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Autore: carlyxy    27/05/2016    1 recensioni
Con l’avanzare degli eventi si era inconsciamente accorta di non sopportare più nulla di Connor. Ma non era per i suoi interminabili silenzi o il modo improvviso in cui spariva per mesi interi senza dare notizia alcuna. No, il suo problema era che Connor era stato inevitabile.
Inevitabile era una parola opprimente e le sbatteva in faccia ogni cosa: l’inevitabilità di fissare la sua schiena quando le camminava d’avanti, l’inevitabilità del bisogno di sentire la sua voce, l’inevitabilità di lanciare uno sguardo in sua direzione con la coda dell’occhio e l’inevitabile dolore che provava quando scopriva che mai una volta l’indiano ricambiava il suo sguardo.
A quel punto le sarebbe piaciuto poter tornare indietro, riavvolgere il nastro e azzerare tutto.
Ma era conscia che qualsiasi cosa avesse fatto, non avrebbe fatto differenza. Era questo il problema: anche se fosse tornata indietro, in alcun modo avrebbe potuto fare a meno di innamorarsi di Ratonhnhaké:ton. [Connor x OC]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Connor Kenway, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Icu Wana
  – 01 Capitolo –
 
Concord, 1775
 
 
«Lily smettila di perder tempo con quel cavallo e dammi una mano coi nostri nuovi amici».
«Si, padre».
Elizabeth sospirò sommessamente da dietro il collo del vecchio ronzino, prima di raggiungere l’insolita trattoria arrangiatasi poco prima. Aveva passato gli ultimi dieci minuti nascosta dietro l’animale nella vana speranza che quello sfortunato incontro si rivelasse fugace e di rimettersi in cammino al più presto.
«Non fare quella faccia», la riprese bonariamente mentre riempiva l’ennesimo boccale.
Avrebbe solo voluto ricordare al proprio padre che quelli non erano amici ma solo un gruppo di rozzi campagnoli che si stava approfittando dell’ingenuità dei suoi genitori e dei loro barili carichi di birra.
La ragazza preferì restare in silenzio considerando che lei stessa era stata la causa di quello spiacevole inconveniente pomeridiano. Se qualcuno l’avesse avvertita che domandare a suo padre una breve sosta sarebbe costato il prezzo di tre individui che si abbeveravano come cavalli, avrebbe decisamente tenuto la bocca chiusa fino a destinazione.
Si erano lasciati alle spalle Boston ormai da svariati giorni da quando gli inglesi avevano decretato che la loro stessa casa ormai non era più di loro possesso e così suo padre aveva deciso di lasciare immediatamente Boston senza un’effettiva meta. Non c’era stato verso di convincerlo a chiedere rifugio dal più fortunato zio finché non avessero trovato un’altra sistemazione. No, suo padre aveva deciso che non avrebbe mai più voluto vedere né sentir parlare di giubbe rosse o dei liberali in vita sua, piuttosto sarebbero andati a vivere in mezzo ai boschi lontano dalla civiltà.
Ma con suo gran sollievo, Lily sapeva che ben presto la rabbia sarebbe scemata e la paura e la preoccupazione di avere un tetto sopra la testa, lo avrebbero ricondotto dritto a Boston a bussare a casa dello zio.
«Prepara un po’ di pane e formaggio per il signore», le disse suo padre indicando Godfrey, un omone – le ricordava più un armadio, in realtà – con degli occhi da bambino incastonati in un viso barbuto.
Mentre s’affrettava a tagliare una modesta fetta di formaggio sentì qualcuno che rideva parecchi decibel sopra la decenza.
Lanciò uno sguardo in direzione del gruppo e vide che la donna era ancora seduta su un tronco a bere birra assieme agli altri due. Quando Lily l’aveva vista avvicinarsi, sua madre le aveva assestato una gomitata nel fianco per farle chiudere la bocca: indossava dei pantaloni e portava con sé un fucile. Ma non erano solo i suoi abiti ad averle creato sconcerto, oltre all’aspetto c’erano i modi e il linguaggio che la rendevano ben lontana dall’idea che le avevano inculcato sin da bambina su come una donna dovesse comportarsi.
«Cara, sii un po’ più generosa! Quel pezzettino non sfamerebbe neanche un topo», le rimbeccò sua madre, che nonostante fosse impegnata a mescolare la zuppa sul braciere improvvisato, aveva occhio ovunque.
«Non ne basterebbe una forma intera a sfamare questo qui», pensò, guardando di sottecchi l’uomo che aspettava gongolando davanti ai suoi occhi. «Siete davvero troppo generosi», commentò mentre la ragazza gli porgeva il cibo. «La vostra locanda doveva essere una delle migliori», commentò dopo aver addentato un pezzo di pane.
«Peccato che il Re non la pensasse alla stessa maniera», sospirò suo padre fissando il fondo di un boccale vuoto.
Dopo quell’affermazione, il silenzio calò fra i presenti e solo dopo qualche imbarazzante minuto l’uomo con accento francese prese parola. «Dove siete diretti ora?».
«Nessun posto in particolare», rispose sua madre, senza mai smettere di mescolare la zuppa. «Ci fermeremo in qualche villaggio vicino, dove troveremo lavoro. Magari Lexington».
Lily si appoggiò con la schiena ad uno dei grossi barili e prese a fissarsi le punte delle scarpe.
Le voci dei contadini cominciarono ad accavallarsi le une alle altre e non riuscirono a sfondare la barriera che si era formata coi suoi pensieri.
Nella sua mente tornarono ad accavallarsi le immagini di qualche giorno prima, quando le giubbe rosse avevano fatto irruzione alla locanda e li avevano costretti ad abbandonare tutto senza neanche poter replicare.
Il modo in cui erano stati cacciati, come fossero stati ladri all’interno della loro stessa casa, era stato incredibilmente umiliante.
Se i ricordi avessero potuto fare rumore, allora in quell’istante nella sua testa doveva esserci una baraonda.
Urla, insulti e sguardi di scherno.
Rivide le proprie unghie affondare nel legno mentre una giubba rossa ripeteva che dovevano abbandonare l’edificio per ordine di un re che neanche gli apparteneva.
Si vide piangere mentre recuperava i suoi averi e li riponeva in una sacca come meglio poteva, mentre un fucile le veniva puntato contro.
Si era ripromessa di non piangere più davanti ad un uomo, non finché le fosse rimasta una briciola d’orgoglio. Mai più.  
«Signore!». Il cambio di tonalità di suo padre sembrò richiamarla dai suoi pensieri. «Gradite un sorso di birra o del formaggio?».
Quando Lily sollevò lo sguardo non vide l’ennesimo contadino che si aspettava. Le sue pupille si dilatarono quando si accorse dell’ indiano che si stava avvicinando al piccolo gruppo.
«Connor!» Godfrey s’avvicinò senza timore e gli poggiò una mano sulla spalla con fare familiare. «Lui è Oliver e loro sono Corrine e Lily, persone meravigliose! Olly, lui è Connor, l’uomo di cui ti parlavo, il Signore della Villa».
Per la seconda volta in quella giornata, Lily non provò neanche a nascondere l’espressione sorpresa che le si formò sul viso.
Sapeva che gli indiani potessero possedere oggetti, animali e forse persino delle case, ma che quell’uomo fosse il padrone di un’intera tenuta e desse lavoro a dei bianchi era al di fuori di ogni sua immaginazione.
Crescendo in una locanda, che oltre essere affollata dai consueti abitanti di Boston era saltuariamente frequentata da viaggiatori o avventurieri, le era stato concesso di ascoltare molte storie ed avventure, alcune delle quali avevano come protagonisti i nativi e non erano esattamente storie lusinghiere. Una delle tante che gli era rimasta particolarmente impressa a proposito della selvaggia crudeltà degli indiani era quella del sacrificio di una povera ragazza: l’avevano cibata per mesi, dandole da mangiare e mantenendola calma e ignara del suo destino fino a che arrivò il giorno: la collocarono tra gli alberi, la sollevarono legata per i polsi e dopo accesero un fuoco sotto di lei. Uno a uno, quei valorosi guerrieri, per così dire, presero un ramo ardente e lo appoggiarono sulla tremante carne della infelice ragazza fino a che la morte la liberò da tanta terribile sofferenza.
Lily si strinse nelle spalle e rabbrividì a quel ricordo che l’aveva sconcertata anni prima.
«Stavamo passando di qui, quando abbiamo visto i vostri servitori. Avevano sete e noi qualche barile e –», suo padre cercò di giustificare la sosta sul suo territorio ma l’indiano lo bloccò con un gesto della mano.
«Non sono un Signore e loro sono amici, non servitori», lo interruppe con risolutezza. «Cosa vi ha condotto per strada con un carro pieno di liquori da vendere?»
«Eravamo osti, poi il Re ha requisito la locanda per qualche questione militare», spiegò. «E ci ha lasciato con le chiappe all’aria», terminò stringendosi leggermente nelle spalle.
«Dovreste stabilirvi qui!», esordì l’uomo francese alzando il boccale che aveva in mano. «Ci servirebbe una locanda».
«Buona idea!», esclamò la donna tirandolo a sé e prendendo un ampio sorso di birra. Lily scostò subito lo sguardo.
«Lo faremmo ma servirebbe un edifico adeguato e ci vogliono soldi..», sospirò suo padre, sollevando le spalle con fare rassegnato.
Ma l’indiano non sembrò affatto scoraggiato. «Un locale come il vostro farebbe piacere a tutti. Parlerò con i miei amici al mulino e vedremo se potremo costruirne uno», sollevò leggermente gli angoli della bocca. «Se ci riusciamo, vi piacerebbe rimanere stabilmente qui?».                             
«Ma certo Olly!», esclamò sua madre euforica mentre correva ad abbracciare il marito. «Una nuova locanda!».
I due uomini si strinsero la mano e Lily si ritrovò in disparte, con un’espressione indecifrabile stampata sulla faccia, ben lontana dall’esaltazione generale.
«E mentre aspettate, potete alloggiare con me e la mia famiglia», si offrì Godfrey. «Non è molto grande ma ci stringeremo».
Suo padre si tolse il cappello, ormai con le lacrime agli occhi. «Io davvero non so cosa dire, la vostra gentilezza va oltre ogni limite».
«Lily!», sua madre si voltò verso di lei. «Hai sentito? Avremo una nuova locanda!».
«Già, è fantastico», le sorrise senza guardarla.
In realtà era tutt’altro che fantastico. Certo, avere un tetto sulla testa e per di più una nuova locanda era meraviglioso, ma l’idea di vivere nel bel mezzo di un bosco, lontani dalla città e per di più sottoposti ad un selvaggio..
«Dovete perdonare l’esuberanza di nostra figlia», ironizzò sua madre e Lily roteò gli occhi. «E’ ancora scossa, ha bisogno di tempo per adattarsi».
«E’ comprensibile», commentò l’indiano lanciandole uno sguardo prima di voltarsi verso il resto del gruppo.
Sua madre le si avvicinò e le strinse le mani. «Oggi è stata una benedizione, dopo tutte le disgrazie degli ultimi tempi quel ragazzo ci è stato mandato dal Signore Onnipotente».
«Non lo so, madre», sospirò con poca convinzione. «E’ un indiano», disse con un filo di voce. «E se tutto ciò fosse contro la legge? Che ne sappiamo se questa terra è davvero sua? E poi pensavo tornassimo a Boston. Almeno dallo zio–».
«Elizabeth Powell», beccò sua madre con un’espressione interdetta dipinta sul volto. «Io e tuo padre non ti abbiamo cresciuta per essere così acida di spirito. Quell’uomo ci darà una casa e un lavoro, fosse anche parente di una scimmia non è di nostro affare né interesse», si allontanò verso un barile e riempì, per l’ennesima volta in quella mattinata, un boccale di birra. «Offrigli questo come gratitudine e mostrati gentile».
«Si, madre». La ragazza afferrò il boccale borbottando. S’avvicinò a piccoli passi cercando di allontanare dalla mente l’immagine della ragazza martoriata dai nativi. Si fermò dietro l’indiano, faccia a faccia con la sua schiena, letteralmente. Quell’uomo era persino più alto di Godfrey. Avrebbe dovuto salire su uno sgabello per arrivargli almeno al collo.
Lily inghiottì prima di parlare. Com’è che lo avevano chiamato prima? «Signor Conrad?».
Il nativo si girò e portò lo sguardo sulla ragazza. «Ce l’hai con me?».
«Si», mormorò piantando gli occhi sulla birra. «Per voi».
«Oh, grazie». Prese il boccale e per qualche motivo fu sicura che le sue dita stettero attente a non sfiorare quelle di lei. Lily sospirò di sollievo e fece per girarsi ma la voce dell’indiano la bloccò sul posto.
«Il mio nome è Connor, comunque».
«Mi dispiace non sbaglierò di nuovo, signore», si scusò e le sue guance si colorarono di rosa.
Connor si grattò la testa facendo oscillare la sottile trecciolina che pendeva dai capelli scuri. «Chiamami solo Connor e dammi del tu».
«D’accordo», annuì portando le braccia dietro la schiena ed evitando di guardarlo negli occhi.
L’uomo sollevò brevemente un angolo della bocca e poi si voltò nuovamente verso gli altri. «E’ stato bello conoscervi, ma ho tante cose da sbrigare». Portò il boccale sul bancone – notò che non ne aveva preso neanche un sorso – e si congedò con un gesto della mano. «Mi farò vivo non appena avrò tutto il necessario».
Adesso che le deva le spalle, la ragazza fissò l’insolito signore della tenuta farsi più distante mentre percorreva il sentiero, prima che la sua sottana venne strattonata dalla donna seduta sul tronco.
«Siedi con noi!», le sorrise con occhi visibilmente lucidi.
Lily emise un sordo gemito prima di prendere posto, mentre il suo cuore era inondato dall’angoscia e i suoi pensieri percorrevano varie miglia, arrivando fino a Boston, alla vecchia locanda, alle sue cugine e a suo zio che chissà quando avrebbe rivisto.
Si sedette accanto alla ragazza e guardandola si chiese se, forse, non avrebbe rimpianto quella giornata per sempre.


 
***
Questo racconto era nato inizialmente come una one-shot contenente l’ultimo capitolo di questa storia. Poi in preda al delirio ho deciso di scriverne il resto (o meglio l’inizio).
Non è una storia da grandi intrighi o da chissà quali pretese né ci saranno grandi stravolgimenti rispetto alla storia principale. La protagonista è la figlia di Oliver e Corrine, i due locandieri che si stabiliscono alla tenuta. Mi è sembrata una buona opzione per poter inserire questo personaggio all’interno di questo universo. La missione che riguarda i due è disponibile dal 1775, quando Connor ha circa 19 anni.
In questa fase iniziale Lily ne ha solo 14 ma non vi preoccupate, la mia storia si svolgerà lungo il corso di altri 7 anni, fino all’assassinio di Lee, per cui la nostra protagonista ne avrà di tempo per crescere. (Per quel che sono riuscita a documentarmi, al contrario di quanto si possa pensare, già nel XVI secolo i matrimoni con donne di 12-14 anni non erano poi così comuni, esistevano si, ed erano assolutamente legali ma la maggior parte lo faceva dai 16 anni in su, anzi l’85% si sposava verso i 19 anni).
Se volete qualche approfondimento a proposito di questo argomento potete farlo qui.

*La storia della ragazza uccisa dagli indiani è vera, testimoniata indirettamente da Samuel Woodworth Cozzens, un avventuriero statunitense che passò molto tempo tra gli Apache, solo che il fatto avvenne ben più avanti rispetto alla nostra storia, ovvero nel 1856.

Inoltre ci tengo a precisare che con questa piccola storia, ci tengo ad essere il più fedele possibile ai pensieri e le credenze del tempo. Mi scuso quindi su eventuali parti in cui potrete riscontrare razzismo, maschilismo e via discorrendo ma è una storia ambientata nel 1700 e i personaggi presenti sono frutto di quegli anni. Detto ciò, ringrazio tutti voi che avete letto questo primo capitolo e mi auguro che vi sia piaciuto. A presto ♥
   
 
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