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Autore: Eriok    28/05/2016    4 recensioni
Temi i tuoi vicini, e tutto ciò che potrebbero sentire.
I protagonisti della serie in un mondo parallelo, Arkadia Bay, e la sua università dove ognuno di loro lavora e/o studia.
Li seguiremo in tutte le loro peripezie quotidiane, tra amori, delusioni, litigi e intrighi.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Un po' tutti
Note: Lemon, Movieverse, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Fear the Neighbors

 

1.

 

Era una tranquilla giornata di settembre, nonostante le temperature un po’ basse il sole ancora baciava i tetti dell’università prestigiosa di Arkadia Bay. La squadra di football si allenava come il solito nel campo adiacente ai dormitori, ma il caposquadra aveva la testa da tutt’altra parte.

«Blake!» un urlo destò l’attenzione del giovane ragazzo moro, e notò all’ultimo il compagno che era scivolato per placcarlo e con un impeto compì un salto laterale, rovinando sulla spalla in maniera scomposta. Una fitta terribile gli arrivò trapassandogli il corpo.

«Bel! Stai bene?» chiese il compagno di squadra. Il ragazzo si tirò su, ignorando il dolore. Ma una pacca datagli da dietro lo fece mugugnare dal dolore.

«Vai a farti vedere, Blake! Ci servi integro per il campionato che dobbiamo affrontare!» urlò da lontano l’allenatore Marcus, grattandosi la testa scocciato.

Il ragazzo, sudato e sporco di terra lasciò il campo camminando lento verso la croce verde che torreggiava alla sinistra del campo.

“Octavia arriva alle tre, e non so nemmeno con chi alloggerà.” Ecco quali erano le preoccupazioni del nostro quarterback, la giovane sorella appena iscrittasi alla sua stessa università. Nonostante fosse più preponderante verso Scienze Motorie – come il fratello – ha scelto di fare lingue e letterature straniere. Grazie alla borsa di studio ottenuta era riuscita ad ottenere una camera in un nuovo alloggio appena costruito per gli studenti universitari meritevoli. Octavia aveva rifiutato di vivere insieme al fratello - che aveva affittato una casa lontano dal centro per risparmiare - per affrontare questa nuova avventura da sola. E questo rendeva Bellamy preoccupato. Talmente tanto preoccupato da distrarsi il campo, l’unico posto dove si sentiva in pace con sé stesso.

«Blake, di nuovo qui?» Sospirò Clarke Griffin, novizia dottoressa. Giovane ragazza bionda e dai bellissimi occhi azzurri che nel tempo libero dai corsi intensivi di medicina aiutava la dottoressa Kane per gli infortuni. Il camice bianco le stava sempre troppo stretto per i gusti di Bellamy, ma oggi non era in vena di fare commenti come il suo solito. Non fece nemmeno il solito commento prezzante su come potesse una dottoressa avere le unghie ancora sporche di olio di motore.

«Sono caduto male sulla spalla.» mormorò, sedendosi sul lettino come ormai era solito fare. Lo sguardo perso nel vuoto. Clarke concentrò lo sguardo su di lui.

«C’è qualcosa che ti turba?» disse, mentre analizzava il braccio del ragazzo, e camminò verso il banco per prendere una crema.

«Octavia sta venendo qui…» disse sospirando. «E non è voluta venire a vivere insieme a me… visto che ha vinto la borsa di studio vuole sfruttare questa occasione per “rendersi indipendente”, ha detto.» si sfilò la maglia sganciando l’imbracatura d’allenamento, così che la bionda potesse applicare la crema.

«Per caso ti ha detto quale alloggio le hanno assegnato…?» chiese, mentre applicava l’unguento.

«Mi sembra il numero 8.» Poi si girò, curioso «Perché?». Clarke sorrise.

«Siamo coinquiline allora, Bellamy.»

«Davvero?!» le afferrò le spalle d’impeto, scendendo dal lettino «Ti prego, prenditene cura, lo sai che da quando ha avuto quel brutto incidente ho sempre il timore che le capiti qualcosa…». La giovane bionda, afferrando le mani di lui, si staccò, mantenendo il sorriso.

«Stai tranquillo Blake, sono sicura che diventeremo subito migliori amiche.» e con quello lo congedò, dandogli dei campioncini di crema da applicare per evitare il complicarsi dell’ematoma.

 

Il suono della sveglia rimbombava nella testa di Octavia come una campana di chiesa, e aprì con difficoltà gli occhi, stanca e spossata per la serata che aveva appena passato.

Era stata ad una festa e aveva bevuto troppo, alzandosi notò un peso non indifferente sulla sua schiena. Il braccio di un uomo che dormiva accanto a lei, nudo, che russava tranquillamente.

Sbuffò, iniziando a vestirsi. Ingoiò una pastiglia per il post sbornia, e prendendo le valigie che aveva preparato il giorno prima si avviò verso la fermata dell’autobus. Si mise le cuffie all’orecchio e si riaddormentò una volta salita, conscia che aveva altre quattro ore di sonno prima di essere un minimo presentabile per il fratello che l’avrebbe accompagnata al suo alloggio. Era stata informata che avrebbe convissuto con altre due donne, una più vecchia di lei di un anno e una straniera. Ma per ora l’unica cosa che voleva fare era dormire, e lasciò scivolare le sue ansie nel dolce cullare della corriera in viaggio verso il lungomare.

 

«Jasper! Ti prego, esci da lì!» una donna avvolta da un asciugamano sbraitava davanti alla porta di un bagno chiusa a chiave, in uno dei nuovi alloggi dell’università. Un giovane ragazzo dai capelli scuri completamente spettinati e con delle occhiaie da paura aprì la porta con lentezza, grattandosi la barba. Puzzava di alcol e fumo.

«Dio Jasper, sono due ore che sto aspettando per farmi la doccia!» e con quelle parole Raven, la giovane donna dai capelli castani, scansò l’amico per entrare in bagno, sbattendo in malo modo l’uomo fuori dalla stanza.

Grattandosi la testa il giovane cantante si avviò alla sua camera per completare il suo pisolino, anche se la sua vista venne bloccata da una schiena nuda. Sogghignò, pieno di nuova vita, prendendo di sorpresa il ragazzo che si stava cambiando.

«Murphy…» mormorò con voce roca, iniziando a baciare il collo del compagno mentre gli sfiorava con le mani il petto e il cavallo dei pantaloni. Un sospirò di piacere uscì dalle labbra del ragazzo, gli occhi azzurri dilatati dal piacere.

«Jasper…» si girò, sogghignando malizioso. «Lo sai vero che sono le undici di mattina…?».

Il cantante non ascoltò quello che diceva, era troppo preso da osservare quelle labbra fruste che amava tanto baciare piegarsi in quel ghigno che lo aveva fatto innamorare.

«Chissene.» e gli saltò addosso, baciandolo con foga, spingendolo con modo rozzo sul letto matrimoniale disfatto. «Io ti scopo a tutte le ore.» e con quella frasi gli abbassò la zip dei pantaloni, incominciando a leccare il pene già in erezione del compagno, che aveva iniziato a mugugnare per il piacere.

«Almeno chiudete la porta!» Sbraitò Raven, appena uscita dal bagno, sbattendo con forza la porta della camera dei due. Si diresse alla sua camera, sentendo già suoni strani provenire dalla camera.

«Che palle, sti piccioncini…» disse sbuffando, passando davanti allo specchio in corridoio. Si soffermò per pochi istanti ad osservare il tatuaggio che portava al braccio: un corvo nero in volo. Lo sfiorò con una mano, ancora bagnata.

 

“Sei indomita e libera, come questo uccello.” Bellamy le mormorava all’orecchio dolci parole d’amore mentre lei sopportava con forza il dolore dell’ago che le trapassava la pelle più e più volte.

“Ti amo.”.

 

Distolse lo sguardo, camminando con espressione ferita verso l’armadio. Doveva smetterla di tuffarsi nel passato e dimenticare quel coglione tutto impettito. Anche se ancora pensando al suo petto virile diventava tutto un bollore.

 

Clarke sollevò con forza le porte in ferro dell’officina del padre, già con le mani sporche di olio di motore, vestita della solita salopette e maglietta scollata. Si asciugò il sudore sulla fronte, sporcandosi se possibile ancora di più. Era una giornata come tante, per Clarke: alla mattina i corsi, al pomeriggio si divideva tra l’officina e il tutoring all’infermeria del campo, e alla sera studio e recupero dei corsi in cui era stata assente al pomeriggio.

Quel giorno era più stanca del solito, non era riuscita a dormire per la tensione ed emozione insieme del trasloco nel nuovo alloggio che le avevano – finalmente – rilasciato. Suo padre, morto in un incidente un anno fa, era il motivo per cui le avevano rilasciato una borsa di studio che così le permetteva di continuare i suoi studi che altrimenti avrebbe dovuto sospendere. Sua madre faceva fatica a stare nei conti, e la retta dell’università sarebbe stata una stangata troppo grande da attutire con tutti i conti in rosso. Già faceva due lavori per poter mantenersi e pagare i debiti lasciati dal padre. Sin da piccola il padre gli aveva insegnato le basi della meccanica, facendola giocare a smontare un due tempi invece che divertirsi con le bambole, e quegli insegnamenti adesso stavano diventando utili alla figlia per potersi mantenere all’università.

Iniziò a lavorare su un motore che non ne voleva sapere di partire quando sentì una voce provenire dalle sue spalle.

«Mi scusi…?» Clarke sobbalzò, sbattendo la testa sul metallo della macchina.

«Ahi!» e si girò, tenendosi una mano sulla testa. «Mi dic…» e si zittì. Davanti a lei una bellissima donna dagli occhi verdi e i capelli castani raccolti sulla spalla destra, lasciando il collo scoperto. La osservava con bisogno, e Clarke rimase affascinata dai movimenti sinuosi delle sue labbra.

«Ha capito…?».

«Eh?»

«Le ho chiesto se mi può aiutare con la mia moto…»

Clarke si ricordò di respirare.

«Ah? Oh, sì! Moto. Dove?».

La giovane donna si girò dirigendosi verso la strada secondaria dove sbucava l’officina. Clarke perse un battito, quella donna aveva una camminata provocante.

«Vede? Non parte!» disse, mentre provava ad accenderla col pedalino. Clarke perse un colpo al movimento del suo petto.

«Ci penso io, non si preoccupi!» si avvicinò per afferrare il manubrio, sfiorandole di poco le mani. Alzò lo sguardo, imbarazzata e rossa in volto. Bloccandosi per un secondo notando che quella donna non si era allontanata, rimanendole a distanza ravvicinata. il cuore iniziò a battere all’impazzata.

«Ci tengo a questa moto, la tratti bene per piacere…» e lasciò la presa. Clarke spinse la moto all’interno dell’officina, per poi dirigersi verso l’ufficio dentro un piccolo gabbiotto.

«Mi dica nome e cognome per registrarla, e un numero dove contattarla quando avrò finito il lavoro.» disse la bionda, cercando di sembrare professionale. Penna alla mano.

«Lexa Woods.»

«Ok, numero?»

«Non lo so ancora, mi sono appena trasferita qua.» si stava torturando le mani, nonostante mantenesse una postura rigida e composta. Era nervosa.

«Ah, davvero?»

«Sì, sono venuta a studiare medicina all’università di Arkadia Bay.» Clarke rimase per un secondo spiazzata. Sbiancò.

«Ma guarda il caso pure io studio medicina, è già un anno che ho iniziato!» Lexa la guardò di sbieco, come per cercare di capire un quadro.

«E allora perché fai il meccanico…?» domandò, con fare sprezzante. Clarke sorvolò sul tono, e ignorò la domanda.

«Alloggi al dormitorio per caso? Posso chiamarti lì, una volta finito il lavoro.»

«Sì, va bene.».

«Ok. Allora ci sentiamo!» disse, sorridendole. Noto un leggero rossore sulle sue guance.

«Ehm…» sembrava in difficoltà a chiederle una cosa, infatti non si era avviata per andarsene e stava lì a guardare Clarke con quello sguardo bisognoso di prima.

«Hai bisogno di qualcos’altro…?» e chissà come mai, nella mente della bionda, quella frase detta in quella maniera ricordava tanto l’incipit di molte pellicole di bassa lega.

«Ecco, io…» iniziò a giocherellare con un ciuffo dei capelli, guardando altrove mentre diventava sempre più rossa. «…mi sono persa.».

 

 

 

 

   
 
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