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Autore: tartaruga_dt    23/05/2016    0 recensioni
«Questo significa che ho ragione io» fa Danny allacciandosi la cintura «Del tuo amico Joe White non sai un bel niente.»
Questa fanfiction parlerà solo marginalmente di Steve e compagni – il loro ruolo andrà espandendosi nel corso dei capitoli ma in effetti questa è una storia su un personaggio secondario. Datele comunque una possibilità, per favore ^^
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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H50-Sonny1

Quando Joe White gli tende la mano, Steve la stringe. Joe avrà cura di te, gli aveva detto il suo vecchio prima di spedirlo in Accademia. Sono passati anni da allora ma sa che, nonostante le cose che Joe promette di dirgli e non gli dice, può fare sempre affidamento su quelle parole.

«Non fraintendermi» comincia Danny quando Joe gli ha dato la schiena e si è allontanato abbastanza da non poterli più sentire «Lui mi piace. Voglio dire, mi ha dato una mano a tenerti fuori di galera e appena gli fai un fischio si precipita qui. Ci tiene davvero a te. Ma sinceramente mi mette i brividi.»
«I brividi addirittura?» ghigna Steve «Sicuro che non sia la tua allergia ai militari a parlare?»
«Non ho nessuna allergia ai militari» precisa Danny mentre sale in macchina «Sono allergico a te ma questo è un altro discorso. Il punto è che del tuo mentore non sappiamo un bel niente, è una specie di uomo ombra.»
«Ehi, io conosco Joe, si è preso cura di me da quando ero un ragazzo.»
«E per questo lo rispetti, lo capisco. Ma dove va quando non è qui? E cosa fa quando non ti aiuta a evadere di prigione o ti salva la pelle o si butta in mare con un furgoncino? Sai perlomeno se ha una famiglia o una fidanzata o un cane o… qualcuno?» Steve fa un sospiro rassegnato.
«Joe è stato in Marina per tutta la vita, ha imparato a essere riservato e a tenersi stretto i suoi segreti.»
«Questo significa che ho ragione io» fa Danny allacciandosi la cintura «Del tuo amico Joe White non sai un bel niente.»




Sonny




Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone
And your daddy’s a sailor who never comes home
Nights are so long silence goes on
I’m feeling so tired and not all that strong…
Ron Hynes, Sonny’s dream




Uno.


Joe sale sul suo furgone mentre la sera scende sulle spiagge hawaiane. Viaggia con il finestrino aperto, per godersi la brezza fresca che viene dal mare, fa una sosta in un ristorante italiano dove compra due porzioni di cannelloni da asporto e un’intera torta al cioccolato. Poi torna in fretta al furgone e si lascia alle spalle le luci dei locali che si accendono una a una, come brillanti richiami per turisti. Mezz’ora più tardi è davanti alla porta del suo appartamento, un buco di due stanze al sesto piano di un palazzo senza ascensore, ma si ferma giusto il tempo di mettere sotto chiave la pistola. Poi raccoglie la busta con i cannelloni, la scatola della torta ed esce di nuovo. Non fa molta strada, raggiunge la porta che segue la sua sul pianerottolo e bussa. Crown, recita la targhetta accanto al campanello.
«Chi è?» domanda una voce sospettosa dall’interno.
«Alyssa, sono Joe» risponde lui. Quando la porta si apre a fare capolino c’è un viso bianco e rotondo come la luna piena.
«Ciao» fa la ragazza sulla porta, con i grandi occhi scuri spalancati per la sorpresa.
«Ciao» fa lui di rimando «Mi stavo chiedendo se avessi cenato. Perché vedi, aspettavo un amico che avrebbe dovuto mangiare con me stasera, ma purtroppo all’ultimo ha dovuto disdire. A te piacciono i cannelloni, vero?»

*

La ragazza – Alyssa – ha trent’anni ma è talmente esile e minuta che sembra infinitamente più giovane. Vertiginosamente più giovane, pensa Joe mentre la guarda fare spazio sul tavolo ingombro di libri.
«Temo di essere molto disordinata» si scusa lei imbarazzata, raccogliendo tra le braccia tutti i libri e i fogli che può. Joe si limita ad alzare le sopracciglia ma il SEAL dentro di lui grida che “disordinata” è un eufemismo. «Dammi un secondo e faccio un po’ di posto» dice lei con libri, quaderni e blocchi da disegno incastrati sotto al mento, ma l’istante dopo inciampa sull’orlo del tappeto, perde l’equilibrio e tutto quello che teneva tra le braccia finisce per terra. Se lei non fa la stessa fine e non finisce a faccia avanti, è solo perché Joe riesce ad afferrarla prima. «Oh» sospira affranta «Mi dispiace, mi dispiace tanto.» A lui invece non dispiace per niente, almeno per un attimo ha avuto una buona scusa per tenerla stretta.
«Facciamo che lasci tutto così com’è» le dice quando ce l’ha ancora così vicina che può sentire il profumo di fiori del suo shampoo «Ora io ti aiuto a raccogliere questa roba, e tu metti i cannelloni nei piatti, cosa ne dici? Mangeremo seduti per terra, il tuo tappeto sembra comodo.»
«Cosa? No, non…»
«Ehi» la zittisce «Sono venuto perché mi serviva un complice per far sparire tutte queste calorie senza rimorsi, non m’importa dove le mangiamo.»
«Ma per terra… che padrona di casa sarei se ti lasciassi mangiare per terra?» Joe le sorride.
«Ti dirò, ho mangiato in posti peggiori.» Nelle prigioni nordvietnamite, tanto per fare un esempio, e lì sala da pranzo e latrina erano un’unica stanza. Alyssa però non lo sa, è fermamente convinta che ne vada del suo onore di padrona di casa e pretende un compromesso. Così si ritrovano a magiare seduti sul tappeto, intorno a un tavolino di fortuna realizzato impilando in ordine i libri che le erano caduti: lei ci ha steso sopra una tovaglia a quadretti bianchi e blu, ha sistemato piatti e bicchieri, e Joe ha dovuto ammettere di essere piuttosto comodo.
«Ci sono più libri dall’ultima volta che sono stato qui o mi sbaglio?»
«Qualcuno» ridacchia la ragazza portandosi la forchetta alla bocca.
«E molti, molti più fogli. Questo significa che il tuo libro prosegue bene?» Lei arrossisce fino alla radice dei capelli.
«Prosegue» risponde evasiva dopo aver mandato giù il boccone «È solo la prima stesura. Scrivo di getto, non ci vuole poi molto.»
«Ci vuole fantasia, suppongo. E la pazienza di dare un nome a tutte le cose che hai in testa.»
«La fai sembrare una cosa seria così.»
«E tu invece la fai sembrare una cosa da tutti» la rimprovera lui con un sorriso sottile. La ragazza ha la replica già pronta sulle labbra, una giustificazione balbettante per la sua ostinata abitudine di sminuire tutto quello che fa, ma Joe non ha nessuna intenzione di stare ad ascoltarla: «Finisci i cannelloni, coraggio» la incalza «C’è ancora la torta da far sparire.»
Poi parlano del più e del meno, del tempo, dei buoni libri, di musica. Soprattutto di musica. Alyssa gli racconta che sua madre sapeva suonare la chitarra molto bene e che quando era bambina, le dedicava una canzone ogni sera. Joe ascolta fingendosi sorpreso, ma quando lei inizia a dire di una canzone in particolare, una un po’ triste, che le è rimasta nel cuore perché sembrava parlare proprio di loro, di lei e di sua madre, allora non ce la fa più: «Sonny’s dream non parla di te» la interrompe. Lo fa più bruscamente di quanto avrebbe voluto e molto, molto di più quanto la sua copertura avrebbe richiesto, ma fortunatamente Alyssa non sembra farci caso.
«Come sai che mi riferivo a Sonny’s dream?» chiede invece, con la bocca che disegna una O sorpresa.
«Sonny’s dream è la canzone a cui ti sei ispirata per scrivere il tuo primo libro, giusto? C’è scritto sulla quarta di copertina.»
«Accidenti» soffia lei ammirata «Sei un tipo attento! Sei sprecato per un lavoro nell’import export, saresti dovuto entrare in polizia o chissà, magari nei servizi segreti.» Oppure in Marina, pensa lui, ma non dice niente, le sorride e manda giù un altro boccone di torta. «Sei stato via a lungo» continua Alyssa quando il silenzio si è prolungato più del dovuto «Dove ti ha portato il tuo lavoro stavolta?» Joe alza le spalle.
«Un po’ qui, un po’ lì» risponde evasivo «Non è importante in fondo. L’importante è tornare, non credi?» Lei ci mette un po’ a rispondere.
«Credo di sì» mugugna alla fine, ma non ne sembra poi così convinta.

*

Il mattino dopo la sveglia suona alle quattro in punto. Joe apre gli occhi in una stanza buia e per qualche minuto rimane disteso nel letto, con un braccio sotto la testa e l’altro sullo stomaco, ad ascoltare i rumori ovattati che vengono dall’appartamento accanto al suo.
Alyssa si sta preparando: alle quattro e mezza circa uscirà di casa, chiuderà a doppia mandata e poi filerà al lavoro dove servirà caffè ai serfisti mattinieri, pulirà il bancone e passerà la giornata portando le ordinazioni ai tavoli. Alle quattro del pomeriggio la sua amica Arona verrà a darle il cambio e lei correrà in ospedale a fare compagnia a quei pazienti che non hanno nessuno, rimarrà finché non la cacceranno via a pedate e allora tornerà a casa, lavorerà al suo libro, e alla fine crollerà addormentata con la faccia premuta sopra la tastiera del computer.
Joe rimane al buio e aspetta. Un rumore più forte degli altri lo avvisa che la ragazza deve di nuovo essere inciampata sul tappeto e che questa volta nessuno le ha impedito di prendere il pavimento di faccia. Non fa in tempo a preoccuparsi che la sente chiudere la porta di casa e correre giù per le scale.
Joe rimane ancora a letto, in attesa, e neanche un minuto dopo la sente risalire le scale ansimando, rovistare nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi e rientrare dentro casa. Prova a immaginare cosa possa essersi scordata: forse il telefonino, forse un elastico per i lunghi capelli scuri, forse il portafoglio. Qualunque cosa sia la trova abbastanza in fretta ed esce di nuovo di casa. Ma fa appena in tempo a richiudere la porta che deve realizzare di aver scordato qualcos’altro, perché la sente infilare di nuovo la chiave nella toppa e riaprire.  
Joe sospira nel buio. Ogni mattina la stessa storia: Alyssa esce di casa, scorda qualcosa e rientra, esce di nuovo, poi rientra ancora, e intanto inciampa o sbatte da qualche parte oppure fa tutte e due le cose insieme. È come una bambina che si arrangia a vivere sola senza esserne capace e una parte di lui – la parte pratica che la Marina ha reso affilata ed efficiente – rimane sgomenta davanti a tanta goffaggine. Un’ altra parte invece – quella che la Marina aveva sepolto sotto anni di addestramenti durissimi finché non aveva dimenticato di averla – trema di paura: paura che prima o poi si faccia male sul serio o che qualcuno possa approfittare di quella sua graziosa testolina sempre tra le nuvole. Certe mattine, quando il numero di volte in cui la sente chiudere e aprire la porta è particolarmente alto, deve davvero sforzarsi per resistere all’impulso di uscire di casa per aiutarla a prepararsi la borsa e accompagnarla a lavoro.
Quella mattina comunque le cose si risolvono piuttosto in fretta: Alyssa entra ed esce solo un paio di volte poi Joe la sente precipitarsi giù per le scale. Aspetta cinque, dieci, venti minuti. Quando è sicuro che non tornerà più indietro, allora si alza, si veste in fretta ed esce, raggiungendo la porta di casa della ragazza. Tira fuori dalla tasca dei pantaloni la copia delle sue chiavi ed entra.  

*

Per prima cosa controlla la posta: qualche pubblicità, la bolletta della luce, e una cartolina da parte di David e Carol che sono in viaggio di nozze nella vecchia Europa e che le mandano “baci e abbracci in quantità industriale”. Poi il computer, un vecchio portatile che tutto sembra fuorché portatile. Joe conosce già la password, l’ha indovinata al terzo tentativo la prima volta che si era intrufolato in casa; digita il nome “Holly” e il computer gli dà automaticamente accesso ai file e alla posta elettronica: c’è una mail da parte della signora Ahulani, la padrona del locale dove la ragazza fa la cameriera, che le chiede di coprire il turno di una collega; un’altra da parte della biblioteca, per avvisarla della prossima scadenza di un prestito; un’altra ancora da parte della dottoressa Susan Cox che le invia in allegato la tabella dei turni di volontariato in ospedale; sei da parte del forum “Dickens’s friends of Hawaii” e infine una decina di mail da parte di George Spencer, il suo editor, un giovanotto altissimo e allampanato che, tra la correzione di un capitolo e l’altro, trova il tempo di farle una corte timida e disperata. Niente di rilevante, Joe ha già indagato su tutti questi nomi, così passa a ispezionare la spazzatura e finalmente trova qualcosa di interessante: nel cestino della carta, sotto cumoli di fogli scritti fitti e poi sbarrati, ci sono i resti di una raccomandata. Joe ci mette un po’ a rimettere insieme tutti i pezzi in cui è stata strappata, Alyssa deve essere stata davvero molto arrabbiata – o spaventata – per ridurla in quello stato senza neanche aprirla, ma alla fine riesce a leggere l’indirizzo del mittente: Associazione Hawaiana Còrea di Huntigton. Alla cortese attenzione di Ms. Crown, recitava l’intestazione, Gentile Ms. Crown, nell’ambito della nostra campagna di prevenzione, ci rivolgiamo ai consanguinei dei malati di… Ma Joe non ha il coraggio di leggere oltre. S’infila i pezzi della lettera in tasca e prosegue la sua ispezione.
In bagno l’armadietto dei medicinali è rimasto come l’aveva trovato durante la sua ultima visita: tante garze e tanti, tanti cerotti, un flacone di acqua ossigenata vuoto per metà, una confezione di aspirine e una di analgesici per i dolori mestruali. Per sicurezza controlla anche in camera della ragazza, soprattutto nei cassetti del comodino accanto al letto, fruga anche tra la biancheria ma non trova altri medicinali e nemmeno prescrizioni mediche di sorta. A questo punto tutto quello che gli rimane da fare è recuperare la bozza del libro che Alyssa sta scrivendo e togliere il disturbo il più in fretta possibile.






Non voglio mentirvi: questa è una storia su Joe White, Steve&co. compariranno - e anche in maniera vistosa nei capitoli  dal IV in poi - ma non sono i protagonisti. Detto questo, per favore, dateci comunque una possibilità!
Gli aggiornamenti ci saranno ogni settimana, salvo complicazioni.
Che altro? Niente, credo di aver finito.
Vi lascio ricordandovi che ho un debole per le recensioni =P

Un abbraccio,
tartaruga
   
 
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