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Autore: teeni    26/05/2016    1 recensioni
"Come facevo ad idolatrare un uomo di cui sapevo così poco?
E come mai la sua mancanza mi causava tanto dolore?"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vivevo una vita normale.
Colazione, lavoro, pranzo, biblioteca, cena, letto.
Le mie giornate scorrevano veloci.
Mi stavo godendo l’anno di pausa che mi ero presa prima di iniziare l’università.
Impegnavo il mio tempo lavorando al caffè, andando in biblioteca a leggere e ascoltare musica e vedere film.
Tutto era regolare.
Finché non ho visto lui.
 
Ero a riprendere la mia borsa negli armadi appositi, quando lo vidi: appoggiato al corrimano che portava al piano di sopra.
Non so cosa mi successe, cosa scattò dentro di me.
Finii di chiudere l’armadietto, quando mi girai era già andato via.
Andai a casa, mangiai e andai a dormire.
Da quel giorno continuai a vederlo. Ovunque.
In ascensore.
Sulle scale.
All’entrata.
Al caffè.
Inizialmente, cercai di capire qualcosa in più su di lui. Quando lo vedevo in ascensore speravo di poter vedere qualche suo documento. Quando lo vedevo al caffè speravo arrivasse qualche suo conoscente.
Niente. Era sempre solo. Ordinava sempre e solo un caffè liscio.
C’era solo lui, un uomo alto, imponente e ben scolpito, con una camicia bianca, jeans neri e scarpe laccate.
Finii per diventare ossessionata da lui.
Era sicuramente molto attraente, ma era il mistero che mi attraeva più di ogni altra cosa.
La sua presenza costante era diventata pressoché rassicurante.
La mattina andavo a lavorare al caffè perché sapevo che sarebbe venuto ad ordinare il suo solito caffè.
Prendevo l’ascensore in biblioteca perché sapevo che l’avrei trovato lì.
Mi ero innamorata della sua sola figura.
 
Ero così sicura che sarebbe sempre e comunque stato dove me lo aspettavo, che non mi interessavo più a chi fosse. Tanto, sarebbe sempre stato lì.
E così fu. Fu sempre lì, dove sapevo sarebbe stato, per altre tre settimane.
 
Una mattina, non venne a prendere il caffè.
Non lo trovai in ascensore.
Non lo trovai sulle scale.
Non era da nessuna parte.
Nemmeno il giorno dopo lo trovai.
E nemmeno quello dopo ancora.
 
Iniziai a chiedere informazioni su di lui a chiunque.
Mi resi conto che non potevo nemmeno dire il suo nome. Non lo sapevo.
Cosa sapevo di quest’uomo, che aveva riempito i miei pensieri?
Il suo colore di capelli, com’era vestito, e cosa ordinava al caffè dove lavoravo.
Come facevo ad idolatrare un uomo di cui sapevo così poco?
E come mai la sua mancanza mi causava tanto dolore?
Non riuscivo a spiegarmelo, eppure ancora mi disperavo, la sera, perché il misterioso uomo che tanto mi rassicurava con la sua sola presenza non c’era più.
 
I giorni passavano. Mi alzavo dal letto solo per non perdere il lavoro. Andavo in biblioteca solo per distrarmi. Non facevo niente di produttivo.
La notte non dormivo.
Tutto questo perché?
Perché mi ero attaccata alla figura di un uomo di cui non sapevo nulla.
Mi ero cullata nella sicurezza che la sua presenza mi dava, e nella certezza che nulla sarebbe mai cambiato.
E ne sono rimasta devastata.
 
 
Passarono settimane, passarono mesi.
Quell'uomo non si presentò più, e questo mi faceva ogni giorno più male.
A volte non riuscivo ad alzarmi dal letto. Chiamavo il mio capo per avvisarlo che non mi sarei presentata, e la cosa più impegnativa che avrei fatto in tutta la giornata era inventarmi una scusa quasi convincente.
Finché persi il lavoro.

Non uscivo più di casa. Cercare un nuovo lavoro era impossibile.
Perché sforzarmi di uscire, sforzarmi di lavorare, se poi tutto questo risultava in io che mi disperavo perché l'uomo, anzi no, la figura di cui mi ero innamorata non era più nella mia vita?
Che senso aveva vivere in un mondo dove io non lo avrei più rivisto?

Andai a vivere di nuovo con i miei genitori.
Li vedevo ogni giorno distrutti, distrutti dalla tristezza apparentemente inspiegabile della figlia.

Una sera chiesi dei sonniferi: dissi a mia madre che da mesi non dormivo molto.
Lei entrò in camera con una boccetta, e mi diede una pastiglia.
Guardai la pastiglia. Guardai mia madre. Guardai la boccetta che poggiò sul comodino per darmi il bicchiere d'acqua.
Continuai a guardare quella boccetta nella sua mano mentre usciva dalla stanza.
L'avrebbe messa in bagno. Ne ero certa.
  
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