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Autore: AnnVicious    24/05/2016    0 recensioni
Londra, 1977.
Dominick è un ragazzo di 16 anni trasferitosi a Londra da un anno con sua madre, Sheila, dopo la morte del proprio padre. Vivono con i pochi soldi che hanno e Sheila farebbe di tutto per assicurare un futuro al figlio.
Steven ha 19 anni, il suo unico obbiettivo nella vita è quello di divertirsi, ma non a casa. Ogni sera, al suo ritorno, sarà come un tuffo nella cruda realtà.
Entrambi sono amici da quando l'anno prima si conobbero e da allora, si vedono sempre in una vecchia fabbrica abbandonata.
I due ragazzi dovranno far fronte a diversi problemi, a volte uniti ed altre no.
In un luogo dove il lavoro e le opportunità scarseggiano, dove la speranza viene divorata dalla realtà di tutti i giorni, ce la faranno a superare gli ostacoli che si presenteranno loro davanti e ad essere felici?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Rovine celate.

Iniziò tutto alla fabbrica abbandonata.

Era un pomeriggio di Ottobre, il fottuto 1977.

Come al solito, io e Steven eravamo intenti ad imbrattare i muri di quell'inutile ammasso di macerie che era quell'edificio, di cui sapevamo solo che in passato, era una fabbrica di detersivi da quattro soldi, di quelli che si possono comprare in offerta in ogni discount, poi un giorno, qualche anno fa, nello stabilimento scoppiò un incendio e da allora quella fabbrica fu dimenticata dalla società, persino dal comune, nessuno ne sapeva nulla, o almeno non ne voleva sapere. Era come un fantasma nonostante una parte si affacciasse su una strada principale, semi nascosta dagli alberi e da delle case nuove, da poco costruite.

Dimenticata da tutti, tranne che da me, Steven e qualche nostro amico.

Era il nostro punto di ritrovo, la nostra fuga dalla realtà.

Stavo disegnando su un pezzo di muro non ancora imbrattato, una radio tridimensionale, quando mi sentii spingere e all'antenna della radio si aggiunse un'estensione laterale. "Guarda che bel graffito!". Steven, alto poco più di me, mi aveva appena rovinato l'opera e aveva anche il coraggio di parlare. Sbuffai e risposi in tono decisamente acido "Era bello". Voltai la testa per guardarlo negli occhi azzurri ed assottigliai lo sguardo. "Poi il signor Whitlock rovinò tutto". Steven fece uno dei suoi sorrisetti che gli venivano meglio, ovvero quello sfacciato, che spesso mi invogliava a dargli un pugno in faccia. "Si può sempre abbellire, guarda qua". Steven mi rubò la bomboletta nera dalla mano e coprì il pezzo di antenna che avevo sbagliato con una saggia ed intelligente forma fallica, cosa che però mi fece sorridere: era un talento di Steven quello di farmi ridere subito dopo avermi fatto arrabbiare, ecco perché non gli avevo mai dato un pugno in faccia, o forse perché a differenza mia, lui non era magro come un chiodo ma aveva un abbozzo di massa muscolare. "Questa si che è arte, altro che Van Gogh". Steven rise, gettò la bomboletta nera a terra e poi si sedette vicino al graffito della radio, dando le spalle al muro, così si accese una sigaretta e subito feci per rubargliela, ma mi beccai un ceffone sulla mano. "Aspetta almeno di essere maggiorenne, Michelangelo". Lo guardai di nuovo male e con uno sbuffo, mi sedetti di fronte a lui "Ma se le altre volte mi hai sempre offerto le sigarette". Steven mi lanciò il pacchetto ed io entusiasta, feci per sfilarne una, ma la scatolina era vuota, così gliela tirai addosso. "Per un attimo ho quasi creduto che ci tenessi ai miei polmoni". Steven ridacchiò, poi fece un tiro dalla sigaretta e mi soffiò addosso dei piccoli e perfetti cerchi di fumo. "Ci tengo solo quando sto per finire o finisco le sigarette". Spuntò un'altro di quei suoi fastidiosi sorrisini sul suo volto, così detti un piccolo calcio al suo piede e lui ridaccchiò ancora. Cazzo, come era fastidioso quando faceva così. "Solo le ragazze picchiano in questo modo, lo sai?". Guardai male Steven per l'ennesima volta, poi mi alzai e presi la bomboletta di vernice in mano, puntandola sulla sua felpa rossa, un pò scolorita. "E questa è una tattica che usano i bambini". Mi fece la linguaccia e posò la sua mano sulla mia, per poi fregarmi con rapidità la bomboletta e farmi una bella macchia nera sui jeans, all'altezza del ginocchio, così gli tolsi quell'arnese infernale dalle mani e lo gettai dall'altra parte dello stanzone. Steven scosse la testa bionda, come segno di esasperazione e sospirò. "Questo anche è un comportamento da bambini. Si vede proprio che hai sedici anni". Posò quegli occhi azzurri e sfacciati sui miei, in attesa di una mia reazione, così lo accontentai e feci per saltare addosso a lui, ma non me ne dette il tempo che agilmete, si alzò e prendendomi per le spalle, mi sbattè con la schiena contro il muro, ma senza farmi molto male, sapeva che ero fragile come un bicchiere di vetro. "Ehi combattente, non tutti sono come te" . Mi morsi forte il labbro inferiore, cercando di fare qualcolsa mentre lui, con la sua voce roca e fastidiosamente decisa, diceva: "Dovresti imparare a difenderti per il verso. Lo sai". Lo guardai negli occhi, come ad intimargli di stare zitto, così approfittai di un suo momento di distrazione per fargli lo sgambetto e farlo finire col culo per terra. "Ma bravo, bel modo da coglione che hai di combattere. Vieni qui". Mi fece segno di sedermi di fianco a lui, così un po titubante, lo feci, avevo paura che volesse prendermi alla sprovvista, ma sbuffai quando appena posai il culo di fianco al suo, mi abbassò la maglia, in modo da scoprire solo la spalla, dove nascondevo un livido violaceo, fresco di qualche ora prima. "Questo non te l'ho fatto io". Il tono di voce di Steven si era fatto serio, accusatorio, così spostai la sua mano dalla mia spalla con poca delicatezza e mi alzai dicendo. "Te li fai i cazzi tuoi ogni tanto?".

Ma era come se non mi avesse sentito affatto, infatti proseguì come se non avessi proprio parlato. "E' stato di nuovo quello stronzo di Ethan?". Sbuffai: non volevo parlarne, il pomeriggio andavo alla fabbrica abbandonata proprio per non pensare a tutto il resto, invece Steven era sempre pronto a farmi parlare di cose che preferivo tenere per me, ma non capiva, era testardo come un mulo. "Jimmy". Risposi con voce secca mentre mi infilavo la giacca di jeans. "Jimmy testa di cazzo Bensen, immagino. Di solito colpisce in faccia da ciò che ho visto". Mi voltai verso Steven e scossi la testa, dicendo con voce acida. "Sono riuscito a schivare il colpo".

"Che ti è finito sulla spalla". Concluse Steven e mentre io mi dirigevo verso l'uscita dalla fabbrica, ovvero la metà di un grande portone, sentendo i suoi passi dietro di me, sbuffai e quando mi fermai per raccogliere lo zaino accanto al portone, mi voltai verso di lui dicendo a voce alta. "Che cazzo vuoi? Dirmi quanto sono bambino? Farmi sentire ancora peggio?". Lui si fermò e scosse la testa, un ciuffo biondo grano gli finì davanti ad un occhio. "Siamo amici da un anno, Nick. Perché non ti fai aiutare da me?"

Per un attimo, lo guardai negli occhi, sembrava quasi una supplica. La sua espressione, come al solito, era decisa, ma c'era qualcosa di molto vicino ad un'implorazione nei suoi occhi. "Vaffanculo". Gli risposi semplicemente ed affrettai il passo per non farmi raggiungere da lui, ma non sentivo i suoi passi dietro di me, solo un "Ci vediamo domani" in lontananza, sapevo che mi voleva bene ed io ne volevo a Steven, ma io non ero come lui, non ero capace di andarmene in giro con strafottenza come lui, non sapevo ignorare le persone. Lui si ed era una cosa che da sempre gli invidiavo.

Oltretutto non gli volevo solo bene, lo amavo a sua insaputa dal primo giorno in cui ci conoscemmo a scuola.

 

  
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