Gli
posi dei leggeri baci sul petto e prosegui finché lui non ti
trattiene le mani
con le sue, che ti prendono il viso tra collo e mento per baciarti
ancora sulle
labbra, sulle guance, sul contorno del tuo viso come volesse
disegnarlo. Quando
scende sui seni respiri più velocemente, e lui se ne
accorge, tant'è che li
sfiora con la mano mentre con l'altra tira i lacci del corpetto per
lasciarti
in sottoveste.
Ogni
movimento è lento, cadenzato, si accompagna a sguardi,
sospiri, a sussurri, il
contatto con la sua pelle ti richiama la nostalgia di quando era
abitudine
addormentarsi abbracciata addosso a lui, niente a distanziare i vostri
corpi.
La veste cade a terra, e i capelli che ti ha sciolto ti solleticano la
schiena,
là dove le sue mani ti stringono, lasciando segni rossi
sulla pelle chiara. Un
bacio ancora, e assaporare ogni istante di quel momento si fa
d’un tratto
necessità trascurabile. Le vostre gambe intrecciate vi
portano quasi
inciampando verso il letto, e dimentichi tutto e tutti che non siano
Antonio, e
le sue mani, e la sua bocca.
«Marchesa.»
È una voce femminile, flebile. E familiare.
«Marchesa Radicati.» Si accompagna
a dei passi. «Mi dispiace, mi dispiace tanto.»
Un
braccio non risponde più ai tuoi comandi, l’altra
mano avverte una stoffa
ruvida e una seduta scomoda sotto di te, mentre il collo ti fa
indubbiamente
male, e muovendolo avverti un senso di nausea.
«Ha
insistito, è di fretta, non sapevo come mandarlo
via» continua la stessa voce,
in un ritornello fastidioso.
Quando
torni ad impossessarti del controllo sulla tua mano destra, ti massaggi
la nuca
nel tentativo di sciogliere i muscoli contratti, e nel frattempo
ragioni sulla
maniera meno traumatica di sollevarti a sedere in una posizione meno
indecorosa, o almeno tale da consentirti di vedere in viso e diritta la
persona
che ti sta assillando.
«Devo
essermi… oh, Dio» le vertigini, e di nuovo la
nausea, le mani fermamente
poggiate sul divano, con l’idea che gli occhi chiusi possano
risolvere la
spiacevole sensazione.
«Anna.»
Non
potevano accavallarsi così tanti eventi insieme, alla
sprovvista. Rita a
parlarti incessantemente, la tua mente ancora annebbiata, Antonio al
tuo
capezzale, ora seduto di fianco a te, così vicino da
sentirne i respiri addosso.
Eppure
sino ad un attimo prima…
Oh, cielo.
«Vi
è passato?»
«Cosa?»
«Il
giramento di testa.»
Ma
non era un cosa sulla domanda di
Antonio, era un cosa su cosa potesse essere successo
nell’ultima
mezz’ora.
«No,
cioè, sì, sto bene.»
Nessuno
si era accorto o voleva soffermarsi sull’espressione di Rita,
che, da
spaventata, a disagio ed estremamente turbata per avere disturbato la
sua
padrona, si stava ricomponendo. Infine lascia la biblioteca con un
inchino, non
mancando di scusarsi.
«Rita
potresti portarci-»
«È
andata via, e comunque non mi serve niente, mi è
già passato.»
Incastri
gli occhi nei suoi, poi ti fai forza sulle braccia per alzarti e
dimostrargli che
non sei mai stata così bene, che non è successo
nulla, ma proprio nulla di
strano, che non doveva essere così apprensivo nei tuoi
confronti, perché se a
volte puoi apparire quale donna fragile e cagionevole di salute, il
motivo
stavolta risiede solo nel brusco risveglio, perché
sì, ti sei addormentata, ma
poteva essere comprensibile, vista la rabbia e la stanchezza che si
susseguivano negli ultimi giorni, che di notte davano modo solo ai
brutti
pensieri di accoglierti.
Per
alzarti appoggi inavvertitamente una mano sulla sua gamba, e perdi
l’equilibrio, e ti ritrovi seduta dov’eri prima, se
non più vicina a lui.
«Sto
bene» non gli dai modo di fiatare. Non era un calo di
zuccheri, non era il
senso di vertigine, non era l’incipit di uno svenimento.
Era
solo un perché sei qui Antonio?
E
quella mano Antonio la raccoglie e la scalda tra le sue, e ne tasta il
polso. «Celere.»
E
che dovresti mangiare qualcosa, no? Almeno una tazza di tè
ben zuccherato.
Tanto te lo diceva il suo sguardo, non c’era bisogno di
parlare. Come che avevi
le mani fredde, e che tremavi.
«Mi
sembrate un po’ scossa.»
«Stavo
riposando, non mi aspettavo una vostra visita.» Era una mezza
verità, avrebbe
potuto essere sufficiente. «I sogni a volte fanno perdere
l’orientamento.»
«Dovevo
tornare, pensavo lo ricordaste.»
«Ma
non oggi.»
«Non
avevamo parlato di una data in particolare.»
Ma non oggi. Vorresti ritrarre la mano
ancora intrappolata tra le sue, ma fai finta di non pensarci.
«Di
che cosa si trattava?»
Le dita ti solleticano in fianco, i baci ti
torturano la pelle del collo, la stanza è completamente al
buio ed entrambi
sapete quanto sia tutto così sbagliato.
Il
respiro si fa più irregolare, lo sguardo perso al di
là delle spalle di
Antonio.
«Allora
era vero.»
«Cosa?»
Ritiri
immediatamente la mano e balzi in piedi. «Niente, mi sono
ricordata di una
cosa.»
Quando
ti volti è già dietro di te. Forse pronto a
sorreggerti?
«Dovete
smetterla di pensare che sia malata.» Gli giri le spalle.
«C’è
qualcosa che non va, Anna, e vorrei potervi aiutare.»
Un bottone alla volta, della sua camicia,
scivola via dalla propria asola.
Un passo alla volta, e raggiungete camera
tua.
«Lo
vorrei tanto anche io.»
Come
in una recita teatrale, gli consenti di nuovo di posare gli occhi su di
te.
«Come?»
La
tua mano raggiunge il bavero della sua giacca.
Ed
è
tutto così reale, adesso che puoi avvertire la
solidità del suo torace da sopra
gli indumenti, e puoi studiare le sfumature dei suoi occhi alla luce
del
pomeriggio, e vedere che è sorpreso quanto te, per le
sensazioni che vi
prendono a stare l’uno accanto all’altra.
«Che
cosa stavate sognando?» tenta la seconda volta, forse
convinto che non avevi
più difese per rispondergli con una menzogna.
«Mio
fratello.»
Antonio
pare deluso, ma forse non si aspettava nient’altro che una
bugia. O una verità
che non lo riguardava.
«Ed
Emilia» rincari la dose.
I
tuoi due amori. Non c’era posto per Antonio, in questo
momento della tua vita,
pareva dire il tuo sguardo. Ma ti stai tradendo. Ti sei tradita, ti
tradisci
costantemente. Cammini per la stanza, a vuoto, lentamente,
allontanandoti e di
nuovo stringendo le distanze, in una giostra di idee confuse. Che cosa
avresti
ottenuto nel sottostare alla tua volontaria incertezza? Tutto era
chiaro contro
di te, limpido, un sole.
«Siete
preoccupata per loro.»
Non
ha bisogno di risposte, era una conferma del tuo stato
d’animo. L’uno in
carcere, l’altra triste per lo zio e per tutto ciò
che stava stravolgendo le
loro vite. Il padre mai presente e lungi dall’essere definito
tale, così
sfacciato da portarsi in casa un’altra donna, con cui
intrattenersi con
affettuose moine di fronte a figlia e moglie e chiunque altro fosse nei
paraggi.
«Non
so più che fare» ne esci infine, aggrappandoti
alla disperazione, alla
possibilità di essere vittima più che carnefice.
Anche se sai di essere
entrambe le cose a piacimento.
Inizia ad essere sincera, ti urli
addosso.
Pensa un po’ a te, ti rispondi
ancora.
«Abbiate
cura di voi stessa, e state lontana da Alvise.»
Ti
colpisce il suo sguardo rigido e indifferente. Hai sbagliato, ancora
una volta,
e l’hai fatto di tua scelta.
«Arrivederci
Anna.»
No.
Antonio.
No,
no, no.
Ogni
volta che ti lasciava era come la prima volta, stavolta il tuo sguardo
non
mentiva.
E
se
n’è accorto anche lui, perché non si
muove, fisso a scrutare i tuoi occhi.
«Lo
sai anche tu, vero, quanto mi manchi?»