Deglutii, mentre il peso della nostra litigata mi gravava nuovamente addosso. Mi stupii che le mie spalle non si afflosciassero.
Mentre i miei piedi nudi cominciavano ad intirizzirsi per il contatto con il pavimento freddo, indugiai sul posto.
Non riuscivo a decidere cosa fare, e d’un tratto mi chiesi da quanto tempo non sentivamo un “mi dispiace” sincero passare tra noi.
Il mio orgoglio si sentiva maledettamente sminuito, eppure mi dissi che l’unica soluzione era far pace con mio fratello.
Non era la prima volta che discutevamo – e di certo non sarebbe stata nemmeno l’ultima – ma mi sentivo come se avessimo raggiunto un limite, e volevo rimediare.
Mi domandai cosa avrei detto, e se Sirius mi avrebbe trattato come un cretino.
Pensandoci, dovetti concludere che Sirius sarebbe stato talmente esterrefatto dalle mie scuse da scordare quel sarcasmo che lo dipingeva tanto insopportabile ai miei occhi. Forse lo stupore l’avrebbe condotto al punto di dire un “mi dispiace” a sua volta.
Forse, ipotizzai, avrei potuto sempre chiedergli scusa ma non risparmiarmi un insulto.
Subito dopo sospirai. Se il mio dispiacere doveva risultare sincero, dovevo lasciar perdere gli epiteti poco lusinghieri.
A quel punto, anche per i miei piedi congelati, maledissi quelle incertezze.
“Siamo fratelli!” mi ricordai, fermamente.
Pensai di nuovo alla somiglianza tra me e lui. In quel momento non mi irritò come aveva fatto poco prima, mentre ero davanti allo specchio, ma mi fece sentire di essermi tolto un gran peso dal petto.
Reprimendo i miei dubbi, abbassai la maniglia ed entrai. «Sirius…» iniziai, ma venni subito assalito da un’inquietudine improvvisa.
Guidato da quel panico irrazionale, spalancai gli occhi, guardandomi attorno e tentando disperatamente di abituarmi all’oscurità.
Non appena ci riuscii, seppi che il buio era preferibile, e mi irrigidii notando le condizioni della sua stanza.
Le pareti erano ancora ricoperte di giallo e rosso, ancora tappezzate di poster babbani. Ma tutto ciò, per quanto mi ripugnasse, era normale. La cosa che attirò dolorosamente la mia attenzione fu il fatto che la stanza era vuota.
Mossi qualche passo in avanti, come stordito.
Era scappato.
Lo sapevo, senza aver bisogno di verificare che nell’armadio mancassero degli indumenti, o i suoi libri di scuola.
Lo sapevo, forse grazie al cuore che mi batteva all’impazzata nel petto, forse grazie alla sensazione di nausea mista a vertigine che mi aveva assalito all’improvviso.
Se n’era andato di casa.
Mi aveva lasciato.
«Deficiente» dissi al vuoto, impotente.
Le mie scuse si dissolsero nel silenzio.
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: 9Pepe4