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Autore: Shizue Asahi    26/05/2016    1 recensioni
La storia è stata scritta per l’iniziativa Sette giorni e tanti prompt del forum Torre di Carta.
Quando la stringe a sé è di nuovo quieto, fuori sta albeggiando e nel petto ha un piacevole senso di vuoto. Jinora sa di sudore e sesso, è tiepida e arrendevole tra le sue braccia, si staglia come una figura sottile e sinuosa controluce, immutata nel tempo, identica alla quindicenne che ha conosciuto anni addietro.
Raccolta di cinque flashfic | modern!AU | BolinJinora
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bolin, Jinora
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La storia è stata scritta per l’iniziativa Sette giorni e tanti prompt del forum Torre di Carta. Era da un sacco di tempo che non scrivevo in questo fandom e su Bolin e Jinora, per cui mi sembra che praticamente tutti i passaggi siano forzati e freddi  - e poi mi sembra che l’unica altra storia presente su loro due sia sempre mia, vergogna su di voi e la vostra mucca! è.é
Vi lascio qualche piccola nota:
  • La storia è una raccolta di cinque flashfic; sono tutte AU e non sono in ordine cronologico;
  • Nel mio headcanon Bolin si guadagna da vivere come pugile (motivo per cui è sempre pesto), Korra è la sorella adottiva di Jinora;
  • Il prompt1 è “La casa non poggia le fondamenta su un terreno, ma su una donna”;
  • Il prompt2 è Corso di cucina;
  • Il prompt3 è Controluce di Sergio Cammariere;
  • Il prompt4 è Altalena;
  • Il prompt5 è Luci e Ombre;
 
 
 
 
 
Controluce
 
 
 
 
Per Bolin alla parola casa non è mai stato associato un luogo fisico, non ne ha mai realmente posseduta una. Era troppo piccolo per ricordare quella condivisa coi genitori e da che ne ha memoria lui e Mako sono stati perennemente in movimento, spostandosi da un rifugio di fortuna a una famiglia affidataria.
Gli suona ancora strano, a distanza di giorni, settimane, mesi, congedarsi dai propri allenamenti e comunicare ai compagni di dover tornare a casa.
Si attarda sempre più del dovuto, non riuscendo proprio a privarsi di quell’orribile vizio coltivato durante l’adolescenza. Cammina con passo lento, prende tempo, alle volte acquista anche cose inutili, non perché ci sia ancora qualcosa a trattenerlo dal tornare a casa, ma per il ricordo poco piacevole di farvi ritorno e di trovarla irrimediabilmente vuota.
Quando alla fine la chiave fa scattare la serratura e la porta dell’ingresso si apre, Jinora è lì che lo aspetta e Bolin ancora non riesce a capacitarsi di come questo possa renderlo felice.
Jinora lo osserva di sbieco, i capelli tirati all’indietro, qualche ciocca bruna che le sfiora il viso tondo. Le braccia strette al petto, le sopracciglia corrucciate e il piede destro che batte irrequieto il tempo sono tutte avvisaglie di una ramanzina imminente.
- Sono a casa – annuncia, consapevole che questa volta forse il ritardo è stato eccessivo.
 
 
 
*
 
 
 
Jinora osserva dubbiosa il piatto davanti a sé, studiandolo con calma. Bolin è al suo fianco, il viso sporco di farina e il grembiule talmente impiastricciato che non riesce a distinguere una macchia dall’altra; in testa ha anche una cuffietta, in una replica poco riuscita di una perfetta casalinga anni cinquanta.
Sarebbe quasi tentata di ridere se non fosse per la consapevolezza di essere lei a dover riordinare quel disastro.
 
Bolin ha vissuto la propria vita praticamente da solo. Lui e Mako hanno imparato in fretta a prendersi cura l’uno dell’altro e sono diventati indipendenti molto prima del previsto.
Bolin è una perfetta massaia, lava, stila, fa la spesa. Conoscendolo, Jinora non avrebbe mai immaginato che potesse rivelarsi così ordinato e organizzato – già si figurava la loro convivenza con Bolin che metteva a soqquadro la casa e lei che doveva irrimediabilmente passare ogni minuto libero a scovare calzini sporchi negli angoli più impensabili dell’abitazione. Quello che gli manca è cucinare, perché il cibo non è mai stato una prerogativa necessaria durante la sua infanzia, si arrangiavano come potevano: Mako riscaldava qualche porzione di cibo preconfezionato o sgraffignava qualcosa da consumarsi freddo.
 
- Sembra buono – tenta, mimando un sorriso rassicurante. Bolin inarca le sopracciglia e sbuffa tronfio, la cuffietta gli si agita appena sulla testa.
- Sei una brava maestra – esclama con la solita eccitazione, uno scintillio orgoglioso negli occhi.
Jinora ha cercato di insegnargli a cucinare, riportando alla mente le nozione apprese dalla madre quando l’aiutava in cucina. Ha trascurato però l’insignificante dettaglio che lei per prima non è in grado di cuocere un uovo correttamente.
Poche ore dopo, mentre improvvisavano un pranzo di fortuna in un fastfood poco lontano dalla loro abitazione, nasce il tacito accordo di non parlare più dell’accaduto.
 
 

*
 
 
 
Si muove rapida e sinuosa, i capelli arruffati, il labbro tremulo, i colori tenui dell’alba imminente negli occhi.
Jinora si inarca su di lui, bloccandolo sul materasso. I piccoli seni oscillano tra le sue mani e lo invitano ad abbandonare la delicatezza eccessiva che utilizza ogni volta che la tocca.
Gli morde il lobo dell’orecchio, gli bacia i lividi sugli zigomi, l’escoriazione sulla mascella. Bolin si abbandona a quelle carezze fameliche, spossato dall’incontro e dalla notte insonne. È tornato a casa tardi, con un occhio nero e una lunga lista di lividi: l’incontro non è andato bene e l’avversario non si è fatto problemi nel pestarlo senza pietà.
Jinora soffia qualcosa di intellegibile contro il suo orecchio e Bolin sa che è un rimprovero e il fastidio riprende a scavargli nel petto, a pulsargli nelle tempie, a fargli prudere le mani.
Ci impiega un attimo a ribaltare le loro posizioni, imprigionandola sotto si sé. E allora la possiede, sfogando la rabbia, la frustrazione e il desiderio che si sono accumulati sul suo petto. Jinora geme e si agita, annaspa alla ricerca della sua bocca, gli graffia la schiena, imprime le dita nei segni scuri che gli percorrono la pelle.
 
Quando la stringe a sé è di nuovo quieto, fuori sta albeggiando e nel petto ha un piacevole senso di vuoto. Jinora sa di sudore e sesso, è tiepida e arrendevole tra le sue braccia, si staglia come una figura sottile e sinuosa controluce, immutata nel tempo,  identica alla quindicenne che ha conosciuto anni addietro.
 
 
 
*
 
 
 
Jinora è piccola e minuta, una nuvola di corti capelli castani e occhi grigi. Possiede una figura sottile e filiforme e il portamento mite e pacato di chi è stato abituato fin da subito a badare agli altri.
È la sorellina della nuova ragazza di Mako e sa che non dovrebbe prestarle più attenzione del dovuto. Jinora è poco più che una bambina e lui ha ormai superato la soglia dei vent’anni. Cerca di ignorarla, ne evita lo sguardo, concentrandosi sul ciarlare insistente di Ikki o sui giochi di prestigio di Meelo.
Jinora di tanto in tanto controlla i fratelli minori, mal celando il piacere di non essere lei, per una volta, la vittima delle loro attenzioni moleste.
I bambini amano Bolin, è un dato di fatto di cui ha preso atto già da parecchio tempo. Malignamente Mako lo prende in giro dicendogli che l’età mentale è la stessa, quindi si trovano bene con lui per questo. Bolin lo mette a tacere con un pugno o un buffetto più violento del solito e il fratello gli offre un sorriso sarcastico.
 
Jinora è silenziosa, passa inosservata tra il trambusto dei fratelli. Quando compie diciassette anni sembra ancora la bambina che Bolin ha conosciuto qualche anno prima, solo con qualche centimetro in più.
È abitudinaria e segue una routine facile da indovinare. Bolin sa esattamente dove e quanto trovarla ed è sempre per caso che la incontra nei posti più svariati.
Jinora non sembra infastidita da quella compagnia inaspettata, gli sorride compiaciuta, scambia qualche battuta con lui, gli sfiora il braccio affettuosa.
La mattina è a scuola, fa sempre la stessa strada, prendendo l’R8 sempre alla stessa ora; quando le lezioni terminano, fa il percorso all’indietro e torna a casa. A pomeriggio inoltrato, quando le faccende di casa sono state fatte, i compiti finiti e i suoi fratelli sono impegnati con i loro amici, Jinora esce e va al parco.
 
Bolin è uno sportivo, in pieno allenamento, per cui non c’è assolutamente niente di strano nel vederlo fare jogging al parco, anche se la natura e la corsa non sono mai rientrate tra le sue passioni.
E Jinora è sempre lì, un libro tra le mani, lo sguardo assorto di chi è in tutt’altro posto e i piedi che oscillano a mezz’aria. L’altalena è vecchia e ha visto giorni migliori, nascosta in un angolo del parco in cui nessun genitore responsabile lascerebbe vagare i propri figli; la vernice rossa è quasi del tutto scrostata.
Gli si contorce lo stomaco e gli si mozza il fiato, le orecchie gli fanno a fuoco – troppa corsa – quando la vede. Nel profondo si sente anche un po’ in imbarazzo, come se violasse la sua privacy.
Ogni tanto prova a fermarsi, ma poi lo stomaco si contrae un po’ di più e tira avanti. La prossima volta, si dice tronfio.
 
Quando poi quella famosa prossima volta arriva, si accascia sull’altalena di fianco a Jinora, a cavalcioni sulla seduta di legno. Stringe la catena di ferro tra le mani e la saluta. La ragazza sussulta, il libro quasi le cade di mano e Bolin per poco non salta via dall’altalena nel sentirla imprecare.
Jinora lo soppesa severa, il naso arrossato per il freddo e il cipiglio contratto.
- Ehilà – le dice Bolin, passandosi una mano tra i capelli – Anche tu da queste parti? –
- A quanto pare – gli concede Jinora, poco disposta a dargli corda. Non violare la sua privacy mai più si annota mentalmente.
Bolin fa un paio di osservazioni sul tempo e Jinora si dimostra stranamente poco loquace. È irritata e alla fine smette di cercare di parlarle e finiscono entrambi in un silenzio imbarazzante.
 
- Sì – gli dice, la voce ferma e pacata.
Bolin si acciglia, il grosso naso premuto contro la catena dell’altalena - Cosa?-
- Non fare tardi. Domani, dopo la scuola. E non dirlo a Korra. -
 
 
 
*
 
 
 
Bolin aspetta, mentre l’aria si fa sempre più fredda e i passeggeri più radi. Conta una, due, tre volte una donna passargli davanti e trova improvvisamente interessante un insetto che ronza a pochi passo da lui.
Il telefono giace abbandonato in una delle tasche del suo giubbotto, ha il labbro tumefatto e probabilmente un occhio nero. Ha vinto l’incontro, ma per un pelo.
Jinora è un’ombra che si fa spazio tra i passanti, indistinguibile controluce. Da lontano Bolin ne indovina la forma del viso, degli occhi, delle labbra.
Jinora è un’ombra. Piccola, silenziosa, implacabile. Si è insinuata nella sua vita, tessendo una ragnatela di piccole trappole e tranelli tipicamente femminili, nella quale si è lasciato condurre senza troppe storie.
Ha aggirato le sue difese, appropriandosi di un ruolo fondamentale nella sua vita.
Jinora è un’ombra, ma è anche luce e allegria e amore e Bolin si sente scoppiare ogni volta che la vede.
 
 
 
   
 
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