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Autore: teen_hardship    28/05/2016    0 recensioni
Melanie Owens: sognatrice, testarda, lunatica, tenace. La musica è il suo unico punto di riferimento saldamente fisso nel suo cuore, la sua sola immagine di salvezza impressa nella sua mente. Il basso, il suo più caro amico, colui che davvero c'è sempre stato nel bene e nel male. Cresciuta in un contesto complesso da capire e da viverci come quello degli anni '60, nel quale si butta a capofitto, forse un po' ingenuamente, come se fosse una fiaba, un gioco, con lo stesso entusiasmo di una bambina.
Ben presto, peró si renderà conto di quanto sia difficile affrontare la giungla,mondo discriminatorio, ipocrita e tremendamente ingiusto. In questa esperienza totalmente nuova per lei, con suo fratello avrà modo di conoscere quattro ragazzi di Liverpool, coloro che da semplici giovani talentuosi arriveranno ai Fab Four che scriveranno la storia degli allora imminenti anni '60 e dell'epoche successive. Nuove amicizie, scoperte, delusioni, influenze esterne e amori che trasformeranno la protagonista rendendola una Melanie totalmente diversa da quella iniziale.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Era una fresca mattina di giugno. Il sole si comportava in modo piuttosto infame facendomi pensare alla mia grande irresponsabilità e alla mia incorreggibile pigrizia: si infilava dalla serranda del mio balcone fino a battere proprio sui miei occhi invitandomi al risveglio e ricordandomi dell'impegnativa giornata che mi aspettava.
Questo mi fece pensare a quanto mi mancavano quei risvegli rumorosi della mia famiglia. Eravamo in tanti: mamma Emily, papà Oscar, le piccole pesti gemelle Teddy e Lucas e mio fratello maggiore Spencer, che peró si era trasferito a Liverpool con me. Ricordo ancora quelle mattine di domenica con il tipico via vai isterico di chi ha voglia di organizzare una grande giornata memorabile per la propria famiglia, quelle da passare tutti insieme al parco, a divertirsi, a parlare del più e del meno. Ogni fine settimana era la stessa cosa: alle nove in punto mamma ai fornelli a preparare cibo per un esercito, noi ragazzi a letto moribondi, reduci dal sabato sera e da settimane scolastiche atroci, e papà che tentava in ogni modo di svegliarci. Erano giornate felici quelle. Il nostro legame era grande e persisteva nonostante la distanza, mi mancava tantissimo la mia famiglia, benché la loro mentalità fosse totalmente in contrasto con la mia e il loro regime era un po' troppo duro soprattutto nei miei confronti, ma ancora due mesi e sarei tornata.
Pensando a ció mi alzai a fatica dal letto e a mo' di zombie scesi in cucina dove Spencer stava preparando dei deliziosi muffin al cioccolato. Mio fratello quando voleva era davvero tenero, considerando che la maggior parte del suo tempo lo passava a comportarsi da stronzo con chiunque. In realtà non ci somigliavamo tanto: lui ha i capelli ricci e corvini, per esempio, mentre io lisci e rossicci, lui era sicuramente più alto di me tanto che qualche volta mi scambiavano per sua nipote o robe del genere. Dal punto di vista caratteriale eravamo ancora più diversi: lui diciamo che viveva la sua vita senza importarsi di niente e di nessuno, nel senso che se decideva una cosa era quella e non si faceva mai abbattere dai problemi. Un tipo molto alla leggera, oserei dire. Io invece ero un po' più emotiva, ma passando tanto tempo con lui riuscii ad acquistare sempre più autocontrollo dei miei sentimenti e della mia psiche in generale.

- Bisogna aspettare sempre qualche occasione speciale per far si che tu sia quasi civile? - dissi scherzando ed abbracciandolo da dietro. Di tutta risposta, per divertirsi un po' anche lui (a modo suo): - Occasione speciale? Pensandoci non mi viene in mente proprio niente... - . Non poteva farmi questo, sapeva quanto fosse importante quell'audizione per me, quanti mesi di preparazione ci ho dedicato e quanti grammi, ma che dico, kili d'anima. Non poteva dimenticarselo: - O forse si! Girovagando per bene nel mio archivio mentale... - , - Hai un archivio mentale? Sul serio? - scherzai interrompendolo: - Eh già sorellina! Dicevo..ah ecco: mi devi accompagnare a fare la spesa! Che giornata splendida e quale occasione imperdibile per prepararti le mie prelibatezze! -. Mettendo il finto broncio presi un muffin, mi andai a sedere sullo sgabello di fronte e lo osservai mentre, con tutta calma, puliva i suoi pasticci. Credo di essere restata in quella posizione per buoni cinque minuti, e di aver distrattamente mangiato almeno quattro muffin, quando mi chiese: - Bhe che hai da guardare? Su, vatti a vestire così poi andiamo - , - Sei proprio uno stronzo! - dissi andandomene e lanciadogli un cucchiaio, la prima cosa che trovai. Lo sentii imprecare in lontananza qualcosa tipo: -Se mamma fosse stata qui, non ti saresti mai permessa piccola peste...-, ma non ci diedi molto peso e salii in camera mia.
Aprii l'armadio alla ricerca di qualcosa da indossare. Dopo minuti di indecisione, alla fine optai per un vestito bluetto abbinato ad una giacchetta dello stesso colore con delle semplici ballerine. Preso il necessario mi diressi in bagno dove mi preparai. Dopo essermi truccata leggermente, scesi giu dove mi aspettava Spencer giocherellando con le chiavi della Vespa:- Era ora pigrona - disse lanciandomi un'occhiata non curante, segno che stava ritornando lo stronzo di prima. Presi le chiavi di casa ed uscimmo.
Il vento contrario scompigliava i miei capelli che mi pungevano dolcemente il viso. Il market non era molto lontano da casa, ma quel giorno era la giornata "rifornimento provviste per la sopravvivenza" come la chiamavamo io e mio fratello, dunque, avremmo avuto un bel po' di buste da portare. Durante il viaggio chiesi al coglione cronico: - Davvero non ti ricordi cosa accade tra una settimana? -. Lui mi rispose con aria scocciata: - È ovvio che me lo ricordi! Ci siamo momentaneamente trasferiti qua per questo, non per goderci le vacanze - , - Me ne stai facendo una colpa? Giusto per chiedere, perché sai benissimo che sarei potuta venire qua anche da sola. Questa città è molto più piccola di Boston, ma comunque sia nonostante la mia giovane età so badare a me stessa! - risposi arrabbiata. - Tu, una donna, sola? Ma ti prego, evitiamo battute squallide di prima mattina, non sono dell'umore- , - Cosa intendi con 'una donna'? Stai scherzando? - mi liquidò con un frettoloso gesto della mano e rimandó la conversazione a più tardi. Scendemmo dalla Vespa e, senza nemmeno aspettarlo, mi diressi all'interno del market. Insomma, credeva davvero che non sappia badare a me stessa o costruirmi una vita da sola perchè sono donna? Era pazzesco, mi rifiutavo mentalmente di avere un fratello con quel modo di pensare. Che testa.
Arrivai al reparto frutta ed iniziai a prendere cose a caso, forse per nervosismo, e ad infilarle nelle buste. Completai il mio giro di acquisti e mi avvicinai alla cassa per pagare. Lì trovai Spencer in preda ad una crisi di panico: il grande uomo, di appena vent'anni per la cronaca, colui che tutto puó a differenza di una ragazza, si era dimenticato il portafoglio. Quale altra mente brillante come lui?
Lo guardavo divertita da lontano mentre si agitava tastando tutte le tasche che aveva e ridendo nervosamente con la commessa che aspettava pazientemente e leggermente divertita. Quale occasione migliore per fargli rivedere le sue opinioni? Mi avvicinai: - Qualche problema fratellone? - , dopo aver ricevuto una pessima occhiata mi preoccupai di pagare il tutto. Lo avevo visibilmente messo in difficoltà, che soddisfazione, così cercai di peggiorare le cose: - Ah questi uomini! Non si ricordano mai niente, cosa fareste senza di noi io devo ancora scoprirlo -, al che la commessa rise: - Sono d'accordo. Se solo aprissero un po' di più le loro menti protrebbero trarne anche qualche vantaggio - , - Femminista? - chiesi io: - Efferata -. Mentre stavavamo parlando amabilmente delle nostre comuni idee politiche, venimmo interrotte da Spencer: - Ragazze, ammetto che questo discorso è molto interessante, ma se alzaste lo sguardo vi accorgereste che si è appena formata una fila kilometrica di persone alquanto impazienti -, - Se è così allora, non voglio nemmeno accennare una piccola occhiata. Bhe, a presto...? -, - Trisha, e tu? - , - Melanie, ci vediamo! - . Notai che Spencer si era imbambolato come un ebete a fissarla e mi sbrigai a trascinarlo fuori di lì per evitare altre situazioni imbarazzanti.
- Piccola Melanie - mi chiamó: - Spencer? - , - Che meravigliosa giornata - disse sorridendo. Partendo dal presupposto che mi stava chiamando 'piccola' quando poco prima mi stava dando del l'incapace: perchè doveva essere così lunatico? Certe volte mi esasperava, non riuscivo proprio a capirlo: più complicato di una donna.
Salimmo sulla Vespa e partimmo diretti verso casa. Arrivati, abbandonai mio fratello con le buste da sistemare e corsi in camera chiudendomi a chiave, prima che potesse impedirmelo, per provare il pezzo per l'audizione. Mesi e mesi di preparazione, come ho già detto, forse più psicologica che pratica. La posta in gioco era alta, d'ovvia conseguenza c'erano ostacoli altrettanto alti a rendermi le cose più difficili. Partendo dal fatto che sapevo poco e niente di questa band. Sapevo che privilegiavano il pure rock, genere raro per l'epoca e che stava solo iniziando a diffondersi, che vi erano quattro membri e che necessitavano un bassista.
Sulla base di queste misere informazioni, avevo deciso di portare Twenty Flight Rock di Eddie Cochran, studiando ogni singola nota dell'assolo e adattandola allo strumento in modo da renderlo più mio, quasi unico. Ogni musicista che si rispetti, a mio avviso, in ogni pezzo che prepara o studia, benchè non sia lui o lei l'autore o l'autrice, lascia delle sue tracce inconfondibili: le dinamiche esageratamente contrastanti, il continuo cambiamento della velocità o addirittura delle note stesse, il modo in cui dipinge l'atmosfera del luogo in cui suona. Ecco perché credo fortemente nel fatto di rendere un pezzo proprio anche se appartenente ad un'altra epoca, un altro stile, e metterci l'anima, è un marchio di fabbrica che ti contraddistingue dal resto.
Appunto ció che mi serviva: avevo intenzione di colpirli e lasciare il loro qualcosa che li avrebbe sicuramente portati ad accettarmi nella loro band.
Così presi il basso e iniziai a pizzicare le corde riscaldandomi le dita e la voce. Quando mi sentii pronta iniziai a suonare, trasferendomi in quella dimensione a mia misura. Andando avanti con la melodia, ripercorrevo la mia infanzia, i miei idoli e le mie muse, la prima sonatina, il primo assolo, tutte le cose belle che erano state determinanti per la mia formazione. Conclusi il pezzo che oramai aveva raggiunto un alto grado di perfezione, sinceramente una delle poche cose che mi riconosco, e ritornai sull'infelice terra giusto in tempo per sentire mio fratello chiamarmi a tavola per il pranzo.
Meno male che almeno lui sapeva cucinare. Io non me la cavavo male, per istinto di sopravvivenza sarei in grado di fare tutto, ma non mi piaceva particolarmente, così almeno quelle prime settimane con la scusa dell'esercizio rifilavo a Spencer quasi tutti i compiti domestici. Sapevo benissimo che il mio atteggiamento non si addicave affatto ad una signorina dell'epoca: sarei dovuta essere io ad occuparmi della casa, del cibo, insomma di tutte quelle cose di cui si dovevano occupare le donne. Ma io non ero come le altre, ero per la parità dei generi.
Lo ritrovai intento a mettere dei piatti di pasta fumanti a tavola. Mangiammo serenamente parlando con aria sognante di cosa sarebbe successo se mi avessero presa: -Mel, credo che tu debba considerare anche la possibilità che non ti prendano- , -Oh no! Ti prego, perchè dovrei deprimermi! Così facendo perdo in partenza -, -Come preferisci. Comunque sia, sai che io non potró restare qui all'infinito, quindi cosa hai intenzione di fare?-. Sinceramente non ne avevo la minima idea, nè mi andava di pensarci allora. Una mia caratteristica era quella di affrontare le cose singolarmente, con calma e pazienza, una per volta, così risposi: -Cosa ne posso sapere adesso? Parliamone più in là- .
Passó una settimana da quel pranzo e arrivò il giorno dell'audizione. Si puó immaginare quanto dormii la notte precedente: poco e niente. Mi ero girata e rigirata nel letto, troppe volte per i miei gusti, così ad un certo punto decisi di alzarmi. Scesi in cucina e mi preparai un the verde cercando di calmarmi. Non riuscivo a distrarmi, così una volta arresa alla mia insonnia iniziai ad immaginare come potessero essere questi tipi misteriosi comparsi dal nulla: magari vestivano sempre di nero, andavano in giro con un trucco eccentrico e invece di cantare urlavano, o forse al contrario non potevamo vivere senza il loro frack e cantavano come usignoli, tipo con la bocca sempre socchiusa ad 'u'...impossibile, quasi dimenticavo che suonano rock. Allora potevano essere degli ibridi: gentiluomini in frack che urlavano, o dark che cantavano ad usignolo. È evidente dai miei pensieri contorti che fosse un'ora tarda. Inizia a ridacchiare delle mia infantilità. Credo di aver alzato leggermente il tono in quanto poco dopo mio fratello scese, bisbigliando cose strane con una tenera voce impastata, mi caricó di peso sulle sue spalle e mi portó a dormire con sè. Solo allora mi addormentai. La mattina dopo mi sveglió Spencer e dopo essermi preparata, partimmo da casa con la vespa. Durante il viaggio, cercando di fare attenzione e di preservare quanto più possibile il basso da eventuali colpi, ripetei in mente la canzone cercando di concentrarmi.
Arrivammo in uno studio registrazioni e aspettai nella sala d'attesa il mio turno. Mi guardai intorno e notai tche ero l'unica ragazza tra un mucchio di ragazzi che mi guardavano straniti, come se fossi stata una specie vivente strana in via di estinzione. Ringraziai mentalmente mio fratello, che quella mattina mi aveva severamente vietato di mettermi il vestito bordeaux a pois e mi aveva convinta ad indossare un vestito un po' più lungo bianco, concedendomi delle scarpe con un po' di tacco. Rabbrividii solo al pensiero di tutti quegli sguardi posati su di me. Evidentemente mio fratello comprese il mio disagio e mi si avvicinó guardandosi intorno in cagnesco. Era come se fossi ritornata bambina e Spencer fosse mio padre: ricordo ancora quando ad ogni concorso c'era sempre qualcuno che mi prendeva in giro perchè ero più bassa rispetto a tutti gli altri bambini, o perchè avevo i capelli rossi, cose del genere, e lì arrivava il mio supereroe che allontanava i cattivi e mi consolava: -Non devi badare a quello che gli altri dicono, Mel, tu sei tu, a modo tuo speciale. Non permettere mai a nessuno di cambiarti con delle stupide opinioni che non contano nulla- ripeteva sempre: -E comunque andrà sarà un successo-, la sua famosa citazione da annales, concludeva il tutto con un sorriso rassicurante. Rivedei quella bambina, che poco prima era sul punto di piangere, sorridere solare e tranquillizzarsi. Non mi ero accorta che mio fratello stava scrutando attentamente la mia mimica, quasi ad accertarsi che andasse tutto bene. Gli sorrisi e ci abbracciammo.
Attendemmo pazientemente il mio turno e poco prima iniziai a riscaldare la voce e le dita. -Melanie Owens?-, sentii chiamare il mio nome e scattai in piedi dirigendomi velocemente verso la porta. Poco prima di entrare fui bloccata da mio fratello: -Hey Mel- disse: -Si?-, -Ricordati che comunque vada sarà un successo- , - È ovvio che lo sarà- risposi sicura di me ed entrai.

   
 
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