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Autore: Verde Pistacchio    26/05/2016    2 recensioni
Dal Testo:
Domenica. Ore otto e trenta. Il meteo prometteva una giornata calda e soleggiata, per quanto calda possa essere una domenica invernale. Il sole riscaldava l’aria ma quel freddo non mollava, ti pizzicava il volto e ti entrava dentro le ossa. Non amava il mese di dicembre proprio per le basse temperature a cui doveva abituarsi, ma in generale detestava l’inverno. Ogni sera i suoi piedi erano completamente congelati, nonostante indossasse delle pesanti calze di lana fatte a mano. Queste erano un po’ scomode ma un regalo della mamma non si rifiuta mai. E poi si divertiva a toglierle la notte, perché a pagarne le conseguenze era il suo compagno. Durante la notte, sotto le coperte, quando lui cadeva in dormiveglia: gli occhi si appesantivano, il corpo si rilassava ma la mente continuava imperterrita a lavorare e non voleva saperne di staccare la spina e lasciarlo dormire tranquillo. Quando il suo compagno si sdraiava sul letto, dopo una chiacchierata, spegneva l’abat-jour e il silenzio dominava la stanza lei partiva all’attacco!
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Domenica. Ore otto e trenta. Il meteo prometteva una giornata calda e soleggiata, per quanto calda possa essere una domenica invernale. Il sole riscaldava l’aria ma quel freddo non mollava, ti pizzicava il volto e ti entrava dentro le ossa. Non amava il mese di dicembre proprio per le basse temperature a cui doveva abituarsi, ma in generale detestava l’inverno. Ogni sera i suoi piedi erano completamente congelati, nonostante indossasse delle pesanti calze di lana fatte a mano. Queste erano un po’ scomode ma un regalo della mamma non si rifiuta mai. E poi si divertiva a toglierle la notte, perché a pagarne le conseguenze era il suo compagno. Durante la notte, sotto le coperte, quando lui cadeva in dormiveglia: gli occhi si appesantivano, il corpo si rilassava ma la mente continuava imperterrita a lavorare e non voleva saperne di staccare la spina e lasciarlo dormire tranquillo. Quando il suo compagno si sdraiava sul letto, dopo una chiacchierata, spegneva l’abat-jour e il silenzio dominava la stanza lei partiva all’attacco!
Aspettava paziente, con lui la pazienza non era mai troppa, un paio di minuti. Lasciandogli in questo modo l’illusione che anche lei stesse dormendo, che non sarebbe successo niente ed invece… gli si avvicinava da dietro, lo abbracciava e gli circondava le gambe con le proprie, accarezzando i suoi piedi con i propri «Ah! Lu hai i piedi ghiacciati…» si lamentava a mezza voce, in un sussurro. Lei rideva sotto i baffi, continuando ad accarezzarlo e coccolarlo mentre lui borbottava «Ti prenderai tutto il mio calore! Mannaggia a te!». Le piaceva fargli qualche innocuo scherzetto, dopotutto non faceva altro che ricambiare con la stessa moneta.

Tutto ciò riempiva le sue giornate, specie quando non tornava a casa per parecchie ore. Allora, in quei momenti, riportava alla mente questi avvenimenti. Di solito lui dopo un po’ continuava a lamentarsi, lei lo accarezzava e tra una parola e l’altra si riappacificavano, come avevano sempre fatto l’uomo e la donna fin dai tempi più antichi, benché a conti fatti non ci fosse stato nessun litigio. Tutto aveva un carattere allegro, leggero e scherzoso. Lui si girava per guardare in faccia sua moglie, si abbracciavano stretti e si univano in modo lento, rispettando i tempi dell’altro, come se il tempo si fosse fermato e nell’intero pianeta fossero rimasti solo loro due. La notte era il loro momento, in cui potevano lasciarsi alle spalle tutto e amarsi in modo completo, liberando il loro bisogno e un’energia sopita fino ad ora per dedicarsi al loro oggetto dei desideri.

Quel giorno era il loro anniversario di matrimonio. Lucrezia e Matteo si erano sposati esattamente cinque anni fa e da allora poco era cambiato, ma tra loro era rimasto lo stesso feeling che era nato più di cinque anni fa. Spesso, a causa degli orari lavorativi, trascorrevano l’intera giornata separati. Ma, poter tornare a casa e sentire il profumo, la voce e la presenza dell’altro era un balsamo spalmato sulla stanchezza quotidiana. Certo i litigi e i battibecchi erano all’ordine del giorno, a volte per le questioni più futili. Lei “teneva il broncio”, così lo definiva lui, per un paio di giorni mentre lui borbottava e si lamentava per lo stesso lasso di tempo. Lei cercava di mantenere la sua maschera di indifferenza, ma non poteva evitare di pensare che forse lui poteva sentirsi offeso e infastidito o che magari, in fondo in fondo, la colpa era anche un po’ sua. Alla fine ognuno andava incontro all’altro, riconoscendo le proprie colpe. Così quindi trascorrevano i giorni, i mesi e gli anni, tra alti e bassi.
La domenica mattina del tredici dicembre si prospettava allegra perché, una parte di lei, sperava di poter trascorrere quel giorno in compagnia di Matteo, ma si sbagliò. Il suo compagno era uscito da casa molto presto dal momento che Lucrezia, quando si svegliò, vide che il suo lato del letto era vuoto e un po’ freddo. Si spostò quindi dall’altra parte, il letto non era più caldo ma sul cuscino poteva ancora sentire il suo odore. Matteo non possedeva una fragranza precisa, tuttavia secondo lei il suo odore era inconfondibile! Lo avrebbe riconosciuto tra mille, apparteneva a lui e lo identificava. Dormì per altri trenta minuti con quei pensieri in testa e quell’odore sotto il naso.
Forse è meglio così, penso Lucrezia mentre si stiracchiava sul letto, ancora avvolta dalle lenzuola. Una parte di lei desiderava la sua presenza, un’altra invece gioiva per quella momentanea assenza e poter così lavorare indisturbata. Che fosse andato a fare in giro di domenica mattina lei non si prese la briga di chiederselo, presa com’era dai preparativi per il pranzo. Avrebbe impiegato più di due ore solo in cucina, senza considerare lo stato generale della casa. Dopo aver preparato il pranzo doveva pulire la cucina, rassettare la camera da letto. C’era davvero tanto lavoro, senza contare che anche lei aveva bisogno di una sistemata. Per quel giorno speciale avrebbe preparato un pranzo delizioso e un regalo per Matteo, così avrebbero festeggiato il loro quinto anniversario di matrimonio. Le sembrava trascorso solo un paio di giorni da quando si erano sposati e ancora di meno dal loro primo incontro.

Lei era una donna riservata dal carattere mite. Queste erano le qualità che Matteo apprezzava perché, secondo lui, sviluppavano il suo senso di protezione nei confronti di quella dolce e delicata figura che adesso era sua moglie. Eppure qualche volta emergeva un lato della sua personalità che Lucrezia non credeva di possedere, specie nei momenti di intimità che divideva con il compagno. Si sentiva esuberante ed intraprendente, una donna diversa in poche parole ed il merito era di Matteo e della sicurezza che derivava dal loro rapporto. Se sette anni fa qualcuno le avesse che, mentre lei si spazzolava i denti e il marito si lavava sotto la doccia, avrebbe tirato lo sciacquone del gabinetto e sentito le urla del marito a causa dell’acqua fredda che usciva dalla doccia e lei che si piegava in due dal ridere… be’ Lucrezia non avrebbe creduto ad una sola parola di quella persona. In risposta a quel piccolo scherzetto il suo compagno gliene fece un altro: gemette per il dolore, lei si avvicinò spaventata e preoccupata di avergli potuto fare male e lui rapidamente l’attirò sotto la doccia con lui, con l’acqua fredda che la inzuppò tutta. Inutile dire come terminò la vicenda. Le bastava questo ricordo per sorridere in modo spontaneo e rilassarsi. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventata una donna così energica, di solito lei era così posata e pudica. Con Matteo però il divertimento non mancava mai.

Il coniglio e il relativo condimento erano già dentro il forno, adesso era giunto il momento di pulire la cucina che assomigliava più ad un campo di battaglia. Mise le stoviglie dentro la lavastoviglie, aprì le finestre per far arieggiare la stanza satura di vari odori ed infine sistemò la tavola. Uscì dal frigo una bottiglia di vino rosso, controllò che i bicchieri fossero ben lucidi. In realtà lei non beveva molto, preferiva considerarsi astemia e non reggeva molto bene l’alcol come testimoniavano vecchie esperienze. Per esempio dopo soli tre bicchieri del classico spumante, utilizzato durante le feste, cominciava a sentire la testa leggera, un calore diffuso sul volto e un torpore su tutto il corpo, ma l’effetto collaterale peggiore era la risata! Nasceva spontanea per qualsiasi cosa, anche per una semplice parola. In quelle condizioni si sentiva un po’ stupida, chissà come la vedevano i suoi amici e che cosa potevano pensare al riguardo! Purtroppo le sue inibizioni cedevano e si sentiva parecchio rilassata. Al termine della serata, una volta giunti a casa, Matteo la prendeva in giro «Cavolo Lu sei messa proprio male!» ridacchiava «Adesso non mi farò scrupoli ad approfittare di te.» sorrideva sempre a quelle provocazioni, «Chi ti dice che non sarò io ad approfittare del tuo corpo?» si abbandonava senza remore sul petto del compagno e continuava a biascicare «… hai proprio un bel corpo.» qualche volta le parole che uscivano dalla sua bocca erano incomprensibili, ma Matteo non vi badava più di tanto. La prendeva tra le braccia e la portava in camera, la stendeva sul letto e le toglieva le scarpe e la giacca in modo da farla stare più comoda. A quel punto sua moglie era già nel mondo dei sogni non gli restava che preparare un’aspirina per il mattino e andare a dormire insieme a lei.
Lucrezia insegnava pianoforte al conservatorio. Aveva lavorato duramente per molti anni per poter insegnare in quel luogo che lei tanto amava. Non era stato un cammino semplice, aveva sì l’appoggio dei suoi genitori, ma spesso si era chiesta se fosse giusto sacrificare tanto della sua vita per inseguire il suo sogno. In realtà prima dell’insegnamento praticò parecchi anni di gavetta. «Devi farti le ossa prima di diventare qualcuno qui dentro.» le disse il suo insegnante nei mesi di tirocinio. In effetti in quegli anni imparò molto e ogni giorno cercava di trasmettere la sua passione e le sue competenze ai suoi alunni. Loro erano così diversi dai ragazzi dei suoi tempi. Per fortuna cambiò gli orari delle sue lezioni mattutine con quelle pomeridiane in modo da poter rimanere a casa mentre Matteo iniziava la sua giornata lavorativa. Lucrezia sperava con tutto il cuore che tutto andasse secondo i piani. Era parecchio agitata e conoscendo suo marito lei non sarebbe stata capace di nascondere il suo stato d’animo.
 

***

 
Mentre la sua dolce metà si divideva tra faccende casalinghe e culinarie Matteo aspettava che Guido, il fioraio del paese, terminasse la composizione floreale che aveva ordinato un paio di giorni prima. In macchina invece, sul sedile del passeggero, vi era appoggiata una torta appena uscita da “Peccati di gola” la pasticceria preferita da Lucrezia. Aveva lasciato casa sua di buon’ora per poter così terminare in tempo le sue commissioni ed approfittare del freddo mattutino. La temperatura non era molto alta e l’aria era frizzante, il freddo invernale gli graffiava il viso, si augurò che il dolce non si sciogliesse ma ciò era molto improbabile. I fiori erano il miglior regalo che potesse fare a sua moglie. Era proprio grazie a essi che loro due si erano conosciuti. Tutto era iniziato con un invito da parte del suo migliore amico, Fabio, alla prima esibizione di una sua cugina, la quale studiava al conservatorio come violoncellista. Quel giorno accompagnò Fabio al teatro per assistere ad un concerto.
 
Confesso di non essere un grande amante del teatro e della musica classica, ma non rifiuto mai un piacevole invito. Mi piace ascoltare un assolo di violino (quello che rimarrà però nella mia mente sarà sempre l’oboe). Più volte Lucrezia mi diceva di far emergere questo mio lato nascosto. Quel giorno Fabio era molto agitato, aveva comprato un mazzo di iris blu...  ma non volle spiegarmi il motivo. Disse solo che «Ci sarà una sorpresa.» lui non era un tipo da poche parole e la cosa mi incuriosiva, non dissi niente però, evidentemente Fabio voleva mantenere il mistero. Quel giorno non lo dimenticherò mai. Avevo in mano il programma, ero seduto in quarta fila in posizione quasi centrale, stavo leggendo i nomi dei prossimi musicisti quando ad un certo punto arrivò lei. L’orchestra e i due solisti precedenti avevano lasciato il posto al silenzio più assoluto. Nessuno fiatava, neanche il pubblico, come se attendessero in trepidante attesa l’arrivo di un grande evento. Ero teso e incuriosito in un certo senso. Le luci si abbassarono sulla figura femminile presente sul palco e sul suo strumento, un pianoforte. C’era solo lei e il palco illuminato, il resto era buio e l’atmosfera aveva un che di leggero e quasi onirico. Il vantaggio della mia postazione mi permetteva di ammirare quella ragazza in tutto il suo splendore. Quelle luci soffuse e quel silenzio perpetuo aumentavano la mia smania di vedere la sua esibizione. Ma la pianista ancora non ne voleva sapere. Si muoveva sullo sgabello, ordinava gli spartiti ed io continuavo a guardarla. Chiesi a Fabio: «Ma tu la conosci? Chi è?» «C’è scritto sul programma Matteo. Comunque mi sembra sia l’unica pianista del gruppo, credo che si chiami Lucrezia.» mi bisbigliò. Controllai sul foglio che stringevo fra le dita ed in effetti c’era solo un pianista ed era lei. Il nome forse non era così particolare come mi aspettavo, ma non avevo mai incontrato qualcuno che si chiamasse Lucrezia. Pronunciarlo mi riportava indietro nel tempo durante il dominio di imperatori e regge ricche di sfarzo. Un’epoca lontana e quasi perduta nella fantasia.
La ragazza era abbastanza elegante per un evento del genere sebbene il suo abbigliamento non fosse così sfarzoso. Indossava una blusa nera con le maniche trasparenti, con uno scollo a v sul quale (ne ero sicuro) doveva esserci un piccolo ciondolo o un punto luce, i pantaloni erano bianchi e lunghi tanto da coprire quasi le scarpe col tacco. Sembrava alta, ma forse la sua altezza era quella media e per quel motivo indossava scarpe col tacco. Non era solo bella, per il poco che l’oscurità mi fece vedere, ma anche brava. Accompagna con il corpo e la mimica facciale ogni accordo, ogni nota, bassa o acuta che fosse e ciò mi trasmetteva le sue stesse emozioni: calma, ansia, terrore e infine gioia. La melodia iniziava con note bassa per poi proseguire con un crescendo di note più acute e un ritmo frenetico che mi aveva fatto arpionare le dita al bracciolo della poltrona. Mi lasciai andare, mi lasciai trasportare da quella melodia, dai suoi movimenti delle mani sulla tastiera e del suo corpo che non mi accorsi della fine fino a quando il pubblico non ruppe l’incantesimo con un forte applauso. «È veramente brava.» dissi a voce alta senza rendermene conto e Fabio mugugnò un sì che quasi non sentì. Alcune persone si alzarono, tutte le luci si accesero e quasi mi accecarono. Forse il mio amico mi disse qualcosa ma non lo sentii perché la mia mente cercava ancora di analizzare le emozioni che avevo provato pochi attimi fa, mi sentivo in preda all’adrenalina ed ero anche accaldato. Mi voltai per avvertire Fabio che uscivo a prendere una boccata d’aria, ma di lui non c’era traccia. Dovevo proprio sgranchirmi le gambe e approfittare della pausa di un paio di minuti non mi sembrava una cattiva idea.

Non c’era niente di meglio che una boccata di aria fresca per togliersi di dosso l’aria viziata. Non ebbi neanche il tempo di chiedermi che fine avesse fatto Fabio quando con la mano tirai verso di me la porta per uscire e all’improvviso il mio accompagnatore mi venne addosso. «Ehi ma che è successo Fa?» lui si era già allontanato gettando a terra il mazzo di fiori, dovevo quasi urlare per farmi sentire ma non era il caso di dare spettacolo. Non sapevo cosa fosse successo, non uscii fuori, al contrario tornai indietro e lo seguii prendendo in mano i fiori che lui aveva sbattuto per terra. Lo cercai un po’ ovunque ma non lo trovai e per la seconda volta in tutta la serata un’altra persona mi venne addosso. Questa volta non era un uomo, ma una donna. Nell’impatto percepii un corpo piccolo e una macchia nera. Piccolo mi sembrava dal mio metro e ottanta di altezza. Rimasi sbalordito nel costatare che quella persona era Lucrezia! Non immaginavo che avrei potuto incontrarla, non certo in quel modo.
«Ehm… ecco io…»
«Mi dispiace!» parlammo contemporaneamente per poi fissarci negli occhi imbarazzi e un po’ impacciati.
«Scusami non volevo venirti addosso. Andavo un po’ di fretta.»
«No scusami tu non guardavo dove stavo andando.» l’occhio mi cadde sul mazzo di fiori che reggevo in mano, un po’ rovinato dalla carta.
«Tieni questi sono per te.» le consegnai i fiori senza pensarci e la vidi arrossire.
 «Grazie… sono magnifici.»  
«Sei molto brava ti faccio i miei complimenti. Hai molto talento.» sorrisi per stemperare l’imbarazzo di entrambi e lei scoppiò a ridere allegramente. Non sono mai stato così impedito, di solito esuberanza era il mio secondo nome.
 «Ne sono felice. Spero che l’orchestra ti sia piaciuta.»
«Si abbastanza.»
«Tu stai bene? Sai per la botta.» annuì con la testa, «Io mi chiamo Matteo.» le porsi la mano «Lucrezia.» me la strinse. Aveva una mano piccola e un po’ secca, ma le dita erano lunghe e affusolate, ottime per muoversi su un pianoforte. Intravidi Fabio che tornava a prendere posto. «Sai mi piacerebbe stare ancora con te. Possiamo rivederci?» non volevo che lei se ne andasse e tutto finisse così. Lei sembrò pensarci su poi mi disse con calma «Adesso io devo tornare dietro le quinte, ma dopo il concerto potremmo scambiare quattro chiacchiere. Di solito tutti insieme andiamo a prendere un caffè al bar accanto.» «Sta bene.» le strinsi di nuovo la mano per poi proseguire. Mi sarebbe piaciuto darle un bacio, ma come mi avrebbe detto lei stessa anni dopo «Ogni cosa a suo tempo.»
 
Il ragazzo alla cassa lo riscosse dai suoi flashback riportandolo alla realtà «Signore il biglietto?», «No tranquillo ci penserò io.» pagò la composizione floreale e tornò in macchina. Sperava che il viaggio in macchina verso casa non sciupasse i suoi iris. Non erano i fiori preferiti di Lucrezia ma avevano un significato importante per entrambi. Quella sera a teatro fu un incontro molto fortunato per lui, un po’ meno per il suo amico. Qualche giorno dopo seppe che Fabio aveva comprato quel mazzo di fiori per una ragazza dell’orchestra. Doveva immaginarlo... aveva preso il mazzo di fiori una volta arrivato all’entrata del teatro dove avrebbe dovuto incontrarsi con la ragazza in questione e consegnarle il suo regalo fu lei a fargli una sorpresa. L’aveva trovata in atteggiamenti intimi con un altro uomo. Matteo non chiese i dettagli, poteva immaginare la sua reazione e i dettagli da quello che vide. Adesso la situazione era diversa. Matteo aveva superato la sua timidezza e con Lucrezia era ritornato ad essere il Matteo di sempre, ancora non si capacitava dell’influenza che poteva avere una persona. Per quanto riguarda Fabio... be’ quella era un’altra storia.
 
Matteo chiuse lentamente la porta alle sue spalle per evitare di far rumore. Appoggiò il mazzo di fiori sul muro, in posizione verticale vicino i piedi del tavolino all’ingresso. Non sentiva nessun rumore sospetto a parte un leggero fruscio che proveniva dal soggiorno. Bene Lucrezia non era nei paraggi perciò si diresse in cucina, con ancora la giacca indosso, per mettere la torta in frigo. Il tavolo era già apparecchiato con bicchieri, tovaglia e persino le candele e una bottiglia di vino! Matteo sorrise a quella vista e un profumo delizioso gli metteva l’acquolina in bocca.
Caspita questa sì che è una sorpresa! pensò con stupore. Lucrezia si era data proprio da fare per organizzare tutto quello che i suoi ammiravano e chi era lui per toglierle ‘effetto sorpresa? Tornò indietro, attraversò il corridoio e arrivò in soggiorno. Lì trovò sua moglie intenta a sistemare alcuni spartiti per il pianoforte, che occupava metà dello spazio del salone, e a quanto pare non lo aveva sentito. Le si avvicinò quatto quatto alle spalle, avvicinò il volto al suo collo e quando appoggiò le mani sulle spalle della donna sentì il suo sussulto per averla colta di sorpresa.
«Ciao amore.» il sorriso che nacque sul viso di Lucrezia alla vista del compagno era qualcosa di impagabile, era così spontaneo. Le si illuminavano gli occhi e lui adorava quelle due pozze di luce chiara, così intensi da ricordagli l’immensità e la freschezza del mare. Questi furono la prima cosa che lo colpì. Quella sera a teatro, a differenza di ciò che aveva pensato all’inizio vedendo quella figura sul palco, vide che Lucrezia non possedeva la classica bellezza appariscente. Il suo viso era poco truccato, il che gli ricordava il volto di un’adolescente che tenta di diventare donna, il naso non era piccolo ma nell’insieme era attraente, come solo un’artista o una donna dalla personalità enigmatica poteva essere. Ora invece, a distanza di anni, erano entrambi cresciuti e cambiati grazie anche alla maturità, ma a Matteo ancora faceva un certo effetto vedere quel viso innocente e sapere che sua moglie non era più una ragazzina ma una donna intraprendente. Lucrezia era una totale contraddizione, fuori e dentro, ma Matteo l’amava anche per questo motivo. Nonostante i vari difetti nessuno dei due avrebbe cambiato qualcosa nell’altro. In tutti questi sette anni ne hanno passati di tutti i colori, ma erano giunti insieme fino al quel fatidico momento in cui la coppia si era scambiata la promessa più importante: trascorrere l’intera vita insieme “finché morte non vi separi” e lui sperava che la morte sarebbe arrivata il più tardi possibile. Si sa però che la vita è imprevedibile e lei non se ne fa niente dei progetti e delle promesse degli uomini.

Lucrezia lo strappò da quelle riflessioni girandosi e abbracciandolo, con le braccia gli cinse il collo «Auguri tesoro.» gli sussurrò con dolcezza all’orecchio e per tutta risposta il suo compagno la strinse forte a sé, come se non volesse più lasciarla andare e le regalò il primo bacio della giornata, ma non certo l’ultimo. Matteo non era mai stato un uomo incline ai sentimenti, forse perché era molto introverso e spesso preferiva usare l’ironia e il sarcasmo come armi di difesa, e lei invece viveva di emozioni e sentimenti costantemente. Quando si conobbero qualcosa si trasformò e per merito dell’uno o dell’altro il loro rapporto si arricchiva. Ogni giorno ognuno dei due scopriva qualcosa di nuovo dell’altro. Cercavano quotidianamente di superare insieme gli ostacoli, ma non era semplice e di certo non c’era un manuale con le istruzioni per l’uso.
«Credevo te lo fossi dimenticato.»
«Posso dimenticare una data qualsiasi del calendario, ma non potrei mai scordare il giorno in cui ti ho conosciuta.» la guardò negli occhi mentre parlava e vide che erano grandi e lucidi come gemme d’acquamarina.
«Adesso andiamo in cucina, ti aspettano un paio di sorprese.» sua moglie rideva sotto i baffi mentre lo prendeva per mano e si dirigevano in sala da pranzo e lanciò uno sguardo rapido al pianoforte, Matteo notò l’occhiata fuggevole della moglie: «Oh mia cara non credere di essere l’unica ad avere degli assi nella manica…» le strizzò l’occhio e questo suscitò perplessità sul volto di Lucrezia «No, no. Non ti dirò proprio niente. Come dici sempre tu “Abbia pazienza, ogni cosa a suo tempo”.» l’anticipò e lei si girò indispettita brontolando, seguita dalla risata baritonale di lui.
Il mondo di Matteo era composto da numeri ed equazioni che Lucrezia proprio non capiva. Lei e la matematica non erano mai andati d’accordo, figurarsi l’informatica! Ora però lui stava lasciando spazio alla fantasia e alla creatività. «Dio ti sposerei altre mille volte ad occhi chiusi.» Lucrezia si girò al suono di quelle parole e le sue guance si imporporarono.
«Non sono ancora abituata a queste tue frasi sai?»
«Mi correggo non potrei mai sposarti a occhi chiusi.»
«Perché?»
«Non posso privarmi di ammirarti in tutta la tua bellezza. Ti amo Lucrezia, per quanto queste parole possano essere semplici e banali non riesco a esprimere in nessun altro modo ciò che provo. Perché è questo il sentimento che c’è tra noi: Amore. Non smetterò mai di dirtelo.»
A Lucrezia scendevano già le lacrime dagli occhi e percepiva la ferrea presa delle mani di Matteo sulle proprie braccia. Quando le parlava così si commuoveva sempre, era inevitabile. Lo abbracciò forte e con la mano scese ad accarezza la sua fede nuziale, sapeva il percorso a memoria e poteva farlo ad occhi chiusi, proprio come stava facendo in quel momento. Questa volta il bacio fu diverso. Non era di benvenuto, ma l’incontro di quelle due labbra era carico dei loro sentimenti, dei loro bisogni, ma soprattutto dell’amore che provavano l’uno per l’altra.
Matteo fu felice di ricordarsi della porta aperta in camera da letto, più vicina era la loro meta meglio era per loro. Nel frattempo il coniglio si era già raffreddato e la coppia decise di festeggiare il loro anniversario nella maniera più intima, come solo un uomo e una donna sapevano fare. Perché in fondo loro erano semplicemente Lucrezia e Matteo, non avevano bisogno di altro se non di loro stessi.
 





Note
Salve! Ho deciso finalmente di postare una storia in questa sezione. Un po' perché è la prima volta e perché questa storia fa parte di una raccolta Le mille e una via, depositata sul mio sito. Ero curiosa di sapere il parere dei lettori, così eccola qui. Non sono mai stata portata per il genere romantico, però mi son detta di mettermi alla prova e di vedere il risultato. Spero che la storia vi sia piaciuta :) vi lascio il link del mio blog dove pubblico vari racconti brevi, se avete voglia di curiosare.
Mondo 2.0
 

   
 
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